mercoledì 8 febbraio 2023

Sette Regole che reggono

Uniamoci carissimi fratelli al Santo Papa Giovanni Paolo I,
così umile e pieno di bontà,
chiedendoGli di intercedere per noi presso il Padre 


«SETTE REGOLE» CHE REGGONO


A san Bernardino da Siena

Caro Santo sorridente,

Papa Giovanni apprezzava talmente le tue prediche scritte

che voleva proclamarti dottore della chiesa. Morì e non se ne

fece, sinora, nulla. Peccato!

Quelle che il buon papa apprezzava, non erano però le tue

prediche in latino, studiate, limate, ben suddivise, bensì le prediche

in italiano, raccolte dalla tua voce, tutte sprizzanti vita,

fervore religioso, umorismo e saggezza pratica. Egli ti vagheggiava,

forse, «Dottore Sorridente» accanto al «Mellifluo» Bernardo,

all’«Angelico» Tommaso, al «Serafico» Bonaventura, al «Consolante» 

Francesco di Sales.

Pensava che in tempi in cui parole difficili, irte di ismi nebulosi,

sono usate ad esprimere perfino le cose più facili di questo

mondo, fosse opportuno mettere in risalto il fraticello che aveva

insegnato: «Parla chiarozzo, acciò che chi ode, ne vada contento

e illuminato, e non imbarbagliato»!

E tutt’altro che «imbarbagliati» rimasero, davanti alla tua

predica, i professori e gli studenti dell’università di Siena nel giugno

del 1427. Tu parlasti loro del «modo di studiare», proponesti

«sette regole» e concludesti: «Le quali sette regole se le osservi

e vi continui, in poco tempo diventerai valent’uomo o valente

donna».

Col tuo permesso, abbreviandole e... addomesticandole, io

tento ora di richiamare le tue «sette regole» in vista degli studenti

di oggi.

I quali sono brava e simpatica gente, che non corrono nessunissimo

pericolo di venire «imbarbagliati», per il semplice motivo

che vogliono fare da sé la propria esperienza delle cose. Né da te

né da me gradiscono «modelli di comportamento», che odorino

di moralismo a un chilometro di distanza. E probabilmente non

leggeranno queste righe, ma io le scrivo lo stesso; scrivo a te.

Anche Einaudi ha scritto le Prediche inutili, che, tuttavia, a

qualcuno sono riuscite utili.

* * *

Prima regola, la estimazione. Uno non arriva a studiare sul

serio, se prima non stima lo studio. Non arriva a farsi una cultura,

se prima non stima la cultura.

Quello studente fa arco della schiena sui libri. Tu scrivi: «Bene!

così non ti grilla il cervello come altri zovincelli, che non

attendono a studio niuno, ma a forbire le panche!». Ama i libri,

sarai a contatto con gli uomini grandi del passato: «Parlerai loro

ed essi parleranno con te; udiranno te, e tu udirai loro, e gran

diletto ne piglierai».

Cosa diventa, invece, lo studente scioperato? Diventa «come

uno porco in istia che pappa e bee e dorme». Diventa «Messer

Zero», che non combinerà nulla di grande e di bello nella vita.

Intendiamoci: per una vera cultura sono da apprezzare, oltre

che i libri, anche la discussione, il lavoro di gruppo, lo scambio

di esperienze. Tutte queste cose ci stimolano ad essere attivi oltre

che ricettivi; ci aiutano ad essere noi stessi nell’imparare, a manifestare

agli altri il nostro pensiero in modo originale; favoriscono

l’attenzione cortese verso il prossimo.

Mai però venga meno l’estimazione verso i grandi «maestri»;

essere i confidenti di grandi idee vale più che essere gli inventori

di idee mediocri. Diceva Pascal: «Colui che è salito sulle spalle

di un altro, vedrà più lontano dell’altro, anche se è più piccolo

di lui!».

* * *

Seconda regola, la separazione. Separarsi, almeno un pochino!

Altrimenti non si studia sul serio. Gli atleti devono pur

astenersi da molte cose: lo studente è un po’ atleta e tu, caro fra

Bernardino, gli hai preparato tutta una lista di cose «proibite».

Ne riporto qui solo due: cattive compagnie, cattive letture.

«Uno libertino tutti li guasta. Una mela fracida, accostata alle

buone, tutte l’altre corrompe». «Occhio – tu scrivi – anche ai

libri di Ovidio e altri libri di innamoramenti». Senza disturbare

Ovidio, oggi tu parleresti esplicito di libri, di rotocalchi indecenti,

cinema cattivi e droga. Intatta, invece, conserveresti la seguente

apostrofe: «Quando tu, padre, hai un figliolo a studio, a

Bologna, o dove si sia, e tu senti che egli è innamorato, non gli

mandare più denari. Fallo tornare, ché egli non imparerà nulla,

se non canzonette e sonetti... e sarà poi Messer coram-vobis».

Efficace quest’ultimo rimedio, di «tagliare i viveri». Ma oggi

esso non scatta più: lo stato, infatti, si sostituisce, se occorre, ai

papà, snocciolando agli universitari il presalario.

Rimane una speranza: che lo studente si applichi da sé il

«rimedio del saltimbanco».

Ti è noto: salito su una sedia, il saltimbanco, ai contadini

che l’attorniavano attoniti e a bocca aperta in giorno di mercato,

mostrava una scatoletta chiusa: «Qui dentro – diceva – c’è il rimedio

efficacissimo per i calci dei muli: costa poco, pochissimo,

acquistarlo è una fortuna». E di fatto, molti acquistavano. Ma

ad uno dei compratori venne voglia di aprire la scatola: vi trovò

nient’altro che due metri di sottile spago. Alzò la voce a protestare:

«È una truffa!». «Niente truffa – rispose l’imbonitore – tu

sta’ distante quanto è lungo lo spago e nessun calcio sprangato da

mulo ti potrà raggiungere!».

È il rimedio classico e radicale suggerito da voi predicatori;

vale per tutti, vale specialmente per gli studenti esposti oggi a

mille insidie. Separazione! Da tutti i “muli», che sprangano calci

morali!

* * *

Terza regola, quietazione. «L’anima nostra è fatta come l’acqua.

Quando sta quieta, la mente è come un’acqua quieta; ma

quando è commossa, s’intorbida». Va dunque fatta riposare e

quietare, questa mente, se si vuol imparare, approfondire e ritenere.

Com’è possibile riempire la testa di tutti i personaggi dei

rotocalchi, del cinema, del «video», degli sport, così vivaci, invadenti

e talvolta avvilenti e inquinanti, e poi pretendere ch’essa

ritenga, insieme, le nozioni dei libri di scuola, al confronto così

scolorite e scialbe?

Una fascia di silenzio occorre proprio attorno alla mente di

chi studia, perché si conservi quieta e pulita. Tu, piissimo frate,

suggerisci di chiederla al Signore; suggerisci perfino la giaculatoria

adatta: «Quietaci, messer Domeneddio, la mente». Gli studenti

nostri, a questo punto, sorrideranno; sono abituati spesso

a ben altre giaculatorie! Ma tant’è: un po’ di silenzio e un pizzico

di preghiera in mezzo a tanto quotidiano fracasso non guasta in

alcun modo!

* * *

Quarta regola, ordinazione, cioè ordine, equilibrio, giusto

mezzo, sia nelle cose del corpo che dello spirito. Mangiare? «Sì –

tu scrivi – ma non troppo né poco. Tutti gli estremi sono viziosi,

la via del mezzo ottima. Non si può portare due some: lo studio

e il poco mangiare, il troppo mangiare e lo studio: ché l’uno ti

farà intisichire e l’altro ti ingrosserà il cervello». Dormire? Anche,

ma «non troppo né poco... più utile è levarsi per tempo... con la

mente sobria».

Pur lo spirito ha bisogno di ordinare e tu continui: «Non

mandare il carro davanti ai buoi... impara piuttosto meno scienza

e sàppila bene, che assai e male!». Salvator Rosa è d’accordo

con te, quando scrive: Se infarinato se’, vatti a far friggere. L’imparaticcio,

la semplice infarinatura, la superficialità, il pressappochismo

non sono cose serie. Tu consigli anche di avere simpatie

personali tra i vari autori o le varie materie: «Fa’ istima in te più

d’uno dottore che d’un altro, o d’un libro che d’un altro... Non

ne dispregiare però niuno».

* * *

Quinta regola, continuazione, ossia perseveranza. «La mosca

si posa appena sul fiore e passa, volubile e agitata, ad un altro

fiore; il calabrone si ferma un po’ di più, ma gli preme far rumore;

l’ape, invece, silenziosa e operosa, si ferma, succhia a fondo

il nettare, porta a casa e ci dà il miele dolcissimo». Così scriveva

san Francesco di Sales e mi pare che tu convenga in pieno: niente

studenti-mosca, niente studenti-calabrone, ti piace la volitività

tenace e realizzatrice e hai ragione da vendere.

Nella scuola e nella vita, non basta desiderare, bisogna volere.

Non basta cominciare a volere, ma occorre continuare a

volere. E non basta neppure continuare, ma è necessario saper ricominciare

a volere da capo tutte le volte che ci si è fermati o per

pigrizia o per insuccessi o per cadute. La sfortuna di un giovane

studente, più che la scarsa memoria, è una volontà di stoppa. La

fortuna, più che il forte ingegno, è una volontà robusta e tenace.

Ma questa si tempra soltanto al sole della grazia di Dio, si scalda

al fuoco delle grandi idee e dei grandi esempi!

* * *

Sesta regola, discrezione. Vuol dire: fare il passo secondo la

gamba; non prendere il torcicollo a forza di mirare a mete troppo

alte; non mettere mano a troppe cose insieme; non pretendere i

risultati dalla sera alla mattina.

Essere il primo della classe è interessante, ma non è per me,

se ho i soldi dell’ingegno contati in tasca; lavorerò con ogni impegno

e sarò contento anche se arrivo quarto o quinto. Mi piacerebbe

prendere lezioni di violino, ma tralascio, se esse danneggiano

i miei studi e fanno dire di me: «Chi due lepri insieme caccia,

una non prende e l’altra lascia!».

* * *

Settima regola, dilettazione, cioè prendere gusto. Non si può

studiare a lungo, se non si prende un po’ di gusto allo studio. E

il gusto non capita subito, ma dopo. Nei primi tempi c’è sempre

qualche ostacolo: la pigrizia da superare, occupazioni piacevoli

che ci attirano di più, la materia difficile. Il gusto viene più tardi,

quasi premio per lo sforzo fatto.

Tu scrivi: «Sanza essere ito a Parigi a studiare, impara dall’animale

ch’ha l’unghie fèsse (cioè il bue), che prima mangia e insacca,

e poi ruguma, a poco a poco». Ruguma significa rumina,

ma per te, caro e saggio santo, vuol dire qualcosa di più, cioè: il

bue va assaporandosi il fieno piano piano, quando è saporabile e

godibile, e fino in fondo. E così dovrebbe avvenire per i libri di

studio, cibo delle nostre menti.

* * *

Caro san Bernardino! Enea Silvio Piccolomini, tuo concittadino

e papa con il nome di Pio II, scrisse che, alla tua morte,

i signori più potenti d’Italia si divisero le tue reliquie. Ai poveri

senesi, che tanto ti amavano, nulla rimase di te. Restava solo

l’asinello, sulla cui groppa eri qualche volta salito, quando ti sentivi

stanco dal viaggio negli ultimi anni di tua vita. Le donne di

Siena videro un giorno passare la povera bestia, la fermarono, la

depilarono tutta e conservarono quei peli come reliquia.


Al posto dell’asinello, io ho spelacchiato e “spennato», rovinandola,

una delle tue bellissime prediche. Queste «penne» andranno

tutte disperse al vento o qualcuna, almeno da qualcuno,

sarà raccolta?

Settembre 1972

AMDG et DVM



Osservanza delle norme liturgiche e ars celebrandi

 Ars celebrandi 

1. La situazione nel post-Concilio

Il Concilio Vaticano II ha ordinato una riforma generale della sacra liturgia [1]. Essa è stata effettuata, dopo la chiusura del Concilio, da una commissione comunemente detta, per brevità, il Consilium [2]. È noto che la riforma liturgica è stata sin dall'inizio oggetto tanto di critiche, a volte radicali, quanto di esaltazioni, in certi casi eccessive. Non è nostra intenzione soffermarci su questo problema. Possiamo invece dire che si è generalmente d'accordo nel notare un forte aumento degli abusi in campo celebrativo dopo il Concilio.

Anche il Magistero recente ha preso atto della situazione e in molti casi ha richiamato alla stretta osservanza delle norme e delle rubriche liturgiche. D'altro canto, le leggi liturgiche stabilite per la forma ordinaria (o di Paolo VI) - quella che, eccezioni a parte, si celebra sempre e dovunque nella Chiesa di oggi - sono molto più "aperte" rispetto al passato. Esse consentono molte eccezioni e diverse applicazioni, e anche prevedono molteplici formulari per i diversi riti (la pluriformità persino aumenta nel passaggio dalla editio typica latina alle versioni nazionali). Nonostante ciò, un gran numero di sacerdoti ritiene di dover ulteriormente ampliare lo spazio lasciato alla "creatività", che si esprime soprattutto con il frequente cambiamento di parole o di intere frasi rispetto a quelle fissate nei libri liturgici, con l'inserimento di "riti" nuovi e spesso del tutto estranei alla tradizione liturgica e teologica della Chiesa e anche con l'uso di paramenti, vasi sacri e arredi che non sempre sono adeguati e, in alcuni casi più rari, rasentano persino il ridicolo. Il liturgista Cesare Giraudo ha sintetizzato la situazione con queste parole:

«Se prima [della riforma liturgica] c'erano fissità, sclerosi di forme, innaturalezza, che rendevano la liturgia di allora una "liturgia di ferro", oggi ci sono naturalezza e spontaneismo, indubbiamente sinceri, ma spesso fraintesi, malintesi, che fanno - o perlomeno rischiano di fare - della liturgia una "liturgia di caucciù", sgusciante, glissante, saponosa, che a volte si esprime in un ostentato affrancamento da ogni normativa rubricale. [...] Questa spontaneità fraintesa, che si identifica di fatto con l'improvvisazione, la faciloneria, il pressappochismo, il permissivismo, è il nuovo "criterio" che affascina innumerevoli operatori della pastorale, sacerdoti e laici.

[...] Non parliamo poi di quei sacerdoti che, talvolta e in taluni luoghi, si arrogano il diritto di utilizzare preghiere eucaristiche selvagge, o di comporne lì per lì il testo o parti di esso»[3].

Papa Giovanni Paolo II, nell'enciclica Ecclesia de Eucharistia, ha manifestato il suo malcontento per gli abusi liturgici che spesso avvengono, particolarmente nella celebrazione della S. Messa, in quanto «l'Eucaristia è un dono troppo grande, per sopportare ambiguità e diminuzioni»[4]. E ha aggiunto:

«Occorre purtroppo lamentare che, soprattutto a partire dagli anni della riforma liturgica post-conciliare, per un malinteso senso di creatività e di adattamento, non sono mancati abusi, che sono stati motivo di sofferenza per molti. Una certa reazione al "formalismo" ha portato qualcuno, specie in alcune regioni, a ritenere non obbliganti le "forme" scelte dalla grande tradizione liturgica della Chiesa e dal suo Magistero e a introdurre innovazioni non autorizzate e spesso del tutto sconvenienti.

Sento perciò il dovere di fare un caldo appello perché, nella Celebrazione eucaristica, le norme liturgiche siano osservate con grande fedeltà. Esse sono un'espressione concreta dell'autentica ecclesialità dell'Eucaristia; questo è il loro senso più profondo. La liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante, né della comunità nella quale si celebrano i misteri»[5].

2. Cause ed effetti del fenomeno

Il fenomeno della "disobbedienza liturgica" si è talmente esteso, per numero e in certi casi anche per gravità, da formare in molti una mentalità per la quale nella liturgia, fatte salve le parole della consacrazione eucaristica, si potrebbero apportare tutte le modifiche ritenute "pastoralmente" opportune dal sacerdote o dalla comunità. Questa situazione ha indotto lo stesso Giovanni Paolo II a chiedere alla Congregazione per il Culto Divino di preparare un'Istruzione disciplinare sulla Celebrazione dell'Eucaristia, pubblicata col titolo di Redemptionis Sacramentum il 25 marzo 2004. Nella citazione sopra riprodotta della Ecclesia de Eucharistia, si indicava nella reazione al formalismo una delle cause della "disobbedienza liturgica" del nostro tempo. La Redemptionis Sacramentum individua altre cause, tra cui un falso concetto di libertà[6] e l'ignoranza. Quest'ultima in particolare riguarda non solo la non conoscenza delle norme, ma anche una scarsa comprensione del valore storico e teologico di molti testi eucologici e riti: «Gli abusi trovano, infine, molto spesso fondamento nell'ignoranza, giacché per lo più si rigetta ciò di cui non si coglie il senso più profondo, né si conosce l'antichità»[7].

Innestando il tema della fedeltà alle norme in una comprensione teologica e storica, nonché nel contesto dell'ecclesiologia di comunione, l'Istruzione afferma:

«Troppo grande è il Mistero dell'Eucaristia "perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale". [...] Atti arbitrari, infatti, non giovano a un effettivo rinnovamento, ma ledono il giusto diritto dei fedeli all'azione liturgica che è espressione della vita della Chiesa secondo la sua tradizione e la sua disciplina. Inoltre, introducono elementi di deformazione e discordia nella stessa Celebrazione eucaristica che, in modo eminente e per sua natura, mira a significare e realizzare mirabilmente la comunione della vita divina e l'unità del popolo di Dio. Da essi derivano insicurezza dottrinale, perplessità e scandalo del popolo di Dio e, quasi inevitabilmente, reazioni aspre: tutti elementi che nel nostro tempo, in cui la vita cristiana risulta spesso particolarmente difficile in ragione del clima di "secolarizzazione", confondono e rattristano notevolmente molti fedeli.

Tutti i fedeli, invece, godono del diritto di avere una liturgia vera e in particolar modo una celebrazione della Santa Messa che sia così come la Chiesa ha voluto e stabilito, come prescritto nei libri liturgici e dalle altre leggi e norme. Allo stesso modo, il popolo cattolico ha il diritto che si celebri per esso in modo integro il sacrificio della Santa Messa, in piena conformità con la dottrina del Magistero della Chiesa. È, infine, diritto della comunità cattolica che per essa si compia la celebrazione della Santissima Eucaristia in modo tale che appaia come vero sacramento di unità, escludendo completamente ogni genere di difetti e gesti che possano generare divisioni e fazioni nella Chiesa»[8].

Particolarmente significativo in questo testo è il richiamo al diritto dei fedeli di avere la liturgia celebrata secondo le norme universali della Chiesa, nonché la sottolineatura del fatto che trasformazioni e modifiche della liturgia - pur se operate per motivi "pastorali" - non hanno in realtà un effetto positivo in questo campo; al contrario confondono, turbano, stancano e possono perfino far allontanare i fedeli dalla pratica religiosa. 

3. L'ars celebrandi

Ecco i motivi per i quali il Magistero negli ultimi quattro decenni ha richiamato diverse volte i sacerdoti all'importanza dell'ars celebrandi, la quale - se non consiste solo nella perfetta esecuzione dei riti in accordo alle rubriche, ma anche e soprattutto nello spirito di fede e adorazione con cui essi si celebrano - non si può però attuare se ci si discosta dalle norme fissate per la celebrazione[9]. Così si esprime ad esempio il Santo Padre Benedetto XVI:

«Il primo modo con cui si favorisce la partecipazione del popolo di Dio al Rito sacro è la celebrazione adeguata del Rito stesso. L'ars celebrandi è la migliore condizione per l'actuosa participatio. L'ars celebrandi scaturisce dall'obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza, poiché è proprio questo modo di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti, i quali sono chiamati a vivere la celebrazione in quanto popolo di Dio, sacerdozio regale, nazione santa (cf. 1Pt 2,4-5.9)»[10].

Richiamando questi aspetti, non si deve cadere nell'errore di dimenticare i frutti positivi prodotti dal movimento di rinnovamento liturgico. Il problema segnalato, tuttavia, sussiste ed è importante che la soluzione ad esso parta dai sacerdoti, i quali devono impegnarsi innanzitutto a conoscere in maniera approfondita i libri liturgici e anche a metterne fedelmente in pratica le prescrizioni. Solo la conoscenza delle leggi liturgiche e il desiderio di attenersi strettamente ad esse impedirà ulteriori abusi ed "innovazioni" arbitrarie che, se sul momento possono forse emozionare i presenti, in realtà finiscono presto per stancare e deludere. Fatte salve le migliori intenzioni di chi la commette, dopo quarant'anni di esperienza in merito possiamo riconoscere che la "disobbedienza liturgica" non costruisce affatto comunità cristiane migliori, ma al contrario mette in pericolo la solidità della loro fede e della loro appartenenza all'unità della Chiesa Cattolica. Non si può utilizzare il carattere più "aperto" delle nuove norme liturgiche come pretesto per snaturare il culto pubblico della Chiesa:

«Le nuove norme hanno di molto semplificato le formule, i gesti, gli atti liturgici [...]. Ma neppure in questo campo non si deve andare oltre a quello che è stabilito: difatti, così facendo, si spoglierebbe la liturgia dei segni sacri e della sua bellezza, che sono necessari, perché sia veramente attuato nella Comunità cristiana il mistero della salvezza e sia anche compreso sotto il velo delle realtà visibili, attraverso una catechesi appropriata. La riforma liturgica infatti non è sinonimo di desacralizzazione, né vuole essere motivo per quel fenomeno che chiamano la secolarizzazione del mondo. Bisogna perciò conservare ai riti dignità, serietà, sacralità»[11].

Tra le grazie che speriamo di poter ottenere dalla celebrazione dell'Anno Sacerdotale vi è pertanto anche quella di un vero rinnovamento liturgico in seno alla Chiesa, affinché la sacra liturgia sia compresa e vissuta per quello che essa è in realtà: il culto pubblico e integrale del Corpo Mistico di Cristo, Capo e membra, culto di adorazione che glorifica Dio e santifica gli uomini[12].

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Note

1) Cf. Concilio Vaticano IISacrosanctum Concilium, n. 21.

2) Abbreviazione di Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia.

3) C. Giraudo, «La costituzione "Sacrosanctum Concilium": il primo grande dono del Vaticano II», in La Civiltà Cattolica (2003/IV), pp. 532; 531.

4) Giovanni Paolo IIEcclesia de Eucharistia, n. 10.

5) Ibid., n. 52. Cf. anche Concilio Vaticano IISacrosanctum Concilium, n. 28.

6) «Gli abusi non di rado si radicano in un falso concetto di libertà. Dio, però, ci concede in Cristo non quella illusoria libertà in base alla quale facciamo tutto ciò che vogliamo, ma la libertà, per mezzo della quale possiamo fare ciò che è degno e giusto»: Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei SacramentiRedemptionis Sacramentum, n. 7.

7) Ibid., n. 9.

8) Ibid., nn. 11-12.

9) Sacra Congregazione dei Riti, Eucharisticum Mysterium, n. 20: «Per favorire il corretto svolgimento della sacra celebrazione e la partecipazione attiva dei fedeli, i ministri non debbono limitarsi a svolgere il loro servizio con esattezza, secondo le leggi liturgiche, ma debbono comportarsi in modo da inculcare, per mezzo di esso, il senso delle cose sacre».

10) Benedetto XVISacramentum Caritatis, n. 38. Si veda il n. 40 che sviluppa adeguatamente il concetto.

11) Sacra Congregazione per il Culto DivinoLiturgicae instaurationes, n. 1. Il testo continua: «L'efficacia delle azioni liturgiche non sta nella ricerca continua di novità rituali, o di ulteriori semplificazioni, ma nell'approfondimento della parola di Dio e del mistero celebrato, la cui presenza è assicurata dall'osservanza dei riti della Chiesa e non da quelli imposti dal gusto personale di un singolo sacerdote. Si tenga presente, poi, che la imposizione di rifacimenti personali dei sacri riti da parte del sacerdote offende la dignità dei fedeli, e apre la via all'individualismo e al personalismo nella celebrazione di azioni che direttamente appartengono a tutta quanta la Chiesa».

12) Cf. Pio XIIMediator Dei, I, 1; Concilio Vaticano IISacrosanctum Concilium, n. 7.

  


AMDG et DVM

SAN GIUSEPPE - Litanie




Le litanie in onore di san Giuseppe

    Le Litanie in onore di San Giuseppe, sono state approvate nel 1909 dalla Sede Apostolica (cf. Acta Apostolicae Sedis 1 [1909] 290-292), e recentemente sono state integrate con sette invocazioni attinte dagli interventi dei Papi che hanno riflettuto su aspetti della figura del Patrono della Chiesa universale. Sono le seguenti: «Custos Redemptoris» (cf. San Giovanni Paolo II, Esort. Ap.Redemptoris custos); «Serve Christi» (cf. San Paolo VI, omelia del 19.3.1966, citata in Redemptoris custos n. 8 e Patris corde n. 1); «Minister salutis» (San Giovanni Crisostomo, citato in Redemptoris custos, n. 8); «Fulcimen in difficultatibus» (cf. Francesco, Lett. Ap. Patris corde, prologo); «Patrone exsulum, afflictorum, pauperum» (Patris corde, n. 5).

Le nuove invocazioni sono state presentate a papa Francesco che ne ha approvato l’integrazione nelle Litanie di San Giuseppe, come nel testo allegato alla presente Lettera. La versione italiana è a cura della C.E.I.


Le litanie di san Giuseppe in italiano

Signore, pietà

Signore, pietà

Cristo, pietà

Cristo, pietà

Signore, pietà

Signore, pietà

Cristo, ascoltaci

Cristo, ascoltaci

Cristo esaudiscici

Cristo esaudiscici

Padre celeste, Dio, abbi pietà di noi

Figlio, Redentore del mondo, Dio, abbi pietà di noi

Spirito Santo, Dio, abbi pietà di noi

Santa Trinità, unico Dio, abbi pietà di noi

Santa Maria, prega per noi

San Giuseppe, prega per noi

Glorioso figlio di Davide, prega per noi

Splendore dei Patriarchi, prega per noi

Sposo della Madre di Dio, prega per noi

Custode del Redentore, prega per noi

Custode purissimo della Vergine, prega per noi

Tu che nutristi il Figlio di Dio, prega per noi

Solerte difensore di Cristo, prega per noi

Servo di Cristo, prega per noi

Ministro della Salvezza, prega per noi

Capo dell’alma Famiglia, prega per noi

Padre nella tenerezza, prega per noi

Padre nell’obbedienza, prega per noi

Padre nell’accoglienza, prega per noi

Padre dal coraggio creativo, prega per noi

Padre lavoratore, prega per noi

Padre nell’ombra, prega per noi

O Giuseppe giustissimo, prega per noi

O Giuseppe castissimo, prega per noi

O Giuseppe prudentissimo, prega per noi

O Giuseppe fortissimo prega, per noi

O Giuseppe obbedientissimo, prega per noi

O Giuseppe fedelissimo, prega per noi

Modello di pazienza, prega per noi

Amante della povertà, prega per noi

Modello dei lavoratori, prega per noi

Decoro della vita domestica, prega per noi

Custode dei vergini, prega per noi

Sostegno delle famiglie, prega per noi

Sostegno nelle difficoltà, prega per noi

Conforto dei sofferenti, prega per noi

Speranza degli infermi, prega per noi

Patrono degli esuli, prega per noi

Patrono degli afflitti, prega per noi

Patrono dei poveri, prega per noi

Patrono dei moribondi, prega per noi

Terrore dei demoni prega, per noi

Protettore della Santa Chiesa, prega per noi

Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, perdonaci, o Signore.

Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, ascoltaci, o Signore

Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi.

℣. Lo ha costituito padrone della sua casa .
℞. E principe sopra ogni suo possedimento.

Preghiamo.
O Dio, che con ineffabile provvidenza ti degnasti di eleggere il beato Giuseppe a sposo della tua santissima Madre, deh! concedi che, venerandolo quale protettore in terra, meritiamo di averlo intercessore nel cielo.
Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

℞. Amen


Le litanie di san Giuseppe in latino

Kyrie, eléison.

Christe, eléison.

Kyrie, eléison.
Christe, audi nos.
Christe, exáudi nos.
Pater de cælis, Deus, miserére nobis.
Fili, Redémptor mundi, Deus, miserére nobis.
Spíritus sancte, Deus, miserére nobis.
Sancta Trínitas, unus Deus, miserére nobis.
Sancta María, ora pro nobis.
Sancte Ioseph, ora pro nobis.
Proles David ínclyta, ora pro nobis.
Lumen Patriarchárum, ora pro nobis.
Dei Genitrícis sponse, ora pro nobis.
Custos Redemptóris, ora pro nobis.
Custos pudíce Vírginis, ora pro nobis.
Fílii Dei nutrítie, ora pro nobis.
Christi defénsor sédule, ora pro nobis.
Serve Christi, ora pro nobis.
Miníster salútis, ora pro nobis.
Almæ Famíliæ præses, ora pro nobis.
Ioseph iustíssime, ora pro nobis.
Ioseph castíssime, ora pro nobis.
Ioseph prudentíssime, ora pro nobis.
Ioseph fortíssime, ora pro nobis.
Ioseph obedientíssime, ora pro nobis.
Ioseph fidelíssime, ora pro nobis.
Spéculum patiéntiæ, ora pro nobis.
Amátor paupertátis, ora pro nobis.
Exémplar opíficum, ora pro nobis.
Domésticæ vitæ decus, ora pro nobis.
Custos vírginum, ora pro nobis.
Familiárum cólumen, ora pro nobis.
Fúlcimen in difficultátibus, ora pro nobis.
Solátium miserórum, ora pro nobis.
Spes ægrotántium, ora pro nobis.
Patróne éxsulum ora pro nobis.
Patróne afflictórum, ora pro nobis.
Patróne páuperum, ora pro nobis.
Patróne moriéntium, ora pro nobis.
Terror dæmónum, ora pro nobis.
Protéctor sanctæ Ecclésiæ, ora pro nobis.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi, parce nobis, Dómine.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi, exáudi nos, Dómine.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi, miserére nobis.
  ℣. Constítuit eum dóminum domus suæ.
  ℞. Et príncipem omnis possessiónis suæ.
Orémus.
Deus, qui ineffábili providéntia beátum Ioseph, sanctíssimæ Genitrícis tuæ sponsum elígere dignátus es, prǽsta, quǽsumus, ut, quem protectórem venerámur in terris, intercessórem habére mereámur in cælis. Qui vivis et regnas in sǽcula sæculórum. 
℞. Amen. 

AMDG et DVM 

E non vuoi che la mia città Ti veda?

 



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   78.7La gente, che ha ascoltato attenta, bisbiglia un poco inquieta. Gesù parla col sinagogo. Si uniscono al gruppo anche altre persone, forse i notabili.
   «Maestro… ma non sei il Re d’Israele? Ci avevano detto…».
   «Lo sono».
   «Ma Tu hai detto…».
   «Che non possiedo e non prometto ricchezze del mondo. Non posso dire che la verità. Così è. So il vostro pensiero. Ma l’errore viene da uno sbaglio di interpretazione e da un molto grande vostro rispetto verso l’Altissimo. Vi fu detto: “Viene il Messia”, e voi avete pensato, come molti in Israele, che Messia e re fossero la stessa cosa. Alzate più alto lo spirito. Osservate questo bel cielo d’estate. Vi pare finisca lì, il suo confine, lì dove l’aria pare una volta di zaffiro? No. Oltre vi sono gli strati più puri, gli azzurri più netti, sino a quello non immaginabile del Paradiso, dove il Messia condurrà i giusti morti nel Signore. La stessa differenza è fra la regalità messianica creduta dall’uomo e quella che è reale: tutta divina».
   «Ma potremo noi, poveri uomini, alzare lo spirito dove Tu dici?».
   «Sol che lo vogliate. E, se lo vorrete, ecco che Io vi aiuterò».
   «Come ti dobbiamo chiamare, se re non sei?».
   «Maestro, Gesù, come volete. Maestro sono, e sono Gesù, il Salvatore».

   78.8Un vecchio dice[165]: «Odi, Signore. Un tempo, molto tempo fa, al tempo dell’editto, giunse sin qui notizia che era nato a Betlemme il Salvatore… ed io vi andai con altri… Vidi un piccolo Bambino, in tutto uguale agli altri. Ma lo adorai, per fede. Poi seppi che vi è uno, santo, di nome Giovanni. Quale è il Messia vero?».
   «Colui che tu adorasti. L’altro è il suo Precursore. Grande santo agli occhi dell’Altissimo. Ma non Messia».
   «Tu eri?».
   «Io ero. E che vedesti intorno alla mia neonata persona?».
   «Povertà e lindura, onestà e purezza… Un artiere gentile e serio di nome Giuseppe, artiere ma della stirpe di Davide, una giovane madre bionda e gentile di nome Maria, davanti alla cui grazia impallidiscono le rose più belle d’Engaddi e paiono deformi i gigli delle aiuole regali, e un Bambino dai grandi occhi celesti, dai capelli di fili d’oro pallido… Non altro vidi… E sento ancora la voce della Madre dirmi: “Per la mia Creatura io ti dico: sia il Signore con te sino all’eterno incontro e la sua Grazia venga incontro a te sulla tua strada”. Ho ottantaquattro anni… la strada è sul finire. Non speravo più incontrare la Grazia di Dio. Ma ti ho trovato, invece… ed ora non desidero più di vedere altra luce che non sia la tua… Sì. Ti vedo quale sei sotto questa veste di pietà che è la carne che hai preso. Ti vedo! Udite la voce di colui che nel morire vede la Luce di Dio!».
   La gente si affolla intorno al vegliardo ispirato che è nel gruppo di Gesù e che, non più sorreggendosi sul bastoncello, alza le braccia tremule, la testa tutta canuta, dalla barba lunga e bipartita, una vera testa da patriarca o profeta.
   «Io vedo Costui: l’Eletto, il Supremo, il Perfetto, qui sceso per forza d’Amore, risalire alla destra del Padre, tornare Uno con Lui. Ma ecco! Non Voce ed Essenza incorporea, come Mosè vide l’Altissimo e come la Genesi dice lo conoscessero i Primi e seco Lui parlassero nel vento della sera. Come vera Carne lo vedo salire all’Eterno. Carne sfolgorante! Carne gloriosa! Oh! pompa di Carne divina! Oh! bellezza dell’Uomo Dio! È il Re! Sì. È il Re. Non di Israele: del mondo. E a Lui si inchinano tutte le regalità della Terra e ogni scettro e corona si annulla nel fulgore del suo scettro e dei suoi gioielli. Un serto, un serto ha sulla sua fronte. Uno scettro, uno scettro ha nella sua mano. Sul petto ha un razionale: perle e rubini di uno splendore non mai visto sono in esso. Fiamme ne escono come da una fornace sublime. Ai polsi sono due rubini, e una fibbia di rubini è sui suoi piedi santi. Luce, luce dai rubini! Guardate, o popoli, il Re eterno! Ti vedo! Ti vedo! Salgo con Te… Ah! Signore! Redentore nostro!… La luce cresce nel mio occhio dell’anima… Il Re è decorato del suo Sangue! Il serto è una corona di sanguinanti rovi, lo scettro è una croce… Ecco l’Uomo! Eccolo! Sei Tu!… Signore, per la tua immolazione abbi pietà del tuo servo. Gesù, alla tua pietà consegno il mio spirito».
   Il vecchio, sin allora ritto, tornato giovane nel fuoco del profetare, si accascia di improvviso e cadrebbe se Gesù, pronto, non lo sorreggesse contro il suo petto.
   «Saul!».
   «Muore Saul!».
   «Aiuto!».
   «Correte».
   «Pace intorno al giusto che muore», dice Gesù, che lentamente si è inginocchiato per poter sostenere meglio il vecchio sempre più pesante.
   Si fa silenzio. Poi Gesù lo depone completamente al suolo. E si drizza.
   «Pace al suo spirito. È morto vedendo la Luce. Nell’attesa, e breve sarà, vedrà già il volto di Dio e starà felice. Non vi è morte, ossia separazione dalla vita, per coloro che morirono nel Signore».

   78.9La gente, dopo qualche tempo, si allontana commentando. Restano i maggiorenti, Gesù, i suoi e il sinagogo.
   «Ha profetato, Signore?».
   «I suoi occhi hanno visto la Verità. Andiamo».
   Escono.
   «Maestro, Saul è morto investito dallo Spirito di Dio. Noi che l’abbiamo toccato siamo mondi o immondi?».
   «Immondi».
   «E Tu?».
   «Io come gli altri. Non muto la Legge. La legge è legge e l’israelita la osserva. Immondi siamo[166]. Entro il terzo giorno e il settimo ci purificheremo. Sino allora, immondi siamo. Giuda, Io non torno da tua madre. Non porto immondezza nella sua casa. Fàlla avvisare da chi può farlo. Pace a questa città. Andiamo».
   Non vedo più nulla.

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