lunedì 14 marzo 2022

22. CRISTO E' RISORTO! ALLELUJA! - 23. L'ATTESA DEL CONSOLATORE e DIVINO MANDATO - AVE MARIA PURISSIMA!

 



22. Cristo è risorto! Alleluia!



 

“Cristo è risorto dai morti; 

Voi siete risorti con Cristo,

che siede alla destra del Padre!

Cercate le cose di lassù, alleluia!”

Liturgia Dom. di Risurr.

 

Chi mai tra di loro donne e uomini pensava più a quel che Gesù aveva detto circa la sua risurrezione nel terzo giorno?

Le profezie del Maestro sono lontanissime dalla loro mente. Pur avendo infatti, Gesù, trattato più volte della sua Passione e Risurrezione, “essi non compresero nulla di tutte queste cose. ..” (Lc 18, 34).


Solo la beata Vergine ricordava le divine parole: “Il Figlio dell’Uomo sarà tradito e schernito, oltraggiato e sputacchiato, flagellato e ucciso, e il terzo giorno risusciterà!”, e vi credette fedelmente e costantemente (Lc 18,32). Si fidò di Gesù e della sua Parola che trascende i limiti della ragione umana, si appoggiò su di Lui, come sempre aveva fatto, cercando e trovando in tale atteggiamento la propria solidità e fiducia.

Era sicura di rivederLo, come Le aveva predetto.

Se le tenebre scesero nei cuori degli uomini, non si spense la fede nel cuore di Maria. In quelle lunghe ore di veglia, l’Immacolata non dubitò, la sua speranza non vacillò, la sua fedeltà restò intatta, pur subendo gli attacchi più atroci da parte delle forze diaboliche, Maria rimase sentinella vigile e forte.

Il Vangelo dopo averceLa mostrata sotto la Croce di Gesù, lì sul Calvario, non nomina più Maria Santissima.

Possiamo ben pensarLa nel Cenacolo, in profonda adorazione dei misteri di Dio, in una incessante e continua preghiera di Madre Divina che penetra il Cielo ed è accolta dal Padre di infinita bontà.

Quel sabato fu tutto silenzio e orazione divenendo il giorno settimanale più mariano per eccellenza in cui siamo invitati ad unirci devotamente a Maria Santissima nella meditazione dei misteri del Rosario e almeno nei primi sabati del mese anche nella Confessione e Comunione riparatrice cui è promessa una particolare protezione in punto di morte con le grazie necessarie alla eterna salvezza. Tutti i discepoli sono troppo tristi e sconvolti, in questo sabato dell’umanità che non ha più Gesù, per poter pensare a una cosa come la risurrezione.

Lazzaro di Betania, sì, risorse; ma allora c’era Gesù vivo. Adesso che è Gesù stesso a stare nel sepolcro, chi mai potrà richiamarLo in vita? Essi sono troppo gravati dall’umanità, e non possono pensare la meraviglia stupenda che noi ora conosciamo.

E se alla fine accettano la Risurrezione, ossia il risveglio di Gesù dal sonno della morte e la sua entrata totale nella vita eterna di Dio, la sua ‘trasformazione’, è solo per la forza dei fatti medesimi.

Quando Lo toccarono e Lo palparono, solo allora credettero alla realtà della sua trasformazione.

La sua carne, divina per parte di Padre e di Madre senza macchia, non poteva conoscere putredine di sorta, essendo esente dalla condanna che fa dei nostri corpi un ammasso di polvere, in attesa della risurrezione finale. Nulla più.

Gesù di Nazareth conobbe la morte per espiare per noi, ma con la Risurrezione vinse la morte, e ci diede la prova suprema della divinità della sua Religione. Chi mai, difatti, dopo tanto soffrire, dopo tante ore di sosta (36 ore) in un sepolcro sigillato, sotto bende sature di unguenti violentemente aromatici e asfissianti, poteva risorgere bello, sano, forte e libero?

Come un gigante, Gesù scosse la terra nel trionfo sulla morte e sul male e, Principe della Pace, annullò l’ira del Padre. Da allora la morte non fu più separazione, ma ricongiungimento col Padre nostro celeste.

Perciò la gioia degli Apostoli, per il mistero della divina benevolenza, fu grande assai, uno stupore e una gioia che nessuno al mondo riuscì a carpire loro. Vediamo come andarono i fatti.


L’apparente contraddizione degli evangelisti nella narrazione degli avvenimenti di quel mattino di domenica, si spiega se teniamo conto dei diversi metodi letterari propri di ciascuno di essi. Tutto quanto affermano, però, è verissimo, fin nei  minimi particolari, sia ben chiaro. Perché il Vangelo è un libro storico di prim’ordine di cui dobbiamo fidarci.

Ognuno racconta fedelmente quel che sa e come ha vissuto il fatto; per esempio, Giovanni è più concreto e dettagliato; Matteo, invece, è più generico e sintetico, ma sempre molto efficace.

Il racconto del come gli Apostoli vennero a conoscere che Gesù era risorto è di una vivacità unica d’espressione con un’adorabile semplicità di forma.

Gli eventi scorrono veloci, tutti protesi a narrare il trionfo della Luce: sepolcro vuoto, sopralluogo... chi si convince e chi no, ansia di ricerca, scambio di persone, richieste urgenti di informazioni.. finalmente la parola chiara, la parola chiave... il messaggio... e di nuovo corsa “frenetica” e “beata”: “Il Signore è nostra luce! Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso” (Sal 117, 24).

Quel mattino, dopo il sabato, all’alba (Mt), molto per tempo (Lc), prestissimo (Mc), le pie donne Marta e Maria Maddalena, Giovanna, Salomè e Susanna vanno al sepolcro portando seco gli aromi col fine di completare 1’imbalsamazione del Maestro adorato. La loro intenzione scaturiva dal1’amore e non rimase senza ricompensa.

Le discepole giunte al sepolcro, dopo un forte terremoto, sole o in gruppo, lo trovano vuoto e senza guardie, e alcune discepole hanno una visione di angeli, altre vedono Gesù “risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti”, e allora tornando di corsa al Cenacolo raccontano agli Apostoli ogni cosa vista ed udita, ma nessuno di essi crede loro. Vengono semplicemente reputate pazze e allucinate. Ma non se la presero affatto, felici com’erano della realtà che soltanto ora cominciavano a credere, e cioè che Gesù di Nazareth, dopo essere stato sepolto, per suo proprio potere era risorto nel terzo giorno, elevando tutti gli uomini con la sua Risurrezione alla partecipazione della vita divina che è la vita della Grazia.

L’incredulità e la perplessità degli Apostoli forse marciavano alleate a segreta gelosia: ‘perché mai il divin Maestro non si mostrava anche ad essi?’. Non capivano che Gesù, il loro Gesù, si sarebbe mostrato anche ad essi, ed ora se non era ancora venuto offriva loro la possibilità di credere senza aver visto: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20, 29).

Per tutta la giornata riflettendo sulla configurazione o posizione del sudario della sindone e delle altre bende o fasce viste nel sepolcro vuoto, Pietro e Giovanni furono coscienti di trovarsi non dinanzi a un furto del Corpo del loro Maestro, bensì a qualcos’altro, difficile da capire.




Finalmente, la sera di quel primo giorno, Gesù apparve anche agli Apostoli, nel Cenacolo, dove essi, passata la violenta tempesta dei giorni precedenti, erano tornati con il prepotente bisogno di rivedersi e di incontrarsi.

Sono diffidenti gli Apostoli e, pur vivamente desiderosi di vedere Gesù,

temono di incontrarsi con Lui glorioso, essendo coscienti delle loro colpe.

Ma ecco che Gesiì mentre appariva a due discepoli a Emmaus, venne anche nel Cenacolo, che aveva tutte le porte sprangate. Apparve in mezzo ai suoi Apostoli, e dette loro la pace.

“Più di quanto 1’aurora di quel giorno aveva inondato il cielo di una festa di luce, Gesù Risorto colmò i suoi amici di nuova meraviglia. Ogni ansia fuggì dai loro cuori e vi si accese la speranza. Sopra il caos della vigilia, emerse l’iride della pace”.

“PACE A VOI!”, Egli disse, e mostrò loro le mani e il costato.

Gli Apostoli gioirono di grandissima gioia: si sentirono assolti e perdonati, tornati di nuovo amici fedeli e forti del Maestro. Tutto perché Gesù aveva donato la Grazia, ossia il possesso della luce, della forza, della sapienza di Dio, il dono più sublime e più grande che Dio poteva dare all’uomo: la vita dello spirito che lo rende immagine e somiglianza di Dio.

“ALLELUIA! Cristo è risorto! Il Dio della pace ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna! Risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di Lui, e su chi in Lui confida! Alleluia!” (Lc 24, 34; Eb 13, 20; Rm 6,9).

Quel che Pietro scriverà in una prossima lettera ai suoi fedeli di tutta la terra, esprime bene i sentimenti suoi e degli altri compagni in quell’ora gaudiosa della loro vita. Ecco.

“Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo: nella sua grande misericordia, Egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce”! (1 Pt 1, 3-4).

Gesù non solo santificò i suoi col dono gratuito della Grazia, ricchezza inesplicabile a parole umane, ma li investì anche del potere di donarla a loro volta agli altri; li autorizzò a perdonare, ai fratelli pentiti, ogni peccato: da quello mortale, che distrugge la grazia, al veniale che la sgretola e alle imperfezioni che la disamorano.

“Alitò su di loro e disse: ‘Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati, sono loro rimessi; a chi li riterrete, sono ritenuti”’ (Gv 20, 22-23).

Da quella sera gli Apostoli divennero i veri edificatori di un’umanità santa, in un mondo che crolla, perché crolla la grazia nella quasi totalità delle anime e nelle altre langue.

La solenne istituzione del sacramento della Confessione o Riconciliazione o Penitenza, voluta nel giorno glorioso di Pasqua, è un invito pressante ad andare alla fonte del Salvatore, perché l’anima, rinata nel sangue di Cristo, diventi degna del Regno.

La Confessione è davvero il dono pasquale di Gesti “Il Vivente” col Cuore squarciato, da cui sgorgano fiumi d’acqua viva, che lava ogni colpa, e Sangue divino che cura ogni infermità, scandagliando il profondo del cuore umano dove sono le radici delle nostre piaghe.


È fin lì che Gesti chiede di entrare e operare con la carezza della sua mano divina.

Beati quanti con sincero pentimento sanno aprirGli il cuore e ascoltare la sua voce che dice: “IO TI ASSOLVO DAI TUOI PECCATI NEL NOME DEL PADRE E DEL FIGLIO E DELLO SPIRITO SANTO”. Sta scritto “Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa e perdonato il peccato” (Sal 31, 1).



Dopo la Risurrezione Gesù restò ancora quaranta giorni con gli Apostoli e i discepoli, istruendoli e formandoli con la sua Parola di Sapienza “ragionando del Regno di Dio” (At 1,3; cf Lc 24, 44-49).

Chissà quante volte, in questo tempo, trascorso in Gerusalemme e in Galilea, Gesù si è manifestato alla beata Vergine sua Madre, intrattenendosi con Lei in una intimità divinamente filiale.

Papa Giovanni Paolo II affermò: “I Vangeli non ci parlano di un’apparizione di Gesù risorto alla Madre: questo ineffabile mistero di gioia resta sotto il velo di un mistico silenzio.

È certo comunque che Ella, la prima redenta, come è stata in modo speciale vicina alla Croce del Figlio, così ha avuto un’esperienza privilegiata del Risorto, tale da causare in Lei una gioia intensissima, unica tra quelle di tutte le altre creature salvate dal Sangue di Cristo”.


Era nella logica dell’amore e del dolore: dopo gli spasimi e la morte, gli squilli della gioia e la luce della Risurrezione. Colei che con le sue preghiere anticipò l’ora della gioia, certamente per prima contemplò il Corpo glorificato del Figlio suo, vedendoLo nella sua perfetta bellezza in uno sfolgorio di luce gloriosa: l’abbracciare e il riabbracciare Gesù, ornato dalle cinque rifulgenti piaghe, e il sapere che tutte le creature erano state redente, il Cielo era stato spalancato, e nei Cieli erano pronti i posti per tutti i salvati, tutto questo costituì per Maria un’estasi indicibile.

La vittoria di Gesù su Satana era condivisa da Colei che è “terribile come esercito schierato in battaglia” (Ct 6, 10), Regina delle vittorie, sempre all’origine di tutte le vittorie di Dio e dei figli di Dio.



Sul finire dei quaranta giorni dopo la Risurrezione, Gesù diede appuntamento agli Apostoli, Discepoli e Discepole, sul Monte degli Ulivi, presso Betania, di fronte a Gerusalemme (cf Lc 24, 50).

Su questo monte, al1’aurora del quarantesimo giorno, Gesù parlò ai suoi, dopo aver mangiato con essi per l’ultima volta. Li salutò uno ad uno. Abbracciò la Mamma dolcissima, cui chiese l’ultimo Fiat della sua vita; e invitò tutti a restare in Gerusalemme, a riunirsi con Maria e a pregare assiduamente per prepararsi alla venuta del Promesso dal Padre suo, che Egli [Gesù] avrebbe mandato sopra di loro" (Lc 24, 49).






Disse loro: “A Me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Partendo per tutto il mondo, predicate il Vangelo a tutta la creazione, e fate che diventino discepole tutte le nazioni, battezzandole nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho comandato. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo; ma chi non crederà sarà condannato.

“Ed ecco, IO SONO  CON VOI TUTTI I GIORNI, FINO ALLA

CONSUMAZIONE DEL SECOLO (del mondo), la cui ora solo Dio conosce, quando Egli tornerà visibilmente nella gloria del suo Regno, per giudicare i vivi e i morti, ciascuno secondo i propri meriti: invitando alla vita eterna quanti hanno risposto all’Amore e alla Misericordia di Dio, e lasciando al fuoco inestinguibile quanti fino all’ultimo vi hanno opposto il loro rifiuto” (cf Mt 28, 18 ss.; Mc 16, 15 ss.).


Il Signore Gesù benedisse tutte le creature allietandole con gli splendori della sua regalità e cominciò ad elevarsi nel sole mattutino a braccia aperte con le sue piaghe gloriose, trasfigurandosi in bellezza indicibile a lingua umana, mentre tutti Lo adorano prostrandosi per terra (cf Sal 148).


Gli Apostoli e gli altri presenti restarono rapiti nell’estasi e vennero riportati alla realtà della terra da due angeli in bianche vesti, che si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato tra di voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui L’avete visto andare in cielo (At 1, 10-11).

Allora, essi, lasciato il Monte degli Ulivi, tornarono a Gerusalemme con grande gioia. Gesù asceso al Cielo era la causa della gioia. Con il cuore seguirono Gesù presso il Padre nei cieli. Non c’era più desiderio o legame della terra che li potesse soddisfare. Ormai avevano gettato nella patria eterna l’àncora della speranza e vi si erano afferrati saldamente ricevendone un grande incoraggiamento (cf Eb 6, 18-19).

Gesù, Mediatore tra Dio e gli uomini, giudice del mondo e Signore dell’universo, non si era separato dalla nostra condizione umana, ma ci aveva preceduti nella dimora eterna, per darci la serena fiducia che dove è Lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria (Messale Romano).



*








23. L’attesa del Consolatore 

e divino mandato

 

“Quivi è la rosa in che il Verbo Divino 

Carne si fece: quivi son li gigli,

Al cui odor si prese il buon cammino!”

Dante, Par. 23, 73

 

Con Maria Santissima e col fervente gruppo delle pie donne, gli Apostoli e i discepoli, accogliendo la raccomandazione del loro Maestro e Signore, si radunarono in Gerusalemme nel Cenacolo, dove Gesù aveva istituito l’Eucaristia e il Sacerdozio, dove aveva pregato per l’unità dei suoi e aveva lasciato come Testamento il suo Comandamento Nuovo, dove era apparso la domenica di Pasqua ed aveva istituito il sacramento del Perdono o Riconciliazione cristiana.


Iniziarono un ritiro di preghiera e fratemità, in attesa del Dono dello Spirito Santo, promesso da Gesù. “C’erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelota e Giuda di Giacomo. Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli (ossia cugini) di Lui”.

In quei giorni, per iniziativa di Pietro, venne sostituito l’apostolo traditore del Maestro divino, eleggendo Mattia, il capo del gruppo dei pastori di Betlemme, che fu associato agli undici Apostoli (cf At 1, 12- 26).

Il ritiro durò una decina di giorni. Esso servì magnificamente a tutti i partecipanti (il numero delle persone radunate era circa centoventi) ad approfondire parole e gesti del Signore Gesù, a capirne meglio i dolori e le gioie, i progetti e le speranze.


Tutto fu compiuto sotto la dolce e forte guida di Maria Santissima, Sede della Sapienza, Madre del Buon Consiglio e Regina della Rivelazione. La Madonna li fece partecipi della sua umiltà profonda, per cui impararono a disprezzarsi, a non disprezzare nessuno e a desiderare di essere disprezzati; comunicò loro la sua fede pura e viva, operosa e ardente; e dilatò il loro cuore accendendolo col tesoro del puro amore, perché camminassero sempre verso il Padre senza il minimo sentimento di sfiducia.


Con Lei pregarono, si cibarono, si ricrearono. Compirono ogni cosa “con Maria” per poter fare così tutto con Gesù, nel modo più facile e più perfetto. 

E fu Pentecoste (cinquantesimo giorno dopo Pasqua).

Mentre stavano tutti insieme nel medesimo luogo, sul fare del mattino, nel silenzio, risuona improvviso un tuono fortissimo e armonico. Sembra un terremoto, ma non è un terremoto, è qualcosa,  più violenta e pur soave, che avvolge e rinnova tutto sulla faccia della terra. È lo Spirito dell’Amore di Dio, lo Spirito Santo promesso da Gesù, che con la sua potenza scende e invade i Dodici e tutti gli altri.

Si effuse visibilmente, in forma di lingue di fiamma, sulla fronte della Ma- donna, d’ogni Apostolo, e di tutti i discepoli e le discepole. E arricchì la loro anima con la pienezza dei sette doni: Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietà e Timor di Dio (cf Is 11, 2).

Sappiamo che la Vergine Maria essendo “piena di grazia” era già piena di Spirito Santo: ...essendone sposa dilettissima  ne conosceva tutti i segreti. Però, perché in Lei nulla apparisse diverso dagli altri, anch’Ella ricevé in forma palese lo Spirito Santo. Ma se per gli altri fu fiamma, per Lei fu secondo bacio: bacio di riconoscenza alla sua Serva che era stata strumento a suo servizio; bacio-promessa dell’unione senza fine nella beata dimora del Cielo (M. Valtorta, Quaderno 43, pag. 52).

Il profumo del Paradiso li avvolse tutti. La loro anima fu trasformata e colmata di amore per il Signore Gesù e per il prossimo. Furono santificati perché fossero “le colonne” incrollabili della Chiesa che ormai nasceva.

Erano ora dodici veri Apostoli che appoggiati al Cuore Immacolato di Maria, avrebbero cambiato la faccia del mondo. Lungi da essi ogni vergogna o timore di confessare Cristo davanti agli uomini, perché ormai essi vivevano veramente in Lui.

Difatti, fugata ogni paura dei Giudei, spalancarono le porte e finestre del Cenacolo e annunziarono Gesù, asceso sopra i cieli e pur vicinissimo a coloro che si trovano ancora sulla terra.

Alla gente che accorse numerosa, Pietro tiene il suo primo discorso infallibile sul Signore Gesù. Anche gli altri, sospinti da uguale forza, evangelizzano le genti più svariate presenti quel giorno a Gerusalemme, parlano la loro lingua e tutti capiscono a meraviglia.


Era il compimento del mistero pasquale. Aveva inizio il cammino

dell’Evangelizzazione, che praticamente consiste nel testimoniare - in un modo 

semplice e diretto - Dio rivelato in Gesù Cristo, nello Spirito Santo, perché gli 

uomini, credendo, si salvino.


Alcuni li dissero ubriachi di primo mattino (erano le nove circa), ma Pietro dimostrò che si trattava di ben altra ubriacatura già preannunziata dai Profeti. Allora proclamò solennemente a tutti e con autorità Gesù di Nazareth: ne tracciò in una sintesi mirabile tutta la vita. Disse che Gesù, per attuare il disegno di redenzione dell’uomo, si offrì volontariamente alla morte, e risorgendo, distrusse la morte e rinnovò la vita, per riunire i linguaggi della famiglia umana universale nella professione dell’unica fede. Affermò: “In nessun altro c’è salvezza se non in Gesù” (At 4, 12).

A chi chiedeva cosa bisognava fare per salvarsi, diceva: “Cambiate vita. Non vivete più per voi stessi, ma per Gesù che è morto e risorto per noi, e ha mandato lo Spirito Santo, primo dono ai credenti, a perfezionare la sua opera nel mondo e compiere ogni santificazione.

“La nostra fede è questa: in tutto e per tutto, non c’è che un solo Dio Padre, un solo Verbo, un solo Spirito e una sola salvezza per tutti quelli che credono nel Dio Uno e Trino. Ciascuno si faccia battezzare. Così riceverete il perdono dei peccati e lo Spirito Santo. Salvatevi da questa generazione perversa, purificandovi nel Sangue prezioso di Gesù, al quale appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!” (1 Pt 4,11).

“Quelli che accolsero la sua parola furono battezzati” (At 2, 41). La pesca di Pietro e degli altri, in quel primo giorno di predicazione, ammontò a tremila persone. Il mistero nascosto nei secoli era stato loro rivelato. Avevano capito che per dare un valore alla vita bisognava farsi discepoli di Cristo Gesù, divenendo in Lui figli di adozione del Padre Celeste, ossia “eredi di Dio e coeredi di Cristo” (Rm 8, 17). Soltanto così anch’essi, un giorno, sarebbero risorti incorruttibili, splendidi e gloriosi.


La Chiesa, una, Santa, cattolica e apostolica, annunziata da Gesù e custodita dalla Madre Divina, era nata, con la forza dello Spirito Santo che è Signore e dona la vita ed è adorato   e               glorificato col Padre e col Figlio.

È lo Spirito che da allora illumina, vivifica, protegge e guida questa Chiesa, ne purifica ogni figlio, perché non si sottragga alla sua Grazia.

La sua azione penetra nell’intimo dell’anima e rende l’uomo capace di rispondere all’invito di Gesù: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste!” (Mt 5, 48) e “Venite a Me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e Io vi ristorerò!” (Mt 11, 28). Già la Madre -che aveva concepito nel cuore la santa Chiesa- aveva detto ai servi di Cana di Galilea: "Fate tutto quello che Egli -Gesù- vi dirà"

Maria Immacolata Madre sosteneva ogni passo dei figli, additando gli sconfinati orizzonti del mondo, raggiungibili con Pietro, timoniere della barca, e con Lei Stella Mattutina e Cuore della Chiesa.

Lo Spirito Santo, anima della Chiesa, è la sorgente di santificazione che eleva i cuori, conduce per mano i deboli e perfeziona i forti.

“Da Lui [viene] l’anticipata conoscenza delle cose future, l’approfondimento dei misteri, la percezione delle cose occulte, le distribuzioni dedoni, laamiliarità delle cose del cielo, il tripudio con gli angeli. Da Lui la gioia eterna, da Lui l’unione costante e la somiglianza con Dio e, cosa più sublime d’ogni altra, da Lui la possibilità di divenire Dio!” (S. Basilio Magno).



Il Sacramento della Confermazione o Cresima (unzione con il crisma) è per ogni fedele ciò che per la Chiesa è stata la Pentecoste. Lo Spirito Santo incide nel cristiano il segno indelebile di testimone e di annunziatore del Regno di Dio.

Se vogliamo però che nell’anima si producano meraviglie di grazia occorre abitare nella casa di Maria Santissima dove Gesù medesimo stabilì la sua dimora. Occorre coltivare una vera devozione alla Madonna, ossia una devozione interiore, affettuosa, santa, costante, disinteressata.

“Più un’anima fa posto a Maria, più lo Spirito Santo le si dona. Egli vola, entra con pienezza solo nell’anima in cui c’è Maria, sua Sposa. [Purtroppo] Anche i cristiani più informati e spirituali ignorano questo mistero di grazia” (Montfort).

Ognuno intuisce, riflettendo a queste cose, quanto sia importante che 1’invocazione allo Spirito Santo e alla Sua Sposa Santissima - ci diventi familiare più del respiro: perciò così preghiamo: “Vieni, o Spirito Santo, vieni per mezzo della potente intercessione del Cuore Immacolato di Maria, Tua Sposa amatissima!”





VIENI SPIRITO SANTO, VIENI...





 

domenica 13 marzo 2022

LA NOSTRA "FIONDA"

 


Pio XII: “Il Rosario è come la fionda di Davide 

contro il nemico infernale”

Domani inizia il Mese Mariano. Riproponiamo l’Enciclica “Ingruentium malorum” di Pio XII sulla recita del Santo Rosario. Ne avevamo già pubblicato uno stralcio qui, in occasione del Sinodo sulla Famiglia. Un invito assolutamente attuale: «non con la forza, non con le armi, non con la umana potenza, ma con l’aiuto divino ottenuto per mezzo di questa preghiera, forte come Davide con la sua fionda, la Chiesa potrà affrontare impavida il nemico», mai così scatenato su tutti i fronti come oggi.

Fin da quando siamo stati elevati alla suprema cattedra di Pietro, per disegno della divina Provvidenza, alla vista dei mali che avanzavano, non abbiamo mai cessato di affidare al validissimo patrocinio della Madre di Dio le sorti dell’umana famiglia, e a questo scopo, come ben sapete, più volte, abbiamo scritto lettere di esortazione. Vi è noto, Venerabili Fratelli, con quanto zelo e con quanta spontaneità e unanimità di consensi il popolo cristiano abbia risposto dappertutto ai Nostri inviti. Lo hanno magnificamente attestato ripetute volte grandiosi spettacoli di devozione e di amore verso l’augusta Regina del Cielo, e sopra tutto quella manifestazione di universale letizia che i Nostri occhi medesimi poterono in qualche maniera contemplare, quando lo scorso anno dalla Piazza S. Pietro, circondati da una moltitudine immensa di fedeli, abbiamo solennemente proclamato l’assunzione in corpo e anima di Maria Vergine in Cielo. Se il ricordo di queste cose torna a Noi gradito e Ci conforta a sperare fermamente nella misericordia divina, al presente, tuttavia, non mancano motivi di profonda tristezza che tengono in ansia e addolorano il Nostro animo paterno.
Conoscete, infatti, Venerabili Fratelli, le veramente tristi condizioni dei nostri tempi. L’unione fraterna delle nazioni, da tanto tempo infranta, non è stata ancora dappertutto ristabilita, ma da ogni parte vediamo gli animi sconvolti dall’odio e dalle rivalità, e incombono ancora sopra i popoli minacce di nuovi sanguinosi conflitti. A ciò si aggiunge quella violentissima tempesta di persecuzioni, che già da lungo tempo infierisce contro la Chiesa, privata della sua libertà, affliggendola assai duramente con calunnie e angustie di ogni genere, facendo scorrere talvolta anche sangue di martiri. A quali e quante insidie vediamo sottoposte le anime di molti Nostri figli in quelle regioni, perché rigettino la fede dei loro padri, e spezzino con somma loro sventura il vincolo di unione che li lega a questa sede apostolica! Né infine possiamo in alcuna maniera passare sotto silenzio un nuovo misfatto, intorno al quale, con immenso dolore, desideriamo vivamente richiamare non solo la vostra attenzione, ma pure quella di tutto il clero, dei singoli genitori e delle stesse pubbliche autorità: Ci riferiamo a quella iniqua campagna che gli empi conducono a danno della candida innocenza dei fanciulli. Neppure l’età innocente è stata risparmiata, ma si osa, purtroppo, strappare con gesto temerario persino i fiori più belli nel mistico giardino della Chiesa, che formano la meravigliosa speranza della religione e della società. Se a ciò si rifletta, non deve destare molta meraviglia il fatto, che tanti popoli gemano sotto il peso dei divini castighi, e vivano sotto l’incubo di calamità ancora maggiori.

Tuttavia la considerazione di uno stato di cose tanto gravido di pericoli non deve abbattere il vostro animo, venerabili fratelli; memori, invece, di quel divino insegnamento: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto» (Lc 11, 9), con maggiore fiducia vogliate innalzare spontaneamente i vostri cuori verso la Madre di Dio, cui sentì sempre il bisogno di ricorrere il popolo cristiano nell’ora del pericolo, giacché ella «è stata costituita causa di salvezza per tutto il genere umano» (S. Irenaeus, Adv. haer., III, 22: PG 7, 959).

Per tale motivo con gioiosa attesa e ravvivata speranza guardiamo al prossimo ritorno del mese di ottobre, durante il quale i fedeli sogliono accorrere con maggiore frequenza alle chiese, per innalzare le loro suppliche a Maria per mezzo del Santo Rosario. Questa preghiera, Venerabili Fratelli, desideriamo sia fatta quest’anno con maggiore fervore di animo come è richiesto dall’aggravarsi delle necessità. Ci è ben nota, infatti, la sua potente efficacia per ottenere l’aiuto materno della Vergine. Benché non vi sia certamente un unico modo di pregare per poter conseguire questo aiuto, tuttavia Noi stimiamo che il Rosario mariano sia il mezzo più conveniente ed efficace, come del resto viene chiaramente suggerito dall’origine stessa, più divina che umana, di questa pratica e dalla sua intima natura.

Che cosa infatti di più adatto e più bello dell’orazione domenicale e del saluto angelico, che formano come i fiori di cui s’intreccia questa mistica corona? Aggiungendosi, inoltre, alle ripetute preghiere vocali la meditazione dei sacri misteri, ne deriva l’altro grandissimo vantaggio, che tutti, anche i più semplici e i meno istruiti, hanno in ciò una maniera facile e pronta per alimentare e custodire la propria fede. E invero, dalla meditazione frequente dei misteri, l’animo attinge e insensibilmente assorbe la virtù che essi racchiudono, si accende straordinariamente alla speranza dei beni immortali, e viene fortemente e soavemente spronato a seguire il sentiero battuto da Cristo medesimo e dalla sua Madre. La recita stessa di formule identiche tante volte ripetute, nonché rendere questa preghiera sterile e noiosa, quale mirabile virtù, invece, possiede, come si può sperimentare, per infondere fiducia in chi prega e fare dolce violenza al cuore materno di Maria!

Adoperatevi, dunque, Venerabili Fratelli, con particolare sollecitudine, perché i fedeli, in occasione del prossimo mese di ottobre, possano compiere questo fruttuoso ufficio con la maggior diligenza possibile, e il santo rosario sia da essi sempre più convenientemente stimato e diffusamente praticato. Per opera vostra principalmente il popolo cristiano possa comprenderne l’eccellenza, il valore e la salutare efficacia.

Ma soprattutto Noi desideriamo che in seno alla famiglia sia dappertutto diffusa la consuetudine del Santo Rosario, religiosamente custodita e sempre più sviluppata. Invano, infatti, si cerca di portare rimedio alle sorti vacillanti della vita civile, se la società domestica, principio e fondamento dell’umano consorzio non sarà diligentemente ricondotta alle norme dell’Evangelo. A svolgere un compito così arduo, Noi affermiamo che la recita del Santo Rosario in famiglia è mezzo quanto mai efficace. Quale spettacolo soave e a Dio sommamente gradito, quando, sul far della sera, la casa cristiana risuona al frequente ripetersi delle lodi in onore dell’augusta Regina del Cielo! Allora il Rosario recitato in comune aduna davanti all’immagine della Vergine, con una mirabile unione di cuori, i genitori e i figli, che ritornano dal lavoro del giorno; li congiunge piamente con gli assenti, coi trapassati; tutti infine li stringe, più strettamente, con un dolcissimo vincolo di amore, alla Vergine Santissima, che, come Madre amorosissima, verrà in mezzo allo stuolo dei suoi figli, facendo discendere su di essi con abbondanza i doni della concordia e della pace familiare. Allora la casa della famiglia cristiana, fatta simile a quella di Nazaret, diventerà una terrestre dimora di santità e quasi un tempio, dove il rosario mariano non solo sarà la preghiera particolare che ogni giorno sale al cielo in odore di soavità, ma costituirà altresì una scuola efficacissima di virtuosa vita cristiana. I grandi misteri della redenzione, infatti, proposti alla loro contemplazione, col mettere sotto i loro occhi i fulgidi esempi di Gesù e Maria, insegneranno ai grandi a imitarli ogni giorno, a ricavare da essi conforto nelle avversità, e, dagli stessi, verranno richiamati a umilmente volgersi verso quei celesti tesori «dove non giunge ladro, né tignola consuma» (Lc 12, 33); porteranno, inoltre, a conoscenza dei piccoli le principali verità della fede, facendo quasi spontaneamente sbocciare nelle loro anime innocenti la carità verso l’amorevolissimo Redentore, mentre essi, dietro il buon esempio dei loro genitori genuflessi davanti alla maestà di Dio, fin dai teneri anni impareranno quanto sia grande il valore della preghiera recitata in comune.

Non esitiamo quindi ad affermare di nuovo pubblicamente che grande è la speranza da Noi riposta nel Santo Rosario, per risanare i mali che affliggono i nostri tempi. Non con la forza, non con le armi, non con la umana potenza, ma con l’aiuto divino ottenuto per mezzo di questa preghiera, forte come Davide con la sua fionda, la Chiesa potrà affrontare impavida il nemico infernale, ripetendo contro di lui le parole del pastore adolescente: «Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con lo scudo: ma io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti … e tutta questa moltitudine conoscerà che il Signore non salva con la spada, né con la lancia» (1 Re 17, 44.49).

Per la qual cosa vivamente desideriamo, Venerabili Fratelli, che tutti i fedeli, dietro il vostro esempio e il vostro incitamento, corrispondano con sollecitudine alle Nostre paterne esortazioni, unendo insieme i loro cuori e le loro voci, nello stesso ardore di carità. Se aumentano i mali e gli assalti dei cattivi, deve parimenti crescere e diventare sempre più vigoroso lo zelo di tutti i buoni; si sforzino costoro di ottenere dalla nostra amorosissima Madre, specialmente per mezzo di questa preghiera, senza dubbio a lei graditissima, che possano ritornare al più presto tempi migliori per la chiesa e per la società.

La potentissima Madre di Dio, mossa dalle preghiere di tanti suoi figli, ci ottenga dal suo Unigenito Figlio – noi tutti la supplichiamo – che coloro i quali hanno miseramente smarrito il sentiero della verità e della virtù, rinnovati nel loro animo, possano ritrovarlo; ci ottenga, che possano felicemente placarsi gli odi e le rivalità, fonti di discordia e di ogni genere di sventura; che la pace, quella vera, giusta e genuina, torni felicemente a risplendere sugli individui, sulle famiglie, sui popoli e sulle nazioni; che finalmente, assicurati, com’è giusto, i diritti della chiesa, quel benefico influsso che da essa deriva, penetrando senza ostacoli nel cuore degli uomini, fra le classi sociali e le arterie stesse della vita pubblica, congiunga fraternamente i popoli tra di loro e li conduca a quella prosperità che regoli, difenda e coordini i diritti e i doveri di tutti, senza ledere alcuno, affermandosi sempre maggiormente, per la vicendevole e comune collaborazione.

Non dimenticate, Venerabili Fratelli e diletti figli, mentre pregando fate scorrere la corona del Rosario fra le vostre mani, non dimenticate, ripetiamo, coloro che languiscono miseramente in prigionia, nelle carceri, nei campi di concentramento. Tra di essi si trovano, come sapete, anche vescovi allontanati dalle loro sedi per avere eroicamente difeso i sacrosanti diritti di Dio e della Chiesa; si trovano figli, padri e madri di famiglia, strappati dal focolare domestico e costretti a condurre lontano una vita infelice in terre sconosciute, sotto altri climi. Come Noi prediligiamo e circondiamo di un affetto paterno tutti costoro, così anche voi, animati da quella carità fraterna che la religione cristiana alimenta e accresce, insieme con le Nostre unite le vostre preghiere davanti all’altare della Vergine Madre di Dio, e raccomandateli al suo cuore materno. Essa senza dubbio, con dolcezza squisita, allevierà le loro sofferenze, ravvivando nei cuori la speranza del premio eterno, e non mancherà ancora, come fermamente confidiamo, di affrettare rapidamente la fine di tanti dolori.

Non dubitando che voi, Venerabili Fratelli, con lo zelo ardente che vi è solito, porterete a conoscenza del vostro clero e del vostro popolo, nella maniera che vi sembrerà più opportuna, queste Nostre paterne esortazioni; così pure nella certezza che i Nostri figli, sparsi ovunque sulla terra, corrisponderanno volentieri a questo Nostro invito, a voi tutti, al gregge affidato a ciascuno di voi – a quelli in particolare che specialmente reciteranno il Rosario Mariano secondo queste Nostre intenzioni – come segno della Nostra riconoscenza, auspice di celesti favori, con effusione di cuore impartiamo l’apostolica benedizione. 

 Roma, presso San Pietro, 15 settembre, festa dei Sette Dolori di Maria vergine, nell’anno 1951, XIII del Nostro pontificato.


AMDG et DVM

La SEXTA LECTIO Missae sabbati delle quattro tempora di Quaresima

 


Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Thessalonicénses
1 Thess 5:14-23
Fratres: Rogámus vos, corrípite inquiétos, consolámini pusillánimes, suscípite infirmos, patiéntes estóte ad omnes. Vidéte, ne quis malum pro malo alicui reddat: sed semper quod bonum est sectámini in ínvicem, et in omnes. Semper gaudéte. Sine intermissióne oráte. In ómnibus grátias ágite: hæc est enim volúntas Dei in Christo Iesu in ómnibus vobis. Spíritum nolíte exstínguere. Prophetías nolíte spérnere. Omnia autem probáte: quod bonum est tenéte. Ab omni spécie mala abstinéte vos. Ipse autem Deus pacis sanctíficet vos per ómnia: ut ínteger spíritus vester, et ánima, et corpus sine queréla, in advéntu Dómini nostri Iesu Christi servétur.
R. Deo grátias.
10
Epistola
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi
1 Thess 5:14-23
Vi esortiamo ancora, o fratelli, a correggere i disordinati, a consolare i pusillanimi, a sostenere i deboli, ad esser pazienti con tutti. Badate che nessuno renda ad un altro male per male: ma fatevi del bene a vicenda e verso di tutti. Siate sempre allegri. Non cessate mai di pregare. In ogni cosa rendete grazie, perché tale è la volontà di Dio in Cristo Gesù riguardo a tutti voi. Non spegnete lo Spirito. Non disprezzate le profezie; ma esaminate tutto e ritenete il bene. Guardatevi da ogni apparenza di male. E il Dio della pace vi santifichi completamente, in modo che tutto il vostro spirito e l'anima e il corpo si conservino irreprensibili per quando verrà il Signore nostro Gesù Cristo.
R. Grazie a Dio.

sabato 12 marzo 2022

L'AMMIRABILE VITA DI SAN CELESTINO V

 

LA VITA DI SAN PIETRO CELESTINO

Undicesimo dei dodici figli di Angelerio e Maria «ambedue giusti presso Dio e molto lodati dagli uomini; … semplici, retti e timorati di Dio; … umili e pacifici e non rendevano male per male, davano elemosine ed ospitalità ai poveri con gran cuore», il piccolo Pietro manifesta alla madre (il padre essendo morto quando egli aveva cinque o sei anni) il proposito di voler essere «un buon servo di Dio» e da questa è avviato allo studio delle lettere, cioè all’apprendimento del Salterio, sovente coadiuvato dalla Santa Vergine e da San Giovanni che il fanciullo vedeva scendere dal dipinto della Croce, dove erano raffigurati, avvicinarsi a lui e con grande dolcezza prendere il libro dei Salmi per cantarli assieme a lui. Sarà proprio la madre a rivelare a Pietro di averlo sognato quale custode di molte pecore bianche come la neve e ad esortarlo a confortarsi nel Signore.

Ben presto si definisce la scelta di Pietro a servire Dio nella vita eremitica. È questa la sua grande vocazione e tale resterà per tutta la vita, come preciserà lo stesso papa Clemente V nella Bolla di canonizzazione. Il momento in cui Pietro tenta di realizzare la fuga mundi arriva sui venti anni suonati. Dopo un primo periodo di esperienza eremitica condotta lontano da casa, probabilmente tra i monti della Maiella (allora conosciuta come una specie di “tebaide” monastica abruzzese) e sotto la guida di un eremita, ritroviamo Pietro vestito dell’abito monastico dall’abate del monastero benedettino di S. Maria di Faifoli (presso Montagano, fino al 1983 in diocesi di Benevento, poi di Campobasso-Boiano). Non pienamente appagato nelle esigenze dello spirito, frà Pietro abbandona la vita cenobitica e si ritira a vita eremitica nei pressi di Castel Di Sangro per ascendere, in tempo posteriore, al monte Palleno/Porrara (presso l’attuale Palena) e trascorrere tre rigorosissimi inverni in una cella da lui stesso scavata, in compagnia di bestie selvatiche, tra studio della Scrittura e penitenze di ogni genere. Circa gli anni 1240-43 (cronologia relativa) Pietro è a Roma ove riceve l’ordinazione presbiterale, per poi far ritorno (circa 1243) alla diletta vita eremitica ancora in Abruzzo, su quel monte che lo renderà noto alla storia: il Morrone, presso Sulmona.

La forte devozione a San Giovanni Battista, anche questa appresa fin da piccolo in casa, lo porta a scegliere questo santo come modello da imitare. Pietro, così, digiuna ogni giorno, eccettuate le domeniche; si astiene sempre dalla carne e dal vino (quando ne beve un poco sempre lo annacqua); pratica sei quaresime l’anno, compresa la maggiore, si cinge di un cilicio di crine di cavallo e di una catena ben stretta sui fianchi mentre, da buon benedettino, alla preghiera unisce il lavoro, ivi compresa la trascrizione e la copiatura di testi sacri. Col crescere della fama della sua santità e dell’accorrere delle folle desiderose di un approdo di salvezza e di pace, Pietro, dopo circa un quinquennio di permanenza al Morrone, è costretto a cambiare dimora. Nuova dimora è l’eremo di S. Spirito sulla Maiella, a 1130 metri di altezza. Sempre ricercato dalle folle, l’uomo di Dio passa di romitorio in romitorio. Secondo le testimonianze, S. Bartolomeo di Legio e S. Giovanni d’Orfente con vari altri luoghi. Diversi anche gli eremiti che lo circondano, costoro vivendo su quelle montagne senza una regola definita e ora dichiaratisi suoi discepoli. Di qui il pensiero di dar vita ad una nuova congregazione monastica la quale associasse alla Regola di S. Benedetto da Norcia lo stile di vita dei Padri del deserto.
Nel 1264 il vescovo di Chieti, Niccolò da Fossa, otteneva da papa Urbano IV il consenso per l’incorporazione della congregazione dei Fratelli dello Spirito Santo –tale fu il nome scelto- all’Ordine benedettino, e definitivamente confermerà questa appartenenza il 21 marzo 1274 il papa Gregorio X con la Bolla Religiosam vitam, al termine del concilio di Lione, città ove frà Pietro si era personalmente recato per lo scopo.
Circa gli anni 1276-1278 il Nostro è nel monastero di Faifoli, in qualità di abate, richiestovi dal vescovo di Benevento Capoferro de’ Capoferri, stanti le difficili condizioni di disciplina monastica, di disagi economici e angherie esterne che quel cenobio pativa ad opera del famigerato Simone di Sant’Angelo. Il 1 ottobre 1289 il 
Vescovo di Isernia Roberto – quello stesso che il 25 agosto 1288 figurava tra i conconsacranti della basilica aquilana di Collemaggio – approvava gli statuti della «Fraterna», ossia di una associazione di fedeli laici ed ecclesiastici (risorta ai nostri giorni), iserniani e non, che intendono vivere i valori cristiani della fraternità e del mutuo soccorso, condividendo la fede nella comunione dei santi anche a favore dei defunti, sull’incitamento e l’esempio -si noti per la peculiarità, in un tempo in cui non mancavano esperienze consimili su larga scala nella vita della Chiesa- di frà Pietro del Morrone huius civitatis Ysernię civis.

In età ormai veneranda (difficile precisare a quanti anni) il Morronese dalla dura vita è eletto sommo pontefice. Quel 5 luglio 1294, data della elezione, poneva fine ad un penoso stato di vedovanza della Sede di Pietro durato circa due anni, dalla morte cioè del papa Niccolò IV avvenuta il 4 aprile 1292. Ai messi del conclave cui, il 18 luglio 1294, toccò l’incarico di notificare l’avvenuta elezione, assieme alla fatica della salita all’eremo di Sant’Onofrio, si presentò uno spettacolo a dir poco disarmante, se si deve dar credito alle parole del cardinale Stefaneschi: “Videro, attraverso la finestrella [della cella eremitica, n.d.r.], il vecchio dai molti anni, che meditava attonito su questa nuova, pallido, con la barba irsuta, magrissimo per sua natura e per i digiuni, gli occhi neri, profondi, velati di lacrime, che il volto sì venerando e la veste rigavan”. Dopo intensa riflessione –prima concepita, poi abbandonata, l’idea di sottrarsi alla nomina fuggendo col fido compagno frà Roberto da Salle per gli impervi monti abruzzesi- Pietro accetta la nomina a papa. A Collemaggio dell’Aquila, il 29 agosto 1294, il cardinale Ugo Aycelin de Billion, nuovo decano del sacro collegio, consacra frà Pietro vescovo di Roma e Matteo Rosso Orsini, cardinale protodiacono, gli pone in capo il diadema (frigium gemmis auroque coruscum), ammantandolo poi con pallio e manto papale. Liturgicamente si celebrava la festa del martirio di San Giovanni Battista, verso cui il papa, come si ricorderà, ad imitazione del vecchio Angelerio padre e dei grandi eremiti, aveva speciale devozione. Questo giorno il neoeletto pontefice intese subito solennizzare concedendo una particolare indulgenza plenaria per quanti «veramente pentiti e confessati» entrassero nella chiesa di Collemaggio «dai vespri della vigilia della festività, fino ai vespri immediatamente seguenti la festività stessa».

Lasciata L’Aquila il 6 ottobre 1294, tra il 7 e l’11 dello stesso mese il papa è a Sulmona. Di qui il viaggio non prosegue per la valle di Sora –come era stato annunziato ufficialmente da re Carlo II d’Angiò (detto lo sciancato)- ma piega improvvisamente in direzione di Castel Di Sangro (12 ottobre). Il 13 il papa è nell’Abbazia di S. Vincenzo al Volturno (ove impone come abate un suo monaco, tale Nicola) quindi, il 14 e il 15 ottobre è in Isernia, ove sono il fratello Nicola e i due nipoti Guglielmo e Pietro (figli del defunto fratello Roberto), in favore dei quali il re assegnerà una pensione annua (Cf. Cantera, 55; Perrella, 105/106). La tradizione storico-ecclesiale locale lega a questo momento il dono fatto dal pontefice al capitolo cattedrale di due preziose croci, tuttora gelosamente custodite. Proseguendo per Venafro (probabilmente vi fece sosta il 16 nel locale monastero detto di S. Spirito a Maiella), dopo varie soste a S. Germano-Cassino, Teano, Capua, Aversa, finalmente, il 5 novembre il papa è in Napoli festosamente accolto dai Napoletani. Miracoli e segni celesti, assieme all’entusiasmo e al tripudio delle popolazioni regnicole e alla “devozione” dello Sciancato e di suo figlio Carlo Martello, avevano accompagnato il povero cristiano durante tutto il percorso. Ma nella sede di Castelnuovo, dove è alloggiato in compagnia dei suoi fedelissimi monaci Angelo da Caramanico e Bartolomeo da Trasacco, nella preghiera e nella meditazione, il papa avverte sempre più il peso della sua vecchiaia e la poca sua dimestichezza col grave compito che gli era stato affidato. Dopo segrete consultazioni con i suoi consiglieri e con qualcuno dei cardinali esperti in diritto canonico (molto probabilmente il card. Caetani) e dopo aver fatto redigere una costituzione apostolica nella quale dichiarava che un papa può rinunziare alla sua carica (Cf. Sext. Decr. I.7.1), nel pubblico concistoro del 13 dicembre 1294 Papa Celestino V rinunciava al papato, ritornando ad essere Pietro del Morrone con addosso non più le insegne pontificali ma l’antica veste lacera e stinta e munita di cappuccio. La Bolla di canonizzazione di S. Pietro Celestino riconosce che la rinunzia fu effettuata per il bene della Chiesa : “affinché dal suo governo non potesse provenire qualche pericolo alla Chiesa universale”.

Le spoglie di Papa Celestino VObbedendo al volere del suo successore, Pietro del Morrone, non assieme al corteo pontificio, ma scortato da apposita comitiva, dopo la rinuncia prende la via di Roma: qui papa Bonifacio avrebbe finalmente deliberato il da farsi. Giunto però a San Germano di Cassino, il venerando eremita pensò bene di ripiegare verso il sospirato Morrone, fuggendo di notte. Ma le delizie dell’eremo di Sant’Onofrio non erano più per lui. Reso insicuro dalla ricerca avviata da papa Bonifacio –timoroso di scisma e di strumentalizzazioni politiche, specie da parte dei francesi- Pietro Celestino fugge nuovamente nelle Puglie, dapprima cercando riparo nella zona del Gargano, ove pure esistevano fondazioni celestiniane (S. Giovanni in Piano), poi a Vieste attendendo nove giorni per il traghettamento in Grecia. All’incirca il 10 maggio 1295, il vecchio eremita è riconosciuto e catturato dal capitano di città. Da questi è consegnato nelle mani di Carlo II d’Angiò il quale lo fa ricondurre a Bonifacio VIII in Anagni circa il 14/15 giugno successivi. Nei circa due mesi di permanenza ad Anagni, papa Bonifacio provvide ad approntare un posto più sicuro per il vecchio predecessore: la Rocca di Fumone, a sud-est di Anagni. Qui Pietro Celestino è condotto circa la metà di agosto 1295. Luogo angusto, secondo la Vita C, prigione severa, ma onorevole, secondo Tolomeo da Lucca. Il radicale restauro cui l’edificio andò soggetto nel 1710 ha notevolmente alterato anche il luogo della custodia di Pietro Celestino e del piccolo oratorio in cui celebrava l’Eucarestia, non consentendo più all’odierno visitatore la visione completa dell’impianto originale. A Fumone sorella morte lo raggiunge alla sera del 19 maggio 1296, sabato dell’ottava di Pentecoste. Il corpo venne portato nella vicina chiesa di Sant’Antonio Abate, fuori le mura di Ferentino, officiata dai monaci celestini, per le esequie e per la sepoltura, mentre papa Bonifacio tenne analoga celebrazione pochi giorni dopo in S. Pietro a Roma (25 maggio). Il 5 maggio 1313 papa Clemente V elevava l’Eremita del Morrone (e non il Pontefice) agli onori degli altari, dopo un meticoloso procedimento canonico. Fino agli inizi del 1327 il corpo di Pietro Celestino rimase a sant’Antonio di Ferentino. Resa insicura questa permanenza per una guerra scoppiata tra Ferentino ed Anagni, lo si spostò all’interno della cittadina nella chiesa di Sant’Agata officiata dai francescani, per trovare poi definitiva collocazione -dopo furtivo trasferimento- nella basilica celestiniana di Collemaggio ove nel 1517 Girolamo da Vicenza erigerà il magnifico monumento, rimasto miracolosamente illeso dal devastante sisma del 6 aprile 2009 che ha funestato la città dell’Aquila e dell’Abruzzo aquilano.

Mons. Prof. Claudio Palumbo

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