sabato 10 agosto 2013

Santa Bernadette Soubirous



Santa Bernadette Soubirous 
(Suor Marie Bernard)
Vergine
Lourdes, 7 gennaio 1844 - Nevers, 16 aprile 1879

Quando, l'11 febbraio del 1858, la Vergine apparve per la prima volta a Bernadette presso la rupe di Massabielle, sui Pirenei francesi, questa aveva compiuto 14 anni da poco più di un mese. Era nata, infatti, il 7 gennaio 1844. A lei, povera e analfabeta, ma dedita con il cuore al Rosario, appare più volte la «Signora». Nell'apparizione del 25 marzo 1858, la Signora rivela il suo nome: «Io sono l'Immacolata Concezione». Quattro anni prima, Papa Pio IX aveva dichiarato l'Immacolata Concezione di Maria un dogma, ma questo Bernadette non poteva saperlo. La lettera pastorale firmata nel 1862 dal vescovo di Tarbes, dopo un'accurata inchiesta, consacrava per sempre Lourdes alla sua vocazione di santuario mariano internazionale. La sera del 7 Luglio 1866, Bernadette Soubirous decide di rifugiarsi dalla fama a Saint-Gildard, casa madre della Congregazione delle Suore della Carità di Nevers. Ci rimarrà 13 anni. Costretta a letto da asma, tubercolosi, tumore osseo al ginocchio, all'età di 35 anni, Bernadette si spegne il 16 aprile 1879, mercoledì di Pasqua. (Avvenire)
Patronato: Pastori
Etimologia: Bernardetta = ardita come orso, dal tedesco
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: A Nevers sempre in Francia, santa Maria Bernarda Soubirous, vergine, che, nata nella cittadina di Lourdes da famiglia poverissima, ancora fanciulla sperimentò la presenza della beata Maria Vergine Immacolata e, in seguito, preso l’abito religioso, condusse una vita di umiltà e nascondimento. 


A metà strada tra Lione e Parigi, adagiata lungo la Loira, c’è Nevers, la città in cui è sepolto, da circa 125 anni, il corpo incorrotto di santa Bernadette Soubirous. Entrando nel cortile del convento di Saint Gildard, casa madre delle Suore della Carità, si accede alla chiesa attraverso una porticina laterale. 

La semioscurità, in questa architettura neogotica dell'Ottocento, è rotta dalle luci che illuminano un’artistica cassa funeraria in vetro. Dentro c’è il piccolo corpo (appena un metro e quarantadue centimetri di altezza) di una giovane religiosa che sembra quasi dormire, con le mani giunte attorno a un rosario ed il capo reclinato a sinistra. E’ il corpo mortale di Bernadette, la veggente di Lourdes, rimasto pressocchè intatto dal giorno della sua morte. 
Per la scienza un fatto “inspiegabile”, per la fede invece un segno inequivocabile del “dito” di Dio in una vicenda, come quella di Lourdes, che ha tutti i caratteri dell’eccezionalità e i cui effetti si possono contemplare anche oggi in quello straordinario luogo di fede e di pietà mariana che è la piccola città dei Pirenei dove Maria apparve per la prima volta l’11 febbraio del 1858. 

Quella mattina era un giovedì grasso e a Lourdes faceva tanto freddo. In casa Soubirous non c’era più legna da ardere. Bernadette, che allora aveva 14 anni, era andata con la sorella Toinette e una compagna a cercar dei rami secchi nei dintorni del paese. Verso mezzogiorno le tre bambine giunsero vicino alla rupe di Massabielle, che formava, lungo il fiume Gave, una piccola grotta. Qui c’era “la tute aux cochons”, il riparo per i maiali, un angolo sotto la roccia dove l’acqua depositava sempre legna e detriti. Per poterli andare a raccogliere, bisognava però attraversare un canale d’acqua, che veniva da un mulino e si gettava nel fiume.

Toinette e l’amica calzavano gli zoccoli, senza calze. Se li tolsero, per entrare nell'acqua fredda. Bernadette invece, essendo molto delicata e soffrendo d'asma, portava le calze. Pregò l’amica di prenderla sulle spalle, ma quella si rifiutò, scendendo con Toinette verso il fiume. Rimasta sola, Bernadette pensò di togliersi anche lei gli zoccoli e le calze, ma mentre si accingeva a far questo udì un gran rumore: alzò gli occhi e vide che la quercia abbarbicata al masso di pietra si agitava violentemente, per quanto non ci fosse nell’aria neanche un alito di vento. Poi la grotta fu piena di una nube d’oro, e una splendida Signora apparve sulla roccia.

Istintivamente, Bernadette s'inginocchiò, tirando fuori la coroncina del Rosario. La Signora la lasciò fare, unendosi alla sua preghiera con lo scorrere silenzioso fra le sue dita dei grani del Rosario. Alla fine di ogni posta, recitava ad alta voce insieme a Bernadette il Gloria Patri. Quando la piccola veggente ebbe terminato il Rosario, la bella Signora scomparve all’improvviso, ritirandosi nella nicchia, così come era venuta. 

Bernadette Soubirous aveva compiuto 14 anni da poco più di un mese. Era nata, infatti, il 7 gennaio 1844, da Louise Casterot e François, un mugnaio ridotto in miseria dalla sua eccessiva “bontà” verso i creditori. Bernadette, che era la primogenita, a 14 anni non sapeva né leggere né scrivere e non aveva ancora fatto la prima Comunione, tuttavia sapeva assai bene il Rosario e teneva sempre con sé una coroncina da pochi spiccioli dalla quale era solita non separarsi mai. È, quindi, proprio a una quattordicenne poverissima ed analfabeta, ma che prega tutti i giorni il Rosario, che la Madonna decide di apparire la mattina dell’11 febbraio 1858, in un piccolo paese ai piedi dei Pirenei. 

Intanto la notizia delle apparizioni si diffonde in un baleno. Nell’apparizione del 24 febbraio la Madonna ripete per tre volte la parola “Penitenza”. Ed esorta: “Pregate per i peccatori”.

Infine nell’apparizione del 25 marzo 1858, la Signora rivela finalmente il suo nome:: “Que soy – dice nel dialetto locale - era Immaculada Councepciou…” (Io sono l’Immacolata Concezione). Quattro anni prima, Papa Pio IX aveva dichiarato l'Immacolata Concezione di Maria un dogma, cioè una verità della fede cattolica, ma questo Bernadette non poteva saperlo. Così, nel timore di dimenticare tale espressione per lei incomprensibile, la ragazza partì velocemente verso la casa dell’abate Peyramale, ripetendogli tutto d’un fiato la frase appena ascoltata. 

L’abate, sconvolto, non ha più dubbi. Da questo momento il cammino verso il riconoscimento ufficiale delle apparizioni può procedere speditamente, fino alla lettera pastorale firmata nel 1862 dal vescovo di Tarbes, che, dopo un’accurata inchiesta, consacrava per sempre Lourdes alla sua vocazione di santuario mariano internazionale.

La sera del 7 Luglio 1866, Bernadette Soubirous varcava la soglia di Saint-Gildard, casa madre della Congregazione delle Suore della Carità di Nevers. “Sono venuta qui per nascondermi”, aveva detto con umiltà. Tante attenzioni, tante morbose curiosità attorno alla sua persona dopo le apparizioni, non le davano che dispiacere. Nei 13 anni che rimane a Nevers sarà infermiera, a volte sacrestana, ma spesso ammalata lei stessa… Svolge tutte le sue mansioni con delicatezza e generosità: “Non vivrò un solo istante senza amare”. 

Ma la malattia avanza implacabile: asma, tubercolosi, tumore osseo al ginocchio. L’11 dicembre 1878 è definitivamente costretta a letto: “Sono macinata – dice lei – come un chicco di grano”. All’età di 35 anni, il 16 aprile 1879, mercoledì di Pasqua, alle 3 del pomeriggio, gli occhi della piccola veggente che videro Maria si chiudono per sempre. Beatificata nel 1925, il Papa Pio XI l’ha proclamata santa l’8 dicembre 1933.

AVE MARIA PURISSIMA!


Santa Chiara: Tutte le grazie passano attraverso il Cuore Eucaristico di Gesù.

S. Chiara d'Assisi prega per noi



Santa Chiara Vergine
Assisi, 1193/1194 - Assisi, 11 agosto 1253
Ha appena dodici anni Chiara, nata nel 1194 dalla nobile e ricca famiglia degli Offreducci, quando Francesco d'Assisi compie il gesto di spogliarsi di tutti i vestiti per restituirli al padre Bernardone. Conquistata dall'esempio di Francesco, la giovane Chiara sette anni dopo fugge da casa per raggiungerlo alla Porziuncola. Il santo le taglia i capelli e le fa indossare il saio francescano, per poi condurla al monastero benedettino di S.Paolo, a Bastia Umbra, dove il padre tenta invano di persuaderla a ritornare a casa. Si rifugia allora nella Chiesa di San Damiano, in cui fonda l'Ordine femminile delle «povere recluse» (chiamate in seguito Clarisse) di cui è nominata badessa e dove Francesco detta una prima Regola. Chiara scrive successivamente la Regola definitiva chiedendo ed ottenendo da Gregorio IX il «privilegio della povertà». Per aver contemplato, in una Notte di Natale, sulle pareti della sua cella il presepe e i riti delle funzioni solenni che si svolgevano a Santa Maria degli Angeli, è scelta da Pio XII quale protettrice della televisione. Erede dello spirito francescano, si preoccupa di diffonderlo, distinguendosi per il culto verso il SS. Sacramento che salva il convento dai Saraceni nel 1243.(Avvenire)
Patronato: Televisione
Etimologia: Chiara = trasparente, illustre, dal latino
Emblema: Giglio, Ostia
Martirologio Romano: Memoria di santa Chiara, vergine, che, primo virgulto delle Povere Signore dell’Ordine dei Minori, seguì san Francesco, conducendo ad Assisi in Umbria una vita aspra, ma ricca di opere di carità e di pietà; insigne amante della povertà, da essa mai, neppure nell’estrema indigenza e infermità, permise di essere separata. 


La sera della domenica delle Palme (1211 o 1212) una bella ragazza diciottenne fugge dalla sua casa in Assisi e corre alla Porziuncola, dove l’attendono Francesco e il gruppo dei suoi frati minori. Le fanno indossare un saio da penitente, le tagliano i capelli e poi la ricoverano in due successivi monasteri benedettini, a Bastia e a Sant’Angelo. 


Infine Chiara prende dimora nel piccolo fabbricato annesso alla chiesa di San Damiano, che era stata restaurata da Francesco. Qui Chiara è stata raggiunta dalla sorella Agnese; poi dall’altra, Beatrice, e da gruppi di ragazze e donne: saranno presto una cinquantina. 


Così incomincia, sotto la spinta di Francesco d’Assisi, l’avventura di Chiara, figlia di nobili che si oppongono anche con la forza alla sua scelta di vita, ma invano. Anzi, dopo alcuni anni andrà con lei anche sua madre, Ortolana. Chiara però non è fuggita “per andare dalle monache”, ossia per entrare in una comunità nota e stabilita. Affascinata dalla predicazione e dall’esempio di Francesco, la ragazza vuole dare vita a una famiglia di claustrali radicalmente povere, come singole e come monastero, viventi del loro lavoro e di qualche aiuto dei frati minori, immerse nella preghiera per sé e per gli altri, al servizio di tutti, preoccupate per tutti. Chiamate popolarmente “Damianite” e da Francesco “Povere Dame”, saranno poi per sempre note come “Clarisse”. 


Da Francesco, lei ottiene una prima regola fondata sulla povertà. Francesco consiglia, Francesco ispira sempre, fino alla morte (1226), ma lei è per parte sua una protagonista, anche se sarà faticoso farle accettare l’incarico di abbadessa. In un certo modo essa preannuncia la forte iniziativa femminile che il suo secolo e il successivo vedranno svilupparsi nella Chiesa. 

Il cardinale Ugolino, vescovo di Ostia e protettore dei Minori, le dà una nuova regola che attenua la povertà, ma lei non accetta sconti: così Ugolino, diventato papa Gregorio IX (1227-41) le concede il “privilegio della povertà”, poi confermato da Innocenzo IV con una solenne bolla del 1253, presentata a Chiara pochi giorni prima della morte. 

Austerità sempre. Però "non abbiamo un corpo di bronzo, né la nostra è la robustezza del granito". Così dice una delle lettere (qui in traduzione moderna) ad Agnese di Praga, figlia del re di Boemia, severa badessa di un monastero ispirato all’ideale francescano.
Chiara le manda consigli affettuosi ed espliciti: "Ti supplico di moderarti con saggia discrezione nell’austerità quasi esagerata e impossibile, nella quale ho saputo che ti sei avviata". Agnese dovrebbe vedere come Chiara sa rendere alle consorelle malate i servizi anche più umili e sgradevoli, senza perdere il sorriso e senza farlo perdere. A soli due anni dalla morte, papa Alessandro IV la proclama santa.


Chiara si distinse per il culto verso l'Eucarestia. Per due volte Assisi venne minacciata dall'esercito dell'imperatore Federico II che contava, tra i suoi soldati, anche saraceni. Chiara, in quel tempo malata, fu portata alle mura della città con in mano la pisside contenente il Santissimo Sacramento: i suoi biografi raccontano che l'esercito, a quella vista, si dette alla fuga.



Autore: Domenico Agasso



Lex dubia non obligat

Lex dubia non obligatLex dubia non obligat




(di Roberto de Mattei)  Il “caso” dei FI ripropone una questione di ordine canonico, morale e spirituale, spesso affiorata e talvolta “esplosa” negli anni del post-concilio: il problema dell’obbedienza ad una legge ingiusta. Una legge può essere ingiusta non solo quando viola la legge divina e naturale, ma anche quando viola una legge ecclesiastica di portata superiore. È questo il caso del Decreto dell’11 luglio 2013 con cui la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata stabilisce il commissariamento dei Francescani dell’Immacolata.

La lesione del diritto non sta nel commissariamento, ma in quella parte del Decreto che pretende obbligare i Francescani dell’Immacolata a rinunciare alla Messa secondo il Rito Romano antico. Esiste infatti, oltre alla Bolla Quo primumdi san Pio V (1570), il motu proprio di Benedetto XVI Summorum pontificum (2007), ossia una legge universale della Chiesa, che concede ad ogni sacerdote il diritto di «celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa».
L’art. 2 del Motu Proprio specifica che non occorre alcun permesso né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario, per le Messe celebrate sine populo.
L’art. 3 aggiunge che non solo i singoli sacerdoti, ma «le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, sia che nella celebrazione conventuale o “comunitaria” nei propri oratori possono esercitare questo diritto». Nel caso che una singola comunità o un intero Istituto o Società volesse «compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari». Non c’è bisogno, in questo caso, di risalire ai princìpi della legge divina e naturale, basta il diritto canonico. Un eminente giurista come Pedro Lombardia (1930-1986) ricorda come il canone 135, paragrafo 2, del nuovo Diritto Canonico sancisce il principio della legalità del legiferare, nel senso che «la potestà legislativa è da esercitarsi nel modo stabilito dal diritto», specialmente dai canoni 7-22, che costituiscono il titolo dedicato dal Codice alle Leggi ecclesiastiche (P. Lombardia, Lezioni di diritto canonico, Giuffré, Milano 1986, p. 206).
Il Codice ricorda che leggi ecclesiastiche universali sono quelle «promulgate con l’edizione nella gazzetta ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis» (can. 8); che ad esse «sono tenuti dovunque tutti coloro per i quali sono state date» (can. 12 – §1); precisa che «le leggi che stabiliscono una pena, o che restringono il libero esercizio dei diritti, o che contengono un’eccezione alla legge, sono sottoposte a interpretazione stretta» (can. 18); stabilisce che «la legge posteriore abroga la precedente o deroga alla medesima, se lo indica espressamente, o è direttamente contraria a quella, oppure riordina integralmente tutta quanta la materia della legge precedente »(can. 20); afferma che «nel dubbio la revoca della legge preesistente non si presume, ma le leggi posteriori devono essere ricondotte alle precedenti e con queste conciliate, per quanto è possibile» (can. 21).
L’art. 135 stabilisce infine il principio fondamentale della gerarchia delle norme, in virtù del quale «da parte del legislatore inferiore non può essere data validamente una legge contraria al diritto superiore». Neanche un Papa  può abrogare un atto di un altro Papa, se non con la dovuta forma. La regola incontestabile, di ordine giuridico e morale, è che prevale il diritto derivante da un ordine superiore, che riguarda una materia di maggiore importanza e più universale, e che possiede un titolo più evidente (Regis Jolivet, Trattato di filosofia. Morale, vol. I, Morcelliana, Brescia 1959, pp. 171-172).
Secondo il canone 14, inoltre, la norma canonica, per essere obbligatoria, non deve essere suscettibile di dubbio di diritto (dubium iuris), ma deve essere certa. Quando manca la certezza del diritto, vige l’assioma:lex dubia non obligat. Quando ci si trova di fronte ad un dubbio, la gloria di Dio e la salvezza delle anime prevalgono sulle concrete conseguenze  a cui può portare l’atto, sul piano personale. Il  nuovo Codice di Diritto Canonico ricorda infatti, nel suo ultimo canone, che nella Chiesa, sempre deve essere “suprema lex” la “salus animarum” (can. 1752). Lo aveva già insegnato S. Tommaso d’Aquino: «lo scopo del diritto canonico tende alla pace della chiesa e alla salvezza delle anime» (Quaestiones quodlibetales, 12, q. 16, a. 2) e lo ripetono tutti i grandi canonisti.
Nel discorso sulla “salus animarum come principio dell’ordinamento canonico, tenuto il 6 aprile 2000, il cardinale Julián Herranz, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, ha ribadito come questo è il supremo principio ordinatore della legislazione canonica. Tutto ciò presuppone una riflessione articolata, che è assente dal dibattito, perché spesso si dimentica il fondamento morale e metafisico del diritto.
Oggi prevale una concezione meramente legalista e formalista, che tende a ridurre il diritto a un mero strumento nelle mani di chi ha il potere (cfr. Don Arturo Cattaneo, Fondamenti ecclesiologici del Diritto canonico, Marcianum Press, Venezia 2011). Secondo il positivismo giuridico penetrato all’interno della Chiesa è giusto ciò che l’autorità promulga. In realtà lo Ius divinum è a fondamento di ogni manifestazione del diritto e presuppone la precedenza dello jus rispetto alla lex. Il positivismo giuridico inverte i termini e sostituisce l’esercizio della lex alla legittimità dello jus. Nella legge si vede solo la volontà del governante, e non il riflesso della legge divina, per la quale Dio è il fondamento di tutti i diritti. Egli è il Diritto vivente ed eterno, principio assoluto di tutti i diritti (cfr. Ius divinum, a cura di Juan Ignacio Arrieta, Marcianum Press, Venezia 2010).
È per questo che, in caso di conflitto tra la legge umana e quella divina, «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At. V, 29). L’obbedienza è dovuta ai superiori perché rappresentano l’autorità stessa di Dio ed essi la rappresentano  in quanto custodiscono e applicano la legge divina. San Tommaso afferma che è meglio affrontare l’immediata scomunica della Chiesa, ed esulare in terre lontane ‒ dove il braccio secolare non arriva ‒ piuttosto che obbedire ad un ordine ingiusto: «ille debet potius excommunicatione, sustinere (…) vel in alias regiones remotas fugere» (Summa Theologiae, Suppl., q. 45, a. 4, ob. 3).
L’obbedienza non è solo un precetto formale che ci spinge a sottometterci alle autorità umane: è prima di tutto una virtù che incammina verso la perfezione. Abbraccia in maniera perfetta l’obbedienza non chi ubbidisce per interesse, timore servile, o affezione umana, ma chi sceglie la vera obbedienza, che è l’unione della volontà umana con la Volontà divina. Per amore di Dio dobbiamo essere pronti a quegli atti di suprema obbedienza alla sua legge e alla sua Volontà che ci sciolgono dai legami di una falsa obbedienza, che rischia di farci perdere la fede. Purtroppo oggi vige un malinteso senso dell’obbedienza, confinante talvolta con il servilismo, in cui il timore del’autorità umana prevale sull’affermazione della verità divina.
La resistenza agli ordini illegittimi è talvolta un dovere, verso Dio e verso il nostro prossimo, che ha bisogno di gesti di esemplare densità metafisica e morale. I Francescani dell’Immacolata hanno ricevuto ed accolto da Benedetto XVI il bene straordinario della Messa tradizionale, impropriamente detta “tridentina”, che oggi migliaia di sacerdoti celebrano legittimamente un tutto il modo. Non c’è modo migliore di esprimere la loro riconoscenza a Benedetto XVI per il bene ricevuto e di manifestare allo stesso tempo il proprio sentimento di protesta verso un’ingiustizia subita, che di continuare a celebrare in tranquilla coscienza il Santo Sacrificio della Messa secondo il Rito romano antico. Nessuna legge contraria li obbliga in coscienza. Forse pochi lo faranno, ma il cedimento per evitare mali maggiori, non servirà ad allontanare la tempesta che infuria sul loro istituto e sulla Chiesa. 
(Roberto de Mattei)

Liturgia Romana per l'11 e il 15 d'agosto 2013



11 agosto  - XII Domenica dopo Pentecoste - Dominica duodecima post Pentecosten
II classe - Paramenti verdi - Aspersione: Aspérges me - Messa: Deus in adiutórium meum inténde - Epistola: II Corinti, 3, 4-9 -Graduale - Allelúia - Vangelo: Luca, 10, 23-37 - Prefazio della SS. Trinità
Introito: Deus in adiutorium meum intende (video)

15 agosto Assunzione della Beata Vergine Maria - In Assumptióne Beátae Maríae Vírginis                                       
I classe - Paramenti bianchi - Messa: Signum magnum - Epistola: Giuditta, 13, 22-25; 15, 10 - Graduale - Allelúia - Vangelo: Luca, 1, 41-50 - Prefazio della B. Vergine Maria: Et te in Assumptióne
Introito: Signum magnum (video)


«UN PORTENTO GRANDE APARECIÓ EN EL CIELO: UNA MUJER ESTABA CUBIERTA CON EL SOL Y LA LUNA A SUS PIES Y EN SU CABEZA TENÍA UNA CORONA DE DOCE ESTRELLAS»


SOBRE LAS DOCE PRERROGATIVAS DE LA BIENAVENTURADA VIRGEN MARÍA, SEGÚN LAS PALABRAS DEL APOCALIPSIS: «UN PORTENTO GRANDE APARECIÓ EN EL CIELO: UNA MUJER ESTABA CUBIERTA CON EL SOL Y LA LUNA A SUS PIES Y EN SU CABEZA TENÍA UNA CORONA DE DOCE ESTRELLAS»

1. Muchísimo daño, amadísimos, nos causaron un varón y una mujer; pero, gracias a Dios, igualmente por un varón y una mujer se restaura todo. Y no sin grande aumento de gracias. Porque no fué el don como había sido el delito, sino que excede a la estimación del daño la grandeza del beneficio. Así, el prudentísimo y clementísinio Artífice no quebrantó lo que estaba hendido, sino que lo rehizo más útilmente por todos modos, es a saber, formando un nuevo Adán del viejo y transfundiendo a Eva en María. Y, ciertamente, podía bastar Cristo, pues aun ahora toda nuestra suficiencia es de El, pero no era bueno para nosotros que estuviese el hombre solo. Mucho más conveniente era que asistiese a nuestra reparación uno y otro sexo, no habiendo faltado para nuestra corrupción ni el uno ni el otro. 

Fiel y poderoso mediador de Dios y de los hombres es el hombre Cristo Jesús, pero respetan en él los hombres una divina majestad. Parece estar la humanidad absorbida en la divinidad, no porque se haya mudado la substancia, sino porque sus afectos están divinizados. No se canta de El sola la misericordia, sino que también se le canta igualmente la justicia, porque aunque aprendió, por lo que padeció, la compasión, y vino a ser misericordioso, con todo eso tiene la potestad de juez al mismo tiempo. 
En fin, nuestro Dios es un fuego que consume. ¿Qué mucho tema el pecador llegarse a El, no sea que, al modo que se derrite la cera a la presencia del fuego, así perezca él a la presencia de Dios?


2. Así, pues, ya no parecerá estar de más la mujer bendita entre todas las mujeres, pues se ve claramente el papel que desempeña en la obra de nuestra reconciliación, porque necesitamos un mediador cerca de este Mediador y nadie puede desempeñar tan provechosamente este oficio como María. ¡Mediadora demasiado cruel fué Eva, por quien la serpiente antigua infundió en el varón mismo el pestífero veneno! ¡Pero fiel es Maria, que propinó el antídoto de la salud a los varones y a las mujeres! 

Aquélla fué instrumento de la seducción, ésta de la propiciación; aquélla sugirió la prevaricación, ésta introdujo la redención. ¿Qué recela llegar a María la fragilidad humana? Nada hay en ella austero, nada terrible; todo es suave, ofreciendo a todos leche y lana. Revuelve con cuidado toda la serie de la evangélica historia, y si acaso algo de dureza o de reprensión desabrida, si aun la señal de alguna indignación, aunque leve, se encuentre en María, tenla en adelante por sospechosa y recela el llegarte a ella. 

Pero si más bien (como es así en la verdad) encuentras las cosas que pertenecen a ella llenas de piedad y de misericordia, llenas de mansedumbre y de gracia, da las gracias a aquel Señor que con una benignísima misericordia proveyó para ti tal mediadora que nada puede haber en ella que infunda temor. 

Ella se hizo toda para todos; a los sabios y a los ignorantes, con una copiosísima caridad, se hizo deudora. A todos abre el seno de la misericordia, para que todos reciban de su plenitud: redención el cautivo, curación el enfermo, consuelo el afligido, el pecador perdón, el justo gracia, el ángel alegría; en fin, toda la Trinídad gloria, y la misma persona del Hijo recibe de ella la substancia de la carne humana, a fin de que no haya quien se esconda de su calor.


3. ¿No juzgas, pues, que esta misma es aquella mujer vestida del sol? Porque, aunque la misma serie de la visión profética demuestre que se debe entender de la presente Iglesia, esto mismo seguramente parece que se puede atribuir sin inconvenente a María. Sin duda ella es la que se vistió como de otro sol. Porque, así como aquél nace indiferentemente sobre los buenos y los malos, así también esta Señora no examina los méritos antecedentes, sino que se presenta exorable para todos, para todos clementísima, y se apiada de las necesidades de todos con un amplísimo afecto. 


Todo defecto está debajo de ella y supera todo lo que hay en nosotros la fragilidad y corrupción, con una sublimidad excelentísima en que excede y sobrepasa las demás criaturas, de modo que con razón se dice que la luna está debajo de sus pies. De otra suerte, no parecería que decíamos una cosa muy grande si dijéramos que esta luna estaba debajo de los pies de quien es ¡lícito dudar que fué ensalzada sobre todos los coros de los ángeles, sobre los querubines también y los serafines. Suele designarse en la luna no sólo el defecto de la corrupción, sino la necedad del entendimiento y algunas veces la Iglesia del tiempo presente; aquello, ciertamente, por su mutabilidad , la Iglesia por el esplendor que recibe de otra parte. 

Mas una y otra luna (por decirlo así) congruentísimamente está debajo de los pies de María, pero de diferente modo, puesto que el necio se muda como la luna y el sabio permanece como el sol. En el sol, el calor y el esplendor son estables, mientras que en la luna hay solamente el esplendor, y aun éste es mudable e incierto, pues nunca permanece en el mismo estado. Con razón, pues, se nos representa a María vestida del sol, por cuanto penetró el abismo profundísimo de la divina sabiduría más allá de lo que se pueda creer, de suerte que, en cuanto lo permite la condición de simple criatura, sin llegar a la unión personal, parece estar sumergida totalmente en aquella inaccesible luz, en aquel fuego que purificó los labios del profeta Isaías, y en el cual se abrasan los serafines. 

Así que de muy diferente modo mereció María no sólo ser rozada ligeramerte por el sol divino, sino más bien ser cubierta con él por todas partes, ser bañada alrededor y COMO encerrada en el mismo fuego. Candidísimo es, a la verdad, pero y también calidísimo el vestido de esta mujer, de quien todas las cosas se ven tan excelentemente iluminadas, que no es lícito sospechar en ella nada, no digo tenebroso, pero ni oscuro en algún modo siquiera o menos lúcido, ni tampoco algo que sea tibio o no lleno de fervor.


4. Igualmente, toda necedad está muy debajo de sus pies, para que por todos modos no se cuente María en el número de las mujeres necias ni en el coro de las vírgenes fatuas. Antes bien, aquel único necio y príncipe de toda la necedad que, mudado verdaderamente como la luna, perdió la sabiduría en su hermosura, conculcado y quebrantado bajo los pies de María, padece una miserable esclavitud. 

Sin duda, ella es aquella mujer prometida otro tiempo por Dios para quebrantar la cabeza de la serpiente antigua con el pie de la virtud, a cuyo calcaño puso asechanzas en muchos ardides de su astucia, pero en vano, puesto que ella sola quebrantó toda la herética perversidad. 

Uno decía que no había concebido a Cristo de la substancia de su carne; otro silbaba que no había dado a luz al niño, sino que le había hallado; otro blasfemaba que, a lo menos, después del parto, había sido conocida de varón; otro, no sufriendo que la llamasen Madre de Dios, reprendía impiísimamente aquel nombre grande, theotocos  que significa la que díó a luz a Dios. Pero fueron quebrantados los que ponían asechanzas, fueron conculcados los engañadores, fueron confutados los usurpadores y la llaman bienaventurada todas las generaciones. 

Finalmente, luego que dió a luz, puso asechanzas el dragón por medio de Herodes, para apoderarse del Hijo que nacía y devorarle, porque había enemistades entre la generación de la mujer y la del dragón.



5. Mas ya, si parece que más bien se debe entender la Iglesia en el nombre de luna, pois cuanto no resplandece de suyo, sino que aquel Señor que dice: Sin mí nada podéis hacer, tendremos entonces evidentemente expresada aquí aquella mediadora de quien poco ha os he hablado. Apareció una mujer, dice San Juan, vestida del sol, y la luna debajo de sus pies. 

Abracemos las plantas de María, hermanos míos, y postrémonos con devotísimas súplicas a aquellos pies bienaventurados. Retengámosla y no la dejemos partir hasta que nos bendiga, porque es poderosa. 



Ciertamente, el vellocino colocado entre el rocío y la era, y la mujer entre el sol y la luna, nos muestran a María, colocada entre Cristo y la Iglesia. Pero acaso no os admira tanto el vellocino saturado de rocío como la mujer vestida del sol, porque si bien es grande la conexión entre la mujer y el sol con que está vestida, todavía resulta más sorprendente la adherencia que hay entre ambos. Porque ¿cómo en medio de aquel ardor tan vehemente pudo subsistir una naturaleza tan frágil? 

Justamente te admiras, Moisés santo, y deseas ver más de cerca esa estupenda maravilla; mas para conseguirlo debes quitarte el calzado y despojarte enteramente de toda clase de pensamientos carnales. Iré a ver, dice, esta gran maravilla . Gran maravilla, ciertamente, una zarza ardiendo sin quemarse, gran portento una mujer que queda ilesa estando cubierta con el sol. No es de la naturaleza de la zarza el que esté cubierta por todas partes de llamas y permanezca con todo eso sin quemarse; no es poder de mujer el sostener un sol que la cubre. No es de virtud humana, pero ni de la angélica seguramente. Es necesaria otra más sublime. El Espíritu Santo, dice, sobrevendrá en ti. Y como si respondiese a ella: Dios es espíritu y nuestro Dios es un fuego que consume. La virtud, dice, no la mía, no la tuya, sino la del Altísimo, te hará sombra. No es maravilla, pues, que debajo de tal sombra sostenga también una mujer vestido tal.


6. Una mujer, dice, cubierta con el sol. Sin duda cubierta de luz como de un vestido. No lo percibe acaso el carnal: sin duda es cosa espiritual, necedad le parece. No parecía así al Apóstol, quien decía: Vestíos del Señor Jesucristo.¡Cuán familiar de El fuiste hecha, Señora! ¡Cuán próxima, más bien, cuán íntima mereciste ser hecha! ¡ Cuánta gracia hallaste en Dios 

!En ti está y tú en El; a El le vistes y eres vestida por El. Le vistes con la substancia de la carne y El te viste con la gloria de la majestad suya. Vistes al sol de una nube y eres vestida tú misma de un sol. Porque una cosa nueva hizo Dios sobre la tierra, y fué que una mujer rodease a un varón, que no es otro que Cristo, de quien se dice: He ahí un varón; Oriente es su nombre; una cosa nueva hizo también en el cielo, y fué que apareciese una mujer cubierta con el sol. 

Finalmente, ella le coronó y mereció también ser coronada por El. Salid, hijas de Sión, y ved al rey Salomón en la diadema con que le coronó su Madre. Pero esto para otro tiempo. Entre tanto, entrad, más bien, y ved a la reina en la diadema con que la coronó su Hijo.



7. En su cabeza, dice, tenía una corona de doce estrellas. Digna, sin duda, de ser coronada con estrellas aquella cuya cabeza, brillando mucho más lucidamente que ellas, más bien las adornará que será por ellas adornada. ¿Qué mucho que coronen los astros a quien viste el sol? Como en los días de primavera, dice, la rodeaban las flores de los rosales y las azucenas de los valles. Sin duda la mano izquierda del Esposo está puesta bajo de su cabeza y ya su diestra la abraza. ¿Quién apreciará estas piedras? ¿Quién dará nombre a estas estrellas con que está fabricada la diadema real de María? Sobre la capacidad del hombre es dar idea de esta corona y explicar su composición. 

Con todo eso, nosotros, según nuestra cortedad, absteniéndonos del peligroso examen de los secretos, podremos acaso sin inconveniente entender en estas doce estrellas doce prerrogativas de gracias con que María singularmente está adornada. 

Porque se encuentran en María 
prerrogativas del cielo, 
prerrogativas del cuerpo y 
prerrogativas del corazón; y si este ternario se multiplica por cuatro, tenernos quizá las doce estrellas con que la real diadema de María resplandece sobre todos. 

Para mí brilla un singular resplandor, primero, en la generación de María; segundo, en la salutación del ángel; tercero, en la venida del Espíritu Santo sobre ella; cuarto, en la indecible concepción del Hijo de Dios. 

Así, en estas mismas cosas también resplandece un soberano honor, por haber sido ella la primiceria de la virginidad , por haber sido fecunda sin corrupción, por haber estado encinta sin opresión, por haber dado a luz sin dolor. 

No menos también con un especial resplandor brillan en María la mansedumbre del pudor, la devoción de la humildad, de magnanimidad de la fe, el martirio del corazón. Cuidado vuestro será mirar con mayor diligencia cada una de estas cosas. Nosotros habremos satisfecho, al parecer, si podemos indicarlas brevemente.


8. ¿Qué es, pues, lo que brilla, comparable con las estrellas, en la generación de María? Sin duda el ser nacida de reyes, el ser de sangre de Abraharn., el ser de la generosa prosapia de David. Si esto parece poco, añade que se sabe fué concedida por el cielo a aquella generación por el privilegio singular de santidad, que mucho antes fué prometida por Dios a estos mismos Padres, que fué prefigurada con misteriosos prodigios, que fué prenunciada con oráculos proféticos. 

Porque a esta misma señalaba anticipadamente la vara sacerdotal cuando floreció sin raíz, a ésta el vellocino de Gedeón cuándo en medio de la era seca se humedeció, a ésta la puerta oriental en la visión de Ezequiel, la cual para ninguno estuvo patente jamás. 

Esta era, en fin, la que Isaías, más claramente que todos, ya la prometía como vara que había de nacer de la raíz de Jesé, ya, más manifíestamente, como virgen que había de dar a luz. Con razón se escribe que este prodigio grande había aparecido en el cielo, pues se sabe haber sido prometido tanto antes por el cielo. El Señor dice: El mismo os dará un prodigio. Ved que concebirá una virgen. Grande prodigio dió, a la verdad, porque también es grande el que le dió. ¿En qué vista no reverbera con la mayor vehemencia el brillo resplandeciente de esta prerrogativa? Ya, en haber sido saludada por el ángel tan reverente y obsequiosamente, que podía parecer que la miraba ya ensalzada con el solio real sobre todos los órdenes de los escuadrones celestiales y que casi iba a adorar a una mujer el que solía hasta entonces ser adorado gustosamente por los hombres, se nos recomienda el excelentísimo mérito de nuestra Virgen y su gracia singular.


9. No menos resplandece aquel nuevo modo de concepción, por el cual, no en la iniquidad, como las demás mujeres, sino sobreviniendo el Espíritu Santo, sola María concibió y de sola la santificación. Pero el haber engendrado ella al verdadero Dios y verdadero Hijo de Dios, para que uno mismo fuese Hijo de Dios y de los hombres y uno absolutamente, Dios y hombre, naciese de María, abismo es de luz; ni diré fácilmente que aun la vista del ángel no se ofusque a la vehemencia de este resplandor. En lo demás, evidentemente, se ilustra la virginidad por la novedad del mismo propósito de la virginidad , puesto que, elevándose en la libertad de espíritu sobre los decretos de la ley de Moisés, ofreció a Dios con voto la inmaculada santidad de cuerpo y de espíritu juntamente. Prueba la inviolable firmeza de su propósito el haber respondido tan firmemente al ángel que la prometía un hijo: ¿Cómo se hará esto, porque yo no conozco varón? Acaso por eso se turbó en sus palabras y pensaba qué salutación sería ésta, porque había oído que la llamaban bendita entre las mujeres la que siempre deseaba ser bendita entre las vírgenes. Y desde aquel punto, ciertamente, pensaba qué salutación sería ésta, porque ya parecía ser sospechosa. Mas luego que en la promesa de un hijo aparecía el peligro manifiesto de la virginidad, ya no pudo disimular más ni dejar de decir: ¿Cómo se hará esto, porque yo no conozco varón? Por tanto, con razón mereció aquella bendición y no perdió ésta, para que así sea mucha más gloriosa la virginidad por la fecundidad y la fecundidad por la virginidad y parezcan ilustrarse mutuamente estos dos astros con sus rayos. 

Pues el ser virgen cosa grande es, pero ser virgen madre, por todos modos es mucho más. Con razón también sola ella no sintió aquel molestísimo tedio con que todas las mujeres embarazadas son afligidas, pues ella sola concibió sin libidinoso deleite. Por lo cual, en el mismo principio de la concepción, cuando principalmente son afligidas miserablemente las demás mujeres, María con toda presteza sube a las montañas para asistir a Isabel. Subió también a Belén, estando ya cercano el parto, llevando aquel preciosísimo depósito, llevando aquel peso dulce, llevando a quien la llevaba. Así también, en el mismo parto, de cuánto esplendor es el haber dado a luz con un gozo nuevo la nueva prole, siendo sola ella entre las mujeres ajena de la común maldición y del dolor de las que dan a luz. Si el precio de las cosas se ha de juzgar por lo raro de ellas, nada se puede hallar más raro que éstas. Puesto que en todas ellas ni se vió tener primera semejante ni segunda. De todo esto, si fielmente lo miramos, sin duda concebiremos admiración; pero y veneración también, devoción y consolación.



10. Mas lo que todavía resta considerar pide imitación. No es para nosotros el ser antes del nacimiento prometidos prodigiosamente de tantos y tan varios modos ni el ser prenunciados desde el cielo, ni tampoco el ser honrados por el arcángel Gabriel con los obsequios de tan nueva salutación. Mucho menos nos comunican las otras dos cosas a nosotros; ciertamente su secreto es para sí. Porque sola ella es de quien se dice: Lo que en ella ha nacido es del Espíritu Santo. Sola ella es a quien se dice: Lo santo que nacerá de ti se llamará Hijo de Dios . 

Sean ofrecidas al Rey las vírgenes, pero después de ella, porque ella sola reserva para sí la primacía. Mucho más, ella sola concibió al hijo sin corrupción, le llevó sin opresión, le dió a luz sin dolor. Así, nada de esto se exige de nosotros, pero, ciertamente, se exige algo. 
Porque por ventura, si también nos falta a nosotros la mansedumbre del pudor, la humildad del corazón, la magnanimidad de la fe, la compasión del ánimo, ¿excusará nuestra negligencia la singularidad de estos dones? 
Agraciada piedra en la diadema, estrella resplandeciente en la cabeza es el rubor en el semblante del hombre vergonzoso. 
¿Piensa acaso alguno que careció de esta gracia la que fué llena de gracias? Vergonzosa fué María. Del Evangelio lo probamos. Porque ¿en dónde se ve que fuese alguna vez locuaz, en dónde se ve que fuese presuntuosa? Solicitando hablar al hijo se estaba afuera, ni con la autoridad que tenía de madre interrumpió el sermón o se entró por la habitación en que el hijo estaba hablando. 

En toda la serie, finalmente, de los cuatro Evangelios (si bien me acuerdo) no se oye hablar a María sino cuatro veces. La primera al ángel, pero cuando ya una y dos veces la había él hablado; la segunda a Isabel, cuando la voz de su salutación hizo saltar de gozo a Juan en el vientre; y, alabando ,entonces Isabel a María, cuidó ella más bien de alabar al Señor; la tercera al Hijo, cuando era ya de doce años, porque ella misma y su padre le habían buscado llenos de dolor; la cuarta, en las bodas, al Hijo y a los ministros. 

Y estas palabras, sin duda, fueron índice certísimo de su congénita mansedumbre y vergüenza virginal. Puesto que, reputando suyo el empacho de otros, no pudo sufrir, no pudo disimular que les faltase vino. A la verdad, luego que fué [aparentemente] increpada por el Hijo, como mansa y humilde de corazón, no respondió, mas ni con todo eso desesperó, avisando a los ministros que hiciesen lo que El les dijese.



11. Y después de haber nacido Jesús en la cueva de Belén, ¿acaso no leemos que vinieron los pastores y encontraron la primera de todos a María? Hallaron, dice el evangelista, a María y a José, y al infante puesto en el pesebre. 

También los Magos, si hacemos memoria, no, sin María su Madre encontraron al Niño, y cuando ella introdujo en el templo del Señor al Señor del templo, muchas cosas ciertamente oyó a Simeón, así relativas a Jesús como a sí misma, pero, como siempre, mostróse tarda en hablar y solícita en escuchar. María conservaba todas estas palabras, ponderándolas en su corazón; y en todas estas circunstancias no profieren sus labios una sola palabra acerca del sublime misterio de la encarnación del Señor. 

¡Ay de nosotros, que parece tenemos el espíritu en las narices! ¡Ay de nosotros, que echamos afuera todo nuestro espíritu, y que, según aquello del cómico , llenos de hendiduras nos derramamos por todas partes! ¡Cuántas veces oyó María a su Hijo, no sólo hablando a las turbas en parábolas, sino descubriendo aparte a sus discípulos el misterio del reino de Dios! 

¡Vióle haciendo prodigios, vióle pendiente de la cruz, vióle expirando, vióle cuando resucitó, vióle, en fin, ascendiendo a los cielos! Y en todas estas circunstancias, ¿cuántas veces se menciona haber sido oída la voz de esta pudorosísima Virgen, cuántas el arrullo de esta castísima y mansísima tórtola? 

Ultimamente leemos en los Actos de los Apóstoles que los discípulos, volviendo del monte Olivete, perseveraban unánimemente en la oración. ¿Quiénes? Hallándose presente allí María, parece obvio que debía ser nombrada la primera, puesto que era superior a todos, así por la prerrogativa de su divina maternidad como por el privilegio de su santidad. Pedro y Andrés, dice, Santiago y Juan, y los demás que se siguen. Todos los cuales perseveraban juntos en oración con las mujeres, y con María, la madre de Jesús. 
Pues ¿qué?, ¿se portaba acaso María como la última de las mujeres, para que se la pusiese en el postrer lugar? Cuando los discípulos, sobre los cuales aún no había bajado el Espíritu Santo, porque Jesús no había sido aún glorificado, suscitaron entre sí la contienda acerca de la primacía en el reino de Cristo, obraron guiados por miras humanas; todo al revés lo hizo María, pues siendo la mayor de todos y en todo, se humilló en todo y más que todos. Con razón, pues, fué constituída la primera de todos, la que siendo en realidad la más excelsa escogía para sí el último lugar. 

Con razón fué hecha Señora de todos la que se portaba como sierva de todos. Con razón, en fin, fué ensalzada sobre todos los coros de los ángeles la que con inefable mansedumbre se abatía a sí misma debajo de las viudas y penitentes, y aun debajo de aquella de quien habían sido lanzados siete demonios. 

Ruégoos, hijos amados, que imitéis esta virtud; si amáis a María, si anheláis agradarla, imitad su modestia. NADA DICE TAN BIEN AL HOMBRE, nada es tan conveniente al cristiano y nada es tan decente al monje en especial.


12. Y sin duda que bastante claramente se deja ver en la Virgen, por esta misma mansedumbre, la virtud de la humildad con la mayor brillantez. Verdaderamente, colactáneas son la mansedumbre y la humildad, confederadas más íntimamente en aquel Señor que decía: Aprended de mí, que soy manso y humilde de corazón. Porque así como la altivez es madre de la presunción así la verdadera mansedumbre no procede sino de la verdadera humildad. Mas ni sólo en el silencio de María se recomienda su humildad, sitio que resuena todavía más elocuentemente en sus palabras. Había oído: Lo santo que nacerá de ti se llamará Hijo de Dios, y no responde otra cosa sino que es la sierva de El. 

De aquí llega la visita a Isabel, y al punto se le revela a ésta por el espíritu la singular gloria de la Virgen. Finalmente, admiraba la persona de quien venía, diciendo: ¿De dónde a mí esto, que venga a mi casa la madre de mi Señor? Ensalzaba también la voz de quien la saludaba, añadiendo: Luego que sonó la voz de tu salutación en mis oídos saltó de gozo el infante en mi vientre. Y alababa la fe de quien había creído diciendo: Bienaventurada tú que has creído, porque en tí serán cumplidas las cosas que por el Señor se te han dicho. 
Grandes elogios, sin duda, pero también su devota humildad, no queriendo retener nada para sí, más bien lo atribuye todo a aquel Señor cuyos beneficios se alababan en ella. 
Tú, dice, engrandeces a la Madre del Señor, pero mi alma engrandece al Señor. Dices que a mi voz saltó de gozo el párvulo, pero mí espíritu se llenó de gozo en Dios, que es mi salud, y él mismo también, como amigo del Esposo, se llena de gozo a la voz del Esposo. 
Bienaventurada me llamas porque he creído, pero la causa de mi fe y de mi dicha es haberme mirado la piedad suprema, a fin de que por eso me llamen bienaventurada las naciones todas, porque se dignó Dios mirar a esta su sierva pequeña y humilde.



13. Sin embargo, ¿creéis acaso, hermanos, que Santa Isabel errase en lo que, iluminada por el Espíritu Santo, hablaba? De ningún modo. Bienaventurada ciertamente era aquella a quien miró Dios, y bienaventurada la que creyó, porque su fe fué el fruto sublime que produjo en ella la vista de Dios. Pues por un inefable artificio del Espíritu Santo, a tanta humildad se juntó tanta magnanimidad en lo íntimo del corazón virginal de María, para que (como dijimos antes de la integridad y fecundidad) se volvieran igualmente estas dos estrellas más claras por la mutua correspondencia, porque ni su profunda humildad disminuyó su magnanimidad ni su excelsa magnanimidad amenguó su humildad, sino que, siendo en su estimación tan humilde, era no menos magnánima en la creencia de la promesa, de suerte que aunque no se reputaba a sí misma otra cosa que una pequeña sierva, de ningún modo dudaba que había sido escogida para este incomprensible misterio, para este comercio admirable, para este sacramento inescrutable, y creía firmemente que había de ser luego verdadera madre del que es Dios y hombre. 


Tales son los efectos que en los corazones de los escogidos causa la excelencia de la divina gracia, de forma que ni la humildad los hace pusilánimes ni la niagnanimidad arrogantes, sino que estas dos virtudes más bien se ayudan mutuamente, para que no sólo ninguna altivez se introduzca por la magnanimidad, sino que por ella principalmente crezca la humildad;

con esto se vuelven ellos mucho más timoratos y agradecidos al dador de todas las gracias y al propio tiempo evitan que tenga entrada alguna en su alma la pusilanimidad con ocasión de la humildad, porque cuanto menos suele presumir cada uno de su propia virtud, aún en las cosas mínimas, tanto más en cualesquiera cosas grandes confía en la virtud divina.

14. El martirio de la Virgen ciertamente (que entre las estrellas de su diadema, si os acordáis, nombramos la duodécima) está expresado así en la profecía de Simeón como en la historia de la pasión del Señor. 

Está puesto éste, dice Simeón al párvulo Jesús, como blanco, al que contradecirán, y a tu misima alma (decía a María) traspasará la espada. Verdaderamente, ¡oh madre bienaventurada!, traspasó tu alma la espada. Ni pudiera ella penetrar el cuerpo de tu hijo sin traspasarla. Y, ciertamente, después que expiró aquel tu Jesús (de todos, sin duda, pero especialmente tuyo) no tocó su alma la lanza cruel que abrió (no perdonándole aun muerto, a quien ya no podía dañar) su costado, pero traspasó seguramente la tuya. 

Su alma ya no estaba allí, pero la tuya, ciertamente, no se podía de allí arrancar. Tu alma, pues, traspasó la fuerza del dolor, para que no sin razón te prediquemos más que mártir, habiendo sido en ti mayor el afecto de compasión que pudiera ser el sentido de la pasión corporal.


15. ¿Acaso no fue para ti más que espada aquella palabra que traspasaba en la realidad el alma que llegaba hasta la división del alma y del espíritu: Mujer, mira tu hijo? .i Oh trueque! Te entregan a Juan en lugar de Jesús, el siervo en lugar del Señor, el discípulo en lugar del Maestro, el hijo del Zebedeo en lugar del Hijo de Dios, un hombre puro en lugar del Dios verdadero. ¿Cómo no traspasaría tu afectuosísima alma el oír esto, cuando quiebra nuestros pechos, aunque de piedra, aunque de hierro, sola la memoria de ello? No os admiréis, hermanos, de que sea llamada María mártir en el alma. Admírese el que no se acuerde haber oído a Pablo contar entre los mayores crímenes de los gentiles el haber vivido sin tener afecto.

Lejos estuvo esto de las entrañas de María, lejos esté también de sus humildes siervos. Mas acaso dirá alguno: ¿Por ventura no supo anticipadamente que su Hijo había de morir? Sin duda alguna. ¿Por ventura no esperaba que luego había de resucitar? Con la mayor confianza. Y a pesar de esto, ¿se dolió de verle crucificado? Y en gran manera. Por lo demás, ¿quién eres tú, hermano, o qué sabiduría es la tuya, que admiras más a María compaciente que al Hijo de María paciente? El pudo morir en el cuerpo, ¿y María no pudo morir juntamente en el corazón? Realizó aquello una caridad superior a toda otra caridad; también hizo esto una caridad que después de aquélla no tuvo par ni semejante. 

Y ahora, ¡oh Madre de misericordia!, postrada humildemente a tus pies, como la luna, te ruega la Iglesia con devotísimas súplicas que, pues estás constituída mediadora entre ella y el Sol de justicia, por aquel sincerísimo afecto de tu alma le alcances la gracia de que en tu luz llegue a ver la luz de ese resplandeciente Sol, que te amó verdaderamente más que a todas las demás criaturas y te adornó con las más preciosas galas de la gloria, poniendo en tu cabeza la corona de hermosura. 


Llena estás de gracia, llena del celestial rocío, sustentada por el amado y rebosando en delicias. Alimenta hoy, Señora, a tus pobres; los mismos cachorrillos también coman de las migajas que caen de la mesa de su Señor; no sólo al criado de Abrahám, sino también a sus camellos dales de beber de tu copiosa cántara de agua, porque tú eres verdaderamente aquella doncella anticipadamente elegida y preparada para desposarse con el Hijo del Altísimo, el cual es sobre todas cosas Dios bendito por los siglos de los siglos. Amén.

Cor Mariae Immaculatum
intercede pro nobis.