domenica 12 maggio 2024

L'Angoscia di una assenza - Meditazione sul Sabato Santo - di P.P. Benedetto XVI

 


L’ANGOSCIA DI UNA ASSENZA … MEDITAZIONE SUL SABATO SANTO DI PAPA BENEDETTO XVI…

Con sempre maggior insistenza si sente parlare nel nostro tempo della morte di Dio. Per la prima volta, in Jean Paul, si tratta solo di un sogno da incubo: Gesù morto annuncia ai morti, dal tetto del mondo, che nel suo viaggio nell’aldilà non ha trovato nulla, né cielo, né Dio misericordioso, ma solo il nulla infinito, il silenzio del vuoto spalancato. Si tratta ancora di un sogno orribile che viene messo da parte, gemendo nel risveglio, come un sogno appunto, anche se non si riuscirà mai a cancellare l’angoscia subita, che stava sempre in agguato, cupa, nel fondo dell’anima.

Un secolo dopo, in Nietzsche, è una serietà mortale che si esprime in un grido stridulo di terrore: «Dio è morto! Dio rimane morto! E noi lo abbiamo ucciso!».
Cinquant’anni dopo, se ne parla con distacco accademico e ci si prepara a una “teologia dopo la morte di Dio”, ci si guarda intorno per vedere come poter continuare e si incoraggiano gli uomini a prepararsi a prendere il posto di Dio.
Il mistero terribile del Sabato santo, il suo abisso di silenzio, ha acquistato quindi nel nostro tempo una realtà schiacciante. Giacché questo è il Sabato santo: giorno del nascondimento di Dio, giorno di quel paradosso inaudito che noi esprimiamo nel Credo con le parole «disceso agli inferi», disceso dentro il mistero della morte.

Il Venerdì santo potevamo ancora guardare il trafitto. Il Sabato santo è vuoto, la pesante pietra del sepolcro nuovo copre il defunto, tutto è passato, la fede sembra essere definitivamente smascherata come fanatismo. Nessun Dio ha salvato questo Gesù che si atteggiava a Figlio suo. Si può essere tranquilli: i prudenti che prima avevano un po’ titubato nel loro intimo se forse potesse essere diverso, hanno avuto invece ragione.
Sabato santo: giorno della sepoltura di Dio; non è questo in maniera impressionante il nostro giorno? Non comincia il nostro secolo a essere un grande Sabato santo, giorno dell’assenza di Dio, nel quale anche i discepoli hanno un vuoto agghiacciante nel cuore che si allarga sempre di più, e per questo motivo si preparano pieni di vergogna e angoscia al ritorno a casa e si avviano cupi e distrutti nella loro disperazione verso Emmaus, non accorgendosi affatto che colui che era creduto morto è in mezzo a loro?

Dio è morto e noi lo abbiamo ucciso: ci siamo propriamente accorti che questa frase è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana e che noi spesso nelle nostre viae crucis abbiamo ripetuto qualcosa di simile senza accorgerci della gravità tremenda di quanto dicevamo? Noi lo abbiamo ucciso, rinchiudendolo nel guscio stantio dei pensieri abitudinari, esiliandolo in una forma di pietà senza contenuto di realtà e perduta nel giro di frasi fatte o di preziosità archeologiche; noi lo abbiamo ucciso attraverso l’ambiguità della nostra vita che ha steso un velo di oscurità anche su di lui: infatti che cosa avrebbe potuto rendere più problematico in questo mondo Dio se non la problematicità della fede e dell’amore dei suoi credenti? L’oscurità divina di questo giorno, di questo secolo che diventa in misura sempre maggiore un Sabato santo, parla alla nostra coscienza. Anche noi abbiamo a che fare con essa. Ma nonostante tutto essa ha in sé qualcosa di consolante.

La morte di Dio in Gesù Cristo è nello stesso tempo espressione della sua radicale solidarietà con noi. Il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più chiaro di una speranza che non ha confini. E ancora una cosa: solo attraverso il fallimento del Venerdì santo, solo attraverso il silenzio di morte del Sabato santo, i discepoli poterono essere portati alla comprensione di ciò che era veramente Gesù e di ciò che il suo messaggio stava a significare in realtà. Dio doveva morire per essi perché potesse realmente vivere in essi. L’immagine che si erano formata di Dio, nella quale avevano tentato di costringerlo, doveva essere distrutta perché essi attraverso le macerie della casa diroccata potessero vedere il cielo, lui stesso, che rimane sempre l’infinitamente più grande. Noi abbiamo bisogno del silenzio di Dio per sperimentare nuovamente l’abisso della sua grandezza e l’abisso del nostro nulla che verrebbe a spalancarsi se non ci fosse lui.
C’è una scena nel Vangelo che anticipa in maniera straordinaria il silenzio del Sabato santo e appare quindi ancora una volta come il ritratto del nostro momento storico. Cristo dorme in una barca che, sbattuta dalla tempesta, sta per affondare.
Il profeta Elia aveva una volta irriso i preti di Baal [III Reg. 18, 21-46], che inutilmente invocavano a gran voce il loro dio perché volesse far discendere il fuoco sul sacrificio, esortandoli a gridare più forte, caso mai il loro dio stesse a dormire. Ma Dio non dorme realmente? Lo scherno del profeta non tocca alla fin fine anche i credenti del Dio di Israele che viaggiano con lui in una barca che sta per affondare? Dio sta a dormire mentre le sue cose stanno per affondare, non è questa l’esperienza della nostra vita?

La Chiesa, la fede, non assomigliano a una piccola barca che sta per affondare, che lotta inutilmente contro le onde e il vento, mentre Dio è assente? I discepoli gridano nella disperazione estrema e scuotono il Signore per svegliarlo, ma egli si mostra meravigliato e rimprovera la loro poca fede.
Ma è diversamente per noi? Quando la tempesta sarà passata, ci accorgeremo di quanto la nostra poca fede fosse carica di stoltezza. *E tuttavia, o Signore, non possiamo fare a meno di scuotere te, Dio che stai in silenzio e dormi, e gridarti: svegliati, non vedi che affondiamo? Destati, non lasciar durare in eterno l’oscurità del Sabato santo, lascia cadere un raggio di Pasqua anche sui nostri giorni, accompàgnati a noi quando ci avviamo disperati verso Emmaus perché il nostro cuore possa accendersi alla tua vicinanza. Tu che hai guidato in maniera nascosta le vie di Israele per essere finalmente uomo con gli uomini, non ci lasciare nel buio, non permettere che la tua parola si perda nel gran sciupio di parole di questi tempi.
Signore, dacci il tuo aiuto, perché senza di te affonderemo.*

Amen.

martedì 7 maggio 2024

SAN STANISLAO martire

 


SAN STANISLAO, martire

Stanislao nacque a Cracovia da nobile famiglia. 
    I pii genitori, per trent'anni senza figli, lo ottennero da Dio con la preghiera, ed egli, fin dai primi anni di vita, diede chiari segni della futura santità. 
Ancora adolescente, si dedicò con molto profitto allo studio dei sacri canoni e della teologia. Morti i genitori, per desiderio di vita monastica distribuì ai poveri l'ampio patrimonio.

   Avendo, però Dio disposto altrimenti, divenne, nonostante la sua riluttanza, canonico di Cracovia e predicatore, per volontà del vescovo Lamperto, al quale poi succedette. 
   In questo ufficio si distinse in tutte le virtù spirituali e principalmente per la generosità verso i poveri. 

Scomunicò Boleslao, re di Polonia, più volte ripreso invano per la sua depravata condotta. Questi perciò, fuor di sé dalla rabbia, mandò in chiesa i suoi soldati per uccidere il santo vescovo. Ma poiché essi furono miracolosamente respinti, l'empio re uccise di sua mano il sacerdote di Dio mentre sull'altare offriva l'ostia immacolata. 

Dio, dopo la morte del suo servo, manifestò la santità di Stanislao con molti miracoli, e per essi Innocenzo IV l'annoverò fra i santi.
℣. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
℟. Grazie a Dio.

Preghiamo.
O Dio, per il cui onore il glorioso Vescovo Stanislao cadde sotto le spade degli empi: concedi, che tutti quelli che implorano il suo aiuto, conseguano l'effetto salutare della loro domanda.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
℟. Amen.

***   ***   ***

San Stanislao, vescovo, martire e patrono della Polonia. Szczepanów (Polonia), 1030 ca. – Cracovia (Polonia), 11/04/1079Proviene da una famiglia di umili origini. Completa a Liegi gli studi in teologia.

Avvenimenti

• Alessandro II lo nomina vescovo di Cracovia. Con il sostegno del re Boleslao II, si impegna nell evangelizzazione della diocesi, che visita annualmente; assiste i poveri e i bisognosi. I rapporti con il re divengono tesi: questo infatti, con la sua condotta immorale, rappresenta un pessimo esempio per i sudditi. Quando il re fa rapire la giovane moglie di uno del suo seguito, Stanislao lo scomunica.

• Poiché il re, in atto di sfida, continua a recarsi in chiesa, Stanislao ordina ai sacerdoti di interrompere le sacre celebrazioni al suo ingresso.

Aneddoti

• Viene accusato dal re Boleslao di aver fatto costruire una chiesa su un appezzamento di terreno di cui si è appropriato illegittimamente. Poiché Stanislao non ha documenti che attestino il regolare acquisto del terreno, promette di far comparire come testimone il venditore della proprietà, un certo Pietro, deceduto da tre anni. La sua affermazione suscita risa e ilarità generale. Stanislao trascorre tre giorni in digiuno e preghiera. Il giorno del processo, dopo aver celebrato la Messa, ordina a Pietro di uscire dal sepolcro e di seguirlo in tribunale. Il morto, obbedendo all’ordine del santo vescovo, lascia la tomba e lo segue: dopo aver dichiarato ai presenti, letteralmente terrorizzati, di aver ricevuto da Stanislao il denaro pattuito, entra nella pace eterna (questa volta per sempre).

• Boleslao fa gettare il corpo di Stanislao, col capo troncato e completamente dilaniato, nei campi; alcune aquile lo difendono dalle fiere. I canonici di Cracovia, guidati da un segno luminoso divino, raccolgono le membra sparse sul terreno. Il corpo viene rimesso insieme; miracolosamente si ricompone perfettamente, senza mostrare alcuna ferita.

Morte

Il re, una volta scomunicato, non riuscendo a controllare il suo furore contro Stanislao, lo fa trucidare durante la celebrazione della Messa nella chiesa di San Michele di Cracovia. Alcuni biografi sostengono che il turpe assassinio sia stato compiuto da Boleslao in persona, perché i sicari incaricati di farlo ne vengono impediti da una forza misteriosa. Morendo mentre sta celebrando la Messa, Stanislao può veramente unire il sacrificio della propria vita al sacrificio di Cristo.       Dopo l’omicidio del venerato vescovo, il popolo furente detronizza Boleslao; questo, pentitosi dell’assassinio, entra come laico nel monastero benedettino di Ossiach, in Carinzia. Nel 1253 Stanislao è canonizzato da papa Innocenzo IV nella basilica di San Francesco ad Assisi. La scena del suo martirio è ricordata in un affresco giottesco. Le sue spoglie sono venerate nella cattedrale di Wawel a Cracovia.

Tratto dal libro “I santi del giorno ci insegnano a vivere e a morire” di Luigi Luzi

AMDG et D.V.MARIAE

lunedì 6 maggio 2024

La Parola di Dio nella vita del credente...

 

Caravaggio. Cena in Emmaus



La Parola di Dio nella vita del credente: 
il metodo della "Lectio divina" (= Divina Lettura)

La pagina evangelica per antonomasia della lectio divina è quella dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35): il cammino dei due discepoli inizia con una fuga dalla Gerusalemme della delusione, con “gli occhi incapaci” di vedere, con il “volto triste” e la disperazione nel cuore, per giungere alla Gerusalemme della risurrezione, con “il cuore che arde nel petto”, con gli “occhi che si aprono” e diventano capaci di vedere, con il desiderio e l’impegno di correre per testimoniare agli altri che il Signore è risorto. 
Al centro di questa storia incontriamo “un forestiero”, un “pellegrino” che si fa compagno di strada (cum/panis) e per sette miglia spiega le Scritture. 

Un poeta francese contemporaneo, Christian Bobin ha intitolato un piccolo testo sulla figura di Gesù “L’uomo che cammina”, pubblicato in Italia dalla Comunità di Bose. In questa metafora così semplice viene racchiusa l’identità della persona di Cristo non a partire da un concetto ma da un gesto, che è quello del camminare. Sulla copertina del libretto una delle immagini più conosciute dell’arte spagnola, Gesù con la bisaccia del pellegrino (con impressa la conchiglia di san Giacomo) e i discepoli di Emmaus, bassorilievo di un capitello del chiostro romanico dell’Abbazia benedettina di Silos (sec. XI) che ritrae l’episodio narrato dal Vangelo di Luca: un misterioso personaggio affianca due uomini, discepoli di Gesù, che ritornano al loro villaggio delusi e sfiduciati dopo i fatti accaduti a Gerusalemme in quella tragica Pasqua dell’anno 36 d.C. La scultura fissa la scena nel momento dell’incontro sulla via e del dialogo tra i due discepoli e il viandante sconosciuto che si dimostra ignaro degli avvenimenti che li hanno resi così tristi. 

Ecco allora la domanda di uno dei due, Clèopa: “Tu solus peregrinus es in Jerusalem …? (Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme…). Il testo, nel latino della Vulgata, assume più che la constatazione di un fatto, un vero e proprio atto di fede: “Tu solus peregrinus”, tu solo sei pellegrino, il pellegrino per eccellenza, l’unico pellegrino. L’episodio di Emmaus diventa parabola dell’intera esistenza umana e cristiana: Cristo si affianca continuamente a noi e cammina con discrezione a fianco di ciascuno, con infinita pazienza si comunica a noi e condivide con noi se stesso nella parola e nel pane della vita. Parola e Eucaristia rivelano l’unica presenza che sa donare speranza e vitalità all’umanità stanca e delusa, per cui il cammino di un cristiano sarà sempre un cammino cristologico, “Tu solus peregrinus es, Christe”. 

 Torniamo all’esortazione della Dei Verbum: “Il Santo Concilio esorta con forza e insistenza tutti i fedeli ad apprendere la sublime scienza di Gesù Cristo (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo. Si accostino dunque volentieri al sacro testo, sia per mezzo della Liturgia ricca di parole divine, sia mediante la pia lettura (Lectio divina)” (DV 25). 
La Bibbia, Parola di Dio, non è qualcosa, ma è Qualcuno, il Figlio 

GIOVANNI PAOLO II, Tertio millennio adveniente, Lettera apostolica circa la preparazione del Giubileo dell’anno 2000, Libreria Editrice Vaticana (Città del Vaticano, 1994) 47. 60 Bobin Ch., L’uomo che cammina, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose (BI) 1998 35 

di Dio, che qui, oggi, mi parla: non solo tutta la Scrittura parla di Cristo, la Scrittura è Cristo e la Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore (cfr. S.Agostino e DV 21). La riscoperta della Parola di Dio nella vita della Chiesa e nella vita quotidiana dei credenti è uno degli aspetti più importanti della vita spirituale e di fede. 
In questi ultimi anni si è riscoperto la validità di un metodo per ascoltare e vivere meglio l’incontro con la Parola: è il metodo della Lectio divina. 

La Lectio divina è un metodo semplice - dice il card. Martini - adatto a tutti, antico quanto la Chiesa e quanto la natura umana e insieme modernissimo e facile, popolare, che non richiede una preparazione specialistica, non occorre avere una laurea, non occorre sapere l’ebraico o il greco: occorre un cuore puro. Chi ha il cuore puro percepisce nella Parola la presenza di Cristo, quello che conta è la purezza di cuore. La Lectio estende a tutti i figli di Dio il privilegio concesso a Mosè: “Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con un altro” (Es 33,9.11). 

Questo metodo, sperimentato nei secoli, ha avuto una sua classica impostazione dal monaco certosino Guigo II nella sua opera Scala Claustralium: egli riconosce in questa pratica quattro momenti: la lettura, la meditazione, l’orazione e la contemplazione. Punto di partenza è l’esperienza della spiritualità benedettina: “Ascolta, figlio... apri l’orecchio del tuo cuore ” Con queste parole inizia la regola di S. Benedetto. L’ascoltare e l’aprire l’orecchio del cuore è l’atteggiamento ideale di ogni discepolo del Signore. 

Tutta l’esistenza biblica si identifica in un ascoltare. 
Il vedere, invece, salvo esperienze particolari, è riservato unicamente alla fine dei tempi, quando “saremo simili a Lui, perchè lo vedremo così come egli è ” (1Gv 3,2). 

La lectio è indispensabile per entrare nella verità di Dio, per scoprire le “abitudini di Dio”. E’ un programma per tutti quelli che vogliono fare un cammino serio. Da qui nasce la possibilità di passare, da un cristianesimo di tradizioni e di abitudini, ad un cristianesimo di decisioni, di coscienza, d’interiorità. 

La lectio divina è sorgente di giovinezza, di rinnovamento; ci spoglia dalla crosta dell’uomo vecchio. La fecondità della Chiesa e la profondità della vita spirituale dei fedeli è in rapporto diretto con l’ascolto della Parola di Dio, “ viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio “ (Eb 4,12). 

La Chiesa nasce dalla Parola e vive nutrendosi di essa: “ Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli ” (At 2,42). La Lectio divina di per sé è un metodo semplice, adatto a tutti, anche se inizialmente resterà difficile, come il silenzio e la solitudine; è necessario, come Salomone, chiedere con insistenza l’aiuto dello Spirito (1Re 3,5.9) e il segreto della sua riuscita sarà sempre l’assiduità, la continuità, la perseveranza, in un clima sereno, pacato, pacificatore. 

Vediamone i passaggi: 

1. La lettura (Lectio) La lettura è il primo grado. E’ necessario leggere, leggere, leggere! Leggere molto per familiarizzare con la Bibbia. E’ utile leggere sottolineando, per esempio, i verbi, le espressioni più caratteristiche, le frasi principali, i particolari, soprattutto i passi paralleli, secondo l’antico detto, la Bibbia spiega la Bibbia. Ogni Parola del testo sacro è spirito e vita e non attende altro che l’avidità del cuore per precipitarsi in esso. Prima di arrivare al cuore, la parola passa attraverso l’intelligenza e l’intelligenza attraverso l’ascolto (cfr. Samuele “ Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta ”). Di solito crediamo che pregare significhi essenzialmente parlare a Dio, dire delle formule. No! La Bibbia ci ricorda che il primo atteggiamento della preghiera è l’ascolto, sempre: “ Ascolta, Israele ” (Dt 6,4). Il Signore ci ha dato due orecchie e una sola lingua per dirci -ci ammoniscono alcuni Padri- che nella vita dobbiamo ascoltare il doppio di quanto parliamo. 

 2. La meditazione (meditatio) E’ necessario che la lettura sia meditata, ruminata in un clima di serenità: la meditazione era, per i medievali, una lenta ruminatio, un masticare e un rimasticare il cibo della Parola. “Quando le tue parole mi vennero incontro le divorai con avidità; la tua Parola fu la gioia e la 36 letizia del mio cuore “ (Ger 15,16). Con la meditazione o ruminatio, la Parola di Dio entra poco alla volta, strappa le maschere, rivela e infrange l’alienazione in cui viviamo, passa nella nostra mente e pian piano, ma con efficacia e forza dirompente, nel nostro cuore: essa è una spinta incessante che obbliga a prendere posizioni, che impegna, esige, stimola, giudica, conduce alla pratica. 

3. L’orazione (oratio) Dopo aver visto che cosa dice il testo in sé, che cosa dice a me (noi) qui e oggi, nasce il dialogo, la preghiera. L’oratio è semplice, si tratta di rispondere a Dio, è un’umile eco di quanto Lui ci ha detto; dal cuore risale nelle nostre labbra per divenire lode, rendimento di grazie, supplica, perdono o anche ribellione o imprecazione. E’ necessario credere nella forza creatrice della Parola, perchè essa fa ciò che annuncia, dice e compie, insegna e anima, illumina e fortifica (Is 55, 9-11). 

4. La contemplazione (contemplatio o visio) La contemplazione riassume in sè tutto il cammino percorso, è l’atteggiamento di chi s’immerge negli avvenimenti per scoprire e gustare in essi la presenza attiva e creativa della Parola di Dio che “penetra le nubi e indaga i segreti del cielo“.La contemplazione non solo medita il messaggio, ma lo realizza; non solo ascolta, ma lo mette in pratica. La contemplazione ci fa scoprire che non è Dio a non parlare oggi, ma forse siamo noi a non ascoltare sempre la sua voce “ Se il mio popolo mi ascoltasse...! ” (Sal 81,14). Il credente sperimenta la «gioia ineffabile» (1Pt 1, 8) dell'inabitazione della presenza del Signore in lui. 

S. Bernardo ha parlato di tale esperienza successiva all'ascolto della Parola di Dio nei termini di «visita del Verbo»: «Confesso che il Verbo mi ha visitato, e parecchie volte. Sebbene spesso sia entrato in me, io non me ne sono neppure accorto. Sentivo che era presente, ricordo che era venuto; a volte ho potuto presentire la sua visita, ma non sentirla; e neppure sentivo il suo andarsene, poiché di dove sia entrato in me, o dove se ne sia andato lasciandomi di nuovo, e per dove sia entrato o uscito, anche ora confesso di ignorarlo, secondo quanto è detto: "Non sai di dove venga e dove vada"» . 

La contemplazione non allude a «visioni» o a esperienze mistiche particolari, ma indica la progressiva conformazione dello sguardo dell'uomo a quello divino; indica l'acquisizione del dono dello Spirito che diviene nell'uomo spirito di ringraziamento e di compassione, di discernimento. La contemplatio non è un momento in cui bisogna fare qualcosa di particolarmente spirituale, ma è quotidiano allenamento ad assumere lo sguardo di Dio su di noi e sulla realtà. La lectio divina plasma un uomo eucaristico, capace di gratitudine e di gratuità, di carità e di discernimento della presenza del Signore nelle diverse situazioni dell'esistenza. Iniziata con l'invocazione dello Spirito, la lectio divina sfocia nella contemplazione. Essa tende all'eucaristia, svelando il suo intrinseco legame con la liturgia: «La lectio divina, nella quale la Parola di Dio è letta e meditata per trasformarsi in preghiera, è radicata nella celebrazione liturgica». 

Il dinamismo della lectio divina rappresenta il nucleo di tutta quanta la vita spirituale. Alla luce di questo, comprendiamo l'invito pressante di Benedetto XVI a riprendere e a diffondere la pratica della lectio divina per un rinnovamento della vita ecclesiale: «Vorrei soprattutto evocare e raccomandare l'antica tradizione della lectio divina... Questa prassi, se efficacemente promossa, apporterà alla Chiesa una nuova primavera spirituale» 

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63 . 61 S. BERNARDO, Sul Cantico dei Cantici, LXXIV, 5). 62 Catechismo della Chiesa Cattolica, 1177 63 BENEDETTO XVI (Messaggio rivolto ai partecipanti al Congresso internazionale sulla Sacra Scrittura nella vita della Chiesa, Roma, 14-18 settembre 2005). 

8. COSTITUZIONE DOGMATICA del CONCILIO ECUMENICO VATICANO II° DEI VERBUM SULLA DIVINA RIVELAZIONE:http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/cristianesimo/Studio%20Teologico%20Abbazia%20territoriale%20di%20Monte%20Oliveto%20Maggiore,%20Corso%20sulla%20Dei%20Verbum.pdf


AMDG et D.V.MARIAE

 

sabato 4 maggio 2024

SAN CIRIACO, Patrono di Ancona....

 

San Ciriaco di Gerusalemme, vescovo e martire

4 Maggio 2024

Nato a Gerusalemme da Simeone e Anna, con il nome di Giuda, si sa abbastanza poco della sua vita e sono presenti molte versioni discordi. 

La più condivisa sostiene che il Santo era precedentemente Rabbino presso una locale Sinagoga. 

Nel 326 l’Imperatrice Flavia Giulia Elena (venerata dai Cristiani come Santa Elena Imperatrice), madre dell’Imperatore Costantino I, noto perchè promulgò l’Editto di Milano che dopo secoli di repressione stabiliva la libertà di credo, si recò nella Città Santa per cercare la Croce dove Gesù Cristo venne crocefisso.


Nel 326 l’Imperatrice Flavia Giulia Elena (venerata dai Cristiani come Santa Elena Imperatrice), madre dell’Imperatore Costantino I, venne a sapere che il Rabbino Giuda, nipote di Zaccheo, era a conoscenza del luogo dove la Croce era seppellita, l’uomo però era restio a rivelare informazioni così importanti, venne lasciato per ben sei giorni in una cisterna vuota in totale digiuno, dopo questa tortura, Giuda disse all’Imperatrice tutto ciò che sapeva. 

Il 3 maggio 326, data in cui la Vera Croce venne rinvenuta, il Santo si convertì al Cristianesimo e venne battezzato (alla presenza dell’Imperatrice Elena) dal Vescovo di Gerusalemme Macario, che lo rinominò Ciriaco (dal greco “dedicato al Signore”). Per questo avvenimento Ciriaco viene anche ricordato come “inventor Crucis” ovvero “ritrovatore della Croce”.


Da quel momento Ciriaco si prodigò nella diffusione della Fede Cristiana e nello studio dei Vangeli, cosa che lo portò ad essere nominato Vescovo di Gerusalemme da Papa Silvestro I nel 327.

 
Ben 36 anni dopo (363 d.C.) l’Imperatore Flavio Claudio Giuliano (ultimo Imperatore pagano, l'apostata') ne ordinò l’incarcerazione e le conseguenti torture.


Il martirio viene datato il primo giorno di Maggio alle ore otto, nella Città Santa di Gerusalemme. Anche la madre di Ciriaco venne torturata e arsa viva il medesimo giorno. 

Entrambi vennero sepolti ai piedi del Golgota, nelle vicinanze dove venne recuperata la Santa Croce. La Chiesa fissò la data del ricordo di San Ciriaco il 4 maggio, proprio a causa del suo rapporto legato al Ritrovamento della Vera Croce.


La città di Ancona nelle Marche ha un rapporto molto particolare con il Santo che fu Vescovo della Città, poi si recò in Palestina per un pellegrinaggio dove subì l’atroce sorte. Le spoglie del Santo sono conservate nel Duomo di Ancona

SAN CIRIACO PREGA PER NOI.

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*lavocecattolica.it/notiziestoriche.santidiancona.pdf

*https://www.lavocecattolica.com/

*https://www.conchiglia.net/==_IT_2M24/MONOS-Unico/4_maggio_San_Ciriaco_patrono_Ancona_fece_ritrovare_Croce_di_Gesu_a_Sant_Elena.pdf

AMDG et D.V.MARIAE

Comunione Spirituale

 


SpiritualisCommunio

 

"Mi Iésu,/ crédo Te in Sanctìssimo Sacraménto adésse,/

Te ànte òmnia àmo,/ Tùi desidério tòto còrde flàgro./

Quìa nunc per sacraméntum Te accìpere néqueo,/

sàltem, spìritu tàntum, quæso,/ in cor méum véni...

 

Quàsi iàm præséntem Te ampléctor,/ Totùmque me Técum iùngo;/

ne ùmquam sìnas ut a Te discédam".

 

<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>