martedì 17 maggio 2022

San Pasquale Baylon


La storia di San Baylon l’inventore del “sambajon”

TORINO. Da un’umile coppia di pastori, il 16 maggio 1540 nasceva, a Torre Hermosa in Spagna, il piccolo Pasquale Baylon. Il piccolo Pasquale si dimostrava attratto dall’amore per l’Eucarestia, e quando all’età di soli sette anni fu incaricato di seguire il gregge sui pascoli, si angustiò per non poter più recarsi nella consueta chiesetta a rendere visita a Gesù eucaristico. Il vigore della vocazione divina fu così forte che – giovanissimo – volle entrare nel Convento dei Frati Minori di Montfort, dove rimase per quattro anni volontariamente come probando. Nel 1564, a Loreto, vestì finalmente l’abito francescano senza peraltro consacrarsi sacerdote, ma trascorrendo i giorni nella preghiera e nell’adorazione del Santissimo Sacramento, del quale sentiva intimamente il divino carisma e il valore salvifico. Fu in seguito nominato maestro dei novizi nel monastero d’Almansa, e con i suoi fervidi insegnamenti trasmise ai giovani tutto il suo grande amore per l’Eucaristia.

Un mattino, servendo la S. Messa, ebbe la rivelazione che la sua morte era orami vicina: andò allora a visitare per l’ultima volta i poveri e i benefattori di Villa Real, presso Valencia. Ammalatosi poco dopo improvvisamente, gli venne amministrato il Viatico. Spirò nelle prime ore del 17 maggio 1592, domenica di Pentecoste, nel monastero di Villa Real.

La sua salma venne esposta al pubblico: durante la Santa Messa funebre, al momento dell’elevazione, Pasquale Baylon si rianimò, aprì gli occhi e fissò l’Ostia consacrata ed il Calice: lo stesso sensazionale prodigio si ripeté il giorno seguente. Dopo la sepoltura, i miracoli di Pasquale Baylon si intensificarono nel numero e nella straordinarietà. Fu canonizzato da Alessandro VIII nel 1690. Nel 1897 Leone XIII lo proclamò patrono dei Congressi eucaristici.

Attorno alla figura di questo Santo si è formata una leggenda, cara ai torinesi, che lo vuole inventore dello zabaione. Proprio dalla storpiatura in piemontese del suo nome, Pasquale Bylon – sambajon – deriverebbe appunto il nome di questa  deliziosa bevanda, a base di tuorli d’uova, zucchero e marsala. In effetti lo zabaione sarebbe nato nel XVI secolo: in quegli anni a Torino già era presente la comunità di frati francescani dell’attuale chiesa di san Tommaso, all’angolo tra Via Pietro Micca e Via Monte di Pietà.  Uno dei fraticelli del Convento sarebbe stato proprio il nostro Pasquale de Baylon. Pare che fosse stato lui ad aver creato la ricetta di quella squisita crema all’uovo, subito rivelatasi come un portentoso afrodisiaco naturale. Molte donne dell’epoca iniziarono a procurarsi la benefica bevanda al Convento, ed il suo successo fu così repentino ed eclatante da andare letteralmente a ruba. Presto impararono a produrselo da sole, tramandandone la ricetta di madre in figlia. La fama dello zabaione fu così incontenibile che uscì dai confini del ducato sabaudo, diffondendosi nel mondo intero. In piemontese lo zabaione si chiama tuttora “sambajon”, e la storpiatura del nome del nostro frate di Baylon, poi santificato, è quanto mai evidente. E a noi piace credere in questa leggenda e pensare che la ricetta dello zabaione sia un piccolo ma stupefacente miracolo di un grande santo vissuto anche a Torino.

AMDG et DVM

lunedì 16 maggio 2022

LA SANTA MESSA

 LA SANTA MESSA

RIFLESSIONI DI VITA EUCARISTICA

Presentazione

Il padre Emilio Santini (1921-1995), sacerdote cappuccino, per lunghi anni ha dedicato

le sue migliori energie alla direzione dell'Associazione Eucaristica Riparatrice. Non

solo ha curato in modo ammirevole l'organizzazione dell'Associazione, dotandola di una

moderna e decorosa sede, centro vivo di animazione e di accoglienza, ma soprattutto ha

coltivato e promosso tra i numerosissimi iscritti il culto a Gesù Eucaristia con la

meditazione, con la parola pronunciata e scritta.

Questo opuscolo, che raccoglie le sue riflessioni è, a un tempo, testamento e memoria

della sua intima vita eucaristica.

Il linguaggio del padre Emilio è appropriato e in piena sintonia con la teologia

eucaristica.

Le sue riflessioni a tratti potrebbero apparire ripetitive per chi non è esercitato a

esplorare in profondità il mistero eucaristico. Ma così non è per chi ama immergersi

nella contemplazione.

L'insegnamento limpido e calmo del Padre Emilio ha, in effetti, luminose rifrazioni in

sempre nuove sottolineature, in riprese felici, in rinnovate analisi, come una fuga

musicale che riprende incessantemente e varia il motivo dominante.

È questo un modo efficace per accompagnare il lettore alla comprensione e alla

meditazione dell'insondabile ricchezza eucaristica, soprattutto nel suo significato di

sacrificio di Cristo per l'edificazione del Corpo Mistico. Le convinzioni così si radicano

nella mente e i sentimenti toccano il cuore.

La spiritualità del padre Emilio emerge da queste pagine pacata e profonda, come il suo

temperamento mite e forte. Uomo del silenzio operoso fu il padre Emilio. E il silenzio, si

sa, genera mistiche risonanze interiori che si consumano nel segreto con benefici riflessi

sugli altri. Esse fanno luce intorno, come l'evangelica lampada posta sul candelabro ad

illuminare la stanza.

Pertanto invito volentieri alla lettura di queste brevi e serene considerazioni che

possono bene accompagnare, sostenere e facilitare i colloqui eucaristici delle anime pie.

Delegato Pontificio per il Santuario di Loreto


LA MESSA INVISIBILE

https://www.benedettinealatri.it/images/PDF/la_santa_messa_riflessioni_di_vita_eucaristica.pdf


Bach. // L’ESPERIENZA DI DIO NEL CHASSIDISMO.

 

Bach - Le Più Grandi Opere di J. S. Bach



L’ESPERIENZA DI DIO NEL CHASSIDISMO
[Pubblicato in: Horeb 2 (1993) [1] 54-60]

Fra le diverse esperienze mistiche presenti all'interno delle religioni, il chassidismo è sicuramente 
fra le più originali e singolari.
Conosciuto soprattutto in relazione ai racconti che ha prodotto, è stato fonte di ispirazione per 
diversi pensatori del mondo giudaico. Basta considerare le opere di Martin Buber e Abraham 
Heschel, o gli scritti di Elie Wiesel, giusto per citare i nomi più noti.
Questi ed altri hanno rielaborato molti elementi della mistica chassidica che, attraverso di loro, 
sono filtrati nel mondo occidentale. Se la grande ondata del chassidismo iniziale si è oramai 
ridimensionata, molti dei valori da questo proposti sono rimasti nella cultura contemporanea.
Cercheremo pertanto di penetrare nel variegato fenomeno chassidico, che si colloca a sua volta nel 
complesso orizzonte dell'ebraismo (o giudaismo) post-biblico, cercando di cogliere la particolare 
esperienza di Dio che lo stesso testimonia.
Il chassidismo nel contesto della mistica ebraica
Il chassidismo viene considerato l'ultima fase della mistica ebraica che ha le sue origini già a partire 
dal primo secolo dell'era volgare: la scuola di Hillel è di indirizzo mistico e Rabbi Aqiva si rivela 
cultore di mistica, così come si possono trovare nella Torah orale1
e nel suo commento posizioni a 
favore o contro tale forma di speculazione (es.: Mishnah, Chaghigah II,1 discussa nel Talmud
Babilonese, trattato omonimo, foglio 14b).
I testi biblici ai quali questi antichi maestri si riferivano sono quello di Genesi 1, dove il Signore 
crea attraverso la parola, ed Ezechiele 1 che presenta la visione del carro con la gloria di Dio.
A questo inizio è seguita una complessa evoluzione che ha visto il sorgere della qabbalah, cioè la 
"ricezione" delle "cose sacre", confluita poi nello Zohar, il Libro dello splendore, ancora oggi 
venerato nei circoli mistici.
L'idea fondante è esattamente contraria a quella che designa la mistica come esperienza 
dell'indicibile: se Dio crea e si rivela all'uomo attraverso la parola significa che la stessa è un mezzo 
per comunicare con Lui. Occorre però distinguere fra parola scritta e parola parlata: misticamente 
fondamentale è la lingua scritta, dove non solo le lettere, ma anche gli spazi bianchi, sono fonte di 
rivelazione e di conoscenza per chi lo sa scoprire.
A tale valutazione estremamente positiva del linguaggio, che raggiunge Dio proprio perchè 
proviene da Lui facendo sì che l'ineffabile possa essere detto, corrisponde tuttavia una pratica 
limitata: tale esperienza non pare essere accessibile a tutti ma a pochi dotti esperti nella Torah
poichè ritenuta “pericolosa”.
La mistica qabbalistica produce comunque, lentamente e occultamente, il chassidismo che, nella 
prima metà del '700, dalla Podolia e dall'Ucraina si diffonde rapidamente in Polonia, in Russia e in 
quasi tutte le comunità ebraiche dell'Europa orientale assumendo un carattere di massa e quindi 
contrapponendosi alla mistica tradizionale.
È doveroso precisare che qui il termine “mistica” viene usato impropriamente: tale parola in 
ebraico non esiste, il giudaismo preferisce indicare i mistici utilizzando altri termini come “uomini 
della verità”, “conoscitori della sapienza nascosta” o “uomini pii-devoti” come nel caso in 
questione.
 
1 Nell'ebraismo si considera Torah, cioè insegnamento divino rivelato, sia il Pentateuco che la tradizione orale 
codificata nella Mishnah unitamente ai commenti rabbinici. Da qui la duplice dicitura: Torah scritta e Torah orale 
(letteralmente: "sulla bocca").
Chassidim e chassidismo
Con il termine chassidim, letteralmente i pii o devoti, si designano gli appartenenti al movimento 
chassidico fondato in Podolia da Isra'el ben Eliezer detto il Baal Shem Tov, “il Signore del Nome 
buono”, cioè del Nome divino2
.
Il Baal Shem Tov appare come un personaggio fra storia e leggenda: di umili origini, la sua nascita 
viene preannunciata come “luce per Israele”, vive per un certo periodo in modo molto riservato e 
poi, scoperta la sua “vocazione”, si manifesta pubblicamente.
Gli si riconosce la capacità di compiere miracoli e di operare prodigi di ogni sorta. Le 
testimonianze sulla sua persona spaziano dalle comuni notizie biografiche alle storie piu' insolite e 
inverosimili. Il fatto certo è che attorno a lui si raduna una comunità che lo considera guida 
carismatica di notevole valore. Il movimento religioso a lui collegato prende il nome di 
chassidismo polacco al fine di non essere confuso con quello renano medioevale di tutt‟altro 
genere.
Fin dal suo sorgere si configura come una mistica di massa proponibile a tutti: tra i devoti troviamo 
sia lo studioso che l'incolto appartenenti ad ogni estrazione sociale. Si impernia sulla figura dello 
tzaddiq, il giusto, maestro spirituale a cui i chassidim si rivolgono con fiducia.
Si presenta inoltre come movimento di risveglio religioso che, sopravvissuto al dramma della 
Shoah, lo sterminio nazista durante la seconda guerra mondiale, rappresenta tutt'ora una forza 
effettiva per migliaia e migliaia di ebrei: ci sono scuole in Occidente (New York, Bruxelles, Parigi) 
e in Israele; la corrente più forte e più intellettuale, quella dei Lubavitcher o Chabad (sigla formata 
con le iniziali delle parole ebraiche: sapienza, scienza, conoscenza), ha alcuni esponenti e seguaci a
Milano, Venezia, Roma e tra gli ebrei stranieri.
Come tanti fenomeni religiosi il chassidismo ha vissuto momenti ed epoche diverse, attualmente è
in una sorta di involuzione piuttosto lontana dall'entusiasmo delle origini. Noi non ci occuperemo 
del suo sviluppo storico bensì di quei valori religiosi che, al di là del periodo in cui sono emersi, 
rappresentano un patrimonio di fede ancora vivo destinato ad illuminare le generazioni future.
Il senso del narrare
Quando si parla di chassidismo si parla di racconti e di narrazioni che la comunità custodisce e 
tramanda.
Il narrare è infatti una delle caratteristiche fondamentali dell'ebraismo poichè è il Signore stesso che 
invita a raccontare gli eventi salvifici e a trasmettere i suoi insegnamenti: “...perchè tu possa 
raccontare alle orecchie di tuo figlio e del figlio di tuo figlio...” (Es 10,2); “Quando tuo figlio ti 
chiederà...allora dirai...” (Dt 6,20-21).
Il raccontare per l‟ebreo abbraccia un orizzonte che comprende sia il ricordare che Dio ha parlato e 
ha agito, che il narrare quelle esperienze di vita utili a consolidare la fede, a tenere unita la 
comunità, capaci a loro volta di produrre salvezza.
I racconti chassidici si collocano in questo contesto accentuando la potenza della parola a cui la 
memoria e' affidata: “A un rabbi, il cui nonno era stato un discepolo del Baal Shem, fu chiesto di 
raccontare una storia. „Una storia‟ - disse egli – „va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto‟. 
E raccontò: „mio nonno era storpio. Una volta gli chiesero di raccontare una storia del suo maestro. 
Allora raccontò come il santo Baal Shem solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si 
 
2 Notizie riguardanti la vita del Baal Shem Tov sono ritrovabili un po' ovunque nelle narrazioni dei chassidim. Per 
quanto concerne le opere di carattere biografico si segnalano: I.B. SINGER, Le distese del cielo. La storia del Baal Shem 
Tov, Ugo Guanda Ed., Parma 1991; M. BUBER, La leggenda del Baalscem, Carucci, Roma 1989.
alzò e raccontò, e il suo racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e 
danzando come facesse il maestro. Da quel momento guarì. Così vanno raccontate le storie”3
.
Raccontare le storie dei santi maestri diviene così un nuovo valore religioso, quasi la celebrazione 
di un rito al quale affidare un patrimonio ideale.
Qabbalah divenuta ethos
Il chassidismo riprende elementi qabbalistici legati a quella che viene considerata la “recezione” o 
Tradizione delle cose divine.
Quella che viene proposta è una nuova prassi, nel senso di un nuovo modo di vivere la Torah
considerata soprattutto nella sua dimensione mistica.
La qabbalah viene riproposta come ethos, dove ethos è da intendersi come sinonimo di halakhah, 
la prassi codificata, e dove la qabbalah non rappresenta più una sorta di teosofia ma la ricerca di 
una via, di una mistica della vita individuale.
In questo modo tutti i concetti qabbalistici vengono messi in relazione con i valori della vita 
individuale e riproposti indistintamente a tutti e non più solo a pochi eletti.
La meta è un incontro immediato con il mondo del divino orientato, più che alla pura conoscenza, 
ad una via di redenzione: al vertice della scala sta la fede, con un significato tutto particolare e 
decisivo, e non il sapere.
Si potrebbe a questo punto avere l'impressione che l‟attenzione allo studio, elemento fondamentale 
nell'ebraismo che lo considera un atto religioso indispensabile, venga in qualche modo messa da 
parte. In effetti c‟è una tendenza a porre l'accento maggiormente sulla preghiera, che nasce però da 
una denuncia verso il sapere che diventa sinonimo di potere.
I maestri chassidici sono convinti che lo studio che aiuta l‟uomo nel suo rapporto con Dio e con gli 
altri sia non solo buono ma indispensabile, e mostrano particolare venerazione sia per la Torah
scritta che per quella orale. Sono convinti che chi ha la capacità e la possibilità di studiare e 
indagare i molteplici sensi della Scrittura è bene che lo faccia, ricordandosi però che il fine non 
deve essere la sottomissione di chi ne sa meno o l‟esercizio di una sterile dialettica bensì 
l'illuminare la strada a chi è nel buio.
Una mistica di massa
Quello che dà al chassidismo un'impronta originale è la fondazione di una comunità religiosa che 
ruota attorno a coloro che realizzano in sè la vita mistica: gli tzaddiqim, i santi maestri, i quali, 
anzichè procedere per proprio conto in una via che si configura come personale, si rivolgono alla 
gente semplice, insegnano il cammino a tutti gli uomini di buona volontà comunicando loro un 
nuovo linguaggio e dando origine ad un vero e proprio fenomeno sociale.
L'antico paradosso di solitudine e comunità qui è messo alla prova: chi ha raggiunto la piena 
comunione con Dio, chi è realmente in grado di essere solo con Lui, diventa il vero centro della 
comunità dal quale i benefici della luce divina si irradiano su tutti. Lo tzaddiq appare come “guida 
pneumatica” segno di una personale relazione con l‟Eterno, prova che l‟ideale può essere 
raggiunto.
Da molti racconti emerge la funzione pastorale dello stesso. Rabbi Dov Bar, il grande Magghid, 
cioè grande maestro, a proposito del versetto del Salmo “il giusto (tzaddiq) fiorirà come la palma, 
crescerà come il cedro del Libano”, diceva: “Ci sono due specie di tzaddiqim. Gli uni si occupano 
degli uomini, li ammoniscono e gli ammaestrano, gli altri coltivano gli insegnamenti solo per sè. I 
 
3 M. BUBER, I racconti dei chassidim, Garzanti, Milano 1988, pp.3-4.
primi portano frutto nutriente come la palma da dattero, i secondi sono come i cedri elevati e 
infecondi”4
.
La ragione per cui è importante occuparsi degli uomini nasce dalla convinzione che anche i meno 
istruiti nella Torah possono esprimere una religiosità profonda. Dai racconti emerge l'attenzione 
verso tutte le categorie dei così detti ultimi, gli ‘am ha-’aretz (incolti, gente semplice) e i peccatori; 
si condannano le punizioni troppo severe che non tengono conto del contesto in cui il peccato è 
avvenuto; fra i pii si annoverano anche le donne e si presta attenzione ai bambini.
La potenza della parola di cui abbiamo già accennato, appare ora trasferita nel santo chassidico che 
diviene esso stesso Torah vivente capace di operare miracoli e di procurare la teshuvah, la 
conversione, poichè riesce a conoscere intimamente chi gli sta davanti e le intenzioni del suo cuore.
Il rapporto tra maestro e discepoli si allarga così all‟umanità circostante, offrendo a chiunque la 
possibilità di essere coinvolto in un'esperienza mistica che si diffonde al suo esterno.
La figura del santo chassidico appare in questo modo nella sua peculiarità: la sua personalità 
prende il sopravvento rispetto alla dottrina, il suo carattere assume maggiore importanza del suo 
sapere. Si tramanda che Rabbi Lob, figlio di Sara, avrebbe detto: “Se io andai dal Magghid (Rabbi 
Dov Bar di Mesritsch) non fu per ascoltare insegnamenti da lui, ma solo per vedere come egli si 
slaccia le scarpe di feltro e come se le allaccia”5
.
Quale il senso ultimo di tutto ciò?
Un particolare rapporto Dio-uomo-mondo dove l‟agire dei “giusti” contribuisce a produrre il 
tiqqun, la riunificazione della luce divina che è presente nella storia in modo frammentario.
Secondo la mistica ebraica Dio creando si è autolimitato per lasciare spazio all'uomo al quale è 
chiesto di collaborare perchè l‟opera divina giunga a compimento. Riunificare la presenza di Dio 
nella storia significa quindi penetrare nel mistero divino producendo qualcosa di buono per il 
mondo, gli uomini e Dio stesso.
BIBLIOGRAFIA
La comunità chassidicha, a c. di D. LEONI, Città Nuova, Roma 1989.
C. BLOCH, Storie chassidiche, Ed.Theoria, Roma-Napoli 1991.
M. BUBER, I racconti dei chassidim, Garzanti, Milano 1988.
Y. ELIACH, Non ricordare...Non dimenticare..., Città Nuova, Roma 1992.
J. LANGHER, Le nove porte. I segreti del chassidismo, Adelphi, Milano 1987.
G. SCHOLEM, Le grandi correnti della mistica ebraica, Il Melangolo, Genova 1990.
Elena Lea Bartolini
Facoltà Teologica dell‟Italia Settentrionale (ISSR-MI)
Università degli Studi di Milano-Bicocca
 
4 M. BUBER, I racconti..., p.144.
5 M. BUBER, I racconti..., p.150.

16 maggio San Ubaldo, 17 maggio san Pasquale:

 Ubaldo, di nobile famiglia, nacque a Gubbio, in Umbria. Fin dai primi anni fu educato con gran cura nella pietà e nelle lettere. Divenuto adolescente, fu pressato più volte a prendere moglie, ma non venne mai meno al proposito di conservare la verginità. Ordinato sacerdote, distribuì il suo patrimonio ai poveri e alle chiese. Entrò nell'istituto dei Canonici regolari nell'ordine di sant'Agostino e trapiantò poi questo ordine in patria. Suo malgrado, tu preposto dal sommo pontefice Onorio IV alla Chiesa di Gubbio e consacrato vescovo. Fattosi veramente modello del suo gregge, nulla cambiò delle sue abitudini. Tormentato da lunghe malattie, ringraziava continuamente il Signore. Dopo aver governato con saggezza per molti anni la Chiesa a lui affidata, illustre per miracoli e opere sante, riposò nel Signore.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.


Pasquale Baylón nacque nella città di Torre Hermosa, in Aragona, da poveri ma pii genitori. Trascorse la fanciullezza e l'adolescenza facendo il pastore. Avendo, quindi, abbracciato un genere di vita più severo ed essendo stato accolto nell'ordine dei Frati Minori, meditava continuamente in qual modo potesse conformarsi sempre di più a Gesù crocifisso. Onorava come madre, con filiali e quotidiani atti di devozione la vergine Madre di Dio, al cui servizio si era dedicato fin dall'infanzia. Fu pervaso continuamente da sentimenti di tenera devozione verso l'eucaristia; sembrò che anche morto conservasse questa devozione, perché, all'elevazione della sacra Ostia egli, che giaceva nel feretro, per due volte aprì e chiuse gli occhi, con grande stupore di tutti i presenti. Ricco di meriti, salì al cielo nell'anno 1592. Leone XIII lo dichiarò e costituì celeste patrono particolare delle assemblee eucaristiche e di tutte le confraternite della santissima eucaristia.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.



sabato 14 maggio 2022

Giovanni duns scoto


Morte a Colonia

 

Scoto ha così trascorso l'ultimo periodo della vita nel convento francescano di Colonia, sede di uno Studium generale dell'Ordine, come è attestato da tutti gli storici, oltre che dall'iscrizione posta sulla sua tomba e dall'antico necrologio del convento.

Anche sull'ultima infermità, che avrebbe colpito Duns Scoto nell'esercizio del suo magistero a Colonia, o sulle circostanze prossime che lo condussero precocemente alla tomba, non ci sono pervenute notizie coeve e autentiche. Sono state fatte soltanto congetture più o meno fondate. Di certo e indiscutibile si sa solo questo: Scoto morì a Colonia nel convento francescano, ove insegnava teologia, in giorno di venerdì, l'8 novembre del 1308, ottava di tutti i santi; alle sue spoglie fu data sepoltura nell'annessa chiesa conventuale, la Minoritenkirche.

La prima attestazione della morte di Giovanni Duns Scoto proviene dalla fonte più diretta e autentica: il Necrologium dell'antico convento. Il documento, che era custodito nell'Archivio conventuale, è purtroppo andato perduto a seguito delle spogliazioni e manomissioni del convento, ma il padre Matteo Ferchio, che lo ebbe tra le mani quando fu a Colonia in occasione della traslazione delle ossa di Scoto nel gennaio 1619, ne trascrisse l'esatta dicitura, che riportò testualmente nella Apologia Prima da lui pubblicata nel 1620.

Si tratta di una memoria semplice e lapidaria, che sembra richiamare quelle degli antichi martirologi: indicazione del nome e sua condizione, ufficio nell'insegnamento e titolo dottorale, giorno mese e anno (e luogo) della morte; essa così recita: “Rever. P.F. Ioannes Scotus Sacrae Theologiae Professor, Doctor Subtilis nominatus, quondam Lector Coloniae, qui obiit anno Domini 1308, sexto Idus Novembris”.

Dopo la morte la memoria di Scoto si è sempre conservata tra i Frati e diffusa tra la gente. Il culto per l'esemplarità della sua vita è così naturalmente fiorito e si è conservato fino ai nostri giorni. A causa della confusa situazione dei suoi scritti, però, non si potè giungere subito ad un riconoscimento ufficiale della santità da parte della Chiesa. Solo dopo un lungo e paziente lavoro di ricostruzione dell’opera del Dottor Sottile, san Giovanni Paolo II potè promulgare il 6 luglio 1991 il Decreto di conferma del culto del beato Giovanni Duns Scoto e, nella solenne e pubblica celebrazione in San Pietro del 20 marzo 1993, stabilì l’8 novembre giorno della memoria liturgica.

[Per una bibliografia essenziale: C.K. Brampton, Duns Scotus at Oxford, 1288-1301, Franciscan Studies 24 (1964) 5-20 - R. Zavalloni, Giovanni Duns Scoto. Maestro di vita e pensiero, Ed. Francescane Bologna, Bologna 1992 - W.J. Courtnay, Scotus at Paris, in Via Scoti. Methodologia ad mentem Joannis Duns Scoti, Atti del Congresso Scotistico Internazionale, Roma 9-11 marzo 1993, a cura di L. Sileo, vol. I, PAA-Edizioni Antonianum, Roma 1995, 149-163 - A.B. Wolter, Duns Scotus at Oxford, in Via Scoti. Methodologia ad mentem Joannis Duns Scoti, Atti del Congresso Scotistico Internazionale, Roma 9-11 marzo 1993, a cura di L. Sileo, vol. I, PAA-Edizioni Antonianum, Roma 1995, 183-192 - O. Boulnois, La rigoeur de la charité, Cerf, Paris 1998 - A. Vos, The philosophy of John Duns Scotus, Edinburgh University Press,



 Edinburgh 20072]