venerdì 24 gennaio 2014

Comunione quotidiana e non via al “sacrilegio quotidiano”


Comunione quotidiana e 

non via al “sacrilegio quotidiano”


ostensorio
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Comunione quotidiana
e non via al “sacrilegio quotidiano”

Come il modernismo si oppone diametralmente alla enciclica Pascendi (8 settembre 1907) di San Pio X, così la Comunione quotidiana quale oggi è per lo più praticata e fatta praticare si oppone e stravolge il significato del decreto Sacra Tridentina Synodus del 20 dicembre 1905 di papa Sarto.

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Un triste fenomeno

Già nel 1971 padre Tito Sante Centi (†2011) nel Commento a La Somma Teologica (III, qq. 73-83, L’Eucarestia) di San Tommaso d’Aquino, a cura dei Domenicani italiani, (vol. XXVIII, Firenze, Salani, 1971, pp. 24-31) scriveva: «molti sono gli argomenti particolari che si possono oggi considerare di attualità a proposito dell’Eucarestia, dati gli sviluppi della pratica sacramentaria in seguito al Concilio Vaticano II. Ma ci sembra che nessuno meriti maggiore attenzione della frequenza con la quale oggi essa si riceve. Non che sia deprecabile di per sé un fenomeno di massa nella pratica sacramentaria quotidiana: quello che c’è di deprecabile e d’inquietante deriva dal modo in cui codesto fenomeno si produce. […] A prescindere da certi eccessi [Comunione sacrilega in stato di peccato grave, ndr], sarà pur sempre doveroso riesaminare un problema che oggi lascia perplessi di fronte al decadimento morale di tanti cristiani praticanti. Tante comunioni perché non costituiscono un freno all’ immoralità dilagante? Questa situazione non è una squalifica per il Decreto Sacra Tridentina Synodus, emanato il 20 dicembre 1905, sotto il pontificato di S. Pio X? No! Non vogliamo scandalizzare nessuno tornando su un argomento ormai ben definito dalla Suprema Autorità. Noi accettiamo in pieno le disposizioni da questa emanate [1905, ndr]; ma, essendo costretti a toccar con mano una triste condizione di cose [1971, ndr], vogliamo ricercarne la causa. Così vedremo che la responsabilità di certi abusi  non ricade affatto sul Decreto di S. Pio X, ma su coloro che non lo applicano integralmente. Ci pare si sia peccato di faciloneria. Infatti è troppo sbrigativo il giudizio di quei molti, i quali pensano che dopo la pubblicazione del Decreto ricordato si possa consigliare la Comunione quotidiana in massa e a chiunque, purché sia escluso lo stato di peccato mortale. […]. Il Decreto Sacra Tridentina Synodus non vuol portare delle novità nella Chiesa […]. Si fissano due criteri chiari e inequivocabili: lo stato di grazia e la retta intenzione. Non risulta invece che il Papa intendesse dispensare da ogni cautela. Dobbiamo purtroppo lamentare che alcuni non abbiano penetrato affatto lo spirito del Documento pontificio. […]. Perciò sarà bene far notare che la partecipazione quotidiana dei primi cristiani alla ‘fractio panis’ era intimamente connessa con una vita di intensa pietà e di grande fervore. Non risulta che San Pio X abbia voluto dispensare da una tale coerenza coloro che intendono accostarsi ogni giorno alla santa Comunione. […]. Il Decreto non intende escludere la necessaria cooperazione con la grazia; poiché, anche senza giungere al sacrilegio, noi abbiamo sempre la triste possibilità di ridurre quasi a nulla l’efficacia della stessa Comunione quotidiana. E il Decreto di San Pio X ce lo lascia intendere chiaramente quando raccomanda la necessaria preparazione e il non meno indispensabile ringraziamento (n. IV). […]. La cautela più importante, consigliata anche per esercizio di umiltà, è senza dubbio la raccomandazione di sottoporre il proprio desiderio di praticare la Comunione quotidiana al giudizio del confessore. Ed ecco in proposito le parole del Decreto: “Perché la Comunione frequente e quotidiana si faccia con maggior prudenza e con maggior merito, occorre il consiglio del confessore (n. V)”. […].


Non sono, quindi, giustificate affatto dal Decreto di San Pio X le Comunioni quotidiane di massa senza che il confessore sia individualmente interpellato. Santa Caterina da Siena se la prende fortemente con “alcuni religiosi che si son presi la consuetudine di andare alla mensa del Signore senza buona disposizione, come si va alla mensa del corpo” (Dial., cap. 25). Naturalmente il santo Pontefice Pio X non intendeva di passar sopra a queste lamentele dei Santi, […]; e così non dovrebbero passarci sopra i confessori e i predicatori nel consigliare  la pratica della Comunione quotidiana. […]. A norma del Decreto di san Pio X occorre accostarsi alla Comunione con le dovute disposizioni e così si finirà col liberarsi gradualmente dalle proprie miserie. Posto il sincero proponimento dell’animo (quello di essere staccati dal peccato veniale di proposito deliberato), “chi si comunica ogni dì, si libererà poco a poco anche dai peccati veniali e dal loro affetto” (n. III). Ora quando siamo costretti a constatare, dopo una serie di Comunioni quotidiane, che i peccati veniali non tendono affatto a scomparire, e che l’anima si è adagiata volontariamente nella sua mediocrità senza impegnarsi nella via della perfezione, bisognerà logicamente concludere che non esistono più per lei le disposizioni richieste per la Comunione frequente […]. Infatti il cristiano che conserva affetto alla colpa veniale di proposito deliberato si prepara a cadere mortalmente (S. Th., I-II, q. 88, a. 3). […]. Ma per l’attaccamento al peccato veniale il fervore non ha luogo e le cattive tendenze rimangono in tutto il loro vigore (S. Th., III, q. 79, a. 6, ad 3). C’è allora da meravigliarsi che un’anima così dissipata cada miseramente in peccato grave, nonostante la Comunione quotidiana? […]. Attenzione alla partecipazione quotidiana all’Eucarestia, divenuta nient’altro che un’ abitudine. Questo esame di coscienza noi lo crediamo doveroso, non solo per trovarci in regola con la dottrina di San Tommaso, ma con lo stesso Decreto del 1905, il quale pone l’abitudine tra i vizi fondamentali della retta intenzione, che è indispensabile per la Comunione frequente fruttuosa».


Questo deplorava nel 1971 il padre Centi. Che cosa scriverebbe oggi che ci si può comunicare de jure anche due volte al dì, in piedi, ricevendo l’Ostia consacrata sulle mani, da ministri straordinari (sia Diaconi uxorati, sia laici uomini o donne), senza velo, dopo una sola ora di digiuno eucaristico? oggi che la Comunione si riceve, de facto, gravemente malvestiti, senza confessarsi, senza digiuno eucaristico neppure di un’ora soltanto, senza alcuna preparazione o ringraziamento personale data la natura eminentemente o esclusivamente comunitaria del Novus Ordo Missae? Questa è la strada che porta al “sacrilegio quotidiano” e non alla santificazione progressiva, giorno dopo giorno.



Il Decreto di San Pio X e la dottrina costante della Chiesa

Nel Decreto Sacra Tridentina Synodus del 20 dicembre 1905 (DS 3375-3383) la Sacra Congregazione del Concilio su ordine di San Pio X insegna che è cosa utile comunicare quotidianamente, non per consuetudine o abitudine, per orgoglio, vanità o golosità spirituale, ma per soddisfare al desiderio di Gesù, per essere sempre più uniti a Lui e per guarire dai nostri difetti.


Il Giansenismo e l’ illanguidimento del fervore dei cristiani hanno reso difficile tale pratica. Altri, i Modernisti, non meno erroneamente dei Giansenisti, hanno sostenuto (e sostengono anche oggi) che la Comunione quotidiana è obbligatoria. La Chiesa ha insegnato costantemente che tutti possono (e non che debbono) essere ammessi alla Comunione quotidiana secondo l’intensità del loro fervore e il consiglio del confessore affinché essa sia fruttuosa. Le condizioni per accostarsi con frequenza alla Comunione sono: l’obbligo  dello stato di grazia sotto pena di sacrilegio e il consiglio di essere distaccati dal peccato veniale. Perciò la Comunione deve essere preceduta da una preparazione diligente e seguìta da un ringraziamento conveniente. È necessario il parere del confessore, il quale, tuttavia, non  può impedire la Comunione frequente a chi è in stato di grazia ed è animato da retta intenzione, ossia dall’ intensità del fervore spirituale.

Come si vede, siamo agli antipodi dei due errori opposti: 1°) l’errore per difetto, il lassismo neomodernista, che consiglia la Comunione quotidiana a tutti, anche se non hanno la retta intenzione o l’intensità crescente della vita spirituale; 2°) l’errore per eccesso, il rigorismo giansenista, che richiede l’Amor puro o disinteressato senza la Speranza del Paradiso ritenuta erroneamente cattiva in sé; errore che è stato condannato da papa Alessandro VIII il 24 agosto 1690 con il Decreto del s. Ufficio sugli Errori dei Giansenisti (DS 2323). Inoltre per i Giansenisti i Sacramenti esigono in chi li riceve una perfezione estrema, assoluta ed in atto, e non il tendere ad una perfezione relativa allo stato della natura umana, come insegna la Chiesa. Il Giansenismo si richiama soprattutto alla violenza della grazia, che invincibilmente forza la “libertà” apparente, ma non più reale, dell’uomo, il cui libero arbitrio è stato distrutto e non solo ferito dal peccato originale ed al quale non resta in sé che la possibilità di peccare se non interviene la grazia efficace  ed irresistibile de jure e de facto, la quale prende il posto della volontà oramai non più libera dell’uomo; da qui il rigorismo nell’ammettere i fedeli anche in stato di grazia e provvisti di buone disposizioni ai Sacramenti. Invece per comunicare occorre necessariamente, secondo la dottrina cattolica, lo stato di grazia onde non commettere un peccato mortale di sacrilegio, ma per comunicare frequentemente e fruttuosamente è bene avere il fervore (cioè essere distaccati dal peccato veniale e dalle imperfezioni di proposito deliberato) ed il placet del confessore.

L’insigne teologo gesuita, cardinal Juan de Lugo (†1660), scrive che occorre insegnare ai fedeli la pratica della Comunione spirituale, la quale è utilissima e “può accadere che l’anima ricavi, per la intensità dei suoi desideri, maggior grazia dalla Comunione spirituale fervente che dalla stessa Comunione sacramentale non fervorosa” (Disputationes scholasticae de Sacramentis in genere, de venerabili Eucharistiae Sacramento et de sacratissimo Missae sacrificio, Lione, 1636).


Nella Comunione riceviamo Gesù, il quale ci assimila sempre più a Sé a seconda delle nostre disposizioni ognor più intense; altrimenti restiamo quel che eravamo. Il fine della Comunione frequente è l’ avanzamento nell’unione con Dio e senza maggior fervore ed intensità di vita spirituale non può sussistere avanzamento. Quindi è conveniente che la Comunione frequente sia sottomessa al giudizio del confessore, il quale conosce le nostre disposizioni e sa se esse ci rendano capaci di ricevere fruttuosamente Gesù, oppure infruttuosamente, anche se non sacrilegamente, qualora manchi la maggiore intensità spirituale, la quale mancanza oppone resistenza ossia pone un ostacolo alla maggiore assimilazione e somiglianza con Gesù. “Vivere sempre più la vita divina […], pentirci ed umiliarci per i nostri peccati veniali, difetti, imperfezioni” sono condizioni necessarie per fare una fruttuosa Comunione frequente (padre C. T. Dragone, Spiegazione del Catechismo di San Pio X, Alba, Paoline, IV ed., 1963, p. 528 e 532). Per farci capire quanto sia necessario essere ben disposti con intensità spirituale sempre crescente padre Dragone fa questo esempio: “un gentiluomo aveva una casa che per lungo tempo era stata adibita a stalla per animali. La casa era bellissima. Il re volle andare a vederla. Il gentiluomo si limitò a farla scopare dalle immondizie [peccato mortale], ma lasciò le pareti maleodoranti [peccati veniali e imperfezioni volontarie]. Il re non gradì tale dimora. Tale è la condotta di chi non si prepara con fervore a far bene la Comunione” (cit., p. 529).



Il ‘Codice di Diritto Canonico’ del 1917 (canone 1262 § 2) rifacendosi alla divina Rivelazione (1 Cor., XI, 5) insegna che “nei Luoghi sacri, nell’assistere alla sacre Funzioni o nell’accostarsi ai Sacramenti, è richiesto il velo ed un vestito non solo non provocante come in ogni altra circostanza anche fuori della chiesa, ma positivamente un vestito modesto in rapporto con la riverenza dovuta a questi luoghi e funzioni” (F. Roberti – P. Palazzini, Dizionario di teologia Morale, Roma, Studium, ed. IV, 1968, II vol., p. 1760, voce “Vestito”).
Comunicare senza velo non è cosa di poca importanza. Infatti è contrario alla Tradizione divina o divino-apostolica cui allude San Paolo: “Mantenete le Tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio che sappiate che Cristo è il Capo di ogni uomo, invece capo della donna è l’uomo, e Capo di Cristo è Dio. Ogni donna che prega […] a capo scoperto disonora il proprio capo, come se fosse rasata. Infatti, se una donna non vuol mettersi il velo, si faccia rasare! Ma, se è vergognoso per una donna farsi tagliare tutti i capelli, si metta il velo!” (1 Cor., XI, 2-6).

Le Tradizioni di cui scrive l’Apostolo sono «un complesso di Verità dogmatiche e morali, o di Prescrizioni liturgiche, o di costumi, affidato come un Deposito e perciò da trasmettersi fedelmente, senza aggiungervi o togliervi alcunché, appunto perché esso deriva dal Signore stesso (1 Cor., XI, 23) o dagli Apostoli (1 Cor., XV, 3). Ora, ciò che capita  a Corinto riguardo al comportamento delle donne nelle assemblee religiose non è per nulla conforme a quanto San Paolo ha “trasmesso”. Difatti quando le donne pregano dovrebbero portare il velo sulla testa per affermare la loro dipendenza dall’uomo (v. 3). […]. Più che per una ragione di modestia […], l’Apostolo vuole che si mantenga quest’uso per affermare l’ordine gerarchico stabilito da Dio stesso nella creazione (vv. 3, 8-9). […]. San Paolo ricorda che la gerarchia nella Chiesa è voluta da Dio stesso. Da Lui infatti dipende Cristo in quanto Verbo incarnato; da Cristo l’uomo; dall’uomo la donna. […]. Si noti come nei versi 4 e 5 la parola “capo” è presa nel duplice senso, materiale di “testa” e morale di “superiore”. […]. Per la donna, infatti, essendo la natura stessa a darle un velo nella folta capigliatura (vv. 14-15), il fatto di non voler portare il velo a scopo religioso verrebbe a significare che intende rinunciare anche a quello naturale, la capigliatura; ed allora, prosegue ironicamente l’Apostolo, tanto vale che si faccia “rasare” la testa» (Settimio Cipriani, Le Lettere di San Paolo. Commento, Assisi, Cittadella, V ed., 1965, pp. 186-187, nota n. 11).




San Tommaso d’Aquino

“Il decreto Sacra Tridentina Synodus – scrive padre Centi – non vuol portare delle novità nella Chiesa”, ma solo ribadire la dottrina costante. Ed è facile riscontrarlo.
Il Dottore Comune della Chiesa insegna – soprattutto ma non solo  nella Somma Teologica (III, qq. 73-83, De Eucharestia) – che la Comunione quotidiana “è il pane quotidiano. Ricevilo ogni giorno, affinché ogni giorno ti giovi. Vivi così da meritare di riceverlo ogni giorno” (come scrive S. Agostino, De Verbis Domini, Sermo 84). Poi l’Angelico commenta: “da parte del Sacramento occorre considerare che Esso è virtù salutare per gli uomini e sotto questo aspetto è utile riceverlo quotidianamente. […]. Invece da parte dell’uomo che lo riceve bisogna considerare che egli  è obbligato a riceverlo con grande devozione e riverenza. […]. Tuttavia, poiché spesso in un gran numero di persone molti ostacoli impediscono la necessaria devozione […], non sarebbe utile a tutti accostarsi ogni giorno a questo Sacramento, ma è utile che ciascuno vi si accosti  tutte le volte che si sente preparato a riceverlo ” (S. Th., III, q. 80, a. 10).


Nella risposta alla 3a obiezione S. Tommaso spiega cos’è la dovuta preparazione per ricevere fruttuosamente l’Eucarestia: “la riverenza verso l’Eucarestia è un timore temperato dall’amore, che si chiama timor filiale o perfetto” (v. S. Th., II-II, q. 67, a. 4, ad 2): l’amore verso Dio porta al desiderio fervente di ricevere la  Comunione e il timore ci mantiene nell’umiltà del rispetto verso di essa. Tuttavia l’amore e la fiducia sono da preferirsi al puro timore” (ad 3um). Inoltre nell’ad 4um l’ Angelico specifica: “nella Chiesa primitiva o apostolica, quando vi era un gran fervore di Fede, i fedeli comunicavano quotidianamente […], in seguito invece, essendo diminuito il fervore, papa San Fabiano (†250) concesse che tutti comunicassero, se non più di frequente, almeno tre volte l’anno: a Pasqua, a Pentecoste e a Natale. Successivamente, per il raffreddamento della Carità in molti, papa Innocenzo III (†1216) stabilì come precetto che i fedeli si comunicassero almeno una volta l’anno, cioè a Pasqua. Tuttavia nel libro ‘De ecclesiasticis Dogmatibus’ consiglia di comunicarsi tutte le domeniche [a coloro che sono ben preparati]”. L’Aquinate specifica e precisa: “nel momento di ricevere la Comunione si richiede la massima devozione perché allora si ottiene l’effetto del Sacramento” (S. Th., III, q. 80, a. 8, ad 6um).



Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange: “tante Comunioni, ma pochi veri comunicanti”
Padre Garrigou-Lagrange (†1964) nel suo ottimo libro di Teologia ascetica e mistica Les trois âges de la vie intérieure, Parigi 1938-1939 (tr. it. Le tre età della vita interiore, Roma-Monopoli, Vivere in, 1984) scrive: «quanto alle condizioni richieste per una buona, e poi una fervorosa Comunione […] indicate nel Decreto del 20 dicembre 1905 col quale S. Pio X esortava i fedeli alla Comunione frequente, occorre ricordare che i Sacramenti, pur operando ex opere operato, producono tuttavia un effetto maggiore in proporzione delle disposizioni più perfette di coloro che li ricevono. Dunque dobbiamo far precedere alla Comunione una buona preparazione e, dopo averla ricevuta, fare un conveniente ringraziamento. […]. Una Comunione molto fervorosa è dunque per sé sola assai più vantaggiosa di molte Comunioni tiepide. […]. Il distacco dal peccato veniale e dalle imperfezioni volontarie o atti meno perfetti di ciò che potrebbero essere è la parte negativa delle disposizioni per ricevere fruttuosamente la Comunione. Quanto alle disposizioni positive alla Comunione frequente […] ricordiamoci che ogni nostra Comunione dovrebbe essere sostanzialmente e qualitativamente più intensa e fervorosa della precedente. […]. Ma oggigiorno, purtroppo, quasi tutti prendono cattive abitudini con la massima disinvoltura senza riguardo nemmeno all’Eucarestia. Se le cose continuano in questo modo, vi saranno tante Comunioni ma pochi veri comunicanti. […]. La casistica tende a prevalere sulla spiritualità e la quantità delle Comunioni sul fervore e sulla qualità di esse» (vol. II, La purificazione dell’anima dei principianti, cap. 15, La santa Comunione, pp. 179-195).




Padre Antonio Royo Marìn

Un terzo famosissimo teologo domenicano spagnolo morto qualche anno fa e specializzato in spiritualità, Royo Marìn, ha scritto un ottimo manuale di Teologia ascetica e mistica: Teologia de la perfecciòn cristiana (Madrid, BAC, 1958), che è stato tradotto in italiano dalle Edizioni Paoline nel 1960 (Teologia della perfezione cristiana, Roma) ed ha avuto sei edizioni sino al 1965 e attualmente una ristampa anastatica. Il padre domenicano scrive in esso: «San Pio X  con il Decreto del 1905 richiede due condizioni per la Comunione frequente: lo stato di grazia e la retta intenzione, ossia che non si faccia la Comunione per abitudine, ma per piacere a Dio. Inoltre è molto conveniente essere libero da peccati veniali, ma non assolutamente necessario. Inoltre si raccomanda la diligente preparazione e il ringraziamento. A nessuno che abbia queste disposizioni si può negare la Comunione. […]. È evidente, tuttavia, che le persone le quali vogliono progredire seriamente nella perfezione cristiana devono procurare d’intensificare queste disposizioni. La loro preparazione remota deve consistere nel condurre una vita degna di chi ha fatto la Comunione e si comunicherà il dì seguente. Occorre insistere principalmente nel sopprimere ogni attaccamento al peccato veniale, soprattutto deliberato, e nel combattere la tiepidezza; questo suppone una perfetta abnegazione di se stessi e la tendenza a praticare quel che è più perfetto. […]. Inoltre occorre avere fame e sete della Comunione, ossia il suo desiderio ardente. Infatti questa è la condizione che riguarda direttamente la fruttuosità e l’efficacia santificatrice della Comunione frequente. La quantità di acqua che si attinge alla fontana dipende sempre dalla capienza del recipiente. Ognuna delle nostre Comunioni dovrebbe essere più fervente delle precedenti, essendo noi disposti a ricevere il Signore nel giorno seguente  con un amore più intenso di quello del giorno precedente. Si legga S. Tommaso In Epist. ad Hebr., I, 25: “l’anima deve avanzare con un moto uniformemente accelerato, simile al movimento di una pietra che cade con maggior velocità (“motus in fine velocior”) a misura che si avvicina al suolo”» (Teologia della perfezione cristiana, cit., pp.542-547).




L’aumento della grazia tramite atti più intensi

I princìpi su esposti dai tre teologi domenicani non sono loro opinioni personali e “singolari”, ma fanno parte della dottrina dell’ aumento della grazia santificante mediante atti sempre più intensi (S. Th., II-II, q. 24, a. 6). Questa dottrina deriva dal puro buon senso, dalla retta ragione e dalla metafisica dell’essere applicati alla spiritualità. Infatti, per fare un esempio, se il termometro che abbiamo in casa segna 25° per giungere a 26° bisogna che l’ambiente e l’aria che lo circondano si surriscaldino di un grado; se invece non si produce alcun aumento di calore nell’ ambiente, il termometro resterà a 25°. Come pure per piantare un chiodo in un muro più profondamente, debbo dare una martellata più forte della precedente. Così la grazia penetra sempre di più nell’anima mediante atti ognora più intensi. Perciò la tiepidezza, il rilassamento, l’ attaccamento al peccato veniale di proposito deliberato o all’imperfezione volontaria (che è un atto di carità buono in sé, ma meno intenso o “remissus” del precedente e di quel che avrebbe dovuto e potuto essere) non favoriscono l’ aumento nell’anima del grado di grazia (S. Th., II-II, q. 24, a. 6; Domingo Bañez, In IIam IIae Sancti Thomae, q. 24, a. 6). Ma “non avanzare nella vita spirituale significa regredire” (S. Agostino, Sermo 169, n. 18). Quindi è necessario porre atti soprannaturalmente buoni sempre più intensi se vogliamo santificarci.
Che la crescita della grazia consista in un maggior radicamento di essa nell’anima risulta dalla natura stessa della grazia santificante, delle Virtù infuse e dei sette Doni dello Spirito Santo: poiché sono “accidenti qualità” soprannaturali, che ineriscono alla sostanza dell’anima, possono crescere solo in intensità e non per aggiunta quantitativa (S. Th., I-II, q. 52, a. 2; II-II, q. 24, a. 5). Per fare un esempio si prenda l’accidente “qualità” naturale caldo o freddo. Ebbene, perché la sostanza acqua diventi più calda o più fredda, bisogna che la temperatura (caldo/freddo) aumenti o diminuisca d’intensità. Se aggiungo ad un litro di acqua a 20° un litro  di acqua a 20° la somma mi darà due litri di acqua, ma sempre a 20°. Invece se abbasso la temperatura del frigorifero di 5° allora l’acqua scenderà a 15°, pur restando un solo litro.




Gli ostacoli ai buoni frutti della Comunione frequente


1) La tiepidezza

La tiepidezza è un vizio spirituale che assale coloro i quali hanno ben iniziato la vita spirituale cristiana, ma poi sono colti dalla rilassatezza. La tiepidezza, infatti, consiste in una specie di rilassamento spirituale, che indebolisce la buona volontà di tendere a Dio sempre più perfettamente come uno scalatore che va in montagna con la buona volontà affettiva ed effettiva di fare un passo dopo l’altro e giungere alla vetta senza fermarsi alle prime difficoltà. Anzi, dopo aver sciolto i muscoli delle gambe ed avere ottenuto una respirazione ed un battito cardiaco regolare sotto lo sforzo della dura salita, egli cercherà di aumentare gradatamente il suo ritmo. Se invece si abbatte, si stanca e si ferma o non avanza sempre più, non giungerà alla vetta poiché è caduto nel rilassamento fisico.
L’abitudine nelle pratiche religiose può portare al rilassamento spirituale, poiché allora esse sono fatte senza fervore e intensità ognor crescente. La Comunione frequente fatta senza maggior intensità porta alla tiepidezza e ad una certa anemia spirituale, che può precedere una probabile leucemia ed è “ancora più pericolosa di un peccato mortale isolato” (A. Tanquerey, cit., p. 779). Come è rivelato anche in San Giovanni: “Siccome non sei né caldo né freddo [ossia tiepido], ti vomiterò dalla mia bocca; sarebbe stato meglio se tu fossi stato freddo [ossia in peccato, ma pentito]” (Apoc., III, 16). La tiepidezza, consistendo in una volontaria mancanza di fervore sempre più intenso, arresta l’avanzamento spirituale. Ma nella vita spirituale “non progredire significa regredire” (S. Agostino, Sermo 169, n. 18). Quindi le anime tiepide, che svolgono le pratiche religiose svogliatamente e per abitudine, è bene che non si accostino alla Comunione quotidiana, la quale sarebbe per loro infruttuosa anche se non sacrilega.

2) Attaccamento al peccato veniale deliberato

La pericolosità del peccato veniale di proposito deliberato consiste nel fatto che esso è un male morale e spirituale non direttamente contro Dio e la Religione, ma è pur sempre una deviazione dal Fine ultimo (S. Th., I-II, q. 72, a. 5), una vera offesa a Dio, una disobbedienza volontaria, anche se in materia leggera, alla sua Legge. Il peccato veniale consiste nel preferire i propri gusti alla Volontà divina; è veniale poiché non perdiamo la vita soprannaturale dell’anima come nel peccato mortale. “Quando i peccati veniali sono frutto non di fragilità, ma di piena avvertenza e di deliberato consenso, rappresentano un grave impedimento all’avanzamento dell’anima verso il Fine ultimo. […]. Il peccato veniale deliberato rappresenta una rinuncia a tendere alla santità” (A. Royo Marìn, cit., pp. 362-368).

3) Attaccamento alle imperfezioni abituali

L’imperfezione non è un atto moralmente cattivo, è un atto buono, ma “remissus” cioè che avrebbe potuto e dovuto essere migliore o più intenso in fervore. Ciò che impedisce la vita cristiana seria è il far pace con le imperfezioni e ancor più l’abitudine di restare nell’imperfezione volontaria, ossia la rinuncia a progredire. Ora “in via Dei non progredi regredi est” (S. Agostino, Sermo 169, n. 18). Quindi l’ attaccamento all’imperfezione abituale è un impedimento alla Comunione frequente fruttuosa.
Secondo San Tommaso l’ imperfezione è l’esatto contrario della disposizione all’avanzamento nella triplice via dei principianti, dei progredienti e dei perfetti (via purgativa, illuminativa e unitiva) che conduce a Dio e consiste nel porre atti buoni sempre più intensi (S. Th., II-II, q. 24, a. 6 e 9).



L’Eucarestia fine di tutti i Sacramenti

I Padri ecclesiastici ci presentano l’Eucarestia come l’ultimo complemento dei Sacramenti e della vita cristiana (ps. Dionigi l’Areopagita, De Ecclesiastica Hierarchia, cap. III, par. 1, PG 3, 324). San Tommaso d’Aquino insegna che tutti i Sacramenti sono ordinati all’Eucarestia o Santissimo Sacramento come gli inizi al loro fine. Infatti il Battesimo e la Cresima danno e fortificano la vita soprannaturale, la Penitenza e l’Estrema Unzione la restituiscono dopo il peccato, l’Ordine Sacro e il Matrimonio la estendono socialmente agli altri (i Sacerdoti ai fedeli e i genitori ai figli), l’Eucarestia la porta alla perfezione e perciò è “consummatio vitae spiritualis” (S. Th., III, q. 73, a. 3).

L’Eucarestia aumenta, se ricevuta con fervore, la grazia abituale, ci assimila sempre più a Cristo, unisce sempre maggiormente le membra del Corpo Mistico tra di loro e porta i fedeli alla vetta della perfezione spirituale. Dopo l’Eucarestia non c’è che la gloria del Cielo o la Visione beatifica. Il Catechismo romano o del Concilio di Trento (n. 228) conferma la dottrina tomistica insegnando: “Eucharistia est omnium Sacramentorum finis”.
Cerchiamo quindi di far sempre meglio la Comunione in modo che Gesù ci “transustanzi” ossia ci renda simile a Lui ognor di più.

Nella Comunione riceviamo la SS. Trinità ed anche l’Umanità del Verbo Incarnato. Dopo la consumazione delle specie eucaristiche (circa 10  minuti dopo aver comunicato) cessa la presenza reale dell’Umanità di Cristo, ma resta realmente nella nostra anima la divina Trinità, tranne che non la cacciamo col peccato mortale. Perciò cerchiamo di convivere con la SS. Trinità che ci conosce e ci ama, come il Padre conosce il Figlio e il Figlio conosce il Padre e da tale mutua conoscenza spira lo Spirito Santo. Così noi dobbiamo cercare di conoscere ed amare sempre più e meglio il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo e di conversare con loro, “come un amico parla con l’amico” (S. Ignazio da Loyola, Esercizi Spirituali). Non siamo mai soli; l’essenziale è pensare al Signore che vive in noi se siamo in grazia di Dio, non smettere di amarlo e di colloquiare con Lui: “La maggior parte dei problemi degli uomini nascono dal fatto che non sanno restar tranquilli nella loro stanza a parlar con Dio” (B. Pascal, Pensieri).

Guardiamoci dall’abitudine di far la Comunione frequentemente senza il fervore richiesto perché renderemmo sterile la vita di Unione profonda con Dio per la quale Egli ci ha creati e redenti. “Assueta vilescunt”: le cose fate abitudinariamente divengono vili ai nostri occhi. La pura abitudine, senza il fervore nella vita, spirituale e nella Comunione frequente, svilisce la ricchezza della grazia sacramentale che l’ Eucarestia di per Sé ci dona al massimo grado, ma sempre a seconda delle nostre disposizioni.

Non dobbiamo far pace con i nostri peccati veniali e imperfezioni, anche se non potremo sradicarli totalmente. La perfezione cristiana non è assoluta – questa appartiene solo a Dio – ma è relativa alle capacità umane dopo il peccato originale, è un tendere con buona volontà effettiva ad essa.

Ricorriamo alla Madonna dopo esserci spogliati del nostro “io”, secondo la Schiavitù mariana insegnata da S. Luigi Maria Grignion de Montfort, perché Ella venga in noi e riceva con le sue purissime disposizioni Gesù eucaristico e cerchiamo di far precedere la Comunione dalla meditazione o orazione mentale, che è l’anima della vita spirituale.

Con la Comunione quotidiana ben fatta potremo riparare ed attirare la Misericordia di N. S. G. C. su di noi e sui nostri fratelli peccatori per aver fatto di Lui, che prima del Concilio era il “Grande Dimenticato”, il “Grande Profanato” del postconcilio.
Paschalis
CUOR DI MARIA, CUOR DI GESU'
IN  TE CONFIDO

giovedì 23 gennaio 2014

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI - L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio. « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5,9).


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA CELEBRAZIONE DELLA 
XLVI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 

1° GENNAIO 2013

BEATI GLI OPERATORI DI PACE

1. Ogni anno nuovo porta con sé l’attesa di un mondo migliore. In tale prospettiva, prego Dio, Padre dell’umanità, di concederci la concordia e la pace, perché possano compiersi per tutti le aspirazioni di una vita felice e prospera.

A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, che ha consentito di rafforzare la missione della Chiesa nel mondo, rincuora constatare che i cristiani, quale Popolo di Dio in comunione con Lui e in cammino tra gli uomini, si impegnano nella storia condividendo gioie e speranze, tristezze ed angosce [1], annunciando la salvezza di Cristo e promuovendo la pace per tutti.

In effetti, i nostri tempi, contrassegnati dalla globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in atto e da minacce di guerra, reclamano un rinnovato e corale impegno nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo.

Allarmano i focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualista espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato. Oltre a svariate forme di terrorismo e di criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della religione, chiamata a favorire la comunione e la riconciliazione tra gli uomini.

E tuttavia, le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata. In altri termini, il desiderio di pace corrisponde ad un principio morale fondamentale, ossia, al dovere-diritto di uno sviluppo integrale, sociale, comunitario, e ciò fa parte del disegno di Dio sull’uomo. L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio.

Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo Messaggio alle parole di Gesù Cristo: « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5,9).



La beatitudine evangelica


2. Le beatitudini, proclamate da Gesù (cfr Mt 5,3-12 e Lc 6,20-23), sono promesse. Nella tradizione biblica, infatti, quello della beatitudine è un genere letterario che porta sempre con sé una buona notizia, ossia un vangelo, che culmina in una promessa. Quindi, le beatitudini non sono solo raccomandazioni morali, la cui osservanza prevede a tempo debito – tempo situato di solito nell’altra vita – una ricompensa, ossia una situazione di futura felicità. La beatitudine consiste, piuttosto, nell’adempimento di una promessa rivolta a tutti coloro che si lasciano guidare dalle esigenze della verità, della giustizia e dell’amore. Coloro che si affidano a Dio e alle sue promesse appaiono spesso agli occhi del mondo ingenui o lontani dalla realtà. Ebbene, Gesù dichiara ad essi che non solo nell’altra vita, ma già in questa scopriranno di essere fi gli di Dio, e che da sempre e per sempre Dio è del tutto solidale con loro. Comprenderanno che non sono soli, perché Egli è dalla parte di coloro che s’impegnano per la verità, la giustizia e l’amore. Gesù, rivelazione dell’amore del Padre, non esita ad offrirsi nel sacrificio di se stesso. Quando si accoglie Gesù Cristo, Uomo-Dio, si vive l’esperienza gioiosa di un dono immenso: la condivisione della vita stessa di Dio, cioè la vita della grazia, pegno di un’esistenza pienamente beata. Gesù Cristo, in particolare, ci dona la pace vera che nasce dall’incontro fiducioso dell’uomo con Dio.

La beatitudine di Gesù dice che la pace è dono messianico e opera umana ad un tempo. In effetti, la pace presuppone un umanesimo aperto alla trascendenza. È frutto del dono reciproco, di un mutuo arricchimento, grazie al dono che scaturisce da Dio e permette di vivere con gli altri e per gli altri. L’etica della pace è etica della comunione e della condivisione. È indispensabile, allora, che le varie culture odierne superino antropologie ed etiche basate su assunti teorico-pratici meramente soggettivistici e pragmatici, in forza dei quali i rapporti della convivenza vengono ispirati a criteri di potere o di profitto, i mezzi diventano fini e viceversa, la cultura e l’educazione sono centrate soltanto sugli strumenti, sulla tecnica e sull’efficienza. Precondizione della pace è lo smantellamento della dittatura del relativismo e dell’assunto di una morale totalmente autonoma, che preclude il riconoscimento dell’imprescindibile legge morale naturale scritta da Dio nella coscienza di ogni uomo. La pace è costruzione della convivenza in termini razionali e morali, poggiando su un fondamento la cui misura non è creata dall’uomo, bensì da Dio. « Il Signore darà potenza al suo popolo, benedirà il suo popolo con la pace », ricorda il Salmo 29 (v. 11).



La pace: dono di Dio e opera dell’uomo


3. La pace concerne l’integrità della persona umana ed implica il coinvolgimento di tutto l’uomo. È pace con Dio, nel vivere secondo la sua volontà. È pace interiore con se stessi, e pace esteriore con il prossimo e con tutto il creato. Comporta principalmente, come scrisse il beato Giovanni XXIIInell’Enciclica Pacem in terris, di cui tra pochi mesi ricorrerà il cinquantesimo anniversario, la costruzione di una convivenza fondata sulla verità, sulla libertà, sull’amore e sulla giustizia [2]. La negazione di ciò che costituisce la vera natura dell’essere umano, nelle sue dimensioni essenziali, nella sua intrinseca capacità di conoscere il vero e il bene e, in ultima analisi, Dio stesso, mette a repentaglio la costruzione della pace. Senza la verità sull’uomo, iscritta dal Creatore nel suo cuore, la libertà e l’amore sviliscono, la giustizia perde il fondamento del suo esercizio.
Per diventare autentici operatori di pace sono fondamentali l’attenzione alla dimensione trascendente e il colloquio costante con Dio, Padre misericordioso, mediante il quale si implora la redenzione conquistataci dal suo Figlio Unigenito. Così l’uomo può vincere quel germe di oscuramento e di negazione della pace che è il peccato in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste.

La realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana. Essa si struttura, come ha insegnato l’Enciclica Pacem in terris, mediante relazioni interpersonali ed istituzioni sorrette ed animate da un « noi » comunitario, implicante un ordine morale, interno ed esterno, ove si riconoscono sinceramente, secondo verità e giustizia, i reciproci diritti e i vicendevoli doveri. La pace è ordine vivificato ed integrato dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, fare partecipi gli altri dei propri beni e rendere sempre più diffusa nel mondo la comunione dei valori spirituali. È ordine realizzato nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di persone, che per la loro stessa natura razionale, assumono la responsabilità del proprio operare [3].

La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile. I nostri occhi devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle apparenze e dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo all’edificazione di un mondo nuovo. Infatti, Dio stesso, mediante l’incarnazione del Figlio e la redenzione da Lui operata, è entrato nella storia facendo sorgere una nuova creazione e una nuova alleanza tra Dio e l’uomo (cfr Ger 31,31-34), dandoci la possibilità di avere « un cuore nuovo » e « uno spirito nuovo » (cfr Ez 36,26).

Proprio per questo, la Chiesa è convinta che vi sia l’urgenza di un nuovo annuncio di Gesù Cristo, primo e principale fattore dello sviluppo integrale dei popoli e anche della pace. Gesù, infatti, è la nostra pace, la nostra giustizia, la nostra riconciliazione (cfr Ef 2,14; 2 Cor 5,18). L’operatore di pace, secondo la beatitudine di Gesù, è colui che ricerca il bene dell’altro, il bene pieno dell’anima e del corpo, oggi e domani.
Da questo insegnamento si può evincere che ogni persona e ogni comunità – religiosa, civile, educativa e culturale –, è chiamata ad operare la pace. La pace è principalmente realizzazione del bene comune delle varie società, primarie ed intermedie, nazionali, internazionali e in quella mondiale. Proprio per questo si può ritenere che le vie di attuazione del bene comune siano anche le vie da percorrere per ottenere la pace.



Operatori di pace sono coloro che amano, difendono e promuovono la vita nella sua integralità

4. Via di realizzazione del bene comune e della pace è anzitutto il rispetto per la vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla sua fine naturale. Veri operatori di pace sono, allora, coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria e trascendente. La vita in pienezza è il vertice della pace. Chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita.

Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria. La fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri? Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente. Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita.

Anche la struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale.

Questi principi non sono verità di fede, né sono solo una derivazione del diritto alla libertà religiosa. Essi sono inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi, perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace.

Perciò, è anche un’importante cooperazione alla pace che gli ordinamenti giuridici e l’amministrazione della giustizia riconoscano il diritto all’uso del principio dell’obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia.

Tra i diritti umani basilari, anche per la vita pacifica dei popoli, vi è quello dei singoli e delle comunità alla libertà religiosa. In questo momento storico, diventa sempre più importante che tale diritto sia promosso non solo dal punto di vista negativo, come libertà da – ad esempio, da obblighi e costrizioni circa la libertà di scegliere la propria religione –, ma anche dal punto di vista positivo, nelle sue varie articolazioni, come libertà di: ad esempio, di testimoniare la propria religione, di annunciare e comunicare il suo insegnamento; di compiere attività educative, di beneficenza e di assistenza che permettono di applicare i precetti religiosi; di esistere e agire come organismi sociali, strutturati secondo i principi dottrinali e i fini istituzionali che sono loro propri. Purtroppo, anche in Paesi di antica tradizione cristiana si stanno moltiplicando gli episodi di intolleranza religiosa, specie nei confronti del cristianesimo e di coloro che semplicemente indossano i segni identitari della propria religione.

L’operatore di pace deve anche tener presente che, presso porzioni crescenti dell’opinione pubblica, le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia insinuano il convincimento che la crescita economica sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali. Ora, va considerato che questi diritti e doveri sono fondamentali per la piena realizzazione di altri, a cominciare da quelli civili e politici.

Tra i diritti e i doveri sociali oggi maggiormente minacciati vi è il diritto al lavoro. Ciò è dovuto al fatto che sempre più il lavoro e il giusto riconoscimento dello statuto giuridico dei lavoratori non vengono adeguatamente valorizzati, perché lo sviluppo economico dipenderebbe soprattutto dalla piena libertà dei mercati. Il lavoro viene considerato così una variabile dipendente dei meccanismi economici e finanziari. A tale proposito, ribadisco che la dignità dell’uomo, nonché le ragioni economiche, sociali e politiche, esigono che si continui « a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti » [4]. In vista della realizzazione di questo ambizioso obiettivo è precondizione una rinnovata considerazione del lavoro, basata su principi etici e valori spirituali, che ne irrobustisca la concezione come bene fondamentale per la persona, la famiglia, la società. A un tale bene corrispondono un dovere e un diritto che esigono coraggiose e nuove politiche del lavoro per tutti.



Costruire il bene della pace mediante un nuovo modello di sviluppo e di economia

5. Da più parti viene riconosciuto che oggi è necessario un nuovo modello di sviluppo, come anche un nuovo sguardo sull’economia. Sia uno sviluppo integrale, solidale e sostenibile, sia il bene comune esigono una corretta scala di beni-valori, che è possibile strutturare avendo Dio come riferimento ultimo. Non è sufficiente avere a disposizione molti mezzi e molte opportunità di scelta, pur apprezzabili. Tanto i molteplici beni funzionali allo sviluppo, quanto le opportunità di scelta devono essere usati secondo la prospettiva di una vita buona, di una condotta retta che riconosca il primato della dimensione spirituale e l’appello alla realizzazione del bene comune. In caso contrario, essi perdono la loro giusta valenza, finendo per assurgere a nuovi idoli.
Per uscire dall’attuale crisi finanziaria ed economica – che ha per effetto una crescita delle disuguaglianze – sono necessarie persone, gruppi, istituzioni che promuovano la vita favorendo la creatività umana per trarre, perfino dalla crisi, un’occasione di discernimento e di un nuovo modello economico. Quello prevalso negli ultimi decenni postulava la ricerca della massimizzazione del profitto e del consumo, in un’ottica individualistica ed egoistica, intesa a valutare le persone solo per la loro capacità di rispondere alle esigenze della competitività. In un’altra prospettiva, invece, il vero e duraturo successo lo si ottiene con il dono di sé, delle proprie capacità intellettuali, della propria intraprendenza, poiché lo sviluppo economico vivibile, cioè autenticamente umano, ha bisogno del principio di gratuità come espressione di fraternità e della logica del dono [5]. Concretamente, nell’attività economica l’operatore di pace si configura come colui che instaura con i collaboratori e i colleghi, con i committenti e gli utenti, rapporti di lealtà e di reciprocità. Egli esercita l’attività economica per il bene comune, vive il suo impegno come qualcosa che va al di là del proprio interesse, a beneficio delle generazioni presenti e future. Si trova così a lavorare non solo per sé, ma anche per dare agli altri un futuro e un lavoro dignitoso.

Nell’ambito economico, sono richieste, specialmente da parte degli Stati, politiche di sviluppo industriale ed agricolo che abbiano cura del progresso sociale e dell’universalizzazione di uno Stato di diritto e democratico. È poi fondamentale ed imprescindibile la strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali; essi vanno stabilizzati e maggiormente coordinati e controllati, in modo da non arrecare danno ai più poveri. La sollecitudine dei molteplici operatori di pace deve inoltre volgersi – con maggior risolutezza rispetto a quanto si è fatto sino ad oggi – a considerare la crisi alimentare, ben più grave di quella finanziaria. Il tema della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari è tornato ad essere centrale nell’agenda politica internazionale, a causa di crisi connesse, tra l’altro, alle oscillazioni repentine dei prezzi delle materie prime agricole, a comportamenti irresponsabili da parte di taluni operatori economici e a un insufficiente controllo da parte dei Governi e della Comunità internazionale. Per fronteggiare tale crisi, gli operatori di pace sono chiamati a operare insieme in spirito di solidarietà, dal livello locale a quello internazionale, con l’obiettivo di mettere gli agricoltori, in particolare nelle piccole realtà rurali, in condizione di poter svolgere la loro attività in modo dignitoso e sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale ed economico.


Educazione per una cultura di pace: il ruolo della famiglia e delle istituzioni

6. Desidero ribadire con forza che i molteplici operatori di pace sono chiamati a coltivare la passione per il bene comune della famiglia e per la giustizia sociale, nonché l’impegno di una valida educazione sociale.
Nessuno può ignorare o sottovalutare il ruolo decisivo della famiglia, cellula base della società dal punto di vista demografico, etico, pedagogico, economico e politico. Essa ha una naturale vocazione a promuovere la vita: accompagna le persone nella loro crescita e le sollecita al mutuo potenziamento mediante la cura vicendevole. In specie, la famiglia cristiana reca in sé il germinale progetto dell’educazione delle persone secondo la misura dell’amore divino. La famiglia è uno dei soggetti sociali indispensabili nella realizzazione di una cultura della pace. Bisogna tutelare il diritto dei genitori e il loro ruolo primario nell’educazione dei figli, in primo luogo nell’ambito morale e religioso. Nella famiglia nascono e crescono gli operatori di pace, i futuri promotori di una cultura della vita e dell’amore [6].

In questo immenso compito di educazione alla pace sono coinvolte in particolare le comunità religiose. La Chiesa si sente partecipe di una così grande responsabilità attraverso la nuova evangelizzazione, che ha come suoi cardini la conversione alla verità e all’amore di Cristo e, di conseguenza, la rinascita spirituale e morale delle persone e delle società. L’incontro con Gesù Cristo plasma gli operatori di pace impegnandoli alla comunione e al superamento dell’ingiustizia.

Una missione speciale nei confronti della pace è ricoperta dalle istituzioni culturali, scolastiche ed universitarie. Da queste è richiesto un notevole contributo non solo alla formazione di nuove generazioni di leader, ma anche al rinnovamento delle istituzioni pubbliche, nazionali e internazionali. Esse possono anche contribuire ad una riflessione scientifica che radichi le attività economiche e finanziarie in un solido fondamento antropologico ed etico. Il mondo attuale, in particolare quello politico, necessita del supporto di un nuovo pensiero, di una nuova sintesi culturale, per superare tecnicismi ed armonizzare le molteplici tendenze politiche in vista del bene comune. Esso, considerato come insieme di relazioni interpersonali ed istituzionali positive, a servizio della crescita integrale degli individui e dei gruppi, è alla base di ogni vera educazione alla pace.

Una pedagogia dell’operatore di pace

7. Emerge, in conclusione, la necessità di proporre e promuovere una pedagogia della pace. Essa richiede una ricca vita interiore, chiari e validi riferimenti morali, atteggiamenti e stili di vita appropriati. Difatti, le opere di pace concorrono a realizzare il bene comune e creano l’interesse per la pace, educando ad essa. Pensieri, parole e gesti di pace creano una mentalità e una cultura della pace, un’atmosfera di rispetto, di onestà e di cordialità. Bisogna, allora, insegnare agli uomini ad amarsi e a educarsi alla pace, e a vivere con benevolenza, più che con semplice tolleranza. Incoraggiamento fondamentale è quello di « dire no alla vendetta, di riconoscere i propri torti, di accettare le scuse senza cercarle, e infine di perdonare » [7], in modo che gli sbagli e le offese possano essere riconosciuti in verità per avanzare insieme verso la riconciliazione. Ciò richiede il diffondersi di una pedagogia del perdono. Il male, infatti, si vince col bene, e la giustizia va ricercataimitando Dio Padre che ama tutti i suoi fi gli (cfr Mt 5,21-48). È un lavoro lento, perché suppone un’evoluzione spirituale, un’educazione ai valori più alti, una visione nuova della storia umana. Occorre rinunciare alla falsa pace che promettono gli idoli di questo mondo e ai pericoli che la accompagnano, a quella falsa pace che rende le coscienze sempre più insensibili, che porta verso il ripiegamento su se stessi, verso un’esistenza atrofizzata vissuta nell’indifferenza. Al contrario, la pedagogia della pace implica azione, compassione, solidarietà, coraggio e perseveranza.

Gesù incarna l’insieme di questi atteggiamenti nella sua esistenza, fi no al dono totale di sé, fino a « perdere la vita » (cfr Mt 10,39; Lc 17,33; Gv 12,25). Egli promette ai suoi discepoli che, prima o poi, faranno la straordinaria scoperta di cui abbiamo parlato inizialmente, e cioè che nel mondo c’è Dio, il Dio di Gesù, pienamente solidale con gli uomini. In questo contesto, vorrei ricordare la preghiera con cui si chiede a Dio di renderci strumenti della sua pace, per portare il suo amore ove è odio, il suo perdono ove è offesa, la vera fede ove è dubbio. Da parte nostra, insieme al beatoGiovanni XXIII, chiediamo a Dio che illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alla sollecitudine per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il prezioso dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, a rafforzare i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri e a perdonare coloro che hanno recato ingiurie, così che in virtù della sua azione, tutti i popoli della terra si affratellino e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace [8].

Con questa invocazione, auspico che tutti possano essere veri operatori e costruttori di pace, in modo che la città dell’uomo cresca in fraterna concordia, nella prosperità e nella pace.
Dal Vaticano, 8 Dicembre 2012

BENEDICTUS PP XVI
  

[1] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 1.
[2] Cfr Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963): AAS 55 (1963), 265-266.
[3] Cfr ibid.: AAS 55 (1963), 266.
[4] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 32AAS 101 (2009), 666-667.
[5] Cfr ibid., 34 e 36AAS 101 (2009), 668-670 e 671-672.
[6] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1994 (8 dicembre 1993): AAS 86 (1994), 156-162.
[8] Cfr Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963): AAS 55 (1963), 304.

mercoledì 22 gennaio 2014

Sintesi dei Messaggi di Gesù a Maria Valtorta: DIFENDI IL TESORO DELLA FEDE!


 Sintesi dei Messaggi di Gesù a Maria Valtorta




- Da un clero troppo cultore di razionalismo e troppo al servizio del potere politico, non può che venire un periodo molto oscuro per la chiesa. (11.XII.43, Quaderno 10)
- Nell' ultimo giorno, quando il tempo e gli uomini saranno illuminati da ogni punto e lato, si vedrà la ingrata lacuna lasciata da voi, cattolici, da secoli, mentre gli altri, idolatri ed eretici, affascinati dal Cristo, signore santo, saranno affluiti con le loro anime. (28.XI.43, Quaderno 9)

- Come i primi martiri, gli ultimi saranno falciati... nella persecuzione nella persecuzione estrema. (23.VII.43. Quaderno 4)
- Malattie ripugnanti a marchio del vostro vizio, sangue nelle acque... fuoco dal sole... tenebre... tutto ciò per indurvi a riflettere e a pentirvi. E non gioverà. Continuerete a precipitare... preparando la strada al re d'Oriente ossia al figlio del male. (24.VII.43, Quaderno 2)

- Non vi resta che pregare per coloro che dovranno subire... perchè la forza non manchi in essi e non passino a far parte di coloro che bestemmieranno Dio invece di chiamarlo in loro aiuto. Molti di questi sono già sulla terra e il loro seme sarà sette volte più demoniaco di essi. (20.VIII.43, Quaderno 2)
- La fame, la spada, la pestilenza vi stringeranno i corpi con le loro funi e disperazione e terrore per le anime cieche. (29.XII.43)
- Quando l'ultimo tentativo sarà compiuto. Satana verrà per l'ultima volta e troverà seguaci ai quattro angoli della Terra. (22.VIII.43, Quaderno 2)

- La carestia e la mortalità per le epidemie saranno uno dei segni precursori della mia seconda venuta. La fame dalle rapine e dalla guerra... dall'arresto, per volere di Dio, delle leggi cosmiche per cui il gelo aspro e protratto, per cui le stagioni saranno invertite... la fame tormenterà crudelmente questa razza proterva e nemica di Dio. (29.X.43, Quaderno 8)
- Vinto l'anticristo, verrà il periodo di pace per dare tempo agli uomini, percorsi dallo stupore delle sette piaghe e della caduta di Babilonia, di raccogliersi sotto il mio segno. (27.VIII.43, Quaderno 3)




Verrà l'Anticristo



23 ottobre 1947.

Dice Gesù: "Il tuo Anno Santo lo hai avuto nel tuo cinquantesimo anno. Mi hai avuto come tu sola sai. E resti in questo tuo anno giubilare sinché esso ti si muterà in un secolo eterno di pace paradisiaca. Ma l'Anno Santo che verrà dovrà essere marcato da un suo carattere speciale: il carattere mariano".



È stato celebrato l'Anno Santo straordinario nel 19°mo centenario della mia Passione. La Sapienza  infinita amerebbe che fosse celebrato anche questo altro centenario della Assunzione gloriosa di mia Madre al Cielo, e che questa celebrazione desse uno speciale carattere al prossimo Anno Santo. La Sapienza infinita amerebbe che fosse sentito questo dovere, questo bisogno, questa previdenza di dare carattere di trionfo mariano e perciò di incentivo al culto per Maria, Salvezza vostra - in questo scorcio terribile di questo secolo terribile nel quale può avvenire la completa apertura dei sette sigilli per punizione di Dio - al prossimo Anno Santo. Già da troppi secoli la cristianità attende questa proclamazione trionfale della Vergine Madre, da Dio assunta in Cielo per essere gioia a Dio di cui fu Tempio vivo in terra, e Regina dei celesti cori e del popolo dei Santi.


In verità molti dei sigilli sono già stati aperti. Ma guai se fossero aperti tutti, e se lo saranno! Anticipate l'ora del trionfo della Donna, capostipite dei segnati del segno dei servi di Dio, degli eletti la cui dimora è il Cielo. Anticipate l'ora del trionfo di Maria, su Satana, sul mondo, la materia, la morte, vinta da Noi due volte, vinta in Lei creatura anche nel non conoscere la morte spirituale del peccato oltreché nella carne sua, che non si corruppe e che qui vive. Anticipate l'ora del trionfo di Maria. Si uniscano agli Angeli, capitanati da Michele, gli uomini, donne, fanciulli, della Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica, Romana, perché sia abbattuto per  un tempo il dragone dalle sette teste, dieci corna e sette diademi maledetti: le sette seduzioni.

E la cristianità abbia tempo per riunirsi e fortificarsi nella carità e nella fede e stringersi in difesa per l'ultima battaglia. Guai se venisse proclamata regina la donna vestita di porpora e scarlatto, cui fa trono la bestia immonda dai nomi di bestemmia, prima che sia proclamata Regina degli Angeli e degli uomini, con parola infallibile, la Donna vestita di sole, i cui piedi calcano la luna e il cui capo s'incorona di stelle.


Non vi può essere una seconda Redenzione compiuta da Me Cristo. Ma ancor una ve ne può essere per salvare dalle spire infernali un più gran numero di spiriti: quella di Maria gloriosa. Nel culto di Lei sta il segreto dell'estrema redenzione. Se sentiranno Me nelle parole dell'Opera, comunicherai queste altre parole a Colui che sai".

Dice Gesù: "Per avere avuto da 20 secoli tutto quanto è necessario perché l'uomo possa possedere il Regno eterno e raggiungere il fine per cui fu creato, non vi sarà una seconda redenzione da parte dell'Uomo-Dio. L'uomo, che per debolezza perda la Grazia, ha i mezzi per riacquistarla e redimersi. Come da se cade, così da se può redimersi, usando i doni perpetui che Cristo ha istituiti per tutti gli uomini che vogliano attingervi. E non verrà per una seconda Evangelizzazione, il Verbo del Padre. Non verrà personalmente. Eppure evangelizzerà. Susciterà nuovi evangelizzatori che evangelizzeranno il suo Nome.



Evangelizzeranno in una forma nuova, consona ai tempi, forma nuova che sostanzialmente non cambierà il Vangelo eterno, nè la grande Rivelazione, ma la amplierà, completerà e renderà comprensibile e accettabile anche a coloro che, a causa del loro ateismo o della loro incredulità sui Novissimi e su molte altre verità rivelate, adducono la ragione che "non possono credere cose che non comprendono, né amare essi di cui si conosce troppo poco, e quel poco è tale da spaurire e sconfortare in luogo di attirare e incoraggiare".



Nuovi evangelizzatori. In verità ci sono già, anche se il mondo in parte li ignora e in parte li osteggia. Ma saranno sempre più numerosi, e il mondo, dopo averli ignorati, o scherniti, od osteggiati, quando il terrore prenderà gli stolti che ora deridono i nuovi evangelizzatori, si volgerà a loro perchè siano forza, speranza, luce nelle tenebre, nell'orrore, nella tempesta della persecuzione degli anticristi in atto. Perchè se è vero che prima della fine dei tempi sorgeranno sempre più dei falsi profeti servi dell'Anticristo, altrettanto è vero che il Cristo Signore opporrà ad essi sempre più numerosi suoi servi, suscitando novelli apostoli là dove meno lo si crede.


E dato che l'infinita Misericordia, per pietà dei miseri uomini travolti dalla bufera di sangue, di fuoco, di persecuzione, di morte, farà risplendere sul mare di sangue e d'orrore la pura Stella del Mare, Maria, che sarà la precorritrice del Cristo nella sua ultima venuta, questi nuovi evangelizzatori   evangelizzeranno Maria, in verità troppo lasciata in ombra dagli Evangelisti e dagli Apostoli e Discepoli tutti, mentre una più vasta conoscenza di Lei avrebbe ammaestrato tanti, impedendo tante cadute. Perchè Ella è Corredentrice e Maestra.


Maestra di vita pura, umile, fedele, prudente, pietosa, pia, nella casa e tra le genti del suo tempo. Maestra sempre, nei secoli, degna d'esser tanto più conosciuta  più il mondo scende verso il fango e la tenebra, per esser tanto più imitata onde riportare il mondo verso ciò che non è tenebra e fango. I tempi che avanzano saranno tempi di guerra non solo materiale, ma soprattutto di guerra tra materialità e spirito.
L'Anticristo  cercherà di trascinare le creature razionali verso il pantano di una vita bestiale. Il Cristo cercherà di impedire questo rinnegamento, non solo della religione ma persino della ragione, aprendo orizzonti nuovi e vie illuminate di luci spirituali, suscitando, in chiunque apertamente   non lo respinga, un risveglio potente dello spirito, risveglio aiutato da questi nuovi evangelizzatori non soltanto del Cristo ma della Madre di Dio. Alzeranno lo stendardo di Maria. Porteranno a Maria. E Maria, che già una volta fu causa e fonte, indiretta ma sempre potente, della redenzione dell'uomo, lo sarà ancora. Perchè Ella è la Santa Avversaria del perfido Avversario, e il suo calcagno è destinato a schiacciare in perpetuo l'infernale dragone, come la Sapienza, che ha fatto in Lei sede, è destinata a vincere le eresie che corrompono anime ed intelletti.
In quel tempo, che è inevitabile che venga, in cui le tenebre lotteranno con la luce, la bestialità con lo spirito, la satanicità con i superstiti figli di Dio, Babilonia con  la Gerusalemme celeste, e le lussurie di Babilonia, le triplici lussurie, strariperanno come acque fetide e incontenibili, infiltrandosi per ogni dove, sin nella Casa di Dio, come già fu e come è detto che dovrà di nuovo essere, in quel tempo di separazione aperta tra i figli di Dio e di Satana, in cui i figli di Dio avranno raggiunto una potenza di spirito sin ora mai raggiunta, e quelli di Satana una potenza di male talmente vasta che nessuna mente può immaginarla quale sarà realmente, verrà la nuova evangelizzazione, la piena nuova evangelizzazione, che per ora ha i primi avversati risvegli.


Ed essa opererà grandi miracoli di conversione e di perfezione. E grandi conati d'odio satanico, contro Cristo e la Donna. Ma ambedue non potranno essere raggiunti dai loro nemici. Non sarebbe conveniente nè utile che lo fossero. Non si può recare offesa suprema a Dio colpendo i Due a Lui più cari: il Figlio, la Madre, che già, nel loro tempo, tutte le più odiose e dolorose offese subirono, ma che ora, già glorificati da secoli, non potrebbero, senza immediato orrendo castigo divino sugli offensori, venire offesi.
Per questo, con mezzi nuovi, sarà al giusto modo e momento operata l'estrema evangelizzazione, e coloro che sono ansiosi di Luce e di Vita le avranno, piene, perfette, date con un mezzo noto solo ai due Donatori, da Gesù e Maria. Soltanto chi avrà eletto per se tenebra e fango, eresia e odio a Dio e a Maria, ossia i già morti prima d'esser morti, gli spiriti putridi, gli spiriti venduti a Satana e ai suoi servi, ossia i precursori dell'Anticristo ed esso stesso, avranno tenebre e fango e tormento e odio eterno, come è giusto che sia, quando Colui che deve venire verrà".

Dice Gesù: "È detto, e da parola divina parlante ai Profeti, e dalla divina incarnata Parola del Padre parlante ai suoi eletti, che"grandi abominazioni quale la gelosia, e orribili abominazioni quale l'adorazione a idoli umani (e la scienza priva di sapienza ne è uno) e perversione con l'adorazione a ciò che non è da venerarsi" verranno nel Tempio (Ezechiele c.8° v. 1-17), e che"dopo che sarà ucciso il Cristo e non sarà più suo il  popolo che lo rinnegherà, la città e il santuario saranno distrutti da un popolo che verrà, il cui scopo sarà la devastazione, e finita essa verrà la desolazione decretata...e verranno meno le ostie e i sacrifici, e nel tempio sarà l'abominazione della desolazione, che durerà sino alla fine" (Daniele c.9° v.26-27); e ancora, a conferma diretta, da parte della Parola, alle parole dei suoi annunciatori, i profeti:"Quando vedrete l'abominio della desolazione nel luogo santo,...allora la tribolazione sarà grande, quale non fu dal principio dei secoli...e dopo la tribolazione...vedranno il Figlio dell'Uomo" (Matteo c.24 v.15,21,29 e 30). E la carità che si raffredderà in troppi cuori sarà uno dei segni precursori della fine (Mat. c.24 v.12).



È detto. E verrà. Aprite gli occhi spirituali, per leggere le predizioni del Cielo! Se li aprirete, leggerete la verità, e vedrete quali sono i veri segni della fine, e come essa sia già in atto. Per Colui che è eterno, un secolo è men di un minuto. Quindi non è detto che sia domani. Ma se ancor lungo sarà il cammino perchè tutto sia compiuto, le cose che già avvengono vi dicono che già si è iniziato il processo finale. Le grandi abominazioni: la gelosia dove dovrebbe essere solo carità fraterna, l'eccesso di amore alla scienza umana dove dovrebbe essere solo amore fedele alla Sapienza fonte della Rivelazione, compromessi tra ciò che dà utile terreno e ciò che da utile soprannaturale per avere l'utile immediato, il Cristo ucciso in troppe anime, troppo suo popolo divenuto rinnegatore del suo Salvatore. Queste le cose preparatorie.




Poi "il popolo che verrà", con lo scopo di devastare. Un altro profeta disse"Quando il popolo del settentrione...Un gran tumulto dalle terre del settentrione...Ecco venire dal settentrione..." (Geremia c.6° v.22, c.10 v.22, c.50° v.41). L'una e l'altra predizione sono tanto chiare che basta alzare gli occhi e saper vedere, e voler vedere, per capire.
E che devasterà? Oh! non solo gli edifici ed i paesi. Ma soprattutto la fede, la morale, le anime. E non tutte le anime devastate saranno anime comuni. E i sacrifici e le ostie verran meno non potendosi più avere la libertà di culto, e temendo, in molti, d'esser presi per questo. Già, pur non essendo ancora in atto la devastazione e la persecuzione, molti rinnegano la via già scelta, perché l'abominio si spande come perfida gramigna, e la carità si raffredda mentre sorgono i falsi profeti di cui parla il Cristo nel capo 24 di Matteo e Paolo nel c. II della II epistola ai Tessalonicesi.


Per ora quelli soli. Ma poi verrà colui che essi precorrono: l'Anticristo, al quale essi avranno preparato la via affievolendo la carità, così come il Battista aveva preparato le vie al Cristo insegnando la carità, di cui era pieno essendo "ripieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre" (Luca c.I v.15), come mezzo indispensabile per potersi unire a Cristo e vivere la vita di Dio. (Sugli insegnamenti di carità del Battista vedere luca c.III v.10-14).



Vorranno Eliminare la Santa Eucarestia 

Gesù ad Apostoli e Discepoli: "Ma anche in verità vi dico che ugualmente sarà distrutta la Terra quando l'abominio della desolazione entrerà nel novello Sacerdozio conducendo gli uomini all'apostasia per abbracciare le dottrine d'inferno. Allora sorgerà il figlio di Satana e i popoli gemeranno in un tremendo spavento, pochi restando fedeli al Signore, e allora anche, fra convulsioni d'orrore, verrà la fine dopo la vittoria di Dio e dei suoi pochi eletti, e l'ira di Dio su tutti i maledetti.


Guai, tre volte guai se per quei pochi non ci saranno ancor santi, gli ultimi padiglioni del Tempio di Cristo! Guai, tre volte guai se, a confortare gli ultimi cristiani, non ci saranno veri Sacerdoti come ci saranno per i primi. In verità l'ultima persecuzione sarà orrenda, non essendo persecuzione d'uomini ma del figlio di Satana e dei suoi seguaci. Sacerdoti? Più che sacerdoti dovranno essere quelli dell'ultima ora, tanto feroce sarà la persecuzione delle orde dell'Anticristo. Simili all'uomo vestito di lino che tanto è santo da stare al fianco del Signore, nella visione di Ezechiele essi dovranno instancabili segnare con la loro perfezione un Tau sugli spiriti dei pochi fedeli perchè le fiamme d'inferno non cancellino quel segno.



Sacerdoti? Angeli. Angeli agitanti il turibolo carico degli incensi delle loro virtù per purificare l'aria dai miasmi di Satana. Angeli? Più che angeli: altri Cristi, altri Me, perchè i fedeli dell'ultimo tempo possano perseverare fino alla fine. Questo dovranno essere. 

Ma il bene e il male futuro ha radice nel presente. Le valanghe hanno inizio da un fiocco di neve. Un sacerdote indegno, impuro, eretico, infedele, incredulo, tiepido o freddo, spento, insipido, lussurioso, fa un male decuplo di quello di un fedele colpevole degli stessi peccati, e trascina molti altri al peccato. 

La rilassatezza nel Sacerdozio, l'accoglimento di impure dottrine, l'egoismo, l'avidità, la concupiscenza nel Sacerdozio, voi sapete dove sfocia: nel deicidio.



Ora, nei secoli futuri, non potrà più essere ucciso il Figlio di Dio, ma la fede in Dio, l'idea di Dio, sì. Perciò sarà compiuto un deicidio ancor più irreparabile perchè senza risurrezione. Oh! si potrà compiere, sì. Io vedo... Si potrà compiere per troppi Giuda di Keriot dei secoli futuri. Orrore!...



La mia Chiesa scardinata dai suoi stessi ministri! E Io che la sorreggo con l'aiuto delle vittime. Ed essi, i Sacerdoti, che avranno unicamente la veste e non l'anima del Sacerdote, che aiutano il ribollire delle onde agitate dal Serpente infernale contro la tua barca, o Pietro. In piedi! Sorgi! Trasmetti quest'ordine ai tuoi successori: "Mano al timone, sferza sui naufraghi che hanno voluto naufragare, e tentano di far naufragare la barca di Dio". Colpisci, ma salva e procedi. Sii severo, perchè sui predoni giusto è il castigo. Difendi il tesoro della fede. Tieni alto il lume come un faro sopra le onde sconvolte, perchè quelli che seguono la tua barca vedano e non periscano. Pastore e nauta per i tempi tremendi, raccogli, guida, solleva il mio Vangelo perchè in questo e non in altra scienza è la salute.


Verranno i tempi nei quali, così come avvenne da noi d'Israele e ancor più profondamente, il Sacerdozio crederà d'essere classe eletta perchè sa il superfluo e non conosce più l'indispensabile, o lo conosce nella morta forma con cui ora conoscono i Sacerdoti la Legge: nella vesta essa, esageratemente aggravata di frange, ma non nel suo spirito. Verranno i tempi nei quali tutti i libri si sostituiranno al Libro, e questo sarà solo usato così come uno, che deve forzatamente usare un oggetto, lo maneggia meccanicamente, così come un contadino ara, semina, raccoglie senza meditare sulla meravigliosa provvidenza che è quel moltiplicarsi di semi che ogni anno si rinnovella: un seme gettato in terra smossa che diviene stelo, spiga, poi farina e poi pane per paterno amore di Dio.



Chi, mettendosi in bocca un boccone di pane, alza lo spirito a Colui che ha creato il primo seme e da secoli lo fa rinascere e crescere, dosando le piogge e il calore perchè si schiuda e si alzi e maturi senza marcire o senza bruciarsi? Così verrà il tempo che sarà insegnato il Vangelo scientificamente bene, spiritualmente male. Or che è la scienza se manca sapienza? Paglia è. Paglia che gonfia e non nutre. E in verità vi dico che un tempo verrà nel quale troppi fra i Sacerdoti saranno simili a gonfi pagliai, superbi pagliai che staranno impettiti nel loro orgoglio d'esser tanto gonfi, come se ancor le spighe fossero in vetta alle paglie, e crederanno d'esser tutto perchè invece del pugnello di grani, il vero nutrimento che è lo spirito del Vangelo, avranno tutta quella paglia: un mucchio! Un mucchio! Ma può bastare la paglia? Neppure per il ventre del giumento essa basta, e se il padrone dello stesso non corrobora l'animale con biade ed erbe fresche, il giumento nutrito di sola paglia deperisce e anche muore.



Eppure Io vi dico che un tempo verrà nel quale i Sacerdoti, immemori che con poche spighe Io ho istruito gli spiriti alla Verità, e immemori anche di ciò che è costato al loro Signore quel vero pane dello spirito, tratto tutto e solo dalla Sapienza Divina, detto dalla Divina Parola, dignitoso nella forma dottrinale, instancabile nel ripetersi, perchè non si smarrissero le verità dette, umile nella forma, senza orpelli di scienze umane, senza completamenti di storici e geografici, non si cureranno dell'anima di esso, ma della veste da gettargli sopra per mostrare alle folle quante cose essi sanno, e lo spirito del Vangelo si smarrirà in loro sotto valanghe di scienza umana.



E se non lo possiedono come possono trasmetterlo? Che daranno ai fedeli questi pagliai gonfi? Paglia. Che nutrimento ne avranno gli spiriti dei fedeli? Tanto da trascinare una languente vita. Che frutto matureranno da questo insegnamento e da questa conoscenza imperfetta del Vangelo? Un raffreddarsi di cuori, un sostituirsi di dottrine eretiche, di dottrine e idee ancor più che eretiche, all'unica, vera dottrina, un prepararsi il terreno alla Bestia per il suo fugace regno di gelo, di tenebre e orrore. In verità vi dico che come il Padre e Creatore moltiplica le stelle perchè non si spopoli il cielo per quelle che, finita la loro vita, periscono, così ugualmente Io dovrò evangelizzare cento e mille volte dei discepoli che spargerò fra gli uomini e fra i secoli. E anche in verità vi dico che la sorte di questi sarà simile alla mia: la sinagoga e si superbi li perseguiteranno come mi hanno perseguitato.



Ma tanto Io che essi abbiamo la nostra ricompensa: quella di fare la Volontà di Dio e di servirlo sino alla morte di croce perché la sua gloria risplenda e la sua conoscenza non perisca. Ma tu, Pontefice, e voi, Pastori, in voi e nei vostri successori vegliate perchè non si perda lo spirito del Vangelo e instancabilmente pregate lo Spirito Santo perchè in voi si rinnovelli una continua Pentecoste - voi non sapete ciò che voglio dire, ma presto lo saprete - onde possiate comprendere tutti gli idiomi e discernere  e scegliere le mie voci da quelle della Scimmia di Dio: Satana.


E non lasciate cadere nel vuoto le mie voci future. Ognuna di esse è una misericordia mia in vostro aiuto, e tanto più numerose saranno quanto più per ragioni divine Io vedrò che il Cristianesimo ha bisogno di esse per superare le burrasche dei tempi.

Pastore e nauta, Pietro! Pastore e nauta. Non ti basterà un giorno esser pastore se non sarai nauta, ed esser nauta se non sarai pastore. Questo e quello dovrai essere per tenere radunati gli agnelli che tentacoli infernali e artigli feroci cercheranno di strapparti o menzognere musiche di promesse impossibili ti sedurranno, e per portare avanti la barca presa da tutti i venti del settentrione e del mezzogiorno e dell'oriente e dell'occidente, schiaffeggiata e sbattuta dalle forze del profondo, saettata dagli arcieri della Bestia, sbruciacchiata dall'alito del dragone, e spezzata sui bordi dalla sua coda, di modo che gli imprudenti saranno arsi e periranno precipitando nell'onda sconvolta.



Pastore e nauta nei tempi tremendi...E tua bussola il Vangelo. In esso è la Vita e la Salute. E tutto è detto in esso. Ogni articolo del Codice santo, ogni risposta per i casi molteplici delle anime, sono in esso. E fa che da esso non si scostino Sacerdoti e fedeli. Fa che non vengano dubbi su esso. Alterazioni di esso. Sostituzioni e sofisticazioni di esso. Il Vangelo è Me stesso. Dalla nascita alla morte. Nel Vangelo è Dio. Perché in esso sono manifeste le opere del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Il Vangelo è amore. "La mia Parola è Vita". Ho detto:"Dio è carità".


Conoscano dunque i popoli la mia Parola e abbiano l'amore in loro, ossia Dio. Per avere il Regno di Dio. Perché chi non è in Dio non ha in se la Vita. Perché quelli che non accoglieranno la Parola del Padre non potranno essere una sola cosa col Padre, con Me e con lo Spirito Santo in Cielo, e non potranno essere del solo Ovile che è santo così come Io voglio. Non saranno tralci uniti alla Vite perché chi respinge in tutto o parte al mia Parola è un membro nel quale più non scorre la linfa della Vite. La mia Parola è succo che nutre, fa crescere e portare frutto.




Tutto questo farete in memoria di Me che ve l' ho insegnato. Molto ancora avrei da dirvi su quanto ho detto ora. Ma Io ho soltanto gettato il seme. Lo Spirito Santo ve lo farà germogliare. Ho valuto darvi Io il seme perché conosco i vostri cuori e so come titubereste di paura per comandi spirituali, immateriali. La paura di un inganno vi paralizzerebbe ogni volontà. Perciò Io per il primo vi ho parlato di tutte le cose. Poi il Paraclito vi ricorderà le mie parole e ve le amplificherà nei particolari. E voi non temerete perché ricorderete che il primo seme ve l' ho dato Io. Lasciatevi condurre dallo Spirito Santo.




Se la mia Mano era dolce nel guidarvi, la sua Luce è dolcissima. Egli è Amore di Dio. Così Io me ne vado contento perché so che Egli prenderà il mio posto e vi condurrà alla conoscenza di Dio. Ancora  non lo conoscete nonostante tanto vi abbia detto di Lui. Ma non è colpa vostra. Voi avete fatto di tutto per per comprendermi e perciò siete giustificati se anche per tre anni avete capito poco. La mancanza della Grazia vi ottundeva lo spirito. Anche ora capite poco benché la Grazia di Dio sia scesa su di voi dalla mia croce. Avete bisogno del Fuoco.

Un giorno ho parlato di questo a un di voi, andando lungo le vie del Giordano. L'ora è venuta. Io me ne torno al Padre mio, ma non vi lascio soli perché lascio a voi l'Eucarestia ossia il vostro Gesù fatto cibo agli uomini. E vi lascio l'Amico: il Paraclito. Esso vi condurrà. Passo le vostre anime dalla mia luce alla sua Luce ed Egli compirà la vostra formazione.

"Tu sei la Madre, voglio essere Tuo figlio,
solo Tuo figlio, solo Tuo
nella vita e nella morte!
Dovrà il più povero dei Tuoi figli
lasciarTi senza essere soccorso?
RicordaTi, dolce Maria, Tu sei
mia Madre e mia Regina, e 
tutta la mia Speranza"

AMDG et DVM

lunedì 20 gennaio 2014

Dalla "Lettera agli Efesini" di sant'Ignazio di Antiochia:


Quaggiù non c'è cosa più bella che vivere nella fede e nella carità di Cristo, come han vissuto i Santi Padri. Nella "Lettera agli Efesini" di sant'Ignazio di Antiochia c'è un passo magnifico da non perdere di vista in questi mesi:



XV.
È meglio tacere ed essere, che dire e non essere. È bello insegnare se chi parla opera. Uno solo è il maestro e ha detto e ha fatto, e ciò che tacendo ha fatto è degno del Padre. 

Chi possiede veramente la parola di Gesù è in grado di capire anche il suo silenzio e di giungere così alla perfezione. Egli con la sua parola  opererà e con il suo silenzio si farà conoscere. 

Nulla sfugge al Signore, anche i nostri segreti sono davanti al suo sguardo. Dunque tutto facciamo nella consapevolezza che Egli abita in noi templi suoi,  ed egli il Dio (che è) in noi, come è e apparirà al nostro volto se giustamente Lo amiamo.

XVI. 

Non ingannatevi, fratelli miei. Quelli che corrompono la famiglia "non erediteranno il regno di Dio" (cfr. 1 Cor. 6, 9-10: "9Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né quelli che peccano contro natura, 10né i ladri, né gli avari, né gli ubriaconi, né i calunniatori, né i rapinatori erediteranno il regno di Dio."). 

Se quelli che fanno ciò secondo la carne muoiono, tanto più colui che con una dottrina perversa corrompe la fede di Dio per la quale Cristo fu crocifisso! 

Egli, divenuto impuro, finirà nel fuoco eterno e insieme a lui anche chi lo ascolta.

XVII. 
Per questo il Signore accettò il profumo versato sul suo capo per infondere l'immortalità alla Chiesa. 
Non lasciatevi ungere dal cattivo odore del principe di questo mondo che non vi imprigioni fuori della vita che vi attende. 
Perché non diveniamo tutti saggi ricevendo la scienza di Dio che è Gesù Cristo? A che rovinarsi pazzamente, misconoscendo il carisma che il Signore ci ha veramente mandato?