sabato 18 febbraio 2023

Calendario -BXVI-2023


SICURAMENTE NON CI HA DIMENTICATI


 

I Calendari del 2023

Cari Amici, il 2023 lo ricorderemo per alcune ricorrenze a noi e a voi care e speciali, così da averle volute fermare nei Calendari che vi doniamo, in formato pdf, con tutto il cuore: 120 anni dalla morte di Leone XIII e di conseguenza l’elezione di san Pio X; 120 anni dall’entrata in convento di san Padre Pio e non poteva mancare il primo Calendario degli Apostoli di Maria (AdM) Buon Anno a tutti i Figli e le Figlie di DIO

Nuovo Calendario dedicato all’amato Pontefice Benedetto XVI, morto il 31 dicembre 2022

CALENDARIO 2023 dedicato a Benedetto XVI:

CALENDARIO 2023 dedicato a Benedetto XVI

Calendario del 2023 dedicato a papa Leone XIII

Calendario del 2023 dedicato a San Pio X

Calendario del 2023 dedicato a San Pio da Pietrelcina

Calendario degli Apostoli di Maria (AdM)




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venerdì 17 febbraio 2023

giovedì 16 febbraio 2023

UNA SINTESI DI PAPA GIOVANNI PAOLO I°

 




AVE MARIA!

BRANI dai discorsi e dagli scritti di PAPA LUCIANI


«Io rischio di dire uno sproposito...


...ma lo dico. Il Signore ama tanto l’umiltà che a volte permette dei peccati gravi. Perché? Perché quelli che li hanno commessi, questi peccati, dopo pentiti, restino umili. Non vien voglia di credersi dei mezzi santi, dei mezzi angeli quando si sa di aver commesso delle mancanze gravi. Il Signore ha tanto raccomandato: siate umili. Anche se avete fatto delle grandi cose, dite: siamo servi inutili». (Udienza generale, 6 settembre 1978).


Brani dai discorsi e dagli scritti di Luciani


Io sono la pura e povera polvere
«Non so che cosa abbia pensato il Signore, che cosa abbia pensato il Papa, che cosa abbia pensato la divina Provvidenza di me. Sto pensando in questi giorni che con me il Signore attua il suo vecchio sistema: prende i piccoli dal fango della strada e li mette in alto, prende la gente dai campi, dalle reti del mare, del lago e ne fa degli apostoli. È il suo vecchio sistema. Certe cose il Signore non le vuole scrivere né sul bronzo, né sul marmo, ma addirittura nella polvere, affinché se la scrittura resta, non scompaginata, non dispersa dal vento, sia bene chiaro che tutto è opera e tutto è merito del solo Signore. Io sono il piccolo di una volta, io sono colui che viene dai campi, io sono la pura e povera polvere; su questa polvere il Signore ha scritto la dignità episcopale dell’illustre diocesi di Vittorio Veneto. Se qualche cosa mai di buono salterà fuori da tutto questo, sia ben chiaro fin da adesso: è solo frutto della bontà, della grazia, della misericordia del Signore».
(Omelia del 6 gennaio 1959, a Canale d’Agordo)


Il catechismo
«Messo da parte il catechismo non saprete che mezzi adoperare per fare buoni piccoli e grandi. Tirerete in campo la “dignità umana”? I piccoli non capiscono che cosa sia, i grandi se ne infischiano. Metterete avanti “l’imperativo categorico”? Peggio che peggio... Si dice che anche la filosofia e la scienza sono capaci di far buoni e nobili gli uomini. Ma non c’è neppure confronto col catechismo, che insegna in breve la sapienza di tutte le biblioteche, risolve i problemi di tutte le filosofie e soddisfa alle ricerche più penose e difficili dello spirito umano».
(Catechetica in briciole, 1949)


Da formule che sembravano aride, una fiammante santità
«Stiamo uniti nell’insegnare le stesse cose: non opinioni più o meno rispettabili, ma ciò che il Magistero della Chiesa propone... Il criterio del catechizzare è dunque il depositum custodi di san Paolo, non l’altro, talora usato: “Che cosa piace? che cosa è oggi alla moda? che cosa mi farà apparire aggiornato e brillante?”... Con il Papa, esorto a non nutrire troppi pregiudizi contro l’uso sapiente e moderato sia delle formule che della memorizzazione. D’accordo, sapere a memoria non è sapere... Tuttavia una formula capita e ricordata a memoria è come un attaccapanni al quale, nonostante il passare degli anni, restano appese le cognizioni religiose più importanti. Certe formule di chimica e di algebra, alcuni articoli fondamentali del codice, perché esigono precisione, sono appresi a memoria al liceo e all’università. Ora, c’è codice più impegnativo delle verità religiose e dei precetti morali? Sono aride, si dice, le formule. Anche il cerino sembra arido ma, strofinato, si fa fiamma. Qui nel Veneto, noi abbiamo il caso di santa Bertilla Boscardin, che conobbe quasi soltanto il catechismo a formule. Gliel’aveva dato il parroco, quand’era fanciulla; se l’è portato in convento; lo leggeva e rileggeva continuamente; lo trovarono nella tasca della sua veste dopo la morte. Era quasi consunto, ma la santa da quelle formule, che sembravano aride, aveva saputo far scaturire una fiammante santità».
(Omelia ai catechisti, Venezia, 29 ottobre 1977)


Marco sembra aver visto
«San Marco, come sintassi, vocabolario, costruzione e tornitura di periodo, è un povero scrittore. Ma è vivace, è pittoresco: per questo piace. Solo Marco riporta tali e quali, in aramaico, certe frasi pronunciate da Gesù. Questa per esempio: “Talitha qoum”, “Figliolina, alzati su!”. Quest’altra: “Eloi, lama sabacthani?”, “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Tutto ciò aiuta a vedere e sentire l’ambiente palestinese. Più che insegnare, Marco descrive: sembra aver visto».
(Omelia per la festa di san Marco, Venezia, 25 aprile 1974)


L’evidenza dei fatti
«Dice san Paolo: “Fu seppellito... risuscitò il terzo giorno... apparve a Cefa, quindi ai Dodici, poi apparve in una volta sola a più di cinquecento fratelli, dei quali i più rimangono sino ad oggi... Inoltre apparve a Giacomo, poi a tutti gli apostoli; ultimo fra tutti apparve anche a me” (1 Cor 15, 4-9). Quattro volte qui Paolo adopera il verbo apparve, insistendo sulla percezione visiva; ora, l’occhio non vede qualcosa di interno, ma di esterno a noi, una realtà distinta da noi, che ci si impone dal di fuori. Ciò allontana la tesi di un’allucinazione, di cui, del resto, gli apostoli furono i primi ad aver paura. Essi pensarono infatti dapprima di vedere uno spirito, non il vero Gesù, tanto che questi li dovette rassicurare: “Perché siete sconvolti? Guardate le mie mani e i miei piedi, ché sono proprio io. Toccatemi e guardate, poiché uno spirito non ha carne e ossa, come vedete che ho io!” (Lc 24, 38). Essi non credevano ancora e Gesù disse loro: “‘Avete qui qualcosa da mangiare?’. Gli misero davanti un pezzo di pesce arrostito. E davanti ai loro occhi lo prese e lo mangiò” (Lc 24, 41-43). L’incredulità iniziale, dunque, non fu del solo Tommaso, ma di tutti gli apostoli, gente sana, robusta, realista, allergica a ogni fenomeno di allucinazione, che s’è arresa solo davanti all’evidenza dei fatti.
Con un materiale umano siffatto era anche improbabilissimo il passare dall’idea di un Cristo meritevole di rivivere spiritualmente nei cuori all’idea di una risurrezione corporale a forza di riflessione e di entusiasmo. Tra l’altro, al posto dell’entusiasmo, dopo la morte di Cristo, c’era negli apostoli solo sconforto e delusione. Mancò poi il tempo: non è in quindici giorni che un forte gruppo di persone, non abituate a speculare, cambia in blocco mentalità senza il sostegno di solide prove!».
(Omelia per la veglia pasquale, Venezia, 21 aprile 1973)


Di vecchia gnosi si tratta
«“Teologia nuova?”. Ben venga! A volte, però, ci si illude: non di nuova teologia si tratta, ma di vecchia gnosi. Riemerge, infatti, spesso, la mentalità presuntuosa degli antichi gnostici: “Noi diamo spiegazioni a livello di altissima scienza; noi ce le mangiamo le povere, viete e superate spiegazioni del Magistero!”. Ritorna anche il metodo della gnosi: prendere cioè i temi ed i termini della fede cattolica, ma solo parzialmente, arrogandosi il diritto di setacciarli e selezionarli, di intenderli a modo proprio, di mescolarli a ideologie estranee e di fondare l’adesione alla fede non più sull’autorità divina, ma su motivi umani; per esempio, su questa o quella opzione filosofica, sul combaciare di un dato tema con determinate scelte politiche abbracciate in antecedenza».
(Omelia su Cristo liberatore, Venezia, 7 marzo 1973)


Quietismo e pelagianesimo
«...non ho nessun desiderio di fare l’eresiologo; a volte, tuttavia, è forte in me la tentazione di segnalare tracce di quietismo e di semiquietismo, di pelagianesimo e di semipelagianesimo in scritti e discorsi, che o descrivono il lavoro pastorale come tutto dipendesse dagli uomini o dalle tecniche sociologiche, o parlano di noi poveri uomini come non avessimo più nulla a che vedere con il peccato».
(Invito al clero per gli esercizi spirituali, Venezia, 5 agosto 1974)


L’amore alla Tradizione
«Lo studio e la lettura devota (che non è studio) della Bibbia non occorre raccomandarli oggi: per fortuna, l’uno e l’altra sono entrati nei cuori dopo il Concilio. Vi raccomando invece l’amore alla Tradizione: non siate di coloro che, abbagliati e accecati, più che illuminati, da qualche lampo, pensano che ora soltanto è nato il sole e vogliono tutto rovesciare e cambiare».
(Inizio d’anno del seminario, Venezia, 20 settembre 1977)


Solo Dio può toccare il cuore
«Uno dei più brillanti vescovi è stato san Paolo apostolo, il quale diceva della propria predicazione fatta a Corinto: “Io ho gettato il seme, ma nulla sarebbe successo se Dio non l’avesse sviluppato e fatto sbocciare”. Non è questione di correre; è questione soltanto di misericordia e di delicatezza di Dio. Io vescovo e i miei sacerdoti possiamo istruire, illuminare, convincere anche, ma non di più; solo Dio può toccare il cuore e convertirvi».
(Prima omelia in Cattedrale, Vittorio Veneto, 11 gennaio 1959)


Il peccato commesso diventa quasi un gioiello
«A Pasqua, Dio aspetta. Un disperso che ritorna gli procura più consolazione che novantanove rimasti fedeli; data la sua infinita misericordia, mentre un peccato ancora da commettere va evitato a costo di qualunque sacrificio, il peccato già commesso diventa nelle nostre mani quasi un gioiello, che gli possiamo regalare, per procurarGli la consolazione di perdonare. Proviamo! Si fa i signori. Quando si regalano i gioielli».
(Lettera ai fedeli di Vittorio Veneto, 7 febbraio 1959)


Il conclave
«Uno scritto di san Bernardo venne utilizzato una volta in un modo ben curioso. Avvenne durante un conclave per l’elezione del papa e i cardinali erano molto indecisi sulla scelta. Uno di essi domandò la parola e fece la seguente riflessione: “Cari colleghi, il criterio da usare in questo momento venne esposto già con chiarezza e limpidezza da san Bernardo nella lettera tale e tale. Vi si legge: ‘Se qualcuno è sapiente, ci dia buone lezioni; se ha pietà, preghi per noi; se è prudente, questi ci governi’. Inchiniamoci dunque davanti a quelli che tra noi sono sapienti e hanno pietà, ma eleggiamo colui che è dotato di prudenza”».
(Elogio della prudenza. Discorso all’Università Federale di Santa Maria, in Brasile, novembre 1975).


Roma e i poveri
«Alcune delle sue parole [del sindaco di Roma] m’hanno fatto venire in mente una delle preghiere che, fanciullo, recitavo con la mamma. Suonava così: “I peccati, che gridano vendetta al cospetto di Dio, sono... opprimere i poveri, defraudare la giusta mercede agli operai”. A sua volta, il parroco mi interrogava alla scuola di catechismo: “I peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, perché sono dei più gravi e funesti?”. Ed io rispondevo col catechismo di Pio X: “... perché direttamente contrari al bene dell’umanità e odiosissimi, tanto che provocano, più degli altri, i castighi di Dio”. 
Roma sarà una vera comunità cristiana, se Dio vi sarà onorato non solo con l’affluenza dei fedeli alle chiese, non solo con la vita privata vissuta morigeratamente, ma anche con l’amore ai poveri. Questi – diceva il diacono romano Lorenzo – sono i veri tesori della Chiesa; vanno, pertanto, aiutati da chi può, ad avere e ad essere di più senza venire umiliati ed offesi con ricchezze ostentate, con denaro sperperato in cose futili e non investito – quando possibile – in imprese di comune vantaggio».
(Basilica di San Giovanni in Laterano, 23 settembre 1978)

Santi Faustino e Giovita Martiri



La "Leggenda maior" ci racconta che entrambi erano figli di una nobile famiglia pagana di Brescia. Entrarono presto nell'ordine equestre e divennero cavalieri. Attratti dal Cristianesimo, dopo lunghi colloqui con il vescovo sant'Apollonio, chiedono e ottengono il battesimo.

Si dedicano subito all'evangelizzazione delle terre bresciane e per il loro zelo il vescovo Apollonio nomina Faustino presbitero e Giovita diacono. Il successo della loro predicazione li rende invisi ai maggiorenti di Brescia che approfittando della persecuzione voluta da Traiano (la terza) invitano il governatore della Rezia Italico ed eliminare i due col pretesto del mantenimento dell'ordine pubblico. La morte di Traiano ritarda però i piani del governatore, che approfittando però della visita del nuovo imperatore Adriano a Milano denuncia i due predicatori come nemici della religione pagana. 
L'imperatore preoccupato da l'autorizzazione a Italico per la loro persecuzione. Questi dapprima minacciandoli di decapitazione chiede ai due giovani di abiurare e di sacrificare agli dei, ma i due si rifiutano e per questo vengono carcerati. Nel frattempo l'imperatore Adriano conduce una campagna militare nelle Gallie e rientrando in Italia si ferma a Brescia, Italico lo coinvolge direttamente nella questione ed è l'imperatore stesso a chiedere ai giovani il sacrificio al dio sole.
 
I giovani non solo si rifiutano ma danneggiano la statua del dio. L'imperatore ordina allora che siano dati in pasto alle belve del circo, ma le bestie si accovacciano mansuete ai piedi dei giovani e Faustino approfitta dell'occasione per chiedere la conversione degli spettatori dello spettacolo circense e molti proclameranno la loro fede al Cristo, tra questi Afra, la moglie del governatore Italico, che conoscerà ella stessa il martirio e la santità. 
La conversione del ministro del palazzo imperiale nonché comandante della corte pretoria, Calocero, irrita ancor più l'imperatore che ordina che i giovani siano scorticati vivi e messi al rogo, ma le fiamme non lambiscono nemmeno le vesti dei giovani, che vengono condotti in carcere a Milano, perché le conversioni a Brescia continuano ad aumentare. A Milano sono nuovamente torturati e subiscono il supplizio dell'eculeo, ma anche in questa prigionia succedono eventi miracolosi, come l'uscita dal carcere dei due per incontrare e battezzare san Secondo.

Trasferiti a Roma vengono portati al Colosseo dove nuovamente le belve si ammansiscono ai loro piedi. Inviati a Napoli per nave, durante il viaggio sedano una tempesta. A Napoli sono nuovamente torturati e abbandonati in mare su una barchetta, ma gli angeli li riportano a riva. 

L'imperatore ordina allora il loro rientro a Brescia dove il nuovo prefetto eseguirà la sentenza di decapitazione il 15 febbraio poco fuori di porta Matolfa. Saranno sepolti nel vicino cimitero di San Latino dove il vescovo san Faustino (ecco un altro santo con nome Faustino) costruirà la chiesa di San Faustino ad sanguinem, poi Sant'Afra e oggi Sant'Angela Merici. 

Alcune reliquie sono oggi conservate nella basilica dedicata ai due martiri. I due martiri sono raffigurati spesso in veste militare romana con la spada in un pugno e la palma del martirio nell'altra, in altre raffigurazioni sono in vesti religiose, Faustino da presbitero, Giovita da diacono.

Di storico vi è l'esistenza dei due giovani cavalieri, convertitosi al cristianesimo, tra i primi evangelizzatori delle terre bresciane e morti martiri tra il 120 e il 134 al tempo di Adriano, che molto probabilmente non li conobbe mai e che da quanto risulta non ordinò mai direttamente una persecuzione, ma semplicemente non intervenne mai per impedire quelle che nascevano nei vari angoli dell'impero. 

Il loro culto si diffuse verso l'VIII secolo, periodo in cui fu scritta la leggenda, prima a Brescia e poi per mezzo dei longobardi in tutta la penisola ed in particolare a Viterbo. Il loro patronato su Brescia fu confermato anche a causa di una visione dei due santi che combattevano a fianco dei bresciani contro i milanesi nello scontro decisivo che fece togliere l'assedio alla città, il 13 dicembre 1438. 

AMDG et DVM