"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
sabato 30 aprile 2022
Benedetto XVI e la musica
«Ecco il mio auspicio: che la grandezza e la bellezza della musica possano donare anche a voi, cari amici, nuova e continua ispirazione per costruire un mondo di amore, di solidarietà e di pace»
Benedictus PP. XVI
Benedetto XVI e la musica
di Lucio Coco
E’ a tutti nota la passione di papa Benedetto XVI per la musica. Il pianoforte lo accompagna nelle ore di relax e nel tempo libero. Ed egli stesso non ha mancato di fare accenni autobiografici che testimoniano e confermano questo suo interesse fin dalla giovinezza quando, insieme al fratello Georg, che in seguito lo avrebbe diretto per trent’anni, ha potuto partecipare all’attività del coro di chiesa più antico del mondo, quello dei “Passeri del Duomo di Ratisbona” (i «Regensburger Domspatzen»). Sempre indulgendo ai ricordi, egli può riandare a un lontano 1941 allorché, ancora con il fratello, poté assistere ad alcuni concerti del Festival di Salisburgo e ascoltare, nella Basilica abbaziale di San Pietro, una indimenticabile esecuzione della Messa in do minore di Mozart (cfr Discorso, 17.1.09). Un autore questo che lo fa andare con la memoria a tempi più remoti quando, da ragazzo, nella sua chiesa parrocchiale, ascoltando una sua Messa, poteva fare un’esperienza sublime della musica che gli faceva sentire che «un raggio della bellezza del Cielo lo aveva raggiunto» (Discorso, 7.9.10).
Il discorso sulla musica di papa Benedetto è sempre attraversato da una lettura spirituale di essa per cui, attraverso i suoni dell’orchestra, il canto del coro o anche l’esecuzione di un solista, noi possiamo arrivare ad avere uno sguardo più puro sulla nostra realtà interiore per scrutare in essa, nel riflesso della trama musicale, le passioni che la agitano e la scuotono oppure le gioie e le speranze che la animano e la destano (cfr Discorso, 18.11.06). Accanto a questo sguardo introspettivo, che armonizza il nostro intimo, la musica suscita risonanze che rimandano continuamente al di là di se stessa, «al Creatore di ogni armonia» (Discorso, 4.9.07). Proprio “giocando” su questa differenza, su questo scarto (non a caso in tedesco “suonare” è “spielen”, in inglese è “play” e in francese è “jouer”), essa ha il potere di «aprire le menti e i cuori alla dimensione dello spirito e condurre le persone ad alzare lo sguardo verso l’Alto, ad aprirsi al Bene e al Bello assoluti, che hanno la sorgente ultima in Dio» (Discorso, 29.4.10).
Attraverso la musica, forse in una maniera privilegiata rispetto ad altre arti, si può arrivare, mediante l’esperienza del vero, del buono e del bello che essa sollecita, a un contatto più diretto con Dio. In questo senso la musica può condurci alla preghiera: «Non è un caso – dice il papa – che spesso la musica accompagni la nostra preghiera.
Essa fa risuonare i nostri sensi e il nostro animo quando, nella preghiera, incontriamo Dio» (Discorso, 11.8.12). Tuttavia come alla preghiera non può mai corrispondere un sentimento narcisistico e appagante, ma dal rinnovato e ritrovato contatto con Dio dobbiamo attingere nuove energie spirituali per incidere positivamente sulla realtà, così anche la musica può diventare preghiera se «possiamo insieme costruire un mondo nel quale risuoni la melodia consolante di una trascendente sinfonia d’amore» (Discorso, 18.11.06).
La musica ci rivela che c’è una parte indistrutta del mondo, capace di resistere alla “hýbris” e alla superbia di Babele, dove la bontà e la bellezza della creazione non sono rovinate e ci ricorda che non siamo continuamente richiamati a mantenere e ripristinare, in una parola, «a lavorare per il bene e per il bello» (Discorso, 2.8.09). Non è questo l’unico messaggio della musica. Esso è certamente il più alto, per l’armonia e la sintonia che scopre con la Trascendenza, alla quale ci impone di adeguarci, aderendo alla bontà, alla bellezza e alla verità, per non rendere le nostre esistenze “stonate” e prive di significato. Tuttavia papa Benedetto si serve anche di altre immagini per spiegare, attraverso la musica, quelli che sono i nostri compiti. Egli immagina infatti la storia «come una meravigliosa sinfonia che Dio ha composto e la cui esecuzione Egli stesso, da saggio maestro d’orchestra, dirige» (Discorso, 18.11.06).
E’ vero, in certi momenti non è sempre facile leggerla e il suo disegno ci sembra discutibile oppure incomprensibile: la realtà del male e la sua azione nella storia degli uomini, lasciano talvolta pensare che «la Sua bontà non arriva giù fino a noi» (Discorso, 1.6.12). Nondimeno, continua il Santo Padre, sviluppando la similitudine dell’orchestra, non tocca a noi salire sul podio del direttore per dirigere e tanto meno possiamo cambiare la melodia che non ci piace, piuttosto «siamo chiamati, ciascuno di noi al suo posto e con le proprie capacità, a collaborare con il grande Maestro nell’eseguire il suo stupendo capolavoro. Nel corso dell’esecuzione ci sarà poi anche dato di comprendere man mano il grandioso disegno della partitura divina» (Discorso, 18.11.06).
Da questa osservazione, di natura prettamente teologica, ne discendono altre, di carattere più pratico, che possono fornire importanti istruzioni sulle regole vita della Chiesa in generale. Infatti l’esperienza del suonare insieme dell’orchestra, il rito stesso dell’accordatura e la pazienza delle prove, che impegnano i musicisti a «non suonare “da soli”, ma di far sì che i diversi “colori orchestrali” – pur mantenendo le proprie caratteristiche – si fondano insieme» (Discorso, 29.4.10), ci forniscono un’immagine appropriata per le relazioni che si costruiscono in ambito ecclesiale ed invitano a rinunciare a ogni forma di protagonismo al fine di diventare «”strumenti” per comunicare agli uomini il pensiero del grande “Compositore”, la cui opera è l’armonia dell’universo» (Discorso, 18.11.06).
Negli interventi che il Santo Padre dedica alla musica un posto importante è quello accordato alla musica sacra. Anche in tal caso Benedetto XVI vuole sgombrare il campo da alcuni equivoci che hanno fatto considerare il patrimonio della musica sacra o la tradizione del canto gregoriano come l’espressione «di una concezione rispondente ad un passato da superare e da trascurare, perché limitativo della libertà e della creatività del singolo e delle comunità» (Discorso, 13.5.11). Come risposta a queste posizioni il papa ribadisce la centralità di una Liturgia in cui il vero soggetto è la Chiesa: «Non è il singolo o il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività» (ib.). Occorre perciò – afferma il Santo Padre – tener presente il patrimonio storico-liturgico per mantenere «un corretto e costante rapporto tra “sana traditio e legitima progressio”» (Discorso, 6.5.11) nel quale, come reso esplicito dalla Sacrosanctum Concilium (n.23), questi due aspetti si integrano dal momento che «la tradizione è una realtà viva e include perciò in se stessa il principio dello sviluppo e del progresso» (Discorso, 6.5.11).
Dal discorso che Benedetto XVI tesse sulla musica, anche attraverso i giudizi che di volta in volta formula sui diversi compositori (Vivaldi, Händel, Bach, Mozart, Beethoven, Rossini, Schubert, Mendelssohn, Liszt, Verdi, Bruckner), emergono non solo una grande competenza ma anche una notevole finezza interpretativa, segno di una particolare sensibilità per questa universale forma di espressione artistica e per gli ideali di verità, bontà e bellezza che la musica comunica e modula. Perciò è ancora il papa a sottolineare il suo debito di gratitudine verso quest’arte e verso tutti coloro che ad essa, fin da bambino, lo hanno accostato: «Nel guardare indietro alla mia vita, – egli ha modo di dire con parole davvero toccanti – ringrazio Iddio per avermi posto accanto la musica quasi come una compagna di viaggio, che sempre mi ha offerto conforto e gioia. Ringrazio anche le persone che, fin dai primi anni della mia infanzia, mi hanno avvicinato a questa fonte di ispirazione e di serenità» (Discorso, 16.4.07).
E l’augurio che egli esprime, a conclusione di un concerto, fa capire molto bene l’alto valore e il posto davvero centrale che egli assegna alla musica non solo nella sua vita ma in quella di tutti: «Ecco il mio auspicio: che la grandezza e la bellezza della musica possano donare anche a voi, cari amici, nuova e continua ispirazione per costruire un mondo di amore, di solidarietà e di pace» (ib.).
*Lucio Coco, studioso di letteratura classica antica è curatore dei volumi della collana Pensieri di Papa Benedetto XVI, editi dalla Libreria Editrice Vaticana
AMDG et DVM
MARIA VALTORTA!!
13 settembre 1943
(iniziata nel momento della Comunione)
Dice Gesù:
«L’arcangelo Michele, che voi invocate nel Confiteor,[333] ma, secondo la vostra abitudine, con l’anima assente, troppo assente, era presente alla mia morte di croce. I sette grandi arcangeli[334] che stanno in perenne davanti al trono di Dio, erano tutti presenti al mio Sacrificio.
E non dire che ciò è in contraddizione col mio dire:[335] “Il Cielo era chiuso”. Il Padre, lo ripeto, era assente, lontano, nel momento in cui la Grande Vittima compiva l’Immolazione per la salute del mondo.
Se il Padre fosse stato meco, il Sacrificio non sarebbe stato totale. Sarebbe stato unicamente sacrificio della Carne condannata alla morte. Ma Io dovevo compiere il totale olocausto. Nessuna delle tre facce dell’uomo: quella carnale, quella morale, quella spirituale, doveva essere esclusa dal sacrificio, perché Io ero immolato per tutte le colpe, e non soltanto per le colpe del senso. Or dunque è comprensibile che anche il morale e lo spirituale mio dovevano essere stritolati, annichiliti nella mola del tremendo Sacrificio. Ed è anche comprensibile che il mio Spirito non avrebbe sofferto se esso fosse stato fuso con quello del Padre.
Ma ero solo. Innalzato, non materialmente ma soprannaturalmente, a una tale distanza dalla Terra che nulla più di conforto poteva venirmi da essa. Isolato da ogni conforto umano. Innalzato sul mio patibolo, avevo portato su esso il peso immisurabile delle colpe di tutta un’umanità di millenni passati e di millenni avvenire, ed esso peso mi schiacciava più della Croce, trascinata con tanta fatica da un corpo già agonico per le erte, afose, sassose vie di Gerusalemme, fra i lazzi e gli urtoni di una plebe imbestialita.
Sulla Croce ero col mio soffrire totale di carne seviziata e col mio supersoffrire di spirito accasciato da un cumulo di colpe che nessun aiuto divino rendeva sopportabili. Ero un naufrago in mezzo ad un oceano in tempesta e dovevo morire così. Il mio Cuore si è schiantato sotto l’affanno di questo peso e di questo abbandono.
Mia Madre m’era vicina. Lei sì. Eravamo noi due, i Martiri, avvolti nello strazio e nell’abbandono. E il vederci l’un l’altro era tortura aggiunta a tortura. Poiché ogni mio fremito lacerava le fibre di mia Madre, ed ogni suo gemito era un nuovo flagello sulle mie carni flagellate e un nuovo chiodo infisso non nelle palme, ma nel mio Cuore. Uniti e divisi nello stesso tempo per soffrire di più, e su noi i Cieli chiusi sul corruccio del Padre e tanto lontani...
Ma gli arcangeli erano presenti all’Immolazione del Figlio di Dio per la salute dell’uomo e alla Tortura della Vergine-Madre. E se è detto[336] nell’Apocalisse che agli ultimi tempi un Angelo farà l’offerta dell’incenso più santo al trono di Dio, avanti di spargere il fuoco primo dell’ira divina sulla Terra, come non pensate che fra le preghiere dei santi, incenso imperituro e degno dell’Altissimo, non siano, prime fra tutte, le lacrime, oranti più di qualsiasi parola, della mia Santa benedetta, della mia Martire dolcissima, della Madre mia, raccolte dall’angelo che portò l’annuncio[337] e che raccolse l’adesione, del testimone angelico degli sponsali soprannaturali per i quali la Natura Divina contrasse legame con la natura umana, attrasse alle sue altezze una carne e abbassò il suo Spirito a divenire carne per la pace fra l’uomo e Dio?
Gabriele e i suoi celesti compagni curvi sul dolore di Gesù e di Maria, impossibilitati a sollevarlo, perché era l’ora della Giustizia, ma non assenti da esso, hanno raccolto nel loro intelletto di luce tutti i particolari di quell’ora, tutti, per illustrarli, quando il tempo non sarà più, alla vista dei risorti: gaudio dei beati e condanna prima dei reprobi, anticipo a questi e a quelli di ciò che sarà dato da Me, Giudice supremo e Re altissimo.»
Si è iniziato il parlare di Gesù mentre dicevo il Confiteor e la mia mente ha visto Gabriele, luce d’oro, curvo in adorazione della Croce, credo. Ma non vedevo la Croce.
Oggi, poi, sfogliando attentamente le pagine dattilografate per correggere i più piccoli errori di trascrizione, acciò non vi siano svarioni che alterano il pensiero, trovo un mio commento, in data 31 maggio, circa la distruzione di Gerusalemme... Ricordo l’impressione avuta quel giorno leggendo S. Luca nel cap. 21 e nei versetti 20 e 24. Dicevo quel giorno: “Ho capito che c’è un riferimento a noi tutti. Non ho visto chiaramente. Sono però rimasta sotto la dolorosa impressione”. Oggi rileggo S. Luca e purtroppo mi pare che il brano calza a dovere coi nostri disgraziati casi...
Gesù mi parla oggi di sette arcangeli che stanno sempre davanti al trono di Dio. Ci sono proprio o è un numero allegorico? Ho cercato nella Bibbia, ma non ho trovato niente in merito. Questa deve essere una di quelle “lacune” di cui parla Gesù l’11 giugno.
MARIA VALTORTA!
QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 24
11 giugno 1943
Dice Gesù:
«Sei troppo afflitta per copiare quanto ti ho detto, molto più che è argomento che ti costa trascrivere. Lascialo dunque per oggi e ascolta Me che ti parlo.
Hai tanta pena, povera anima! Ma Io voglio sollevare la tua pena. Non “levare” la tua pena. Ma sollevarla. Sollevarla consolandoti e sollevarla aiutandoti ad alzarla ben in alto perché sia tutta meritoria. Se mi ascolti vedrai che la ferita duole meno.
Maria, non essere una che non sa fare fruttare le monete che Io le do. Ogni evento della vostra giornata d’uomini è una moneta che Dio vi affida perché la facciate fruttare per la vita eterna. Della nuova moneta che Io ti do servitene in modo da ricavarne il cento per cento. In che modo?
Con la rassegnazione per prima cosa, accettando di bere questo calice senza torcere altrove la testa evitando di accostare all’amarissimo orlo le labbra.
Con riconoscenza sempre, verso di Me che te lo porgo con la cognizione giusta, come solo Io la posso avere, di fare a te del bene, di fare, ossia, per te un nuovo atto d’amore.
Con fiducia. Io ti aiuterò a portare la nuova croce e le altre che da questa sgorgheranno. Non sei contenta d’avermi per Cireneo, Io, il tuo Gesù che ti ama?
Con vista superiore, soprattutto. Sì, non avvilire l’oro di questa croce sporcandolo con retropensieri umani. E che ti importa che il mondo non ti comprenda, neppure nei tuoi più eletti sentimenti? E che? Ti preoccupi perché sei giudicata fredda, egoista, senza amore verso tua madre? E che? Ti addolori di un povero giudizio umano? No, Maria. Male sarebbe se Io ti avessi a giudicare colpevole verso i comandamenti della Legge divina e umana per riguardo al tuo agire verso tua madre. Ma degli altri non te ne curare.
E guarda Me una volta ancora. Non fui Io forse vilipeso dall’insulto che Io ero bestemmiatore, un ribelle al Dio d’Abramo, un ossesso, un figlio senza cuore? Nessun discepolo[45] è da più del Maestro, Maria, e ogni discepolo deve perciò essermi uguale nelle offese che riceve e nelle opere che compie.
Alle offese ci pensano gli altri i quali “non sanno quello che fanno e che dicono”. Perciò perdonali. Alle opere pensaci tu, continuando la tua via e alzando tanto in alto il tuo spirito fin dove le pietre della maldicenza, della corta vista umana, non possono arrivare. Sono Io che vedo e giudico e che ti premio e benedico. Gli altri sono polvere che cade.
Va’ in pace, Maria. Ecco che ti tocco per sollevare dal tuo capo la corona spinosa. Oggi la porterò Io per te. E non cercare mai altri cuori fuorché il mio per consolare il tuo soffrire. Anche percorressi tutta la Terra non troveresti nessuno che ti capisse con verità e giustizia come lo può fare Gesù, tuo Maestro e Amico.
Va’ in pace. Ti do la mia pace.»
«Per capire le cose voi uomini avete bisogno di mettere meticolosamente tutte le cose in chiaro. Punti, virgole, esclamativi, interrogativi, e spesso non servono. Ma Dio non ha bisogno di sofisticare tanto per capire. Egli vede nel profondo e giudica il vostro profondo. È per questo che Io vi ho detto[46]: “Quando pregate non dite tante parole. Il vostro Padre sa di che abbisognate”.
Il vostro Padre capisce, Maria, vede, giudica, con vera giustizia e con grande misericordia. Non misura col vostro centimetro. Non condanna secondo il vostro codice, e non guarda coi vostri occhi miopi. Anche quando una colpa c’è realmente, ma il colpevole ne è così umiliato da giudicarsi da sé meritevole di condanna, Io, Misericordia, dico: “Non ti condanno. Va’ e non più peccare”, come ho detto all’adultera[47].
Che il prossimo non capisca mai con vera giustizia ne hai continue prove. L’ultima è di ieri sera. Sono stati feriti il tuo cuore di figlia e la tua suscettibilità di donna con un unico colpo. E da chi avrebbe potuto conoscerti a fondo. Questo ti dimostri una volta di più che non c’è che Dio che sia infinitamente giusto. Lascia cadere tutto quello che non sia Dio. Voglio che tu viva di Dio solo.
Vuoi un esempio di come sia limitata la perspicacia umana? Tu, nel trascrivere una frase, hai omesso, parendoti già chiaro il pensiero mentre Io te lo dettavo, due parolette: in lei. Due microscopiche parolette. Ma dopo né tu né altri avete più capito il significato vero della frase. “Era anzi in lei (Maria) la Grazia stessa”, cioè era pienamente in Maria Dio, Grazia stessa. Un’inezia di omissione, ma che ha fatto sì che non afferraste più bene il senso della frase[48].
Così è di tutto. La limitata vista intellettuale umana vede alla superficie e spesso malamente anche alla superficie. Per questo vi ho detto[49]: “Non giudicate”.
A persuadere te e altri che quanto scrivi non è cosa tua, lascio apposta delle lacune nella tua mente, come quella dei dieci giusti[50] che avrebbero potuto salvare quella antica città. L’hai dovuto chiedere al Padre. Oppure lascio che tu commetta una piccola modificazione per mostrarti che da te sbagli subito e ti levo la voglia di riprovartici. In tal modo ti tengo bassa e persuasa che nulla è tuo e tutto è mio.
Tutto il bene che voi fate, anche se molto vasto, è una piccolezza trascurabile se confrontata all’infinito Bene che è Dio, e anche le vostre opere più perfette, di una perfezione umana, sono piene di mende agli occhi di Dio. Ma se voi le offrite unite ai miei meriti, ecco che esse prendono le caratteristiche che piacciono a Dio, acquistano in perfezione, in estensione, e divengono capaci di redenzione.
Bisogna sapere fare tutto in Me e imitando Me e nel mio Nome. Allora il Padre mio vede nelle vostre opere il mio segno e la somiglianza mia e le benedice e fa fruttare. Per una sbagliata umiltà non devi mai dire: “Io non posso fare ciò”. Io l’ho detto[51]: “Farete le stesse opere che faccio Io”. Appunto perché, rimanendo in Me con la vostra buona volontà, divenite dei piccoli Cristi capaci di seguire Me, Cristo vero, in tutte le contingenze della vita.»
[45] Nessun discepolo…, come in Matteo 10, 24; Luca 6, 40; Giovanni 13, 16; 15, 20; non sanno…, come in Luca 23, 34.
[46] ho detto in Matteo 6, 7-8.
[47] ho detto all’adultera in Giovanni 8, 10-11.
[48] frase scritta l’8 giugno e segnalata in nota.
[49] ho detto in Matteo 7, 1-2; Luca 6, 37.
[50] dieci giusti… con riferimento a Genesi 18, 32.
venerdì 29 aprile 2022
Carlo Acutis
LA STORIA DI CARLO ACUTIS
Londra, Inghilterra, 3 maggio 1991 - Monza, Monza e Brianza, 12 ottobre 2006
Figlio primogenito di Andrea Acutis e Antonia Salzano, Carlo nacque a Londra, dove i genitori si trovavano per motivi di lavoro del padre, il 3 maggio 1991. Trascorse l’infanzia a Milano, circondato dall’affetto dei suoi cari e imparando da subito ad amare il Signore, tanto da essere ammesso alla Prima Comunione ad appena sette anni. Frequentatore assiduo della parrocchia di Santa Maria Segreta a Milano, allievo delle Suore Marcelline alle elementari e alle medie, poi dei padri Gesuiti al liceo, s’impegnò a vivere l’amicizia con Gesù e l’amore filiale alla Vergine Maria, ma fu anche attento ai problemi delle persone che gli stavano accanto, anche usando da esperto, seppur autodidatta, le nuove tecnologie. Colpito da una forma di leucemia fulminante, la visse come prova da offrire per il Papa e per la Chiesa. Lasciò questo mondo il 12 ottobre 2006, nell’ospedale San Gerardo di Monza, a quindici anni compiuti.
Forse un giorno, neppur troppo lontano, avremo un santo, regolarmente canonizzato, come patrono di internet e protettore di tutti i cybernauti. Già comunque adesso abbiamo un valido intercessore in Carlo Acutis, un ragazzo di 15 anni, “patito” di internet come i suoi coetanei, ma a differenza di tanti di loro, convinto che debba diventare “veicolo di evangelizzazione e di catechesi”.
Sul web è ancora presente (www.miracolieucaristici.org), la mostra virtuale progettata e realizzata da lui a 14 anni, che sta facendo il giro del mondo e che testimonia come davvero per Carlo l’Eucaristia è stata la sua “autostrada per il cielo”. Già, perché Carlo continua ad essere un mistero: con i suoi 15 anni limpidi e solari, con la sua voglia di vivere e la sua prorompente allegria, ma soprattutto con la sua fede che scomoda ed interpella quella di noi adulti.
Il 3 maggio 1991, a Londra, dove i suoi illustri genitori, Andrea e Antonia, si trovano in quel momento per motivi di lavoro, nasce Carlo Acutis. Nel settembre dello stesso anno, rientrano tutti e tre a Milano, la loro città.
Molto presto, Carlo si rivela un bambino di straordinaria intelligenza, quindi di una geniale capacità di utilizzare i computer e i programmi informatici. È affettuoso, vuole molto bene ai suoi genitori, trascorre del tempo con i nonni. Frequenta le scuole elementari e medie presso le Suore Marcelline di Milano, poi passa al Liceo Classico Leone XIII retto dai Padri Gesuiti. Ama il mare, i viaggi, le conversazioni, fa amicizia con i domestici di casa, è aperto a tutti e a tutti rivolge saluto e parola. Ha un temperamento solare, senza alcuna difficoltà a parlare con i nobili o con i mendicanti che incontra per strada. Nessuno è mai escluso dal suo cuore davvero buono.
Tutto per Gesù
Ma che cosa distingue Carlo da tanti suoi coetanei? Nel corso della sua esistenza, molto presto ha scoperto una Persona singolare: Gesù Cristo, e di Lui, crescendo, si innamora perdutamente. Fin, da piccolo, l’incontro con Gesù sconvolge la sua vita. Carlo trova in Lui l’Amico, il Maestro, il Salvatore, la Ragione stessa della sua esistenza. Senza Gesù nel suo vivere quotidiano, non si comprende nulla della sua vita, in tutto simile a quella dei suoi amici, ma che custodisce in sé questo invincibile Segreto.
Cresce in un ambiente profondamente cristiano, in cui la fede è vissuta e testimoniata con le opere, ma è lui che sceglie liberamente di seguire Gesù con grande entusiasmo. In un mondo basato sull’effimero e sulla volgarità, testimonia Gesù e il suo Vangelo, che i più hanno smarrito o dimenticato, che molti combattono. Non ha paura di presentarsi come un’eccezione al mondo (ebbene, lo sia!) e di andare contro-corrente, contro la mentalità imperante oggi.
Sa che per seguire Gesù, occorrono una grande umiltà e un gran sacrificio. I suoi modelli sono i Pastorelli di Fatima, Giacinta e Francesco Marto, S. Domenico Savio e S. Luigi Gonzaga, e poi S. Tarcisio martire per l’Eucaristia. Carlo, con continua coerenza e non in modo passeggero, si inserisce in questo stuolo di piccoli che con la loro esistenza narrano la gloria di Gesù. Si impegna fino al sacrificio per vivere continuamente nell’amicizia e nella grazia con Gesù. Trova, assai presto per la sua vita, due colonne fondamentali: l’Eucaristia e la Madonna.
L’Ostia lo trasforma
La sua vita è interamente eucaristica: non solo ama e adora profondamente il Corpo e il Sangue di Gesù, ma ne accoglie in sé l’aspetto oblativo e sacrificale. Già innanzi la sua 1a Comunione, ricevuta a soli 7 anni nel monastero delle Romite di S. Ambrogio ad Nemus, di Perego, poi sempre di più, alimenta una grande devozione al SS. Sacramento dell’altare, in cui sa e crede che Gesù è realmente presente accanto alle sue creature, come Dio e l’Amico più grande che esista. Partecipa alla Messa e alla Comunione – incredibile, ma vero anche per un ragazzo d’oggi – tutti i giorni. Dedica molto tempo alla preghiera silenziosa di adorazione davanti al Tabernacolo, dove sembra rapito dall’amore. Proprio così: dal Mistero eucaristico, impara a comprendere l’infinito amore di Gesù per ogni uomo.
Tutto questo è una continua "scuola" di dedizione così che non gli basta essere onesto e buono, ma sente che deve donarsi a Dio e servire i fratelli: tendere alla santità, essere santo! Nasce di lì, il suo zelo per la salvezza delle anime. Non si limita a pregare, ciò che è già grande cosa, ma parla spesso di Gesù, della Madonna, dei Novissimi (=le ultime cose: morte, giudizio di Dio, inferno, paradiso) e del rischio di potersi perdere con il peccato mortale nella dannazione eterna.
Carlo cerca di aiutare soprattutto coloro che vivono lontani da Gesù immersi nell’indifferenza per Lui e nel peccato. Spesso si offre, prega e ripara i peccati e le offese compiute contro l’Amore divino, contro il Cuore di Gesù, che sente vivo e palpitante nell’Ostia consacrata. Come S. Margherita Maria Alacoque, anche lui alimenta dentro di sé il desiderio di condurre le anime al Cuore di Gesù, nel quale confida e si abbandona ogni giorno. In particolare, si comunica tutti i primi venerdì del mese per riparare i peccati e meritarsi il Paradiso, secondo la "grande promessa" di Gesù, nel 1675, a S. Margherita Maria. Tra i suoi scritti, le sue "note d’anima", forse l’affermazione più bella è proprio questa: "L’Eucaristia? E’ la mia autostrada per il Cielo!".
Questa sua assidua e quotidiana abitudine di accostarsi all’Eucaristia, vivifica e rinnova il suo ardore verso Gesù e fa di lui un suo intimo amico, come confermano i sacerdoti che lo hanno conosciuto da vicino e anche i suoi compagni. Gesù gli fa bruciare le tappe nel suo cammino di ascesa.
Ora ne conosciamo il perché: la sua esistenza sarebbe stata breve e la via della perfezione doveva essere percorsa da lui in poco tempo. Carlo non si sottrae e non si tira indietro e, pur sapendo di essere così diverso dalla società che lo circonda, sa anche che la santità è in realtà la norma della vita: si lascia condurre per mano, sicuro che Gesù ha scelto per lui "la parte migliore", che non gli verrà tolta. Prova dentro di sé la certezza di essere amato da Dio e tanto gli basta per essere a sua volta apostolo della Verità e dell’amore, che è Gesù stesso.
Annunciatore di Gesù
E’ apprezzato e stimato dai suoi compagni di scuola, che lui aiuta sempre, anche se talvolta viene canzonato per la sua fede vivissima. Non è mai un alieno, ma è solo consapevole di aver incontrato Gesù e, per essergli fedele, è pronto anche a sfidare la maggioranza, "che ha solo ragione quando è nella Verità, mai perché è maggioranza". Quindi non teme le critiche e le derisioni, ma sa che sono ineluttabili per conquistare alla causa di Gesù compagni e amici. Sì, Carlo intende conquistare anime e ci sono dei non-cristiani, uomini di altre religioni, che per averlo conosciuto e parlato con lui, hanno chiesto il Battesimo nella Chiesa Cattolica.
E’ un genio del computer, nonostante e suoi versi anni, e un campione dello spirito, per la sua fede salda e operosa. I suoi compagni lo cercano per farsi insegnare a usare al meglio il computer, e Carlo, mentre spiega programmi e comandi, dirige il discorso verso le Verità eterne, verso Dio. Mobilitato e posseduto da Gesù Eucaristico, non perde occasione per evangelizzare e catechizzare. Il suo esempio trascina, la sua parola suadente spiega i Misteri della salvezza. Emana un fascino singolare, ha un ascendente straordinario, diremmo, un’autorevolezza che non è della sua età anagrafica. I suoi compagni sono ora concordi nel dire che Carlo è stato un vero testimone di Gesù e annunciatore del suo Vangelo.
Ha capito che è indispensabile un grande sforzo missionario per annunciare il Vangelo a tutti. Apprezza l’intuizione del Beato Giacomo Alberione (1884-+1971) a usare i mass-media a servizio del Vangelo. Il suo obiettivo è quello dei missionari più veri: giungere a quante più persone possibili per far loro conoscere la bellezza e la gioia dell’amicizia con Gesù.
In questa visione della realtà, prende come modello S. Paolo, l’apostolo delle genti, che impegna tutto se stesso per portare il Vangelo a ogni creatura, fino al sacrificio della vita.
E’ un vero figlio della Chiesa, Carlo Acutis: per la Chiesa, prega e offre sacrifici. Il suo pensiero continuo è rivolto al Papa, nel quale, Giovanni Paolo II o Benedetto XVI che sia, crede e vede il Vicario di Cristo: per il Papa offre penitenze e preghiere. Si appassiona a ascoltare il Magistero del Papa e a seguirlo. Matura così una conoscenza della Fede, fuori dal comune, tanto più se si considera la sua età: comprende e illustra concetti di fede con parole semplici e comprensibili, che neppure un teologo potrebbe utilizzare meglio.
Meraviglia e incanta sia il suo parroco sia i religiosi e le persone che incontra e lo ascoltano. Chi lo avvicina, se ne va con una certezza di fondo: che Gesù è davvero l’unico Salvatore atteso dall’umanità anche oggi e il solo che sa riempire a pieno il cuore dell’uomo.
Consacrato alla Madonna
L’altra colonna fondamentale su cui costruisce la sua vita è la Madonna: a Lei consacra più volte tutta la sua vita; a Lei ricorre nei momenti della necessità, certo che Maria SS.ma nulla rifiuta. E’ impossibile parlare di Carlo, senza considerare la sua forte devozione alla Madonna. E’ affascinato dalle sue apparizioni a Lourdes e a Fatima e ne vive il messaggio di conversione, penitenza e preghiera. Da Fatima, impara a amare il Cuore Immacolato di Maria, a pregare e a offrire sacrifici per riparare le offese che molti le arrecano.
Maria SS.ma è la sua Avvocata, la sua Mamma: è fedele, per amor suo, alla recita quotidiana del Rosario, diffonde la devozione mariana tra i conoscenti, visita i suoi santuari, Lourdes e Fatima compresi. Tra i "suoi" santi, predilige S. Bernardette Sobirous e i Beati Pastorelli di Fatima e parla di loro assai volentieri, per invitare molti a vivere i messaggi della Madonna. È impressionato dal racconto della visione dell’inferno, come riferito da suor Lucia di Fatima, e pertanto decide di aiutare più persone che può a salvarsi l’anima. Sembra impossibile per un ragazzo, eppure Carlo legge il Trattato del Purgatorio di S. Caterina Fieschi da Genova (1447-1510), in cui la santa descrive le pene delle anime in Puragatorio. Carlo offre preghiere, penitenze e Comunioni in loro suffragio.
In un mondo chiuso alla grande Verità della fede, Carlo scuote le coscienze e invita a guardare spesso all’"Aldilà", che non tramonta. In famiglia, nella scuola, in mezzo alla società, diventa testimone dell’Eternità. Vive puro come un angelo, affidando la sua purezza alla Madonna e chiedendo preghiere per la sua purezza alle monache di clausura che frequenta, interessatissimo alla loro vita di preghiera. Difende la santità della famiglia contro il divorzio, e la sacralità della vita contro aborto e eutanasia, nei dibattiti in cui si trova coinvolto.
Non conosce compromessi. E’ umile e ardente. Contagioso nella fede, come un fuoco che si appicca dovunque e incendia di Verità e di amore a Cristo.
"Voglio subito il Paradiso"
Non possiamo scriverne di più, tanto è affascinante. La sua storia bellissima è narrata nel libro di Nicola Gori, Eucaristia, la mia autostrada per il Cielo. Biografia di Carlo Acutis, S. Paolo, Milano, 2007.
Questo angelo in carne, all’inizio d’ottobre 2006, è colpito da una gravissima forma di leucemia, incurabile. E’ ricoverato in ospedale. Non si spaventa, ma dice: "Offro tutte le sofferenze che dovrò patire, al Signore, per il Papa e per la Chiesa, per non fare il Purgatorio e andare dritto in Paradiso". Si Confessa molto sovente, ma ora è Gesù che lo accoglie nel suo abbraccio. Riceve l’Unzione degli infermi, Gesù-Ostia come Viatico per la vita eterna. Sorride a tutti con uno sguardo bellissimo, con un coraggio senza pari. Alle 6,45 del 12 ottobre 2006, Carlo Acutis, di appena 15 anni, contempla per sempre Iddio. Piccolo grande meraviglioso intimo amico e apostolo di Gesù Cristo.
Solo il divino Redentore e la sua Chiesa possono formare ragazzi così, segno che "anche oggi, come scrisse Montalembert, Colui che pende dalla croce continua ad attirare a Sé la gioventù e l’amore.
Paolo Risso
AMDG et DVM