sabato 26 novembre 2022

Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo


(Disc. 256, 1. 2. 3; PL 38, 1191-1193)
​Cantiamo l'alleluia a Dio che è buono,
che ci libera da ogni male


   Cantiamo qui l'alleluia, mentre siamo ancora privi di sicurezza, per poterlo cantare un giorno lassù, ormai sicuri. Perché qui siamo nell'ansia e nell'incertezza. E non vorresti che io sia nell'ansia, quando leggo: Non è forse una tentazione la vita dell'uomo sulla terra? (cfr. Gb 7, 1). Pretendi che io non sia in ansia, quando mi viene detto ancora: «Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione»? (Mt 26, 41). Non vuoi che io mi senta malsicuro, quando la tentazione è così frequente, che la stessa preghiera ci fa ripetere: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori»? (Mt 6, 12).

   Tutti i giorni la stessa preghiera e tutti i giorni siamo debitori! Vuoi che io resti tranquillo quando tutti i giorni devo domandare perdono dei peccati e aiuto nei pericoli? Infatti, dopo aver detto per i peccati passati: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori», subito, per i pericoli futuri, devo aggiungere: «E non ci indurre in tentazione» (Mt 6, 13).

   E anche il popolo, come può sentirsi sicuro, quando grida con me: «Liberaci dal male»? (Mt 6, 13). E tuttavia, o fratelli, pur trovandoci ancora in questa penosa situazione, cantiamo l'alleluia a Dio che è buono, che ci libera da ogni male.

   Anche quaggiù tra i pericoli e le tentazioni, si canti dagli altri e da noi l'alleluia. «Dio infatti è fedele; e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze» (1 Cor 10, 13). Perciò anche quaggiù cantiamo l'alleluia. L'uomo è ancora colpevole, ma Dio è fedele. Non dice: «Non permetterà che siate tentati», bensì: «Non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscita e la forza per sopportarla» (1 Cor 10, 13). Sei entrato nella tentazione, ma Dio ti darà anche il modo di uscirne, perché tu non abbia a soccombere alla tentazione stessa: perché, come il vaso del vasaio, tu venga modellato con la predicazione e consolidato con il fuoco della tribolazione. Ma quando vi entri, pensa che ne uscirai, «perché Dio è fedele». Il Signore ti proteggerà da ogni male... veglierà su di te quando entri e quando esci (cfr. Sal 120, 7-8).

   Ma quando questo corpo sarà diventato immortale e incorruttibile, allora cesserà anche ogni tentazione, perché «il corpo è morto». Perché è morto? «A causa del peccato». Ma «lo Spirito è vita». Perché? «A causa della giustificazione» (Rm 8, 10). Abbandoneremo dunque come morto il corpo? No, anzi ascolta: «Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Cristo dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali» (Rm 8, 10-11). 

Ora infatti il nostro corpo è nella condizione terrestre, mentre allora sarà in quella celeste. O felice quell'alleluia cantato lassù! O alleluia di sicurezza e di pace! Là nessuno ci sarà nemico, là non perderemo mai nessun amico. Ivi risuoneranno le lodi di Dio. Certo risuonano anche ora qui. 
Qui però nell'ansia, mentre lassù nella tranquillità. 
Qui cantiamo da morituri, lassù da immortali. 
Qui nella speranza, lassù nella realtà. 
Qui da esuli e pellegrini, lassù nella patria. 

Cantiamo pure ora, non tanto per goderci il riposo, quanto per sollevarci dalla fatica. Cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina. Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina. Che significa camminare? Andare avanti nel bene, progredire nella santità. Vi sono infatti, secondo l'Apostolo, alcuni che progrediscono sì, ma nel male. Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede, devi progredire nella santità. Canta e cammina.

AMDG et DVM

venerdì 25 novembre 2022

San Colombano

Benedetto XVI lo ha definito «uno dei Padri dell’Europa» perché la vita di san Colombano (543-615) ricorda in modo esemplare le radici cristiane del Vecchio Continente, che lui e i suoi monaci contribuirono a plasmare annunciando il Vangelo e incidendo profondamente sulla cultura europea

 

 

Benedetto XVI lo ha definito «uno dei Padri dell’Europa», perché la vita di san Colombano (543-615) ricorda in modo esemplare le radici cristiane del Vecchio Continente. Lui e i suoi monaci annunciarono il Vangelo incidendo profondamente sulla cultura europea, attraverso l’opera dei vari monasteri fondati in più Paesi. Cosciente di queste radici comuni, oggi rinnegate dal relativismo dominante, il santo irlandese fu il primo a usare l’espressione totius Europae («di tutta l’Europa») in una lettera a san Gregorio Magno, riferendosi alla presenza della Chiesa nel continente.

La sua vocazione monastica lo indusse a lasciare la famiglia a 15 anni, nonostante la madre avesse cercato di trattenerlo. «Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me», le disse Colombano, già deciso a essere pellegrino per Dio. Si formò al monastero di Cleenish Island per poi trasferirsi a quello di Bangor, dove vigeva uno stretto ascetismo sotto la guida dell’abate Comgall: la vita dei monaci era scandita dalla preghiera, dalle mortificazioni corporali e dal lavoro, compreso lo studio di pergamene e codici antichi. Intorno ai cinquant’anni, dopo aver vinto le resistenze di san Comgall che sperava di avere in lui il proprio successore, lasciò la patria assieme ad altri 12 monaci, tutti animati dall’ideale irlandese della peregrinatio pro Christo.

Colombano sentì infatti l’urgenza missionaria di evangelizzare le regioni europee, in diverse delle quali era ricomparso il paganesimo a causa delle continue migrazioni dal Nord e dall’Est. Fondò un monastero dopo l’altro. Spesso recuperò vecchi ruderi, come nell’odierna Luxeuil (in Francia), un’antica città termale che era caduta in rovina e che lui e i compagni fecero ridiventare un centro vivissimo, che ruotava attorno all’abbazia, in modo simile a quanto avvenne più tardi a Bobbio. Quei monasteri sorsero anche per rispondere alle numerose vocazioni attratte dall’esempio dei monaci. I fedeli vi si recavano sia per ricevere aiuto spirituale sia per consigli pratici, per esempio su come coltivare e arare le terre.

Negli stessi monasteri nacquero gli scriptoria, che si specializzarono nel copiare i manoscritti e si rivelarono perciò fondamentali nella trasmissione dei libri religiosi e dei testi dell’antichità greca e latina. Accanto alla penitenza e alla preghiera, la Regola di san Colombano (col tempo assimilata a quella benedettina) prevedeva la lettura e la scrittura quotidiana come mezzi di elevazione dello spirito, chiaro segno dello strettissimo legame tra fede e cultura.

Diede grande importanza al sacramento della Riconciliazione. Introdusse nel continente la confessione privata e reiterata e la penitenza detta «tariffata» per la proporzione stabilita tra la gravità del peccato e la penitenza ordinata dal confessore. Il suo rigore morale gli faceva respingere il compromesso. Rimproverò i costumi di alcuni regnanti (che lo fecero arrestare) e anche di membri del clero. Era mosso dalla consapevolezza che solo nella fedeltà a Dio l’anima può realizzare la felicità per sé e il prossimo: «Se l’uomo userà rettamente di quelle facoltà che Dio ha concesso alla sua anima, allora sarà simile a Dio. Ricordiamoci che gli dobbiamo restituire tutti quei doni che Egli ha depositato in noi quando eravamo nella condizione originaria. Ce ne ha insegnato il modo con i suoi comandamenti. Il primo di essi è quello di amare il Signore con tutto il cuore, perché Egli per primo ci ha amato».

Patrono di: motociclisti

Per saperne di più:

Catechesi di Benedetto XVI su san Colombano (udienza generale dell’11 giugno 2008)


FILM: BERNADETTE SOUBIROUS - 1943

S. BERNADETTE




AVE MARIA!

giovedì 24 novembre 2022

Papa LUCIANI - Oper Omnia




III
L’ALUNNO DEL CATECHISMO


1. È NECESSARIO CONOSCERE IL FANCIULLO

1. Cosa deve conoscere un maestro per insegnare il latino a un ragazzo?
— Il latino! – risponderebbe un tedesco.
— Il ragazzo! – rispose l’americano Stanley Hall.
E noi diciamo: deve conoscere l’uno e l’altro: il latino, ma anche il ragazzo.
E difatti: prima di seminare, il contadino non deve conoscere
solo il seme, ma anche la qualità della terra cui affida il seme.
E un falegname deve conoscere le varie qualità di legno: mai
adopererà il ciliegio, che è legno pregiato, per fare un manico di
badile o un paio di zoccoli.
Così il catechista: deve conoscere il fanciullo.

2. È un grosso sbaglio quello di credere il fanciullo in tutto
simile all’adulto, ma solo più piccolo, più ignorante, più inesperto.
Guardate un fanciullo col cannocchiale: apparirà grande come
un uomo; vedrete però che cammina, salta, ride in maniera
del tutto diversa da un uomo adulto.
Il fanciullo non impara come impariamo noi: non può sempre
far quel che noi facciamo: una cosa che a noi piace molto, a
lui non va affatto e viceversa.
Occorre conoscerlo, sapere quali sono i suoi gusti, le sue
possibilità per poterlo lavorare con intelligenza, adattargli i nostri
insegnamenti e sollecitare la sua collaborazione.

3. Un pescatore cui piacevano molto le fragole, andato al
fiume, mise sull’amo un bel fragolone, dicendo:
— Piace a me, piacerà anche ai pesci!
Ai pesci non piacevano i fragoloni, ma i vermicciuoli che,
invece, il pescatore non voleva neppure toccare. E così avvenne
che i pesci tirarono diritto e il pescatore restò a bocca asciutta.
Mettete al posto del pescatore il catechista, al posto dei pesci
i fanciulli, e avrete un’idea di quel che succede quando il catechista
non si preoccupa di conoscere i gusti dei suoi alunni per
adattarsi a loro.

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4. E bisogna conoscere i fanciulli non solo in generale, ma
uno per uno, perché tra loro non ce ne sono mai due perfettamente
eguali.
È stato detto: «Ogni fanciullo è un inedito, una parola di
Dio che non si ripete mai».
Bisogna aggiungere: ogni fanciullo ha anche diverse edizioni
di se stesso, e perciò non lo si è mai conosciuto abbastanza e non
si finisce mai di studiarlo.

5. Come vive un piccolo di pochi mesi? Si nutre, piange e
quasi tutto il resto del tempo lo impiega a dormire. Si dorme per
stanchezza, per fatica. Cosa ha fatto, dunque, questo piccolo, per
essere sempre stanco? Una cosa semplice: sta crescendo, sviluppandosi.
E questo lo stanca.
E quando sarà diventato un fanciullo, la fatica sarà maggiore,
perché al crescere s’aggiungeranno salti e sgambetti senza fine.
Il catechista deve tener presente che il fanciullo non ha solo
un’anima, ma anche un corpo che continuamente sta stancandosi,
per capire e compatire certi atteggiamenti dei fanciulli, per non
affaticarli troppo o troppo a lungo, per non pretendere da loro
quello che non possono dare.

6. Rousseau ha scritto: Il fanciullo è buono, un angelo. Lutero
prima di lui aveva detto: Il fanciullo è una bestia.
Più giusto, Lamartine scrisse.: È un angelo caduto dal cielo.
Un angelo, ma con le ali fracassate; volerà in alto, verso il bene,
ma con fatica, dopo che qualcuno lo avrà aiutato a mettersi a posto;
ha buone doti da sviluppare, ma anche cattive inclinazioni,
su cui dobbiamo tener gli occhi aperti.
7. E se il fanciullo è battezzato, oltre il corpo e l’anima, c’è
in lui un’altra realtà da tener presente: la grazia depositata nell’anima
dal battesimo con le virtù della fede, della speranza e della
carità.
Tutte cose che non vediamo, ma che esistono e aiutano dal
di dentro l’opera del catechista.
Qualcuno dice: «I piccoli non possono capire certe formule,
certi concetti».


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Si risponde: «Da soli, con i soli metodi naturali, no; ma con
l’aiuto della grazia e della fede, con la pedagogia soprannaturale,
sì».
8. Concludendo: conoscere il fanciullo è necessario; e lo si
deve conoscere non solo in generale, ma uno per uno; badando
non solo all’anima, ma anche al corpo; non solo agli elementi
visibili, ma anche a quelli invisibili, soprannaturali.

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2. COME CONOSCERE IL FANCIULLO

9. Anche noi siamo stati fanciulli; certe cose le abbiamo
provate, le ricordiamo benissimo. Ricordiamo ciò che ci spiaceva
o annoiava.
Star zitti, seduti, fermi per una mezz’ora era un tormento per
noi; tre minuti di preghiera, ci sembravano lunghi come mezz’ora;
invece mezze giornate di gioco, in piazza, sulla strada, ci volavano
via come minuti. Altrettanto succede ai fanciulli di oggi.
La prima via alla conoscenza del fanciullo è chinarci su noi
stessi, sul fanciullo di ieri, per capire il fanciullo di oggi.

10. La seconda via è costituita dai libri. Ci sono libri che
studiano e descrivono il fanciullo: testi di psicologia, di pedagogia,
ecc. Sono stati scritti per lo più da gente che ha passato la
vita in mezzo ai fanciulli. In essi il catechista può trovare molte
cose che da solo non avrebbe mai trovate o che troverebbe dopo
molto tempo.
Ci sono altri libri che descrivono la fanciullezza dei santi o di
grandi uomini. Anche la lettura di questi libri può riuscire molto
utile al catechista.

11. La terza via, e la migliore, è il fanciullo stesso. Basta
osservarlo.
Le pose, i gesti, le parole, le azioni, i silenzi ostinati, i pianti
dirotti, i giochi preferiti, i compagni frequentati sono tutte cose
che, osservate attentamente e ripensate con giudizio, devono
guidarci a conoscere i gusti, le tendenze, i capricci, le buone qualità,
il temperamento.
I momenti migliori per l’osservazione sono quelli in cui il
fanciullo non si sente osservato: nel gioco, per via, in una passeggiata,
nei momenti di entusiasmo, di abbattimento, ecc.

12. Occorre inoltre ascoltare il fanciullo. Parlando con noi,
egli fa due cose: si manifesta e ci istruisce.
Infatti noi abbiamo qualcosa da imparare dal fanciullo: il
suo modo di esprimersi, le sue frasi semplici. Sono queste che
poi dobbiamo adoperare, se vogliamo farci capire da lui e rendercelo
attento.


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13. Ma l’osservazione che facciamo sul fanciullo non è
completa se non si estende anche all’ambiente in cui egli vive: la
famiglia, la contrada, la scuola.
Il medico non guarda solo se i polmoni del cliente sono in
buono stato: vuol sapere che aria respirano.
Certi fanciulli sono dotati di buone qualità, ma in casa respirano
un’aria viziata, corrotta per le bestemmie e i discorsi che
sentono e i cattivi esempi che vedono. Il catechista deve tenerne
conto e sapersi regolare.

14. Chi volesse proprio studiare a fondo un fanciullo dovrebbe
ricordare la «piramide» di Nicola Pende.
Bisogna esaminare ciascuna delle quattro facce e poi la base.
Il fanciullo – ha detto Pende – è simile a una piramide: possiede
una base, che è il complesso di tendenze ereditate dai genitori, e
quattro facce che sono: 1) la forma esterna (aspetto morfologico);
2) gli umori interni (aspetto endocrinologico); 3) l’aspetto morale;
4) l’aspetto intellettivo.
Studiando quindi i genitori e la famiglia del fanciullo, se ne
possono conoscere un po’ le inclinazioni; studiando il corpo se
ne determina il temperamento; studiando l’anima si misura la
forza delle sue facoltà spirituali.
Ma pochi sono in grado di poter fare tutti questi studi, che
diventano complicati quando si tratta degli aspetti morfologico
e umorale e rivestirebbero un carattere troppo delicato, quando
si volessero esplorare segreti di famiglia.
Noi qui ci accontenteremo di pochissime nozioni facili e
pratiche che si riferiscono particolarmente ad una delle tappe
della vita del catechizzando: bambino (1-5 anni); fanciullo (6-10
anni); ragazzo (10-13 anni); adolescente (13-15 anni); giovane.
Qui parliamo soprattutto del «fanciullo».

 3. COS’È IL FANCIULLO


15. È tutto sensi. Ha occhi, mani, orecchie, lingua, gola che

vogliono intensamente vedere, toccare, udire, gustare, parlare. I

bei colori lo rapiscono, ma anche i suoni, e certi rumori o <<fracassi>>

che a noi grandi fanno venire il mal di testa, per lui sono

musica. E domanda spesso: «Perché questo? Perché quello? Come

mai così?».

Il bravo catechista deve tener conto di questa grande sensibilità:

è ai sensi del fanciullo ch’egli soprattutto deve rivolgersi:

faccia vedere oggetti religiosi, li faccia toccare, se si può, mostri

belle immagini, insegni bei canti, venga incontro alla curiosità

permettendo al fanciullo di interrogare, ecc.

16. Il fanciullo è tutto movimento e gioco. Argento vivo. Se

sta quieto, se fa la statuetta c’è da pensare che sia ammalato, perché

il fanciullo sano prova un bisogno incoercibile di muoversi

e di agitarsi.

Quindi: mobilitare al catechismo le energie motorie del fanciullo;

far muovere con intelligenza e varietà gli alunni ai fini del

catechismo.

Ci sono dei catechisti che quasi giocano ai 10 comandamenti,

ai 7 sacramenti, ai 5 precetti, ai 7 doni dello Spirito Santo...

coi loro fanciulli, identificando ciascuno di loro in un comandamento,

in un sacramento, facendoli muovere e parlare. Altri

fanno eseguire in classe un battesimo, una cresima, una scena del

Vangelo, ecc., fanno alzare in piedi gli alunni per una preghiera,

un canto, ecc.

«Questo è gioco – brontola qualcuno – non catechismo».

«Prego, è parvenza di gioco, in realtà è cosa seria e sapiente».

Il gioco è l’unica cosa che il fanciullo fa con impegno, buttandovisi

con tutta l’anima, più che noi grandi alle cose serie. Perché

sarà proibito dare alla lezione di catechismo l’aspetto del gioco,

se ciò le attira simpatia?

Ci sono dei catechismi che pretendono essere seri e sono

farsa. Ci sono dei catechismi che sembrano farsa e sono quanto

mai seri per i risultati.


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17. Il fanciullo è tutto cuore e sentimento. Spesso ride e spesso

piange! Ha tante piccole gioie e tanti piccoli dolori, un cuore che

sente molto e ha un grande bisogno di essere amato.

Il catechista si guardi dall’urtare il sentimento del fanciullo;

l’ironia, per esempio, non si usa con lui; il rimprovero e il castigo

si usano, ma nell’applicarli bisogna far sentire che sono dati per

fine di bene, per amore, con dispiacere.

I grandi educatori hanno tutti avuto tenerezza di madre verso

i piccoli: don Bosco, san Filippo Neri, ecc. Il vescovo Dupanloup

ammoniva i catechisti: «Siate padri, siate madri».


18. Il fanciullo è tutto fantasia. Le immagini vivaci lo impressionano

molto, lo spingono ad imitare subito ciò che ha visto

e gli fanno confondere talora ciò che è accaduto davvero con

quello che ha solamente immaginato.

È dunque importante dargli impressioni buone ed evitargli

le impressioni cattive, tenerlo lontano dalle scene paurose o immorali,

non raccontargli fatti orripilanti o stravaganti di spiriti

che appariscono e di persone portate via dal diavolo...


19. Il fanciullo ha una memoria strana. Anche i grandi hanno

modi diversi di ricordare: alcuni ricordano soprattutto ciò

che hanno visto, altri ciò che hanno udito o detto; alcuni fissano

bene le idee, altri i fatti; c’è chi ha simpatia e facilità per ritenere

numeri e date e chi invece ricorda solo cose concrete.

Il fanciullo ha la memoria a intermittenza: una cosa la ricorda

per un po’ poi la dimentica, poi la ricorda nuovamente. Ricorda

poco quando è mal nutrito, ammalato o è in convalescenza. Non

ricorda le idee astratte, ricorda invece oggetti, individui, suoni.

Nel fanciullo la memoria di solito non è fedele, perché congiunta

all’immaginazione e all’inventiva. Perciò prima di far

imparare a memoria una formula ai fanciulli, bisogna spiegarla

bene, e assicurarsi che l’abbiano capita. Altrimenti ne facciamo

dei pappagalli.

È utile unire un’idea difficile a un fatto o immagine; si è più

sicuri che sarà ricordato.

Bisogna ritornare spesso cui concetti principali del catechismo,

altrimenti sfuggono alla memoria. «Ripetere senza stancarsi

e senza stancare» e cioè dire le stesse cose ma in modo diverso

così che appaiano nuove.

AVE MARIA!

L’anima che non è dimora di Cristo è infelice

 


DALLE «OMELIE» ATTRIBUITE A SAN MACARIO

”L’ANIMA CHE NON È DIMORA DI CRISTO È INFELICE”

Dalle «Omelie» attribuite a san Macario, vescovo(Om. 28; PG 34, 710-711) L’anima che non è dimora di Cristo è infelice

    Una volta Dio, adirato contro i Giudei, diede Gerusalemme in balia dei loro nemici. Così caddero proprio sotto il dominio di coloro che essi odiavano e si trovarono nell’impossibilità di celebrare i giorni festivi e di offrire sacrifici. 

Nello stesso modo, Dio, adirato contro un’anima che trasgredisce i suoi precetti, la consegna ai suoi nemici, i quali, dopo averla indotta a fare il male, la devastano completamente. Una casa, non più abitata dal padrone, rimane chiusa e oscura, cadendo in abbandono; di conseguenza si riempie di polvere e di sporcizia. 

Nella stessa condizione è l’anima che rimane priva del suo Signore. Prima tutta luminosa della sua presenza e del giubilo degli angeli, poi si immerge nelle tenebre del peccato, di sentimenti iniqui e di ogni cattiveria.

    Povera quella strada che non è percorsa da alcuno e non è rallegrata da alcuna voce d’uomo! Essa finisce per essere il ritrovo preferito di ogni genere di bestie. Povera quell’anima in cui non cammina il Signore, che con la sua voce ne allontani le bestie spirituali della malvagità! Guai alla terra priva del contadino che la lavori! Guai alla nave senza timoniere! Sbattuta dai marosi e travolta dalla tempesta, andrà in rovina.

    Guai all’anima che non ha in sé il vero timoniere, Cristo! Avvolta dalle tenebre di un mare agitato e sbattuta dalle onde degli affetti malsani, sconquassata dagli spiriti maligni come da un uragano invernale, andrà miseramente in rovina.

    Guai all’anima priva di Cristo, l’unico che possa coltivarla diligentemente perché produca i buoni frutti dello Spirito! Infatti, una volta abbandonata, sarà tutta invasa da spine e da rovi e, invece di produrre frutti, finirà nel fuoco. Guai a quell’anima che non avrà Cristo in sé! Lasciata sola, comincerà ad essere terreno fertile di inclinazioni malsane e finirà per diventare una sentina di vizi.

    Il contadino, quando si accinge a lavorare la terra, sceglie gli strumenti più adatti e veste anche l’abito più acconcio al genere di lavoro. Così Cristo, re dei cieli e vero agricoltore, venendo verso l’umanità, devastata dal peccato, prese un corpo umano, e, portando la croce come strumento di lavoro, dissodò l’anima arida e incolta, ne strappò via le spine e i rovi degli spiriti malvagi, divelse il loglio del male e gettò al fuoco tutta la paglia dei peccati. La lavorò così col legno della croce e piantò in lei il giardino amenissimo dello Spirito. Esso produce ogni genere di frutti soavi e squisiti per Dio, che ne è il padrone.

AVE MARIA!