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giovedì 16 marzo 2023

Ricordando Papa Benedetto XVI

 

La musica sacra sulle note degli angeli

Passione coltivata sin dall'infanzia, per Joseph Ratzinger la musica è un grande amore in grado di veicolare grandi verità. In particolare nella liturgia, dove il criterio di fondo – alla scuola dei monaci – consiste nel sintonizzarsi con il canto delle schiere celesti che adesso lo hanno accolto insieme a loro.

Tra i molti aspetti che riguardano la lunga vita di Benedetto XVI, non penso sia possibile dimenticare il suo amore per la musica, un amore che aveva spesso manifestato in varie occasioni. Egli si dilettava a suonare il pianoforte ed aveva un interesse particolare per la musica di Wolfgang Amadeus Mozart, autore prediletto da molti teologi che nella sua musica hanno intuito l’impronta di Dio. Così è stato anche per Joseph Ratzinger, che in occasione del suo ottantanovesimo compleanno ricevette come "dono" un concerto con la musica dell'amato compositore.

Naturalmente il Papa emerito non era appassionato soltanto di musica strumentale ma anche di musica sacra e suo fratello Georg era uno stimato direttore di coro. Ricevendo l’Associazione Italiana Santa Cecilia nel 2012, affermò che «la Costituzione Sacrosanctum Concilium, in linea con la tradizione della Chiesa, insegna che "il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne" (n. 112). Perché "necessaria ed integrante"? Non certo per motivi puramente estetici, in un senso superficiale, ma perché coopera, proprio per la sua bellezza, a nutrire ed esprimere la fede, e quindi alla gloria di Dio e alla santificazione dei fedeli, che sono il fine della musica sacra».

Nella raccolta delle sue opere sulla liturgia, ci sono numerosi riferimenti alla musica sacra, con riflessioni davvero illuminanti sulla situazione in cui oggi ci troviamo. Per esempio, quando contesta il fatto che certa musica che si ascolta oggi in Chiesa sia da considerare positivamente perché destinata ai giovani; egli osserva, in realtà, e giustamente che quella musica non esprime la cultura giovanile, ma quella delle grandi corporation della musica pop. 

Una bella meditazione del 2008 al Collège des Bernardins a Parigi, che prende le mosse da san Benedetto, ci offre lo sguardo teologico sulla musica sacra di Benedetto XVI: «In Benedetto, per la preghiera e per il canto dei monaci vale come regola determinante la parola del Salmo: Coram angelis psallam Tibi, Domine – davanti agli angeli voglio cantare a Te, Signore (cfr 138,1). Qui si esprime la consapevolezza di cantare nella preghiera comunitaria in presenza di tutta la corte celeste e di essere quindi esposti al criterio supremo: di pregare e di cantare in maniera da potersi unire alla musica degli Spiriti sublimi, che erano considerati gli autori dell’armonia del cosmo, della musica delle sfere. Partendo da ciò, si può capire la serietà di una meditazione di san Bernardo di Chiaravalle, che usa una parola di tradizione platonica trasmessa da Agostino per giudicare il canto brutto dei monaci, che ovviamente per lui non era affatto un piccolo incidente, in fondo secondario. Egli qualifica la confusione di un canto mal eseguito come un precipitare nella “zona della dissimilitudine” – nella regio dissimilitudinis. Agostino aveva preso questa parola dalla filosofia platonica per caratterizzare il suo stato interiore prima della conversione (cfr. Confess. VII, 10.16): l’uomo, che è creato a somiglianza di Dio, precipita in conseguenza del suo abbandono di Dio nella “zona della dissimilitudine” – in una lontananza da Dio nella quale non Lo rispecchia più e così diventa dissimile non solo da Dio, ma anche da se stesso, dal vero essere uomo. È certamente drastico se Bernardo, per qualificare i canti mal eseguiti dei monaci, usa questa parola, che indica la caduta dell’uomo lontano da se stesso. Ma dimostra anche come egli prenda la cosa sul serio. Dimostra che la cultura del canto è anche cultura dell’essere e che i monaci con il loro pregare e cantare devono corrispondere alla grandezza della Parola loro affidata, alla sua esigenza di vera bellezza». Parole davvero illuminanti che aprono grandi prospettive teologiche.

Purtroppo non fu in grado di fare moltissimo per la musica sacra negli otto anni in cui fu Papa regnante, in quanto il suo carattere molto delicato e la situazione generale di assoluta decadenza non gli permisero di adottare quelle decisioni, forti e impopolari, che forse sarebbero necessarie e che lui sicuramente avrebbe desiderato.

Vorrei chiudere con alcuni ricordi personali. Uno è riferito al tempo in cui era cardinale e mi fece convocare in sagrestia nella Basilica di san Pietro al termine di una Messa celebrata da lui per un gruppo di pellegrini tedeschi, in cui avevo suonato. Mi ringraziò e mi fece presente il suo grande amore per la musica sacra.  Inoltre, ricordo quando da pontefice esprimeva la sua vicinanza alla Cappella Musicale Pontificia detta Sistina, con gesti di grande delicatezza e sensibilità. Un’attenzione alla musica che manifestò nominando cardinale il maestro Domenico Bartolucci che stimava molto per la sua vita spesa al servizio della musica sacra.

Ora Benedetto XVI sta ascoltando la musica degli angeli e potrà vedere con i suoi occhi quello che per tutta la vita ha anelato e sperato.

di Aurelio Porfiri

AMDG et DVM

sabato 30 aprile 2022

Benedetto XVI e la musica

 

«Ecco il mio auspicio: che la grandezza e la bellezza della musica possano donare anche a voi, cari amici, nuova e continua ispirazione per costruire un mondo di amore, di solidarietà e di pace»

Benedictus PP. XVI


Benedetto XVI e la musica

E’ a tutti nota la passione di papa Benedetto XVI per la musica. Il pianoforte lo accompagna nelle ore di relax e nel tempo libero. Ed egli stesso non ha mancato di fare accenni autobiografici che testimoniano e confermano questo suo interesse fin dalla giovinezza quando, insieme al fratello Georg, che in seguito lo avrebbe diretto per trent’anni, ha potuto partecipare all’attività del coro di chiesa più antico del mondo, quello dei “Passeri del Duomo di Ratisbona” (i «Regensburger Domspatzen»). Sempre indulgendo ai ricordi, egli può riandare a un lontano 1941 allorché, ancora con il fratello, poté assistere ad alcuni concerti del Festival di Salisburgo e ascoltare, nella Basilica abbaziale di San Pietro, una indimenticabile esecuzione della Messa in do minore di Mozart (cfr Discorso, 17.1.09). Un autore questo che lo fa andare con la memoria a tempi più remoti quando, da ragazzo, nella sua chiesa parrocchiale, ascoltando una sua Messa, poteva fare un’esperienza sublime della musica che gli faceva sentire che «un raggio della bellezza del Cielo lo aveva raggiunto» (Discorso, 7.9.10).

Il discorso sulla musica di papa Benedetto è sempre attraversato da una lettura spirituale di essa per cui, attraverso i suoni dell’orchestra, il canto del coro o anche l’esecuzione di un solista, noi possiamo arrivare ad avere uno sguardo più puro sulla nostra realtà interiore per scrutare in essa, nel riflesso della trama musicale, le passioni che la agitano e la scuotono oppure le gioie e le speranze che la animano e la destano (cfr Discorso, 18.11.06). Accanto a questo sguardo introspettivo, che armonizza il nostro intimo, la musica suscita risonanze che rimandano continuamente al di là di se stessa, «al Creatore di ogni armonia» (Discorso, 4.9.07). Proprio “giocando” su questa differenza, su questo scarto (non a caso in tedesco “suonare” è “spielen”, in inglese è “play” e in francese è “jouer”), essa ha il potere di «aprire le menti e i cuori alla dimensione dello spirito e condurre le persone ad alzare lo sguardo verso l’Alto, ad aprirsi al Bene e al Bello assoluti, che hanno la sorgente ultima in Dio» (Discorso, 29.4.10).

Attraverso la musica, forse in una maniera privilegiata rispetto ad altre arti, si può arrivare, mediante l’esperienza del vero, del buono e del bello che essa sollecita, a un contatto più diretto con Dio. In questo senso la musica può condurci alla preghiera: «Non è un caso – dice il papa – che spesso la musica accompagni la nostra preghiera

Essa fa risuonare i nostri sensi e il nostro animo quando, nella preghiera, incontriamo Dio» (Discorso, 11.8.12). Tuttavia come alla preghiera non può mai corrispondere un sentimento narcisistico e appagante, ma dal rinnovato e ritrovato contatto con Dio dobbiamo attingere nuove energie spirituali per incidere positivamente sulla realtà, così anche la musica può diventare preghiera se «possiamo insieme costruire un mondo nel quale risuoni la melodia consolante di una trascendente sinfonia d’amore» (Discorso, 18.11.06).

La musica ci rivela che c’è una parte indistrutta del mondo, capace di resistere alla “hýbris” e alla superbia di Babele, dove la bontà e la bellezza della creazione non sono rovinate e ci ricorda che non siamo continuamente richiamati a mantenere e ripristinare, in una parola, «a lavorare per il bene e per il bello» (Discorso, 2.8.09). Non è questo l’unico messaggio della musica. Esso è certamente il più alto, per l’armonia e la sintonia che scopre con la Trascendenza, alla quale ci impone di adeguarci, aderendo alla bontà, alla bellezza e alla verità, per non rendere le nostre esistenze “stonate” e prive di significato. Tuttavia papa Benedetto si serve anche di altre immagini per spiegare, attraverso la musica, quelli che sono i nostri compiti. Egli immagina infatti la storia «come una meravigliosa sinfonia che Dio ha composto e la cui esecuzione Egli stesso, da saggio maestro d’orchestra, dirige» (Discorso, 18.11.06).

E’ vero, in certi momenti non è sempre facile leggerla e il suo disegno ci sembra discutibile oppure incomprensibile: la realtà del male e la sua azione nella storia degli uomini, lasciano talvolta pensare che «la Sua bontà non arriva giù fino a noi» (Discorso, 1.6.12). Nondimeno, continua il Santo Padre, sviluppando la similitudine dell’orchestra, non tocca a noi salire sul podio del direttore per dirigere e tanto meno possiamo cambiare la melodia che non ci piace, piuttosto «siamo chiamati, ciascuno di noi al suo posto e con le proprie capacità, a collaborare con il grande Maestro nell’eseguire il suo stupendo capolavoro. Nel corso dell’esecuzione ci sarà poi anche dato di comprendere man mano il grandioso disegno della partitura divina» (Discorso, 18.11.06).

Da questa osservazione, di natura prettamente teologica, ne discendono altre, di carattere più pratico, che possono fornire importanti istruzioni sulle regole vita della Chiesa in generale. Infatti l’esperienza del suonare insieme dell’orchestra, il rito stesso dell’accordatura e la pazienza delle prove, che impegnano i musicisti a «non suonare “da soli”, ma di far sì che i diversi “colori orchestrali” – pur mantenendo le proprie caratteristiche – si fondano insieme» (Discorso, 29.4.10), ci forniscono un’immagine appropriata per le relazioni che si costruiscono in ambito ecclesiale ed invitano a rinunciare a ogni forma di protagonismo al fine di diventare «”strumenti” per comunicare agli uomini il pensiero del grande “Compositore”, la cui opera è l’armonia dell’universo» (Discorso, 18.11.06).

Negli interventi che il Santo Padre dedica alla musica un posto importante è quello accordato alla musica sacra. Anche in tal caso Benedetto XVI vuole sgombrare il campo da alcuni equivoci che hanno fatto considerare il patrimonio della musica sacra o la tradizione del canto gregoriano come l’espressione «di una concezione rispondente ad un passato da superare e da trascurare, perché limitativo della libertà e della creatività del singolo e delle comunità» (Discorso, 13.5.11). Come risposta a queste posizioni il papa ribadisce la centralità di una Liturgia in cui il vero soggetto è la Chiesa: «Non è il singolo o il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività» (ib.). Occorre perciò – afferma il Santo Padre – tener presente il patrimonio storico-liturgico per mantenere «un corretto e costante rapporto tra “sana traditio e legitima progressio”» (Discorso, 6.5.11) nel quale, come reso esplicito dalla Sacrosanctum Concilium (n.23), questi due aspetti si integrano dal momento che «la tradizione è una realtà viva e include perciò in se stessa il principio dello sviluppo e del progresso» (Discorso, 6.5.11).

Dal discorso che Benedetto XVI tesse sulla musica, anche attraverso i giudizi che di volta in volta formula sui diversi compositori (Vivaldi, Händel, Bach, Mozart, Beethoven, Rossini, Schubert, Mendelssohn, Liszt, Verdi, Bruckner), emergono non solo una grande competenza ma anche una notevole finezza interpretativa, segno di una particolare sensibilità per questa universale forma di espressione artistica e per gli ideali di verità, bontà e bellezza che la musica comunica e modula. Perciò è ancora il papa a sottolineare il suo debito di gratitudine verso quest’arte e verso tutti coloro che ad essa, fin da bambino, lo hanno accostato: «Nel guardare indietro alla mia vita, – egli ha modo di dire con parole davvero toccanti – ringrazio Iddio per avermi posto accanto la musica quasi come una compagna di viaggio, che sempre mi ha offerto conforto e gioia. Ringrazio anche le persone che, fin dai primi anni della mia infanzia, mi hanno avvicinato a questa fonte di ispirazione e di serenità» (Discorso, 16.4.07).

E l’augurio che egli esprime, a conclusione di un concerto, fa capire molto bene l’alto valore e il posto davvero centrale che egli assegna alla musica non solo nella sua vita ma in quella di tutti: «Ecco il mio auspicio: che la grandezza e la bellezza della musica possano donare anche a voi, cari amici, nuova e continua ispirazione per costruire un mondo di amore, di solidarietà e di pace» (ib.).

 

*Lucio Coco, studioso di letteratura classica antica è curatore dei volumi della collana Pensieri di Papa Benedetto XVI, editi dalla Libreria Editrice Vaticana


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