martedì 7 dicembre 2021

Evoluzione di Martin Lutero: dottrina, vizi e condanna...

 CAP. XI. DELL'ERESIE DEL SECOLO XVI.

 

ART. I. DELL'ERESIE DI LUTERO

 

§. 1. De' principj e progressi dell'eresia di Lutero.

1. Di Erasmo Roterodamo, chiamato da alcuni precursor di Lutero; sua letteratura. 2. Le sue dottrine non furono sane, ma neppure eretiche. 3. Principj di Lutero, e sua famigliarità col demonio, che lo persuase ad abolir la messa privata. 4. Entra tra gli eremiti di s. Agostino. 5. Dottrina di Lutero, e vizj. 6. Pubblicazioni delle indulgenze, e conclusioni scritte da Lutero. 7. Vien chiamato a Roma, e si scusa; il papa manda in Germania per suo legato il cardinale Gaetano. 8. Congresso del legato con Lutero. 9. e 10. Lutero s'imperversa, ed appella al papa. 11. Conferenza di Echio cogli eretici. 12. Bolla di Leone X., in cui condannò 41. errori di Lutero, il quale brucia poi la bolla e i decretali.

 

1. Passiamo ora al secolo XVI., in cui si adunò la sentina di tutte le antiche eresie. Il capo di queste fu il famoso Lutero; ma, come vogliono alcuni scrittori4, il precursore di Lutero fu Erasmo; onde soleano dire i germani5Erasmus parit ova, Lutherus excludit pullos. Erasmo Roterodamo fu della terra di Rotterdam in Olanda, conceputo, come scrive Natale Alessandro6, da un concubito furtivo. Il suo primo nome fu Gherardo, ma egli sel mutò in Erasmo, che in greco significa Desiderio. Giovane entrò nell'ordine dei canonici regolari di s. Agostino, e vi fé professione; ma poi pentito de' voti fatti, e tediato dell'osservanza regolare, tornò alla vita secolare; benché,


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come scrive l'autor del dizionario portatile, egli ottenne dal papa dispensa de' voti. Erasmo era ben inteso delle lettere latine e greche. Certamente egli sarebbe stato di grande utile al mondo, se si fosse contenuto ne' soli studj umani, ma si avanzò a parlare delle dottrine teologiche, ad interpretar le scritture, ed anche a censurare i padri; onde il p. Alessandro scrive di lui: Quo plures edidit libros, eo frequentiores cumulavit errores. Girò per molte accademie con gran fama di letterato. Ma circa la fede a molti parve ambiguo, poiché scrisse oscuramente di più dogmi; onde alcuni novatori, co' quali Erasmo teneva amicizia, più volte si avvalsero della sua autorità, quantunque esso cercò più volte di scaricarsi dalla taccia di lor compagno, specialmente in una lettera che scrisse al card. Campegio1.

2. In quel tempo vi era una gran contesa in Germania tra i rettorici, ed i teologi, de' quali per altro allora la Germania stava molto sprovveduta: i rettorici rimproveravano a' teologi l'ignoranza, e la barbarie de' termini: i teologi opponeano a' rettorici l'improprietà, e profanità de' vocaboli, con cui spiegavano i divini misterj. Erasmo si fé capo de' rettorici, e si pose a deridere prima i termini de' teologi, e poi i loro argomenti. Chiamava giudaismo la loro teologia; dicea, che l'intendere bene le scienze ecclesiastiche dipendea dall'erudizione, e dalla scienza delle lingue. Non mancano autori, che trattano Erasmo da eretico: Vittorio2 scrive di lui: Haereticus ille omnium pestilentissimus Erasmus, omnia ad libitum aut exposuit, aut vitiavit. Di più Alberto Pico, principe di Carpi, uomo erudito3, il quale si adoperò a confutare gli errori di Erasmo ne' suoi libri, attesta che esso chiamava idolatra chi invocava i santi, o la divina Madre: disprezzava i monasterj, ed i religiosi, chiamandoli istrioni, ed ingannatori, e condannando i loro voti, e regole: riprovava il divieto a' vescovi e sacerdoti di ammogliarsi: burlavasi delle indulgenze date dal papa, delle reliquie de' santi, de' digiuni, delle feste, ed anche della confessione auricolare, dicendo che l'uomo si giustifica colla sola fede4: poneva in dubbio anche l'autorità delle scritture, e de' concilj5. In oltre lo stesso Erasmo nella prefazione di un suo libro6 disse ch'era temerità chiamar Dio lo Spirito santo colle seguenti parole: Audemus Spiritum sanctum appellare Deum, quod veteres ausi non sunt. Riferisce di più Natale Alessandro7, che la facoltà di Parigi nell'anno 1527. condannò più proposizioni de' libri di Erasmo. Riferisce di più, che a tempo del concilio di Trento i cardinali che doveano riferire a Paolo III. gli abusi da riformarsi, fra gli altri esposero questo: Solent legi in schola colloquia Erasmi, in quibus multa sunt, quae rudes informant ad impietatem; onde lo supplicavano a proibirne la lezione nelle scuole letterarie. Del resto scrive lo stesso Natale, che Erasmo fu stimato da più pontefici, che anche l'invitarono di venire a Roma, e di scrivere contra Lutero, e che Paolo III. gli avea destinato il cardinalato. Scrive poi il Bernino nel luogo citato, che Erasmo morì in concetto di mal cattolico, ma non di eretico, mentre egli sommise le sue opere al giudizio della chiesa. E Varillas8 scrive, che Erasmo restò fermo nella fede, per quanto Lutero e Zuinglio avesser fatto per tirarlo al lor partito. Morì Erasmo in Basilea nell'anno 1536 in età di 70. anni9.

3. Or mentre la Germania stava agitata dalle contese di sovra nominate, giunse il breve del pontefice Leone X. nell'anno 1513.; e qui passiamo a parlar di Lutero. Nacque Martin Lutero10 in Islebio di Sassonia da parenti plebei nell'anno 1483. Scrive il cardinal Gotti11, essersi detto che il Demonio, essendo


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stato ricettato in sua casa in abito di rigattiere, ebbe commercio colla madre, e così ella avesse conceputo questo parto maledetto; e soggiunge l'autore, che Erasmo par che l'avesse indicato, ma oscuramente, in una sua lettera. Del resto lo stesso Lutero in un sermone al popolo non si arrossì di dire ch'egli avea famigliarità col demonio, e di aver mangiato con esso più di un tomolo di sale1. E nel suo libro de missa privata scrive di aver disputato col nemico, il quale contendea che dovesse abolirsi la messa privata, e che l'avea convinto; ma secondo il detto colloquio da lui stesso scritto2 le ragioni addottegli dal demonio erano troppo inette a poterlo convincere. Succingo qui la disputa: Lutero, gli disse, da quindici anni dici messe private; che sarebbe, se nell'altare avessi adorato pane, e vino? non avresti commesso un'idolatria? Rispose Lutero, ma io sono stato consagrato sacerdote dal mio vescovo, e tutto ho fatto per ubbidienza. Replicò il demonio: ma i Turchi ed i Gentili, anche sagrificano per ubbidienza. E se la tua ordinazione è stata falsa? Ecco le gran ragioni che convinsero Lutero. Ma come va poi ch'egli era tanto familiare con Satana, e quegli una volta, come narra Federigo Stafilo3, lo trattò malamente in Vittemberga, ove Lutero volendo cogli esorcismi scacciarlo da una figliuola ossessa, quegli l'atterrì in modo, che cercò uscire da quella stanza; ma avendo lo Spirito chiuse le porte, Lutero corse alla finestra per buttarsi da quella, ma la trovò chiusa: senonché finalmente un suo compagno, avendo con un'accetta fatta in pezzi la porta, scapparono amendue4.

4. Del resto se Lutero non fu figlio del demonio, fu almeno poi suo amico, poiché gli conquistò un gran numero di anime per l'inferno. A principio fu chiamato Martino Luder, come scrive il p. Alessandro, col cognome della famiglia; ma egli appresso lo mutò in Lutero, mentre Luder era un vocabolo poco onesto. Essendosi poi da giovane istruito alquanto nelle lettere umane, passò ad Erfordia, città nella Turingia, ed in quell'accademia ottenne la laurea di maestro di scuola in età di venti anni. Mentre poi studiava la filosofia, e la legge, gli accadde un giorno che stando in campagna, videsi cader morto a' piedi un compagno, colpito da un fulmine; ond'egli, non già per divozione, ma mosso dallo spavento, fé voto di farsi monaco, ed entrò nell'ordine degli eremiti di s. Agostino nel monastero d'Erfordia, come egli stesso confessa5Neque enim libens fiebam monachus, sed terrore mortis subitae vovi. Ciò accadde nell'anno 1504., essendo egli in età di 22. anni: cosa che apportò gran meraviglia a' suoi parenti ed amici, che non aveano veduta in lui sino ad allora una benché minima scintilla di pietà6.

5. Vestito che fu, e fatto sacerdote, gli fu imposto da' superiori, che per esercizio di umiltà andasse mendicando secondo il costume della religione: egli ricusò di farlo; e nell'anno 1508. lasciò il monastero, e l'accademia di Erfordia in cui stava impiegato, con piacere per altro di quegli accademici, che non poteano più soffrire la sua fierezza, e se ne andò a Vittemberga, dove il duca Federico di Sassonia, ed elettore, avea poco prima eretta una università, ed in quella fu fatto lettore di filosofia. Ma gli bisognò poi, per una controversia occorsa nel suo ordine, di andare a Roma, ove aggiustate tutte le cose, prosperamente ritornò in Vittemberga; ed allora da Andrea Carlostadio, decano di quell'università, fu laureato dottore di teologia in età di 33. anni con piacere dell'elettore, che volle far esso le spese della solennità, per l'affetto che avea preso verso Lutero7. Era Lutero vivace di spirito, sottile nella filosofia, ed avea lettura


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di teologi, e di santi padri; ma (come scrive Cocleo presso Natale) era sin d'allora pieno di vizj, superbo, ambizioso, petulante, propenso alle sedizioni, alle calunnie, ed anche alle impudicizie1. Era per altro eloquente nel dire e nello scrivere, ma così rozzo e scomposto, che ne' suoi libri non si trova un periodo che sia aggiustato. Era poi così vano di se stesso, che dispregiava anche gli scrittori più dotti della chiesa; vantavasi di aver la vera scienza delle cose, ed avea la pretensione di confutare la dottrina di s. Tommaso, quella dottrina che fu in tanta stima presso i padri del concilio di Trento.

 

6. Allora avvenne, che il papa Leone X., volendo fare un fondo per l'acquisto di Terra santa, come scrive Hermant2, o pure, come vogliono altri più comunemente3, per compire la fabbrica della chiesa di s. Pietro cominciata da Giulio II., commise al cardinal Alberto, arcivescovo, ed elettor di Magonza la promulgazione del breve, in cui si dispensavano più indulgenze a coloro che sovvenivano colle loro limosine. L'arcivescovo diè l'incumbenza di pubblicare queste indulgenze a Giovanni Tetzel, domenicano professore, e gran predicatore, il quale poco prima avea avuta una simile incumbenza per soccorso de' cavalieri teutonici, per la guerra che contra di loro avea mossa il gran duca di Moscovia. Ciò molto dispiacque al vicario generale degli agostiniani, Giovanni Staupizio, che era benvoluto dal duca di Sassonia, onde avvalendosi egli del favore del duca, diede a Lutero il carico di predicare contro l'abuso di quelle indulgenze. Lutero cominciò subito a declamare contro gli abusi, poiché in verità vi era accaduto qualche disordine nel raccogliere le limosine con iscandalo del popolo; ma Lutero, nel parlare contro l'abuso, passò a parlare contro la validità delle indulgenze; e quindi scrisse all'arcivescovo di Magonza una lunga lettera, dove esagerava gli errori che si predicavano, cioè che chi prendeva l'indulgenza era certo di salvarsi, e veniva assoluto di colpa e pena per tutt'i suoi peccati; ed in piedi alla lettera scrisse 95. conclusioni, nelle quali affacciava, esser molto dubbia questa materia delle indulgenze. Ma non contento di averle scritte al prelato, le fece affiggere alla chiesa di Vittemberga, e le mandò stampare per tutta la Germania, ed anche le fé sostenere pubblicamente da' suoi scolari in quella università. A quelle rispose il p. Tetzel in Francfort, e difese la sentenza della chiesa; e perché trovavasi inquisitor della fede, le dichiarò eretiche. Lutero, sapendo ciò, rispose con grande insolenza, e da ciò sboccarono quelle scintille, da cui si accese un tal fuoco, che prima scorse per la Germania, e poi si avanzò nelle provincie vicine della Dania, Norvegia e Svezia, e sino agli ultimi cantoni del Settentrione4.

7. Nell'anno poi 1518 Lutero mandò quelle sue conclusioni al pontefice in un libello intitolato: Resolutiones disputationum de indulgentiarum virtute. E nella prefazione scrisse: BB. Pater, prostratum me pedibus tuae b. offero cum omnibus quae sum et habeo: vivifica, occide, voca, revoca, reproba, ut placuerit. Vocem tuam, vocem Christi in te praesidentis et loquentis agnoscam; si mortem merui, mori non recusabo5. Con queste belle parole di sommessione voleva ingannare il papa; ma avverte il cardinal Gotti6, che nella stessa lettera Lutero si protestava, che in quelle sue proposizioni egli non seguiva altro che i sentimenti della sagra scrittura, e non intendea di opporsi che a quel solo che ne dicono gli scolastici. Leone X., avendo ricevuti gli scritti così di Lutero, come del Tetzelio, conobbe già di quanto veleno erano infetti quelli di Lutero; onde lo chiamò a Roma a difendersi. Lutero si scusò col pretesto della sua poca salute, e


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della lunghezza del viaggio ch'era impossibilitato a fare per la sua povertà; aggiungeva ancora, che i giudici di Roma gli erano sospetti. E fe' scrivere insieme queste scuse al papa dall'università di Vittemberga, e dall'elettor di Sassonia, pregandolo, che avesse destinati i giudici in Germania1. Il papa temé di commetter la causa a' giudici di Germania, ove Lutero già avea fatto gran partito; pertanto mandò in Germania per suo legato a latere Tommaso Vio cardinale, chiamato il cardinal Gaetano, acciocché ivi col braccio secolare si fosse assicurato della persona di Lutero con tenerlo in custodia; e gli diè la facoltà di assolverlo dalle censure, quando lo vedesse ritrattato, e di scomunicarlo, se lo trovasse pertinace2.

8. Giunse il legato nella città di Augusta, ed ivi mandò a chiamar Lutero, il quale essendo venuto, il cardinale gl'impose tre cose: che riprovasse le proposizioni da lui asserite, che più non le spargesse, e che da indi in poi si astenesse da ogni altra dottrina contraria alla chiesa romana. Lutero rispose di non aver mai detta cosa contraria a' dogmi della chiesa. Ma il Gaetano gli rimproverò, ch'egli negava il tesoro de' meriti di Gesù Cristo e dei santi, per li quali il papa dispensa le indulgenze, come stava dichiarato nella costituzione Unigenitus di Clemente VI. In oltre, ch'egli asseriva, che per lo frutto de' sacramenti bastava la fede di averlo ottenuto. Rispose Lutero alcune cose, ma il legato, sorridendo, disse, che non intendea contendere con lui, ma solo ch'egli si sottomettesse, come gli aveva imposto3. Lutero spaventato allora nel vedersi in Augusta, città tutta cattolica, e senza alcun salvocondotto (Natale Alessandro asserisce4, ch'egli aveva avuta la sicuranza dall'imperator Massimiliano, fide a Caesare accepta, Augustae coram legato comparuit, ma comunemente trovo, che gli altri, come sono Hermant, il card. Gotti, il Van-Ranst ecc., dicono il contrario5 con Varillas, che molto si ammira dell'imprudenza di Lutero di esser andato al legato senza salvocondotto) Lutero, dico, cercò tempo a risolvere, e l'ottenne; e nel giorno seguente comparve avanti il legato con un pubblico notajo e quattro senatori di Augusta, e gli presentò una protesta sottoscritta anche da lui, che dicea: Se colere et sequi s. romanam ecclesiam in omnibus suis dictis et factis, praesentibus, praeteritis et futuris; quod si quid contra dictum fuisset vel foret, pro non dicto haberi, et habere velle. Ma sapendo il cardinale, che Lutero avea scritte molte cose, le quali non si accordavano colla fede cattolica, insisté a voler ch'egli si ritrattasse. Tuttavia credea di averlo guadagnato, ma al meglio se lo vide uscir di mano; poiché Lutero allora si protestò, ch'egli niente avea detto o scritto che ripugnasse alla scrittura, o a' padri, a' concilj, alle decretali, o alla ragione. Disse, che le sue proposizioni erano vere, e ch'egli era pronto a difenderle; ma con tuttociò avrebbe ceduto al giudizio delle tre accademie cesaree di Basilea, di Friburgo e di Lovanio, ed anche a quella di Parigi6.

9. Il cardinale nondimeno insistea sulle tre prime cose imposte: Lutero cercò tempo di rispondere in iscritto, e nel giorno appresso gli portò una scrittura, in cui dicea più cose non solo contra il valore delle indulgenze, ma ancora contra i meriti de' santi, e le buone opere, appoggiandole ad alcune false ragioni. Il Gaetano tutte le sciolse, e poi gli disse risolutamente, che non ritornasse più da lui, se non veniva a ritrattare. Lutero allora si partì da Augusta, e poi gli scrisse che la verità stava per esso, e perciò non poteva rivocarsi contra la scrittura e la ragione; ma che tuttavia voleva soggiacere all'autorità della chiesa, ed anche


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tacere delle indulgenze, perché i contrarj avessero taciuto1. Il cardinale non gli rispose; onde Lutero, temendo della di lui sentenza, appellò preventivamente dal legato al papa, e fece affiggere l'appello alle porte delle chiese2. Il Van-Ranst riprende il Gaetano della sua condotta, dicendo, che Lutero stava già in Augusta senza salvacondotto; egli già vedeva, quanto l'uomo era astuto e versipelle; perché non farlo prendere, e custodire in luogo sicuro? così avrebbe riparato al grande incendio, col quale rovinò quel perfido una gran parte di Europa, insinuando ai popoli una religione tanto più perniciosa, quanto più era ella piacevole alla libertà del senso. Ecco come Lutero, parlando poi ne' suoi libri3 di tal congresso col legato, lo derise dicendo: Ibi novam audivi linguam latinam, scilicet, quod veritatem docere, idem sit quod ecclesiam perturbare; Christum vero negare, esse ecclesiam exaltare. Ed ivi scrisse l'appello da lui fatto prima al papa, e poi dal papa al concilio4.

10. Il legato, vedendo l'ostinazione di Lutero, scrisse all'elettor Federico, che quel frate era un eretico, indegno del suo patrocinio, che per ciò l'avesse mandato in Roma, o almeno l'avesse discacciato da' suoi stati. L'elettore prese quella lettera, e subito la trasmise allo stesso Lutero, il quale, scappato dalla potestà del legato, cominciò a latrar come cane contra del papa, chiamandolo tiranno ed Anticristo, e si andava vantando: Pacem recusavit, bellum habeat; videbimus, uter prior laesus sit futurus, papa, an Lutherus. Così diceva cogli altri, ma dentro di sé si trovava molto atterrito dalla lettera scritta dal legato all'elettore; onde scrisse al medesimo, ch'egli era innocente di alcuno errore contra la fede, e lo pregava di seguitare a proteggerlo5. L'elettore avea presa la protezione di Lutero, come dice Hermant, così per l'amore che avea per la nuova università eretta da lui in Vittemberga, che Lutero avea posta in maggior riputazione, come anche per l'odio che nudriva contra Alberto, elettor in Magonza, ch'era contrario a Lutero6. Ma questo principe per tal protezione presa di Lutero fu castigato da Dio con una morte molto infelice. Essendo egli andato a caccia, fu colto da un colpo di apoplessia, accompagnata da orribili convulsioni. Accorsero subito per le poste Lutero e Melantone per aiutarlo a ben morire (cioè a mal morire), ma non poterono cavargli una parola di bocca, poiché avea perduto affatto l'uso de' sensi. Frattanto, stando in agonia, pativa un'agitazione violenta per tutte le membra, e dava tali grida, che parevano ruggiti di leone: e così morì senza sacramenti, e senza dare alcun segno di penitenza.

 

11. Il papa Leone X. nell'anno 1518. a' 9 di novembre pubblicò una bolla sulla validità delle indulgenze, ove dichiarò, che il solo sommo pontefice avea diritto di concederle senza limiti dal tesoro de' meriti di Gesù Cristo; che la fede di quest'articolo era certa; e che chi ricusava di crederlo, sarebbe escluso dalla comunione della chiesa. Fra questo tempo scrisse Echio, procancelliere d'Ingolstadio, uomo di gran dottrina, il quale poi nell'anno 1519. ebbe una conferenza con Lutero per opera del duca Giorgio, zio dell'elettor Federico, e buon cattolico, tenuta nella sua città di Lipsia, e nel suo proprio palagio. Ivi dopo molte questioni altercate si accordarono di stare al giudizio delle accademie di Erfordia e di Parigi; ma quella di Parigi, avendo ricevuti gli scritti dell'uno e dell'altro, deferì alla dottrina di Echio, e riprovò quella di Lutero, condannando 104 sue proposizioni; ed egli, di ciò adirato, molto sparlò poi contra di quella. Nello stesso anno si fece un'altra conferenza, ove con Lutero intervenne anche


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Carlostadio contra Echio; si fecero sei discussioni sovra tre punti, del libero arbitrio, della grazia e delle buone opere. Indi a Carlostadio già lasso successe Lutero a contendere sul purgatorio, sulla potestà di assolver i peccati, sulla riserva de' casi, sul primato del papa e sulle indulgenze. In questa conferenza Lutero parlò meno ereticamente di quel che parlò appresso dopo la disputa; poiché allora stretto dalla forza della verità confessò il primato, ma disse ch'era di ius umano, non divino; ammise il purgatorio; non ributtò assolutamente le indulgenze, e solo ne riprovò l'abuso. Nello stesso anno anche le università di Colonia e di Lovanio condannarono più articoli di Lutero1.

12. Nell'anno 1519. morì l'imperator Massimiliano I., e vi furono sei mesi d'interregno, in cui Lutero acquistò gran numero di seguaci in Vittemberga, in modo che non solo guadagnò molti giovani, che poi si sparsero per tutta la Sassonia, ma anche più professori nelle scuole, onde anche i preti e i claustrali diventarono luterani. Perloché Leone X. vedendo che Lutero sempre più imperversava, e 'l suo partito cresceva, nell'anno 1520. a' 17 di luglio pubblicò in Roma la bolla Exurge Domine, ove condannò 41 errori più principali di Lutero come ereticali (questi errori si descriveranno nel §. III.), e mandò alcuni commissarj a pubblicarla in Germania, facendo bruciare nello stesso tempo in Roma i libri di Lutero. Ma nello stesso tempo invitava il papa così Lutero, come i suoi settatori a ravvedersi, promettendo tutta la clemenza a chi si fosse ravveduto fra lo spazio di due mesi; altrimenti ordinava a' prelati commissarj, che avessero scomunicati i pertinaci, e consegnati alla potestà secolare. Ed essendo poi passati i due mesi per molto tempo, nell'anno 1521. lo stesso papa Leone con un'altra bolla dichiarò Lutero eretico, e dichiarò, che tutti quelli che l'avean seguito o favorito in qualunque modo, erano incorsi nelle censure e pene fulminate contra gli eretici2. Lutero all'incontro subito che fu fatto inteso della prima bolla del 1520. e de' suoi libri bruciati in Roma, egli fe' bruciare in Vittemberga in una pubblica piazza la bolla e tutte le decretali del ius canonico, dicendo: Quoniam tu contrariasti sanctum Domini, ideo te conturbet ignis aeternus, e pieno poi di furore esclamò: Invadamus omnibus armis filium perditionis, pontificem, cardinales, ac totam hanc sentinam romanam; lavemus in sanguine ipsorum manus nostras3. Ed indi seguì Lutero sino alla morte a scrivere contra del papa e contra la chiesa cattolica. In somma dall'anno 1521. sino al 1546., quando morì, egli ne' suoi libri disotterrò tutte le antiche eresie. Il Cocleo, parlando degli scritti di Lutero4, scrive: Egli in quelli contamina tutte le cose sacre: così predica Cristo, che conculca i suoi sacramenti: così esalta la divina grazia, che distrugge la libertà: così innalza la fede, che nega le buone opere, ed ingerisce la licenza di peccare: così solleva la misericordia, che deprime la giustizia, e rifonde in Dio la causa di tutti i mali: distrugge in somma tutte le leggi, toglie la forza a' magistrati, concita i laici contra i sacerdoti, gli empj contra il papa, ed i popoli contra i principi.

 

§. 2. Delle diete e congressi più principali tenuti circa l'eresia di Lutero.

13. Dieta di Vormazia, ove Lutero conferisce con Carlo V. e resta ostinato. 14. Editto dell'imperatore contra Lutero, che vien nascosto dall'elettore in un suo castello. 15. Dieta nella città di Spira, ove da Cesare si fa un altr'ordine, contra cui si protestano gli eretici. 16. Congresso co' Zuingliani. Matrimonio di Lutero con una badessa. 17. Dieta di Augusta, ove Melantone scrisse la professione di fede. Libretto di Melantone a favor dell'autorità del papa, ributtato da Lutero. 18. Altro editto di Cesare a favor della religione. 19. Lega di Smalcalda sconfitta da Cesare. 20. Dispensa data da' Luterani al Lantgravio di tener due mogli. 21. Concilio di Trento, ove ricusa di venir Lutero, che muore bestemmiando contra il concilio. 22. I Luterani si dividono in 56. sette. 23. Seconda dieta in Augusta, ove Carlo V. promulgò la perniciosa formola


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dell'Interim. 24. e 25. L'eresia di Lutero passa alla Svezia, alla Danimarca, Norvegia, e ad altri regni.

 

13. Il primo congresso fu nelle dieta dell'imperio celebrata in Vormazia. Lutero seguiva tuttavia ad aumentare il suo partito, ed a maltrattar la s. sede con ingiurie e calunnie; onde il papa procurò, che Carlo V. avesse scritto all'elettor di Sassonia, che gli desse in mano Lutero, o almeno lo bandisse da' suoi stati; l'elettore ricevé la lettera, ma rispose ch'essendo vicina la dieta da farsi in Vormes, non conveniva scacciarlo, mentre la dieta avrebbe determinato ciò che dovea farsi. Lutero ambiva di trovarsi a questa assemblea, affin di fare ivi acclamar la sua dottrina per mezzo de' suoi discorsi; e perciò coll'intercessione dell'elettore ottenne dall'imperatore la permissione d'intervenirvi, insieme col salvacondotto del medesimo. Si unì già l'assemblea nell'anno 1521., e vi giunse Lutero a' 17. di aprile; ivi Echio lo interrogò da parte dell'imperatore, se confessava esser suoi i libri pubblicati in suo nome, e se volea difenderli. Rispose, che i libri certamente eran suoi; ma che in quanto al difenderli, essendo questo un negozio che importava la parola di Dio, e la salute dell'anime, volea tempo a rispondere. Cesare gli concesse una giornata a risolversi. Ritornato, disse, che de' suoi libri altri conteneano gli argomenti della religione, da' quali non potea recedere in buona coscienza: altri conteneano la difesa di se stesso, ed in ciò confessava di avere ecceduto in pungere i suoi contrarj, schiavi del papa, ma che a ciò essi stessi l'avean provocato. Echio replicò, che si spiegasse più chiaro. Allora egli si rivolse all'imperatore, e disse risolutamente, che non potea ritrattar cosa alcuna di quelle che avea insegnate nelle sue lezioni, ne' suoi sermoni e ne' suoi scritti, finché non fosse stato convinto colla scrittura, o colla ragione; e si spiegò ch'esso non tenea per infallibili né i papi, né i concilj1.

14. L'imperatore, vedendo la sua pertinacia, dopo avergli parlato lo licenziò dall'assemblea. Avrebbe potuto Carlo farlo arrestare, stando Lutero sotto la sua potestà; ma non volle violare il salvocondotto da lui concessogli; non però a' 26. di maggio cacciò fuori un editto col consenso de' principi dell'imperio, e degli ordini, e degli stati, col quale dichiarò Lutero notorio eretico ed ostinato, e proibì sotto gravissime pene a ciascuno di ricettarlo, o difenderlo. Di più ordinò, che passato lo spazio di venti giorni (che era il termine del salvocondotto) si fosse proceduto contra Lutero, dovunque fosse stato preso2; e ben forse Lutero sarebbe stato preso, se l'elettor Federico, mentre Lutero era nella via accompagnato da' soldati, per mezzo di alcuni di loro subornati, non l'avesse fatto portare in luogo sicuro. Onde allora si sparse voce, che Lutero fosse stato posto in prigione prima di compire il termine del salvocondotto. Allora dall'elettore fu fatto condurre Lutero nel castello di Vatburgo prossimo alla città di Alstadio nella Turingia: luogo che poi Lutero solea chiamarlo la sua Patmos, o sia eremo. Ivi stette nascosto e guardato per dieci mesi in circa, ed ivi stese il piano della sua empia eresia, e compose molti de' suoi libri, ne' quali fra l'altre cose esortava tutti a riprovare i teologi scolastici, e specialmente s. Tommaso, dicendo, che nelle opere di s. Tommaso vi erano sparse molte eresie. Chiamava eresie le dottrine di s. Tommaso, perché con quelle il santo, già da più secoli prima, avea confutati i di lui pestilenti errori3.

15. Nell'anno poi 1529. si fece un'altra dieta nella città di Spira per ordine dell'imperatore, ove fra l'altre cose fu determinato, che in que' luoghi, in cui era accettato l'editto di Vormazia, quello si fosse osservato; dove si era mutata l'antica religione, né potesse dismettersi l'esercizio di


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quella senza una pubblica perturbazione, che la cosa persistesse sino alla celebrazione del concilio. Si decretò ancora che la messa liberamente si celebrasse anche ne' luoghi infetti dal luteranismo, e che il vangelo si esponesse secondo l'interpretazione de' padri approvati dalla chiesa. Ma gli elettori Federico di Sassonia, e Giorgio di Gradeburgo, ed Ernesto, e Francesco duchi di Luneburgo, Filippo Lantgravio, Volfango principe Amaldino, colle 14. città confederate, si protestarono, che non poteano ubbidire al decreto, come contrario alle verità evangeliche; e quindi ne appellavano al futuro concilio, o pure a qualunque giudice non sospetto; ed allora si formò il celebre nome di protestanti1.

16. Nello stesso anno in Masburgo, città dell'Assia, per opera del Lantgravio fu unito un altro congresso de' Luterani co' Zuingliani, o sieno sacramentarj, per fargli unir tra loro in una religione. Vennero ivi Lutero, Melantone, Giona, Osiandro, Brenzio, ed Agricola da una parte, e Zuinglio, Ecolampadio, Bucero, ed Echio dall'altra; si accordarono ivi in tutti gli altri punti, ma non poterono convenire in quello dell'eucaristia, negando sempre i Zuingliani la presenza reale di Gesù Cristo. Si replicarono appresso diverse altre conferenze per togliere la diversità della fede che opponeano loro i cattolici, ma non fu possibile. Fu questa providenza divina, acciocché la chiesa romana potesse oppor sempre contra i novatori l'unità della dottrina sempre da lei conservata, e gli eretici da questa ragione restassero sempre convinti2. Fra questo tempo Lutero celebrò le sue nozze con una badessa d'un monastero. Avea già l'altro suo compagno eresiarca e sacerdote Zuinglio presa moglie; Lutero, che non avea minore inclinazion di Zuinglio al matrimonio, se n'era astenuto sino ad allora per rispetto dell'elettor di Sassonia, il quale, quantunque eretico, abborriva i matrimonj de' religiosi, ed erasi dichiarato di non volerne soffrir veruno. All'incontro Lutero si era invaghito di Caterina di Bore, la quale era di famiglia nobile, ma perché povera, si era fatta monaca per disperazione nel monastero di Misnia, ed era giunta ad esserne badessa: avendo elle poi letto un libro di Lutero, che parlava della nullità de' voti religiosi, s'invogliò di parlar con Lutero; Lutero andò a visitarla più volte, e finalmente ebbe l'abilità di farla uscire dal monastero e venire in Vittemberga, ove lo sfacciato, essendo morto già l'elettor Federico che l'impediva, nell'anno 1526. la sposò con gran solennità; ed indi col suo esempio ed insinuazioni tirò anche ad ammogliarsi il gran maestro dell'ordine teutonico3. Questi matrimonj diedero poi occasione ad Erasmo di dire, che l'eresie de' suoi tempi si riduceano tutte a commedie, perché le commedie tutte finiscono col matrimonio.

 

17. Nell'anno 1530. al mese di giugno si celebrò la famosa dieta augustana, ove accaddero più cose notabili. Trovandosi già unito in Augusta l'imperatore cogli altri principi dell'imperio, e dovendosi ivi far la processione del Corpus Domini, fu imposto a tutti i principi, che v'intervenissero; ma i protestanti stettero fermi a non volervi assistere, dicendo che quei riti eran cose superstiziose della chiesa romana. Tuttavia l'elettor di Sassonia, che secondo il costume dovea portar la spada dell'imperatore, consigliandosi co' suoi teologi, essi gli dissero, che quello era un ministero meramente umano, onde ben poteva intervenirvi, a simiglianza di Naaman Siro, che s'incurvò davanti all'idolo insieme col re, che si appoggiava al suo braccio4. In questa dieta vi furono per parte de' cattolici Giovanni Echio, Corrado Vimpina, e Giovanni Cocleo: e per i luterani, Melantone, Brenzio, e Schnepsio. I principi luterani presentarono


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a Cesare la professione della loro fede, composta da Filippo Melantone, il quale cercò quanto poté di raddolcire le opinioni odiose a' cattolici. E questa fu la famosa confessione augustana, alla quale per la maggior parte i Luterani poi si attaccarono. Nei loro articoli ammisero per 1., che noi non ci rendiamo giusti per la sola fede, ma per la fede e per la grazia. Per 2., che nelle buone opere non solo vi concorre la grazia, ma anche la nostra cooperazione. Per 3., che nella chiesa non solo si contengono gli eletti, ma anche i presciti. Per 4., che nell'uomo vi è il libero arbitrio, bench'egli non possa conseguir la giustizia senza la grazia divina. Per 5., che i santi pregano Dio per noi, e che piamente ne' giorni stabiliti si venera la loro memoria: senza però né approvare, né riprovare la loro invocazione; ed in altri dieci capi di minore importanza consentirono parimente co' cattolici. Consentirono pure in dire che Gesù Cristo nell'eucaristia si contiene sotto l'una e l'altra specie; e non condannavano quei laici, che comunicavano sotto una sola specie. Ammisero ancora la giurisdizione de' vescovi, e l'ubbidienza loro dovuta da' parrochi, predicatori e sacerdoti nelle cause ecclesiastiche, e che ben valessero le censure da essi fulminate secondo la norma delle scritture. L'imperatore, affin di concludere più facilmente la concordia, obbligò a congregarsi insieme due giurisperiti per ciascuna parte, con Echio e Melantone; ma questo congresso poi non si compì, mentre (come attesta lo Sleidano) Melantone per ordine di Lutero non poté proseguire il suo trattato, bench'egli fosse tutto propenso a concluder la pace, come espresse nella sua lettera al Campeggio, legato apostolico, ove disse: Dogma nullum habemus diversum a romana ecclesia... parati sumus obedire ei, modo illa pro sua clementia parva quaedam dissimulet, vel relaxet... Adhuc romani pontificis auctoritatem colimus, modo non abiiciat nos etc.1. E qui voglio notare quel che riferisce Varillas2, cioè, che quando il re di Francia Francesco I. invitò Melantone di venire a Parigi a leggere nella sua università (il che poi non seguì), Melantone gli mandò un libretto circa la religione, ove stabiliva per principio, che bisognava conservar la preeminenza ed autorità del papa per mantener l'unità della dottrina; ma Lutero, quando seppe ciò, infuriò talmente contra Melantone, che fu sul punto di romperla con esso, rinfacciandogli, che così avea preteso di rovinar la sua religione, che egli per venti anni avea cercato di stabilire con abbattere l'autorità del papa.

 

18. In oltre in quella dieta i Zuingliani presentarono anche la loro confessione in nome delle quattro insigni città, Argentorato, Costanza, Meminga e Lindavio; la quale confessione discordava da' Luterani nel solo articolo dell'eucaristia. Finalmente nel ritirarsi gli ordini della dieta, Cesare promulgò un editto, con cui davasi tempo a' principi ed alle città luterane sino a' 15. di aprile dello stesso anno 1530. di dichiararsi, se volessero sino al futuro concilio convenir nella fede colla sede apostolica, e colla restante parte dell'imperio. Frattanto si ordinava loro di non permettere, che ne' loro dominj si stampasse o s'innovasse alcuna cosa in materia di religione; e che tutti si opponessero contra gli Zuingliani, e gli Anabattisti. Ma i Luterani ricusarono di accettare tali articoli, e perduta ogni speranza di concordia, chiesero licenza di partirsi. Prima nonperò di esser licenziati, Cesare fece un altro editto, a cui soscrisse la rimanente parte de' principi e degli ordini dell'imperio, con cui fu decretato, che tutti permanessero nell'antica religione, restando condannate le sette degli Anabattisti, de' Zuingliani e de' Luterani; e che tutti fossero pronti di venire al concilio, che Cesare prometteva di impetrare dal papa fra sei mesi3.


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19. Allora poi avvenne, che i protestanti, essendosi dichiarati di non voler ubbidire all'editto, si unirono a Smalcalda, città della Franconia, ed ivi nel 1531. conclusero la lega chiamata smalcaldica, per vendicare colle armi (come diceano) la libertà della lor religione; né vollero in quella ammettervi gli svizzeri, per causa del loro errore sacramentario. Quindi accadde di poi quella gran battaglia sanguinosa in Albi nell'anno 1547., in cui Carlo ebbe la vittoria contro i Luterani, e vi furono presi Giovanni elettor di Sassonia, e Filippo Lantgravio, i due gran fautori dell'eresia e di tutti i mali della Germania1. E sarebbe restata affatto depressa la setta de' protestanti, se Maurizio di Sassonia, nipote di Giovanni l'elettore allora prigioniero, non avesse voltate le armi contra di Cesare2. Il Lantgravio poi ottenne la grazia di esser liberato colla condizione di cercar perdono all'imperatore prostrato a' suoi piedi, e di dargli in mano i suoi stati3.

20. Nell'anno poi 1539. lo stesso Filippo Lantgravio ebbe da Lutero e da altri suoi compagni, fedeli ministri del vangelo (come si vantavano), quella celebre dispensa di tenere due mogli nello stesso tempo. Narra su ciò Varillas4, che il Lantgravio era di un tal temperamento, che non si contentava di una sola moglie. Egli per altro prima di ammogliarsi ebbe orrore alla fornicazione, ma dopo il matrimonio una moglie non gli bastava; ed avendo allora già perduta la fede, si persuase, che Lutero, e gli altri teologi della sua setta, gli darebbero la dispensa di avere un'altra moglie; e ben l'indovinò, poiché fece adunare i medesimi in Vittemberga, ov'essi esaminarono le gran difficoltà che vi erano, e le scandalose conseguenze che ne sarebbero succedute; ma il timore di disgustare il Lantgravio prevalse alla legge di Gesù Cristo, ed alla propria coscienza. Presso il citato autore5, sta registrato il lungo rescritto, col quale conclusero la desiderata dispensa. Qui solamente ne accenno qualche cosa in breve. Dicono a principio, che non poteano introdurre nel nuovo testamento una legge dell'antico, che permetteva più mogli, avendo detto il Signore: Erunt duo in carne una. Dicono poi, che la legge evangelica può ricever dispensa in certi casi, ed uno di questi decretarono esser quello del principe; ma, per evitare lo scandalo, giudicarono che il secondo matrimonio si facesse in segreto avanti poche persone; e si soscrissero al gran rescritto del concilio luterano, Lutero, Melantone, Bucero e cinque altri simili dottori. E così si effettuò il matrimonio in segreto in presenza di Melantone, Bucero e di sei altre persone. Il Lantgravio, come porta il Tuano, morì poi nell'anno 1567.

21. Nell'anno 1545. a' 13. di dicembre si diè principio al concilio ecumenico di Trento sotto Paolo III., papa, continuò poi sotto Giulio III., ed essendo stato restato sospeso molti anni per varie cause, terminò finalmente sotto Pio IV. a' 4. di dicembre dell'anno 1563. Lutero avea già più volte provocato il papa al concilio, ma quando poi il concilio fu formato, affatto non volle intervenirvi, prevedendo già che dovea essergli contrario. Egli prima appellò dal legato al papa, poi dal papa male informato al papa meglio informato, poi dal papa al concilio, finalmente dal concilio appellò a se stesso. Questo è stato sempre lo stile degli eresiarchi, di rifiutare il giudizio del papa, appellando al concilio; ma compito poi il concilio, hanno ributtato l'uno e l'altro. Sicché Lutero ricusò di accostarsi al concilio, e gli altri protestanti seguirono il suo esempio dopo la sua morte, ricusando anche il salvacondotto che loro fu offerto. Ma mentre i padri del concilio si preparavano alla quarta sessione, giunse in Trento


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l'avviso della morte di Lutero. Era egli stato chiamato ad Islebio da' suoi compagni verso la fine di gennaio, affin di comporre una certa discordia. Quando Lutero intese di essere stato invitato di venire al concilio, disse tutto infuriato: Verrò al concilio; e voglio perder la testa, se non difendo le mie opinioni contra tutto il mondo; questo che esce dalla mia bocca, non est ira mei, sed ira Dei1. Ma il misero ebbe a fare un viaggio più lungo, colto dalla morte in età di 63. anni a' 17 di febbraio dell'anno 1546. Dopo aver egli cenato nella sera lautamente, e colle sue solite facezie, alla seconda o terza ora della notte fu assalito da acerbissimi dolori, e così morì. Ma prima di morire, fremendo contra il concilio che in quel tempo stavasi facendo, rivolto a Giusto Giona suo seguace, disse: Orate pro Domino Deo nostro, et eius evangelio, ut ei bene succedat; quia concilium tridentinum, et abominabilis papa graviter ei adversantur; e ciò detto spirò, ed andò a ricevere il premio di tante bestemmie proferite contra la fede, e di tante migliaia di anime per suo mezzo acquistate all'inferno. Il suo cadavere fu riposto in una cassa di stagno, e come sovra un carro di trionfo fu portato a Vittemberga, seguitato da Caterina sua concubina, e da tre suoi figli, Giovanni, Martino e Paolo, dentro di un cocchio, e da molta gente a cavallo ed a piedi. Filippo Melantone fece poi l'orazione funebre in latino ed il Pomerano in tedesco. Lo stesso Pomerano fece ancora questa gloriosa iscrizione al suo sepolcro, degna per altro d'un tal maestro e d'un tal discepolo, chiamandolo peste, qual fu: Pestis eram vivus, moriens ero mors tua, papa2.

22. I Luterani furono invitati dal papa al concilio con più brevi, ma tutti li rifiutarono3. Furono poi invitati dall'imperator Ferdinando, allorché si riaprì il concilio; ma esposero condizioni così ardue, che non si poterono loro accordare4. Si divisero poi i Luterani in più sette: cioè Luterani rigidi, e Luterani rilasciati5; e questi poi si divisero in molte altre sette, sino al numero di 56., come porta il Lindano6.

23. Nell'anno poi 1547. in un'altra dieta celebrata in Augusta l'imperator Carlo V. restituì la religione cattolica in quella città; ma poi nell'anno seguente dice Natale Alessandro7 che oscurò l'onore acquistato, promulgando la famosa formola appellata interim; poiché ivi assunse l'autorità di metter mano nelle quistioni di fede e di disciplina ecclesiastica; onde scrive Natale, che quell'interim di Cesare non meritò minore esecrazione, che l'enotico di Zenone, l'ectesi di Eraclio, ed il tipo di Costante. Indi nell'anno 1552. Carlo aggiunse un'altra macchia al suo onore, poiché dopo aver posto in fuga Maurizio di Sassonia colle sue armi, fé con esso pace, e gli concesse la libertà di religione ne' suoi stati per quei che professavano la confessione augustana. Nell'anno poi 1556. rinunziò il governo dell'imperio a Ferdinando suo fratello, re de' romani, e si ritirò nel monastero di s. Giusto dell'ordine de' geronimitani, per pensare solo a Dio, ed apparecchiarsi alla morte, che gli avvenne a' 21. di settembre dell'anno 1558., in età di 58. anni8.

24. L'eresia di Lutero per mezzo dei suoi discepoli dalla Germania presto passò ad infettare altri regni vicini, e prima passò alla Svezia. Nella Svezia già regnava l'idolatria; ma nell'anno 1155. vi entrò la fede cattolica, la quale poi fu meglio stabilita nel 1416. da s. Anogrito, e vi si conservò sino al regno di Gustavo Ericsone. Ma nell'anno 1523. la Svezia fu infettata di luteranismo da un certo Olao Petri, che si era fatto luterano nell'università di Vittemberga, e questi con altri suoi socj guadagnarono anche il re Gustavo,


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il quale concesse allora a' predicanti l'insegnare la nuova setta, diè a tutti la libertà di abbracciarla, e permise a' religiosi di maritarsi. Volle che seguissero ad usarsi le cerimonie della chiesa romana; e ciò lo fece per ingannare il popolo; ma fé bruciare tutti i libri antichi, ed entrare i nuovi composti dagli eretici. E così in meno di quattro anni la Svezia divenne tutta luterana. Gustavo lasciò la corona morendo ad Errico XIV., il quale seguì l'eresia del padre; ma poco durò nel trono, perché Giovanni suo fratello minore nell'anno 1569. gli mosse guerra, e gli tolse il regno. Giovanni prima di farsi re era un buon cattolico, onde desiderava di riunire la Svezia alla chiesa romana; tanto più che il papa gli avea mandato un buon sacerdote missionario a confortarlo nella fede; onde il re cominciò l'impresa con pubblicare una liturgia contraria a quella di Lutero, affin di abolire a poco a poco gli usi luterani. Scrisse poi al papa, che egli sperava di guadagnar la Svezia in tutto alla fede, purché si fosse compiaciuto di concederle quattro cose: 1. che i nobili non fossero turbati dal possesso de' beni ecclesiastici che allora teneano: 2. che i vescovi ed i sacerdoti potessero almen ritenere le mogli che avevano: 3. che la comunione si dispensasse sotto le due specie: 4. che si officiasse in lingua volgare. Ma il papa dopo aver consigliato l'affare co' cardinali, rispose che non poteva accordargli quel che avea dovuto negare a tanti altri principi. Quando giunse questa risposta, il re già vacillava nel buon pensiero di sostener la fede, intimorito dal pericolo di una sollevazion generale che gli era stata minacciata, ricevendo poi la negativa per tutte le quattro cose richieste, lasciò ogni impresa, e si abbandonò alla religione de' suoi stati. La regina sua moglie, sorella di Sigismondo Augusto re di Polonia, la quale era una zelante cattolica, vedendo il marito così mutato, n'ebbe tanto dolore, che tra poco tempo se ne morì. Gli sopravvisse il re per 12. anni, e lasciò il regno in morte a Sigismondo suo figlio, il quale in quel tempo era re di Polonia; onde Carlo Sudermania, ritrovandosi governatore del regno in vece del re, che stava in Polonia, si usurpò la Svezia, ottenendo dagli stati che dichiarassero decaduto dal regno Sigismondo, per esser egli cattolico. Il re Carlo pertanto seguì a regnare, e seguì a stabilire il luteranismo nella Svezia. Gli successe Gustavo Adolfo suo figliuolo, che fu un gran persecutore de' cattolici nella Svezia e nella Germania; ma la regina Cristina sua figliuola, ch'era rimasta erede del regno, volle più presto rinunziare alla corona, che rinunziare alla fede; onde visse e morì santamente nella fede cattolica. Ella cedé il regno a Carlo Gustavo suo cugino, il quale lo possedé per sei anni, e poi lo lasciò a Carlo V. suo figlio. Al presente regna nella Svezia, rimasta già luterana, Adolfo Federico in età di 60 anni in circa, mentre nacque nell'anno 17101.

25. Nella Danimarca e nella Norvegia avvenne la stessa disgrazia della Svezia. Nella Danimarca anche regnava l'idolatria, ma nell'anno 826. da Regnerio I. re cristiano vi fu introdotta la religione cattolica, la quale si conservò sino all'anno 1523. Ma regnandovi il re Cristierno II., egli fu che v'introdusse il luteranismo; e presto ne fu punito da Dio, poiché dai suoi medesimi vassalli fu discacciato dal regno colla moglie e figliuoli. Indi dai danesi vi fu posto in suo luogo Federico suo zio, il quale, per istabilire la setta luterana, diè licenza a' protestanti di predicarla, e libertà ad ognuno di seguirla. Dopo ciò si avanzò a mettere in tormenti i vescovi e gli altri cattolici, che voleano sostenere e difendere la chiesa romana; onde molti appresso ne morirono per la fede. Questo re in pena della sua empietà morì disgraziatamente mentre stava facendo un banchetto in giorno di venerdì santo. Gli successe Cristernio III., il quale compì


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di separar la Danimarca dalla chiesa; ed ecco come in questi due regni fra poco tempo fu abbracciata la setta luterana, la quale al presente anche vi continua. Vi sono non però nella Danimarca ancora i Calvinisti, poiché Cristierno permise agli eretici scozzesi di avervi chiese. Vi sono anche alcuni cattolici, ma questi stanno nascosti, e non esercitano gli usi della nostra religione che con segretezza, come si esercitano in Inghilterra. La Norvegia e l'Islanda son regni dipendenti dallo stesso re di Danimarca e questi sono anche luterani; ma il popolo della campagna conserva la memoria della fede cattolica, benché non hanno né esercizio, né pastori. In quelle parti si ritrovano ancora idolatri, che adorano il fuoco, i boschi ed i serpi, e vivono nella loro ignoranza per mancanza di missionarj cattolici, ai quali è proibito di andarvi a predicare. In questi regni dunque del Nort vi sono alcuni cattolici, ma pochi; sicché la religione che vi domina è quella di Lutero. Un tempo in questi regni disgraziati vi furono quasi tutti gli ordini religiosi, di s. Domenico, di s. Francesco, di s. Brunone de' cisterciensi, di s. Brigida, ed altri; ma di tutti ora non vi è vestigio alcuno1.

§. 3. Degli errori di Lutero.

26. Errori 41. di Lutero condannati da Leone X. 27. Altri errori presi da' suoi libri. 28. Rimorsi di coscienza che avea Lutero. 29. Sue ingiurie contra Errico VIII. Traduce il testamento nuovo con mille errori. Libri che ributta. 30. Sua formola di celebrar la messa. 31. Suo libro contra i Sagramentarj, che negavano la presenza reale di Gesù Cristo nell'eucaristia.

 

26. Prima di tutto notiamo qui gli errori 41. di Lutero, condannati da Leone X. nella sua bolla, Exurge Domine, fatta nell'anno 1520., che si legge nel bollario del detto pontefice (constit. 40.), e presso Cocleo negli atti di Lutero all'anno 1520., ed anche presso Bernino2. « 1. Haeretica sententia est, sed usitata, sacramenta novae legis iustificantem gratiam illis dare, qui non ponunt obicem. 2. In puero post baptismum negare remanens peccatum, est per os Pauli Paulum et Christum simul conculcare. 3. Fomes peccati, etiamsi nullum adsit actuale peccatum, moratur exeuntem a corpore animam ab ingressu coeli. 4. Imperfecta caritas morituri fert secum necessario magnum timorem, qui se solo satis est facere poenam purgatorii, et impedit introitum regni. 5. Tres esse partes poenitentiae, contritionem, confessionem et satisfactionem, non est fundatum in sacra scriptura, nec in antiquis sanctis christianis doctoribus. 6. Contritio, quae paratur per discussionem, collectionem, et detestationem peccatorum, qua quis recogitat annos suos in amaritudine animae suae, ponderando peccatorum gravitatem, multitudinem, foeditatem, amissionem aeternae beatitudinis, ac aeternae damnationis acquisitionem: haec contritio facit hypocritam, imo magis peccatorem. 7. Verissimum est proverbium, et omnium doctrina de conditionibus hucusque data praestantius: de caetero non facere summa poenitentia: optima poenitentia, nova vita. 8. Nullo modo praesumas confiteri peccata venialia, sed nec omnia mortalia, quia impossibile est ut omnia mortalia cognoscas. Unde in primitiva ecclesia solum manifesta mortalia confitebantur. 9. Dum volumus omnia pure confiteri, nihil aliud facimus, quam quod misericordiae Dei nihil volumus relinquere ignoscendum. 10. Peccata non sunt ulli remissa, nisi, remittente sacerdote, credat sibi remitti; imo peccatum maneret, nisi remissum crederet. Non enim sufficit remissio peccati, et gratiae donatio, sed oportet etiam credere esse remissum. 11. Nullo modo confidas absolvi propter tuam contritionem, sed propter verbum Christi: Quodcumque solveris etc. Hinc, inquam, confide, si sacerdotis obtinueris absolutionem, et crede fortiter te absolutum, et absolutus vere eris, quicquid sit de contritione. 12. Si per impossibile confessus


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non esset contritus, aut sacerdos non serio, sed ioco absolveret, si tamen credat se absolutum, verissime est absolutus. 13. In sacramento poenitentiae, et remissione culpae, non plus facit papa, aut episcopus, quam infimus sacerdos; imo ubi non est sacerdos, aeque tantum quilibet christianus, etiam si mulier, aut puer esset. 14. Nullus debet sacerdoti respondere, se esse contritum, sed sacerdos requirere. 15. Magnus est error eorum qui ad sacramenta eucharistiae accedunt, huic innixi, quod sint confessi, quod non sint sibi conscii alicuius peccati mortalis, quod praemiserint orationes suas, et praeparatoria; omnes illi iudicium sibi manducant e bibunt; sed si credant, et confidant, se gratiam ibi consecuturos, haec sola fides facit eos puros, et dignos. 16. Consultum videtur, quod ecclesia in communi concilio statueret laicos sub utraque specie communicandos, nec Bohemi communicantes sub utraque specie sunt haeretici, sed schismatici. 17. Thesauri ecclesiae, unde papa dat indulgentias, non sunt merita Christi, et sanctorum. 18. Indulgentiae sunt piae fraudes fidelium, et remissiones bonorum operum: et sunt de numero eorum quae licent, et non de numero eorum quae expediunt. 19. Indulgentiae his qui veraciter eas consequuntur, non valent ad remissionem poenae pro peccatis actualibus debitae apud divinam iustitiam. 20. Seducuntur credentes indulgentias esse salutares, et ad fructum spiritus utiles. 21. Indulgentiae necessariae sunt solum publicis criminibus, et proprie conceduntur duris solummodo, et impatientibus. 22. Sex generibus hominum indulgentiae nec sunt necessariae, nec utiles: videlicet mortuis, seu morituris, infirmis, legitime impeditis, his qui non commiserunt crimina, his qui crimina commiserunt, sed non publica, his qui meliora operantur. 23. Excommunicationes sunt tantum externae poenae, nec privant hominem communibus spiritualibus ecclesiae orationibus. 24. Docendi sunt christiani plus diligere excommunicationem, quam timere. 25. Romanus pontifex Petri successor non est Christi vicarius super omnes totius mundi ecclesias ab ipso Christo in beato Petro institutus. 26. Verbum Christi ad Petrum Quodcumque solveris super terram etc., extenditur dumtaxat ad ligata ab ipso Petro. 27. Certum est in manu ecclesiae, aut papae prorsus non esse statuere articulos fidei, imo nec leges morum, seu bonorum operum. 28. Si papa cum magna parte ecclesiae sic, vel sic sentiret, nec etiam erraret, adhuc non est peccatum, aut haeresis contrarium sentire, praesertim in re non necessaria ad salutem, donec fuerit per concilium universale alterum reprobatum, alterum approbatum. 29. Via nobis facta est enervandi auctoritatem conciliorum, et libere contradicendi eorum gestis, et iudicandi eorum decreta, et confidenter confitendi quicquid verum videtur, sive probatum fuerit, sive reprobatum a quocumque concilio. 30. Aliqui articuli Ioannis Hus condemnati in concilio constantiensi sunt christianissimi, verissimi, et evangelici, quos nec universalis ecclesia posset damnare. 31. In omni opere bono iustus peccat. 32. Opus bonum optime factum, est veniale peccatum. 33. Haereticos comburi, est contra voluntatem spiritus. 34. Praeliari adversus Turcas est repugnare Deo visitanti iniquitates nostras per illos. 35. Nemo est certus, se non semper peccare mortaliter propter occultissimum superbiae vitium. 36. Liberum arbitrium post peccatum est res de solo titulo; et dum facit quod in se est, peccat mortaliter. 37. Purgatorium non potest probari ex sacra scriptura, quae sit in canone. 38. Animae in purgatorio non sunt securae de eorum salute, saltem omnes: nec probatum est ullis aut rationibus, aut scripturis, ipsas esse extra statum merendi, aut augendae caritatis. 39. Animae in purgatorio peccant sine intermissione, quamdiu quaerunt requiem, et horrent poenas. 40. Animae ex purgatorio liberatae suffragiis viventium,


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minus beantur, quam si per se satisfecissent. 41. Praelati ecclesiastici, et principes saeculares non malefacerent, si omnes saccos mendicitatis delerent.»

 

27. Oltre degli errori qui riferiti e condannati nella bolla, ve ne sono molti altri notati da Natale Alessandro, e dal cardinal Gotti1, raccolti da diverse opere di Lutero, come de indulgentiis, de reformatione, resp. ad lib. Catharini, de captivitate babylonica, contra Latomum, de missa privata, contra episc. Ordinem contra Henricum VIII. regem, novi testamenti translatio, de formula missae, et communionis, ad Waldenses etc., contra Carlostadium, de servo arbitrio, contra Anabaptistas, e da altre opere stampate in Vittemberga in più tomi. De' suddetti errori trascriviamo qui quelli che sono notabili.

«1. Sacerdos etiam levis, ac ludens, vere tamen baptizat, et absolvit. 2. Foedus est error, quod quispiam de peccatis se putet satisfacturum, quae Deus gratis remittit. 3. Baptismus non totum peccatum tollit. 4. Ab impiis dd. persuasi sentimus nos a baptismo, seu contritione sine peccatis esse. Item quod bona opera ad cumulanda merita, et ad satisfaciendum pro peccatis valeant. 5. Peccant graviter, qui cogunt homines sub peccato mortali in paschatis festo sacramento uti. 6. Confessionem auricularem, quae fit coram sacerdote, Deus non praecipit, sed papa: qui sacramento (eucharistiae) uti valet, aut integrum (idest in utraque specie) accipiat, aut abstineat. 7. Ius interpretandi scripturas aeque laicis concessum est atque doctis. 8. Romana ecclesia tempore b. Gregorii non erat super alias ecclesias. 9. Deus praecipit homini impossibilia. 10. Deus exigit a quolibet christiano summam perfectionem. 11. Nulla sunt consilia, sed omnia evangelii praecepta. 12. Laico habenti auctoritatem scripturae plus est credendum, quam papae, concilio, immo ecclesiae. 13. Petrus non erat princeps apostolorum. 14. Papa solum iure humano est vicarius Christi. 15. Peccatum veniale, non natura sua, sed Dei misericordia solum esse tale. 16. Credo concilium et ecclesiam nunquam errare in his quae sunt fidei; in ceteris non esse necesse non errare. 17. Primatus romani pontificis non est iure divino. 18. Non esse septem sacramenta, et tantum tria pro tempore ponenda, baptismum, poenitentiam, panem. 19. In altari verum panem absque haeresi credi posse. 20. Evangelium non sinere missam esse sacrificium. 24. Missam nihil aliud esse, quam verba Christi, Accipite, et manducate etc., seu Christi promissionem. 22. Periculosum errorem esse, quo poenitentia secunda post naufragium tabula creditur, et dicitur. 23. Impie asseri, quod sacramenta sint signa efficacia gratiae; nisi dicantur, quod si adsit fides indubitata, gratiam conferant. 24. Vota omnia tollenda, sive religionum, sive quorumcumque operum. 25. Sufficere, ut frater fratri confieatur; singulis christianis dictum est, Quodcumque ligaveritis etc. 26. Pontifices non habent ius reservandi sibi casus. 27. Vera satisfactio est innovatio vitae. 28. Nulla est causa, ut confirmatio inter sacramenta numeretur. 29. Matrimonium sacramentum non est. 30. Impedimenta affinitatis spiritualis, criminis, ordinis sunt hominum commenta. 31. Sacramentum ordinis inventum est ab ecclesia papae. 32. Concilium constantiense erravit, multa perperam determinata sunt, quale est: Essentiam divinam nec generare, nec generari: animam esse formam substantialem corporis humani. 33. Christiani omnes sunt sacerdotes; eamdem in verbo et sacramento habent potestatem. 34. Unctio extrema sacramentum non est. Duo tantum sunt sacramenta, baptismus, et panis. 35. Poenitentiae sacramentum aliud non est, quam via et reditus ad baptismum. 36. Gratia praeveniens dicitur motus, qui fit in nobis sine nobis, non quidem sine nobis vitaliter


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et active cuncurrentibus (instar lapidis se mere passive habentis ad physicum actus), sed sine nobis libere, et ex indifferentia operantibus. Così Lutero spiegava la grazia efficace, onde poi fondò il sistema che la volontà dell'uomo, così nel bene, come nel male, opera per necessità, dicendo: per gratiam voluntati necessitatem inferri, non ex coactione, quia voluntas sponte agit, tametsi necessario. Ed in altro luogo scrisse: Per peccatum voluntas amisit libertatem, non a coactione, sed a necessitate: amisit indifferentiam.

 

28. Nel libro de missa privata scrisse Lutero i rimorsi di coscienza, che lo tormentavano colle seguenti parole: Quoties mihi palpitavit cor reprehendens: tu solus sapis? totne errant universi? tanta saecula ignoraverunt? quid si tu erres, et tot tecum trahas damnandos? Tandem (così si faceva animo) confirmavit me Christus; doveva dire, diabolus.

 

29. Nell'anno 1522. contra il libro cacciato fuori da Errico VIII. in difesa de' sette sacramenti, scrisse Lutero, che Errico era un fatuo, e poi: Ius mihi erit coronam istam blasphemam in Christum pedibus conculcare. Indi soggiunse: Certus sum, dogmata mea me habere de coelo. Nello stesso anno stampò la traduzione del testamento nuovo in lingua tedesca, ove i cattolici eruditi notarono mille errori. Ributtò l'epistola di s. Paolo agli ebrei, di s. Giacomo, e di s. Giuda, e l'apocalisse. Ma di poi mutò la prima edizione in molti luoghi; nel solo vangelo di s. Matteo ne mutò 33. luoghi. Si nota specialmente, che alle parole di s. Paolo: Arbitramur enim iustificari hominem per fidem sine operibus legis1, vi aggiunse la parola solam, per solam fidem. Rimproverato poi di tale aggiunta nella dieta di Augusta da uno, che gli parlava da parte di un cattolico, rispose: Si papista tuus vult garrire de hac voce sola, ei dicito: Doctor Luther vult sic habere. Sic iubeo, sic volo, sit pro ratione voluntas.

 

30. Nell'anno 1523. compose il libro de formula missae, et communione; ivi riformò il canone, tolse gl'introiti delle domeniche, tolse tutte le feste de' santi, lasciando solo quella della purificazione, e dell'annunziazione. Ammise nella messa il chirie, la gloria, la colletta (ma una sola), l'epistola, il vangelo, e il simbolo di Nicea, ma tutto in lingua volgare. Poi volle che si dicesse la prefazione, senz'altre parole per mezzo. Indi che si dicesse: Qui pridie quam pateretur, accepit panem, gratias agens, fregit, deditque discipulis suis dicens: Accipite, comedite, hoc est corpus meum, quod pro vobis datur. E poi: Similiter et calicem, postquam coenavit, dicens: Hic calix est novi testamenti in meo sanguine, qui pro vobis et pro multis effunditur in remissionem peccatorum. Haec quotiescumque feceritis, in mei memoriam facietis. Ma tutte queste parole vuole che si cantino collo stesso tuono del Pater noster, acciocché possano esser intese dal popolo. Dopo la consagrazione vuol che si canti il Sanctus, e mentre si dice, Benedictus qui venit etc., si elevi il pane e il calice: appresso si dica il Pater noster, senz'altra orazione, e poi Pax Domini etc. Indi seguiti la comunione, e mentre si fa quella, si canti l'Agnus Dei. Approva le orazioni Domine Iesu etc., Corpus D.N. Iesu Christi custodiat etc. Permette che si canti la comunione, ma in luogo poi dell'ultima colletta vuole che si canti quell'orazione: Quod ore sumsimus etc., ed in luogo dell'Ite missa est, si dica Benedicamus Domino. Vuole che il vino si dia a tutti. Permette l'uso delle vesti, ma senza benedirsi. Proibisce le messe private. In quanto poi alla comunione, disse esser utile il premettervi la confessione, ma non necessario. Ammette le preci mattutine con tre lezioni, le ore, il vespro, e il completorio.

 

31. Nell'anno poi 1525. avendo Carlostadio impugnata la presenza reale di Gesù Cristo nell'eucaristia, dicendo che il pronome Hoc non già dinota il pane, ma il corpo di Cristo che avea


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da esser crocifisso, Lutero oppose il suo libro, contra prophetas, seu fanaticos, dove prima parla delle immagini, e dice che nella legge di Mosè non eran vietate se non le sole immagini di Dio; egli ammette quelle de' santi e della croce. Parlando poi del sacramento, dice con quel pronome Hoc, demonstrari panem et Christum, vere et carnaliter esse in coena. Panis et corpus coniunguntur in panem. Sicut homo Deus est (parlando dell'incarnazione), ita etiam panis dicitur corpus et e contra. Sicché Lutero nell'eucaristia falsamente costituisce un'altra unione ipostatica fra il pane e il corpo di Gesù Cristo. In oltre riferisce Ospiniano un sermone di Lutero contro i sacramentarj, ove parlando della concordia che voleano fare i Sacramentarj con accordarsi loro il punto, che nell'eucaristia non vi è la presenza reale di Cristo, Lutero disse: Maledicta sit illa concordia, quae ecclesiam dilacerat, et aspernatur, indi deride tutte le loro false interpretazioni sulle parole Hoc est corpus meum, e se la prende prima con Zuinglio, il quale asseriva, che il verbo est era lo stesso che significat. Rispondea Lutero: noi abbiamo la scrittura che dice: Hoc est corpus meum; portino essi altra scrittura che dica: Hoc significat corpus meum. Indi passa a burlarsi delle spiegazioni degli altri, dicendo: Carlostadius detorquet pronomen hoc: Aecolampadius nomen corpus torturae subiecit. Alii invertunt vocabulum hoc, et dicunt, corpus meum, quod pro vobis tradetur, est hoc. Alii dicunt: quod pro vobis datur, hoc corpus meum est. Alii textum obtruncant: hoc est corpus meum ad mei commemorationem. Alii dicunt, non esse hoc articulum fidei. Di poi ritornando ad Ecolampadio, che stimava bestemmia il chiamar Dio impastato, cotto e panaceo; dunque, dicea Lutero, sarà anche bestemmia il dire che Dio si è fatto uomo: Ad quid opus sit (son due parole) ut Deus sit homo? quomodo deceat tantam maiestatem a sceleratissimis hominibus crucifigi? E poi soggiunse: Sacramentarii aditum parant ad omnes articulos abnegandum: et quidem iam incoeperunt nihil omnino credere. Parlando poi Lutero della transustanziazione, scrisse: Parum referre, sive quis panem in eucharistia manere, sive non manere, et transubstantiari credat. Concesse poi a Bucero nella concordia fatta in Vittemberga nell'anno 1526., che il corpo e sangue di Cristo non vi era fuori dell'uso.

 

§. 4. De' discepoli di Lutero.

32. Di Melantone, e sue qualità. 33. Della sua fede, e confessione da lui composta in Augusta. 34. Di Mattia Flacco autore delle centurie. 35. Di Giovanni Agricola capo degli Antinomi, ch'erano Atei. 36. Di Andrea Osiandro, di Francesco Stancaro, e di Andrea Musculo. 37. Di Giovanni Brenzio capo degli Ubiquisti. 38. Di Gaspare Sckuencfeldio, empio, abborrito anche da Lutero. 39. Di Martino Chemnizio principe de' teologi protestanti, ed oppositore del concilio di Trento.

 

32. Filippo Melantone fu il discepolo più principale e più diletto di Lutero; egli fu germano essendo nato in Brettan terra del Palatinato, da famiglia molto oscura nell'anno 1497. Fu erudito nelle lettere umane, e di 24. anni fu nominato professore di Vittemberga dal duca di Sassonia; ivi sotto la scuola di Lutero si pose a seguir la sua dottrina: ma perché era di costume dolce, e nemico di contese, tanto che non dicea mai parola in dispregio di alcuno; egli desiderava di ridurre tutte le religioni della Germania ad una sola; e pertanto in più cose raddolcì la dottrina di Lutero, e scrivendo agli amici sempre si lamentava, che Lutero (come nota Monsignor Bossuet nella storia delle variazioni dell'eresie de' protestanti) portava le cose tutte all'estremo. Era Melantone di bell'ingegno, ma irresoluto nelle sue opinioni, e pertanto amava l'indifferenza; onde i suoi discepoli formarono poi la setta degli indifferentisti, o sieno adiaforisti. Fu egli già, come si disse, autore nella dieta di Augusta della celebre confessione da lui composta, per cui i suoi seguaci furono anche chiamati confessionisti1.


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33. Stese quella sua confessione in 21 articoli con tanta moderazione, che Lutero poi se ne lagnò, dicendo che Filippo con tanto raddolcire la sua dottrina veniva a distruggerla1. Egli ammise la libertà dell'arbitrio umano: riprovò la sentenza di Lutero, che Dio è causa del peccato: approvò la messa: cose tutte opposte al sistema di Lutero. Portano, ch'egli in somma stava sì mal contento della sua setta, che pensava di ritirarsi in Polonia, ed ivi sottoporsi alla cieca a quanto fosse definito dal concilio2. Del resto fu egli vario ne' dogmi; dicea che l'uomo si giustifica colla sola fede, senza bisogno di alcuna opera; ma Osiandro suo emulo notò ch'egli in questo punto della giustificazione quattordici volte avea mutata opinione. Egli fu scelto per trattar la pace co' Sacramentarj e molto si affaticò per concluderla, ma non poté ottenerla3. Scrive non però Cocleo presso Gotti4, che Melantone colle sue mitigazioni, in vece di buttar acqua all'incendio, buttò olio per farlo crescere. Morì Filippo Melantone in Vittemberga nell'anno 1556. secondo Van-Ranst, ma nel 1560. secondo Gotti, in età di 61 anni. Si scrive da molti autori, che stando egli moribondo, gli disse la madre: Figlio mio, io era cattolica, tu m'hai fatta mutar religione; or che stai vicino a render conto di tua vita a Dio, dimmi quale religione è la migliore per salvarsi: la cattolica o la luterana? Rispose il figlio, che la luterana era più plausibile, cioè più piacevole al senso, ma che la cattolica era più sicura per la salute: Haec plausibilior, illa securior5. Portasi poi da Berti6, che Melantone prima di morire si fece esso medesimo l'epitaffio del suo sepolcro in questa forma:

Iste brevis tumulus miseri tenet ossa Philippi,

Qui qualis fuerit nescio, talis erat.

Parole che almen dinotano il gran timore con cui moriva della sua eterna salute.

 

34. Mattia Flacco, illirico, nato in Albona, terra dell'Istria, studiò per sua mala sorte in Vittemberga sotto Lutero, e poi fu il capo de' Luterani rigidi. Fu anche il principale autore, che con altri compilò le centurie di Magdeburgo, cioè una istoria ecclesiastica, e la diè fuori nell'anno 1560., per ribatter la quale il card. Baronio compose poi i suoi celebri annali. Flacco morì in Francfort nell'anno 1575. in età di 55 anni. Egli in più cose si allontanò da Lutero. Strigerio sosteneva un altro errore7, dicendo che il peccato originale era un leggiero accidente, che non corrompeva la sostanza del genere umano; dottrina molto prossima a quella di Pelagio. All'incontro Flacco rinnovava la bestemmia de' Manichei, dicendo che il peccato originale era la stessa sostanza dell'uomo, che lo privava della libertà dell'arbitrio e d'ogni moto al bene, sì che lo necessitava al male, da cui la sola fede in Gesù Cristo potea liberarlo; e con ciò negava la necessità delle opere buone per la salute: che perciò i suoi seguaci furono detti sostanziali8.

35. Giovanni Agricola fu della stessa patria di Lutero, d'Islebio; prima fu discepolo di Lutero, ma poi formò una setta a parte, chiamata degli antinomi, cioè contrarj alla legge, poiché Agricola riprovò ogni obbligo di legge, onde insegnava: Scortator sis, fur, latro etc.; crede et salvaberis9. Dice Varillas, che Lutero fece esaminar nell'università di Vittemberga gli errori di Agricola, che togliea tutto il valore all'opere buone, ed ivi fu condannato: ed Agricola si disdisse; ma dopo la morte di Lutero, andato in Berlino, ripigliò ad insegnar la sua bestemmia, e morì ostinato in età di 74 anni10. Aggiunge Floremondo, che gli Antinomi erano veri atei, mentre diceano, che non vi erano né demonj, né Iddio.

 

36. Andrea Osiandro fu del marchesato


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di Brandeburgo, e fu figlio di un ferraio. Questi dicea che Cristo fu giustificatore degli uomini secondo la natura divina, non già l'umana1. All'incontro Francesco Stancaro, mantovano, anche seguace di Lutero, diceva un errore tutto opposto; diceva che Cristo non ha salvato l'uomo secondo la natura divina, ma secondo la natura umana2. Sicché Osiandro parlava da eutichiano, e Stancaro da nestoriano3. Si risponde al primo, che sebbene Iddio è quello che giustifica, nondimeno egli volle avvalersi dell'umanità di Cristo (che solo era capace di patire e soddisfare) come d'uno strumento per salvar l'uomo: Passio Christi, scrive s. Tommaso4causa est nostrae iustificationis... non quidem per modum principalis agentis, sed per modum instrumenti, in quantum humanitas est instrumentum divinitatis eius. Quindi il concilio di Trento5 dichiarò: Huius iustificationis causae sunt, efficiens, Deus: meritoria, Iesus Christus, qui in ligno crucis nobis iustificationem meruit, et pro nobis Deo patri satisfecit. A Stancaro poi, che vuole aver Cristo salvato l'uomo solo come uomo, non già come Dio, la risposta è già data, perché sebbene Cristo secondo la carne meritò all'uomo la grazia della salute, nulladimanco la divinità fu quella che all'uomo concesse la grazia, non già l'umanità. Vi fu poi Andrea Muscolo, lorenese, il quale si oppose ad Osiandro ed a Stancaro con un'altra eresia, dicendo che Cristo giustificò l'uomo secondo la natura divina ed umana; ma come? coll'esser morta in croce l'una e l'altra: Divinam Christi naturam una cum humana in cruce esse mortuam6. Questa appunto era la bestemmia di Eutiche, che la divinità aveva patito per la salute umana7. Scrive in somma il Remondo8, che a tempo di Lutero in Germania quasi in ogni angolo formavansi nuove chiese, che spesso poi mutavansi a guisa della luna. Riferisce di più, che il duca Giorgio di Sassonia dicea che gli eretici di Vittemberga non sapeano se nel domani avrebbero creduto quel che credeano oggi: Vittembergienses nesciunt quid cras sint credituri. Aggiunge Remondo che i novatori evangelici stavano in quel tempo divisi in più di dugento sette diverse.

 

37. Giovanni Brenzio, svevo, canonico di Vittemberga, era già sacerdote quando si fece luterano, ed imitò Lutero nel prender moglie. Egli disse più errori: per 1., che dopo il battesimo resta nell'anima la concupiscenza, la quale diceva esser vero peccato; ma il concilio di Trento9 dichiarò che la chiesa cattolica nunquam intellexit (concupiscentiam) peccatum appellari, sed quia ex peccato est et ad peccatum inclinat. Dicea Brenzio per 2., che il corpo di Cristo per l'unione personale col Verbo sta in ogni luogo; quindi dicea, che Gesù Cristo ritrovavasi già nell'ostia prima della consacrazione; e spiegando le parole, Hoc est corpus meum, dicea, che quelle dinotavano Cristo, già che prima era ivi presente. Fu egli pertanto il capo della setta degli Ubiquisti10, a cui aderì anche Lutero11.

38. Gaspare Sckuencfeldio, nobile silesio, di non mediocre dottrina, mentre Lutero seminava i suoi errori, uscì a mover guerra alla chiesa, nemico non solo della chiesa romana, ma anche della setta luterana. Predicava non doversi attendere alla sacra scrittura, per non esser ella parola di Dio, ma solo una lettera morta; e perciò dicea, che dovea ubbidirsi alle sole ispirazioni private dello Spirito santo. Con ciò riprovava le prediche e le lezioni spirituali, dicendo che nel vangelo di s. Matteo leggesi che abbiamo un solo maestro, e questi è nel cielo. Insegnava poi egli insieme gli errori de' Manichei,


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di Sabellio, di Fotino, ed anche di Zuinglio, negando la presenza di Gesù Cristo nell'eucaristia. Scrisse Osio che il vangelo del demonio cominciò da Lutero, ma da questo altro mostro d'inferno fu compito, giacché in molti luoghi di Germania e di Elvezia vi erano più discepoli suoi, che di Lutero1. Riferisce di più il card. Gotti, ch'egli per mezzo di un certo suo nunzio mandò a Lutero i suoi scritti, acciocché gli avesse corretti. Lutero, sdegnato in leggere tante eresie accumulate insieme, scrisse al nunzio, che avesse mandato a dire da sua parte a Gaspare queste sue parole: Sit spiritus tuus, et omnes qui participant tibi sacramentarii et eutychiani, tecum in perditionem. Questa setta prese poi maggior piede dopo la morte di Lutero; ma Bucero, Melantone ed altri, nell'anno 1554., in Naumburgo, con un loro sinodo condannarono tutt'i libri di quest'empio2.

39. Martino Chemnizio fu del marchesato di Brandeburgo, e figlio di un povero uomo, che facea l'arte della lana. Nacque Martino nell'anno 1522., ed esercitò il mestiere del padre sino all'età di 14 anni. Indi si pose a studiar teologia in Vittemberga sotto Melantone, con tanto progresso, che Melantone chiamavalo il principe de' teologi protestanti. Egli per trent'anni lesse teologia nell'accademia Brunsviciese, e morì nell'anno 1586., in età di 64. anni. Chemnizio parimente come Bucero molto si affaticò per accordare i Luterani coi Sagramentarj, ma non gli poté riuscire. Cacciò fuori più opere, ma l'opera sua più principale fu l'Examen conc. tridentini, dove cercò di riprovare la maggior parte de' decreti del sacro sinodo. Egli dice, parlando della sagra scrittura, che non sono libri canonici quelli che sono approvati da' soli concilj, ma quelli che hanno avuta l'approvazione da tutte le chiese. Esalta il testo ebraico ed il greco, e ributta l'edizione volgata, ove discorda da quei testi. Non ammette la tradizione, ma ammette poi il libero arbitrio, che coll'aiuto della grazia possa operar qualche bene. Dice che l'uomo si giustifica colla sola fede, per mezzo della quale gli si applicano i meriti di Cristo. Dice che le opere buone son necessarie alla salute, ma che queste opere non hanno alcun merito. Pone che solamente il battesimo e l'eucaristia son proprj sagramenti, gli altri sono riti pii. Parlando dell'eucaristia, riprova così la transustanziazione della chiesa romana, come l'impanazione de' Luterani: in quanto poi alla presenza reale del corpo di Cristo nelle sagre specie, non vuol definirla; dice solo, che non è presenza carnale, e che Cristo solamente vi è nell'uso attuale della comunione, la quale da tutti dee farsi sotto ambe le specie. Ammette che la messa possa dirsi sagrificio, ma sotto la denominazione generale di opera buona; in somma non l'ha per vero sagrificio. Circa il sacramento della penitenza, dice, non esser necessario confessar tutti i peccati; ammette non però l'assoluzione del ministro, ma non già come provenga dal ministro, ma da Cristo per la sua promessa. Dice che il purgatorio non si prova dalle scritture. Ammette l'onorare i santi, ed in certo modo le loro reliquie ed immagini, né nega la loro intercessione. Ammette le domeniche, ma non le altre feste3.

§. 5. Degli Anabattisti.

40. Degli Anabattisti, che negavano il battesimo a' fanciulli. 41. Loro capi, sedizione, e disfatta. 42. Altra loro disfatta sotto Muncero lor capo; il quale in morte si converte. 43. Nuova ribellione di essi sotto Giovanni Leide, che si fece incoronar da re; ma poi condannato ad una crudele morte, morì penitente. 44. Errori degli Anabattisti. 45. Diverse loro sette, in cui si divisero.

 

40. Gli Anabattisti ebbero i loro primi semi da Lutero. La prima massima di questi eretici, per cui ebbero poi il nome di Anabattisti, fu il dire che i fanciulli non doveansi battezzare nella loro infanzia, perché allora non avendo


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essi l'uso di ragione, non poteano aver vera credenza e salute, e ciò secondo parla il vangelo: qui crediderit, et baptizatus fuerit, salvus erit1. Perciò dicevano poi, che quelli ch'erano stati battezzati nell'infanzia, tutti doveano ribattezzarsi. Or questa massima falsa prese voga da quel che diceva Lutero, cioè che era meglio il lasciare gl'infanti senza battesimo, che battezzarli quando non hanno propria fede2. Ma doveano tutti questi miscredenti avvertire, che nell'addotto vangelo si parla degli adulti, che son capaci della fede attuale; ma gl'infanti, che non ne son capaci, ricevono la grazia del sacramento per la fede della chiesa, in cui son battezzati. Siccome poi gl'infanti son capaci di contrarre il peccato originale senza lor colpa attuale; così anche è giusto che siano capaci di ricever la grazia di Gesù Cristo senza la fede attuale: Quoniam, dice s. Agostino3quod aegri sunt alio peccante, praegravantur; sic cum hi sani sunt, alio pro eis confitente salvantur. In oltre abbiamo quel che disse il Signore in s. Matteo (19. 14.): Sinite parvulos... ad me venire; talium est enim regnum coelorum. Siccome dunque i fanciulli possono acquistare il cielo, così anche possono ricevere il battesimo, senza cui non si entra in cielo. Il battezzare poi gl'infanti è tradizione presa sin dagli apostoli, come scrisse Origene4Ecclesia traditionem ab apostolis suscepit, etiam parvulis dari baptismus. E lo stesso scrissero s. Ireneo, Tertulliano, s. Gregorio Nazianzeno, s. Ambrogio, s. Cipriano e s. Agostino. Onde poi il concilio di Trento5 condannò coll'anatema coloro che diceano, doversi ribattezzare quei che sono stati ribattezzati prima dell'uso della ragione, colle seguenti parole: Si quis dixerit, parvulos, eo quod actum credendi non habent, suscepto baptismo inter fideles computandos non esse; ac propterea cum ad annos discretionis pervenerint, esse rebaptizandos; aut praestare omittere eorum baptisma, quam eos non actu proprio credentes baptizari in sola fide ecclesiae; anathema sit. Qui il canone condannò chiaramente l'error degli Anabattisti e di Lutero.

 

43. Il capo degli Anabattisti fu Nicola Storchio o Storesio, detto ancora Pelargo, il quale prima fu discepolo di Lutero, ma poi cominciò a predicare questa sua nuova eresia nell'anno 1522., dicendo, che così gli era stato rivelato dal cielo. Onde fu discacciato da Vittemberga, e andò a predicare nella Turingia, dove al primo errore ve ne aggiunse altri; dicendo che tutti gli uomini nascono liberi; che tutti i beni son comuni e debbono egualmente dividersi; e che tutti i vescovi e magistrati o principi, che si opponeano alla loro chiesa, doveano estirparsi dal mondo6. Allo Storchio si aggiunse poi Tommaso Muncero, il quale anche era stato seguace di Lutero e sacerdote, ed affettava una vita mortificata; e similmente vantava estasi e comunicazioni straordinarie con Dio. Costui diceva male del papa, perché insegnava una legge troppo dura: e diceva male anche di Lutero, perché insegnava una legge troppo rilasciata; onde si pose a screditar da per tutto i costumi e la stima di Lutero, dicendo ch'era dedito alla crapula ed alle impudicizie; e perciò non potea mai credersi che Dio volesse riformata la sua chiesa per mezzo di un uomo così vizioso. Lutero lo fé parimente discacciare da Sassonia con tutti i suoi seguaci7. Muncero andò anche a predicare nella Turingia, e specialmente in Munster, dove spargeva gli stessi errori dello Storchio, insinuando alla gente di campagna, che non si dovea ubbidire né a' prelati, né a' principi. Egli accrebbe molto il partito degli Anabattisti, e giunse ad unire 300. mila poveri contadini ignoranti8, animandoli a lasciar le zappe ed a prender


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l'armi, ingannandoli con dire che Dio avrebbe combattuto per essi. Quei miseri e sciocchi villani a principio fecero gran disordini, ma quando poi furono assaliti da' soldati, benché fossero molti, perché erano poco intesi dell'arte militare, presto furono dissipati: una parte di loro fu uccisa; l'altra rimasta prese la via di Lorena con intenzione di saccheggiarla, ma il conte Claudio de' Ghisa, fratello del duca di Lorena, ottenne tre vittorie su di loro, con passarne venti mila a fil di spada1. Scrive lo Sleidano2, che i poveri zappatori, quando furono investiti da' soldati, come avessero perduto il cervello, né pure si difendeano, né cercavano di fuggire, ma stavano a cantare un certo carme popolare, con cui imploravano l'aiuto dello Spirito santo, da cui (fidati alle promesse di Muncero) aspettavano il soccorso del cielo.

 

44. Frattanto Muncero cogli altri suoi Anabattisti, mentre faceva saccheggiar la Turingia, gli venne sopra l'esercito comandato dal duca Giorgio di Sassonia, il quale offerì loro la pace, se voleano deporre le armi: ma Muncero, che si credea perduto se i villani accettavano la pace, gl'incoraggì alla guerra in tal modo, che uccisero l'ufficiale ch'era venuto a trattar la concordia. Ciò operò che i soldati si avventarono contro di essi con gran furore. A principio si difesero con fortezza, animati dalla speranza data loro da Muncero di ricever egli nelle sue maniche le palle de' cannoni; onde alcuni di loro stavano fermi con tale inganno a fronte de' cannoni nemici; ma finalmente molti si posero a fuggire, e tutti gli altri furon fatti prigioni. Muncero fuggì anch'esso, ed andò sconosciuto a ricoverarsi in una casa in Francausen, fingendosi infermo; ma ivi fu riconosciuto e preso, e dipoi condannato ad essere decapitato nella città di Mulausen insieme con Pseiffer religioso, apostata dell'ordine premostratese. Questa guerra durò cinque mesi, e si fa il conto che vi morirono 430. mila di quei poveri contadini3. Il Pseiffer morì ostinato nella sua eresia. Di Muncero poi alcuni vogliono che stava intrepido a vista della morte, e provocava gli stessi giudici ed i principi, dicendo loro che avessero letta la bibbia, ed ivi appresa la parola di Dio, e che queste furono l'ultime sue voci. Altri poi dicono più comunemente che Muncero prima di morire ritrattò i suoi errori, si confessò ad un sacerdote, prese il viatico, e dopo alcune divote preci offerì la testa al carnefice; e ciò Natale Alessandro lo scrive come cosa certa4.

45. Ma dopo la morte di Muncero, e dopo tante stragi, né pure si estinse questa maledetta setta. Nell'anno 1534., nove anni appresso ch'era morto Muncero, molti della Vestfalia si ribellarono dal principe, e s'impossessarono della città di Munster, dove si fece lor capo un certo Giovanni Leide, figlio di un sartore olandese; questi ne fé discacciare il vescovo e tutti i cattolici che vi stavano; e poi ingannando i suoi con false rivelazioni, giunse a farsi incoronare da re, pubblicando che tale era stato eletto da Dio medesimo, onde facea chiamarsi: Rex iustitiae huius mundi. Egli approvava la poligamia, onde prese 16. mogli; niente credeva al sacramento dell'eucaristia, mentr'egli sedendo a mensa distribuiva a' suoi un pezzetto di pane, dicendo: Accipite et comedite, et mortem Domini annuntiabitis. E nello stesso tempo la regina, cioè una delle sue mogli, dispensava il vino dicendo: Bibite, et mortem Domini annuntiabitis. Scelse poi venti suoi discepoli, per mandarli a predicare i suoi errori, come apostoli di Dio; ma quasi tutti questi disgraziati furono presi dipoi con esso, e nell'anno 1535. furon condannati a morte5. Ma sempre sia data lode a Dio, che in


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Giovanni Leide volle far pompa della sua misericordia; poiché Giovanni dimostrò un vero pentimento ed una pazienza ammirabile in soffrire l'acerba morte che gli fu data: fu tenagliato tre volte da due carnefici per due ore continue, ed egli sopportò quel tormento senza né pur lamentarsi: altro non faceva che chiamarsene meritevole per li suoi peccati ed implorar la divina pietà. Ma i suoi socj vollero morire ostinati, senza confessarsi colpevoli1. Soggiunge Hermant, che questa maledetta setta non ha lasciato di mantenersi in più province cristiane2. |

 

46. Gli errori degli Anabattisti furono i seguenti: 1. Pueri non sunt baptizandi, sed tantum adulti rationis capaces. 2. Non potest a christianis administrari magistratus politicus. 3. Nunquam licet iurare christianis. 4. Illicitum est christianis bellum gerere.

 

47. Dipoi gli Anabattisti si divisero in diverse sette; chi ne numera 14., e chi 70. Altri si chiamarono Munceriani da Tommaso Muncero: altri Huttiti da Giovanni Hut, che professavano spontanea povertà: altri Agostiniani da Agostino Boemo, il quale dicea che il cielo non si aprirà se non dopo il giorno del giudizio: altri Buholdiani da Giovanni Bhuold, o sia Leide, riferito di sopra, i quali prendeano più mogli, e voleano estirpare tutti gli empj: altri Melchioriti da Melchiorre Hosmanno, il quale dicea, Cristo esser di una natura, e non nato da Maria, con altri errori: Mennoniti da Mennone, che sentivano anche male del mistero della Trinità: Davidiani da un certo Giorgio, che diceva esser il terzo figlio di Davide, e 'l vero Messia e diletto figlio di dio, generato dallo spirito, non dalla carne, e che perdonava i peccati; costui morì nell'anno 1556., dicendo che fra tre anni dovea risorgere, la quale profezia non fu tutta vana, perché fra tre anni il senato di Basilea lo fece disotterrare, e lo fece bruciare con tutti i suoi scritti; i Clancolarj, che richiesti se fossero anabattisti, lo negavano; questi non frequentavano le chiese, ma le case e gli orti ove predicavano: i Demoniaci, che dicevano in fin del mondo doversi salvare i demonj, errore comune a quello di Origene: Adamiti, che camminavano nudi, costituiti (come volean farsi credere) nell'innocenza a guisa di Adamo: Serveziani da Michele Serveto, che agli errori degli Anabattisti aggiunse le bestemmie contra la Trinità e Gesù Cristo: i Condormienti, che dormivano tutti insieme uomini e donne, professando una nuova carità evangelica, cioè una nuova turpitudine: gli Eiulanti, o siano piangenti, che diceano, non esservi divozione sì grata a Dio, quanto il sempre piangere e guaiulare. Altri simili a questi empj fantastici si possono leggere presso Natale Alessandro e Van-Ranst3.




4 Rainald. an. 1316. n. 91. Bernin. t. 4. sec. 16. c. 2. p. 255.



5 Gotti ver. rel. c. 108. §. 2. n. 6.



6 T. 19. sec. 15. c. 5. a. 1. n. 12.

1 Nat. Alex. loc. cit.



2 In Scholiis ad ep. Hier. ep. 30.



3 Appresso Rainald. e Bernin. ne' luoghi citati.



4 Alberto Pico l. 20.



5 Alber. l. 11. et 12.



6 Erasm. advers. Hilar. l. 12. presso Bernin. l. cit.



7 Cit. a. 1. n. 12.



8 T. 1. l. 7. p. 322.



9 Nat. Al. loc. cit.



10 Gotti ver. rel. t. 2. c. 108. §. 2. Baron. an. 1517. n. 56. Varillas hist. etc. t. 1. l. 3. p. 129. Hermant istor. de' concilj t. 2. c. 227.



11 Cit. §. 2. n. 3.

1 Nat. Al. loc. cit. Gotti loc. cit. §. 2. n. 2.



2 Presso Gotti §. 5. n. 2.



3 Resp. contr. Iac. Smidelin. p. 404.



4 Varillas loc. cit. l. 14. p. 31.



5 Luther. praefat. ad l. de vot. mon.



6 Nat. Al. ibid. §. 1. n. 1. Gotti loc. cit. §. 2.



7 Hermant istor. de' conc. t. 1. c. 228. Nat. Alex. t. 19. a. 11. §. 1. n. 1. Van-Ranst hist. haer. p. 298. Gotti ver. rel. c. 108. §. 2. n. 6.

1 Nat. Al. §. 1. n. 3. Hermant l. cit. Van-Ranst l. cit.



2 Loc. cit c. 227.



3 Nat. Alex., Gotti, Van-Ranst, Bernin. ed altri.



4 Hermant c. 228. Van-Ranst p. 299. Gotti c. 108. §. 3. n. 3.



5 Ap. Van-Ranst hist. p. 300.



6 §. 2. n. 8.

1 Gotti ib. n. 9. et Van-Ranst loc. cit.



2 Nat. Al. t. 19. a. 11. §. 4. Gotti loc. cit. §. 2. n. 10. Hermant t. 2. cap. 229.



3 Hermant cap. 230.



4 Nat. Alex. loc. cit. §. 4.



5 Hermant cit. c. 230. Van-Ranst p. 302. Gotti §. 3. n. 10.



6 Nat. Al. a. 11. §. 4. a. 1. Gotti c. 108. §. 3. n. 10.

1 Nat. Al. loc. cit. Van-Ranst. p. 302.



2 Van-Ranst p. 302.



3 Luther. t. 1. oper. p. 208.



4 Gotti §. 3. n. 11.



5 Gotti c. 108. §. 3. n. 12. Van- Ranst p. 302. Nat. Al. §. 4. n. 1. Hermant c. 229.



6 Hermant c. 229. Nat. Alex. §. 4. n. 1. Van-Ranst p. 302.

1 Van-Ranst p. 303. Varillas l. 3. dalla p. 48.



2 Hermant t. 1. c. 230.



3 Gotti c. 108. n. 13.



4 Cochlaeus de act. et script. Luth. an. 1523.

1 Nat. Alex. §. 14. n. 4. Varillas t. 1. lib. 4. dalla p. 175. Van-Ranst p. 304.



2 Nat. Al. loc. cit. Van-Ranst p. 205.



3 Hermant t. 230. et 231. Van-Ranst loc. cit.

1 Nat. Al. t. 9. §. 4. n. 9. ex Sleidano l. 6. Van-Ranst p. 306. Hermant t. 2. c. 244.



2 Van-Ranst p. 306. et Nat. Al. loc. cit. n. 10.



3 Varillas t. 1. p. 306. Hermant t. 2. c. 243.



4 Nat. Al. loc. cit. §. 4. n. 11. Van-Ranst p. 307.

1 Nat. Al. cit. n. 11. Hermant c. 244.



2 T. 1. l. 10. p. 445. col. 1.



3 Nat. Al. §. 4. n. 10. in fin. ex Cochlaeo in act. Luth. et Sleidan. l. 7. Van-Ranst p. 307.

 



1 Nat. Al. §. 4. n. 13. Hermant t. 2. c. 245.



2 Van-Ranst p. 307. Nat. Al. t. 19. c. 10. §. 4. n. 1.



3 Nat. Al. loc. cit.



4 T. 1. l. 7. p. 530. col. 2.



5 P. 531.

1 Cochlaeus in actis Lutheri.



2 Gotti c. 105. §. 5. n. 5. Van-Ranst p. 308. Bernin. t. 4. sec. 16. c. 5. p. 454. Varillas t. 2. l. 14. p. 34.



3 Varillas t. 2. l. 24. p. 366.



4 Idem l. 25. p. 393.



5 Id. l. 17. p. 122. et l. 24. p. 364.



6 Epist. Roraem. in Luther.



7 T. 19. c. 10. a. 5. p. 321.



8 Nat. Al. loc. cit. c. 10. a. 5.

1 Istoria delle relig. Iovet. t. 2. dalla p. 324.

1 Iovet nel luogo cit. dalla p. 343.



2 T. 4. sec. 16. c. 2. p. 285.

1 Nat. Al. t. 19. a. 11. §. 2. Gotti c. 108. §. 4. Tournely comp. theol. t. 5. p. 1. disp. 5. a. 2.



1 Rom. 3. 28.

1 Nat. Al. t. 19. a. 11. §. 3. n. 4. Gotti ver. rel. c. 109. §. 3. Van-Ranst p. 308. Hermant c. 241.



1 Hermant loc. cit.



2 Varillas hist. t. 2. l. 24. p. 363.



3 Id. T. 1. l. 8. p. 364.



4 Gotti loc. cit. n. 2.



5 Floremund. l. 2. c. 9. Van-Ranst et Gotti l. cit. et Nat. Alex. loc. cit. n. 10.



6 Hist. sec. 16. c. 3.



7 Ap. Spondan. ad an. 1560. n. 32.



8 Gotti c. 109. §. 7. n. 1. et 2. Van-Ranst p. 310. Varillas t. 1. l. 17. p. 122. et t. 2. l. 24. p. 363. Nat. Al. t. 19. a. 11. §. 3. n. 10.



9 Nat. Alex. t. 19. a. 11. §. 3. n. 7. Gotti c. 109. §. 5. n. 7. Van-Ranst p. 310.



10 Varillas t. 1. l. 11.

1 Remund. in Synopsi l. 2. c. 16.



2 Gotti loc. cit. §. 6. n. 1. ad 6. Nat. Al. loc. cit. n. 8. Van-Ranst p. cit. 310.



3 Gotti §. 7. n. 8. Van-Ranst loc. cit. Nat. Alex. loc. cit. n. 11.



4 P. 3. q. 64. a. 1.



5 Sess. 6. c. 7.



6 Gotti §. 7. n. 8. Van-Ranst p. 310.



7 Gotti loc. cit. §. 6.



8 In Synopsi l. 2. c. 14. n. 2.



9 Sess. 5.



10 Nat. Al. t. 1. §. 3. n. 8. et 9. Gotti §. 6. n. 8. ad 10. Van-Ranst p. 293.



11 Bossuet hist. l. 2 n. 21.

1 Gotti c. 109. §. 5. Nat. Al. t. 19. §. 3. n. 6. Van-Ranst p. 311.



2 Vide Gotti loc. cit.



3 Apud Gotti c. 109. §. 7. n. 1. ad 7.

1 Marc. 16. 16.



2 Gotti ver. rel. t. 2. c. 110. §. 1. n. 1.



3 Serm. 176. alias 10. de verb. apost.



4 T. 2. p. 35. s. Iren. p. 147. n. 4. Tertul. p. 231. s. Greg. Naz. t. 1. p. 658. s. Ambr. t. 1. p. 349. s. Cypr. ep. ad fid. n. 59. s. Aug. serm. 10. de verb. apost. alias 177.



5 Sess. 7. can. 3.



6 Nat. Al. t. 18. a. 11. §. 12. Gotti loc. cit. n. 2.



7 Varillas t. 1. l. 6. p. 266.



8 Id. p. 270. Hermant hist. t. 2. c. 239.

1 Hermant loc. cit. Varillas p. 267.



2 Ap. Gotti ib. n. 7. ex Sleidan. l. 5.



3 Nat. Alex. t. 19. cit. §. 12. Gotti cit. c. 110. §. 1. n. 7.



4 Nat. Al. loc. cit. Gotti n. 8. Varillas p. 288. Van-Ranst p. 313. Hermant c. 239.



5 Nat. Al. cit. a. 12. n. 2. Varillas p. 417. Van-Ranst p. 315. Hermant c. 241.



1 Varillas p. 436.



2 Hermant loc. cit. Van-Ranst p. 314.



3 Nat. Al. t. 19. a. 12. n. 4. Van-Ranst p. 315.




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Transustanziazione, la verità della Eucaristia.

 


Transustanziazione, la verità della Eucaristia

Ascoltando il Canone Romano, cuore dell’Eucaristia della Chiesa a Roma, per prima cosa che si affaccia a noi è la parola transustanziazione.

Tratto da Fede, Ragione, Verità e Amore di Joseph Ratzinger pp. 374-377

“Che cosa è veramente accaduto nella notte in cui Cristo fu tradito? Ascoltiamo al riguardo il Canone Romano. Il cuore dell’“Eucaristia” della Chiesa a Roma: ‘La vigilia della sua passione Gesù prese il pane nelle sue mani sante e venerabili, elevò gli occhi al cielo, a te, Dio Padre onnipotente, rese grazie con la preghiera di benedizione, spezzò il pane, lo diede ai suoi discepoli e disse loro: prendete e mangiatene tutti. Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi. E dopo la cena allo stesso modo prese questo prezioso calice nelle sue mani sante e venerabili, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli e disse: prendete e bevetene tutti. Questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”.

Che cosa accade qui in queste parole? Per prima cosa si affaccia a noi la parola transustanziazione. Il pane diventa il corpo, il suo corpo. Il pane della terra diventa il pane di Dio, la “manna” del cielo, con la quale Dio nutre gli uomini non solo nella vita terrena ma anche nella prospettiva della resurrezione; che prepara la resurrezione, anzi, già la fa iniziare. Il Signore, che avrebbe potuto trasformare le pietre in pane, che poteva suscitare dalle pietre figli di Abramo, volle trasformare il pane nel corpo, nel suo corpo.

Ma è possibile questo? E come può avvenire? Gli interrogativi, che la gente ha posto nella sinagoga di Cafarnao, non possono essere evitati neppure da noi. Egli è lì, davanti ai suoi discepoli, con il suo corpo; come può Egli dire sul pane: questo è il mio corpo? E’ importante ora fare bene attenzione a ciò che il Signore ha veramente detto. Non dice semplicemente: questo è il mio corpo; ma: questo è il mio corpo che è donato per voi. Esso può divenire dono perché è donato. Per mezzo dell’atto della donazione esso diviene capace di comunicazione come trasformato esso stesso in un dono. La medesima cosa la possiamo osservare nelle parole sul calice. Cristo non dice semplicemente: questo è il mio sangue; ma: questo è il mio sangue che è versato per voi. Poiché esso è versato, in quanto è versato, può essere donato.

Ma ora emerge la nuova domanda: che cosa significa “è donato”, “è versato”? Che cosa accade qui? In verità, Gesù viene ucciso, viene appeso alla croce e muore fra i tormenti. Il suo sangue viene versato, dapprima già nell’orto degli ulivi per il travaglio interiore a riguardo della sua missione, poi nella flagellazione, nell’incoronazione di spine, nella crocefissione e dopo la sua morte nella trafissione del cuore. Ciò che qui accade è innanzitutto un atto di violenza, di odio che tortura e distrugge.
A questo punto ci imbattiamo in un secondo, più profondo livello di trasformazione: Egli trasforma dall’interno l’atto di violenza degli uomini contro di Lui in un atto di donazione in favore di questi uomini, in un atto di amore. L’atto dell’uccisione, della morte viene trasformato in amore, la violenza è vinta dall’amore. Questa è la trasformazione fondamentale sulla quale si basa tutto il resto. È la trasformazione, di cui il mondo ha bisogno e che sola può redimere il mondo. Poiché Cristo in un atto di amore ha trasformato e vinto dall’interno la violenza, la morte stessa è trasformata: l’amore è più forte della morte. Esso rimane in eterno. E così in questa trasformazione è contenuta la trasformazione più ampia della morte in risurrezione, del corpo morto nel corpo risorto. Se il primo uomo era un’anima vivente, così dice san Paolo, il nuovo Adamo, Cristo, diverrà in questo evento spirito datore di vita (1 Cor 15, 45).

Il risorto è donazione, è spirito che dà la vita e come tale comunicabile, anzi, comunicazione. Ciò significa che non si assiste a nessun congedo dalla materia, anzi, in questo modo essa raggiunge il suo fine: senza l’evento materiale della morte e il suo interiore superamento tutto questo insieme di cose non sarebbe possibile. E così nella trasformazione della risurrezione tutto il Cristo continua a sussistere, ma ora trasformato in tal modo che l’essere corpo e il donarsi non si escludono più, ma sono implicati l’uno nell’altro.

Cerchiamo, prima del prossimo passo, di vedere sinteticamente ancora un volta e di comprendere tutto questo complesso di realtà. Nel momento dell’Ultima Cena Gesù anticipa già l’evento del Calvario. Egli accoglie la morte di croce e con la sua accettazione trasforma l’atto di violenza in un atto di donazione, di auto-effusione (“Il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede”, dice Paolo a partire da qui e a proposito del suo imminente martirio: Fil 2, 17). Nell’Ultima Cena la croce è già presente, accettata e trasformata da Gesù. Questa prima e fondamentale trasformazione attira a sé il resto; il corpo mortale viene trasformato nel corpo della risurrezione: nello “spirito che dà la vita”.

A partire da qui diviene possibile la terza trasformazione: i doni del pane e del vino, che sono doni della creazione e insieme frutto del lavoro umano e “trasformazione” della creazione, vengono trasformati, così che in essi diviene presente il Signore stesso che si dona, la sua donazione, Egli stesso, poiché Egli è dono. L’atto di donazione non è qualcosa di Lui, ma è Lui stesso. A partire da qui lo sguardo si apre su due ulteriori trasformazioni che sono essenziali nell’Eucaristia fin dall’istante della sua istituzione: il pane trasformato, il vino trasformato, nel quale il Signore stesso si dona come spirito che dà la vita, è presente per trasformare noi uomini, così che noi diveniamo un solo pane con Lui e poi un solo corpo con Lui. La trasformazione dei doni, che è il proseguimento delle trasformazioni fondamentali della croce e della risurrezione, non è il punto finale, ma a sua volta solo un inizio. Il fine dell’Eucaristia è la trasformazione di coloro che la ricevono nell’autentica comunione con la sua trasformazione. E così il fine è l’unità, la pace, che noi stessi da individui separati che vivono gli uni accanto agli altri o gli uni contro gli altri, diveniamo con Cristo e in Lui un organismo di donazione, per vivere in vista della risurrezione e del nuovo mondo.

Diviene così visibile la quinta e ultima trasformazione, che caratterizza questo sacramento: attraverso di noi, i trasformati, divenuti un solo corpo, un solo spirito che dà la vita, tutta quanta la creazione deve essere trasformata. Tutta quanta la creazione deve divenire “una nuova città”, un nuovo paradiso, dimora vivente di Dio: Dio tutto in tutti (1 Cor 15, 28); così Paolo descrive il fine della creazione, che deve configurarsi a partire dall’eucaristia.
Così l’eucaristia è un processo di trasformazione nel quale noi veniamo coinvolti, forza di Dio per la trasformazione dell’odio e della violenza, forza di Dio per la trasformazione del mondo. Vogliamo dunque pregare perché il Signore ci aiuti a viverla e a celebrarla in questo modo. Vogliamo pregare perché Egli trasformi noi e il mondo insieme con noi nella nuova Gerusalemme”.

Questa descrizione di transustanziazione dell’Eucaristia di Joseph Ratzinger, come sacramento delle trasformazioni, si rifà innanzitutto al cuore dell’Eucaristia che nel Canone Romano ripete gli stessi gesti e le stesse parole che Gesù fece nell’Ultima Cena istituendo il rito e che san Paolo nella lettera ai Corinti descrive come gli veniva trasmesso senza modificare alcuna parola e alcun gesto. Questo dato biblico della parola del Signore è il fondamento di tutta la continuità nella Tradizione liturgica. Ma cogliere cosa accade nel cuore della liturgia, cioè nella consacrazione, è una maturazione che sotto l’azione dello Spirito è avvenuta in continuità nella Tradizione, cioè nel dogma che è la scienza della fede maturata nella Chiesa e accolta definitivamente e che deve essere a fondamento di tutte le riflessioni teologiche. Il come accade nella scienza dogmatica è legato alla parola transustanziazione che il Concilio di Trento ha definito “aptissima”, avviando nella consacrazione il suono del campanello. Fu san Carlo Borromeo a proporlo rifacendosi alle Constitutiones del Giberti vescovo di Verona, perché la consacrazione da parte del presbitero che agisce in persona di Cristo, fosse il centro di tutta la celebrazione eucaristica. Anche nella riforma liturgica Paolo VI ha voluto che la formula della consacrazione, già presente in san Paolo come trasmessa fedelmente e in tutta la Tradizione, fosse scritta nel messale in corsivo in tutti i canoni. Questo ci dice la sua intangibilità.

lunedì 6 dicembre 2021

“Dichiarato Figliuolo di Dio per propria virtù”.

LEZIONI SULL'EPISTOLA DI PAOLO 
AI ROMANI 
LEZIONE I
RM-1 3-4
2 gennaio 1948

Introduzione  

   Agli inizi del 1943, Maria Valtorta, da nove anni inferma, fu invitata dal Padre Migliorini, suo direttore spirituale, a scrivere le memorie della propria vita. Dopo un’esitazione, ella acconsentì. Seduta nel letto e con il quaderno sulle ginocchia (era paralizzata dalla cintola in giù) riempì di getto 761 pagine in meno di due mesi, dando prova di un notevole talento letterario e aprendo l’anima con una confidenza senza veli.
    Si era come liberata del passato, affidato ai sette quaderni manoscritti consegnati al confessore, quando una voce già nota al suo spirito le dettò una pagina di sapienza divina, che fu il segnale di una svolta impensata. Era il 23 aprile 1943, venerdì santo.
    Maria si confidò con la fedele Marta e la spedì dal Padre Migliorini, che venne subito e la rassicurò sull’origine soprannaturale del “dettato”, avviandola con quell’approvazione ad una sorprendente attività di scrittrice mistica.
    Ella scrisse ogni giorno per anni, fino a riempire 122 quaderni, che si aggiunsero ai sette dell’Autobiografia.

*
    I suoi scritti su svariati argomenti li abbiamo raccolti in successione cronologica e pubblicati in tre volumi:
    I quaderni del 1943,
    I quaderni del 1944,
    I quaderni del 1945-1950.
    Altri scritti sparsi, rimasti inediti per lunghi anni, sono stati raccolti e pubblicati sotto il titolo Quadernetti. Abbiamo anche iniziato la pubblicazione dell’epistolario con il volumetto delle Lettere a Mons. Carinci.

*
    Negli stessi anni, e dopo l’Autobiografia – che è pubblicata in un volume a sé – Maria Valtorta scrisse le sue opere organiche, pubblicate con i seguenti titoli:
    L’Evangelo come mi è stato rivelato. Opera in 10 volumi sulla vita di Gesù.
    Libro di Azaria. Commento teologico e spirituale a 58 Messe festive.
    Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani. Sono le 48 lezioni raccolte nel presente volume.

*
    Nata a Caserta da genitori lombardi il 14 marzo 1897, Maria Valtorta si spense a Viareggio il 12 ottobre 1961, dopo 27 anni e mezzo d’infermità. Le sue opere sono tradotte in molte lingue e si diffondono senza interruzione.

L’Editore

 


[1]Dice l’Autore Ss.:
   «“Dichiarato Figliuolo di Dio per propria virtù”. Quale? Una? Molte? Di che natura? Io te le dirò.

   Primo. Di natura divina.
   Il Figlio del Padre è Dio come il Padre, e l’aver preso carne umana non ha distrutto, né messo una pausa nell’unione fra il Padre dal quale il Figlio si genera e nel quale Figlio il Padre si compiace. Non solo. Il Figlio di Dio non cessa d’essere Dio per aver assunto natura d’uomo. Generato dal Padre Dio, per naturale espandersi dell’Amore perfetto, che per sua natura ha necessità di amare e che per sua dignità ha necessità di amare una Perfezione pari alla sua infinita - ogni altro amore di Dio, eccettuato quello per la Beatissima, nostro amore, è benignità di Dio - Egli solo, coll’amore di Figlio e di Figlio di Dio, soddisfa Dio con un amore degno di Lui.

   Prevengo la tua obbiezione dicendoti: Amando Maria, Dio ancor ama Se stesso, perché Egli l’ha formata piena di Grazia, per un pensiero di Grazia, perché partorisse la Grazia al mondo. Maria può dirsi: il seno di Dio, perché ha partorito il Figlio di Dio, la Grazia di cui era piena, e ha dato un Uomo, sulla Terra, degno del paterno Amore.

   Come circolare peschiera nella quale le acque defluiscono senza mai andare alla foce, così Maria, acqua purissima di fontana sigillata, uscì dall’incandescente fervore del Pensiero eterno e scorse per rive di pace, seco portando pace e purezza, e in Dio rientrò per accogliere Dio e generare il Figlio di Dio, e tornò fra le selvagge arene per dare ai deserti dei cuori la Luce, la Verità, la Vita, e nuovamente, compiuta la sua missione, come acqua aspirata dal sole assunse al grembo mistico che l’ha partorita a voi perché vi partorisse la Salvezza. E là è: inviolata Fonte di purezza, unico degno specchio alla Perfezione che tutto dimentica di ciò che è offesa guardando l’Immacolata.

   Non cessa il Verbo di essere Dio perché fattosi Uomo. Non è, l’Umanità presa, avvilimento della Divinità, sua eterna Natura. Ma è l’Umanità elevata, pur senza perdere la sua natura, a perfezione di unione con la Divinità, cosa attestata dai prodigi fatti dal Cristo.

Il Padre sempre col Figlio. Il Figlio sempre Dio come il Padre. Perché la Divinità non può esser scissa o mutare natura per divisione apparente e annichilimento in natura inferiore a quella divina.

   Gesù Cristo è dunque Figliolo di Dio per la Natura divina del Verbo generato dal Padre, incarnatosi per opera di Spirito Santo per la salute dell’umanità.

   Ma - secondo modo - ma si è dichiarato Figlio di Dio anche per natura umana, virtuosa in maniera perfetta.

   Gesù Cristo, il Figlio fatto al Padre dal seme di Davide, aveva volontà libera. E come Dio e come uomo. Questa libertà della sua volontà la mostrano le sue azioni, fatte a seconda che Egli voleva, quando voleva, su chi voleva. Né elementi né creature potevano opporsi alla sua volontà che era perfetta della libertà propria di Dio.

   Non potevano. Una sol volta poterono. Ma allora fu perché il Figlio di Dio non prevaricò. Non abusò di questa sua libera volontà potente per sfuggire alla morte di croce. Se lo avesse fatto, avrebbe fatto rapina, abuso, prevaricazione dei suoi infiniti poteri di Figlio di Dio. E Lucifero ribelle, più ancora che Lucifero, sarebbe divenuto.

   Ma il Cristo non fu mai ribelle. Nessuna cosa, neppure la naturale ripugnanza umana al supplizio, lo fece tale. Perché sopra la sua volontà libera era la Volontà del Padre. E il perfet­tissimo Figlio divino, della sua Natura uguale al Padre non se ne fece profitto, ma con riverenziale amore sempre disse a Colui che l’aveva generato: “Sia fatta la tua volontà”, e mite e ubbi­diente porse i polsi alle ritorte per essere trascinato al sacrificio.

   Ebbe dunque volontà libera. Ma la usò per essere perfetto come uomo, così come era perfetto come Dio.

   Si dice: “Non poteva peccare”. Questa parola sarebbe giusta qualora il Cristo fosse stato solo Dio. Dio non può peccare essendo perfezione. Ma la sua seconda natura è soggetta a tentazioni. E tentazioni sono mezzo al peccare, se non sono respinte. E dure tentazioni furono sferrate contro l’Uomo. Tutto l’odio contro di Lui. Tutto il rancore, la paura, l’invidia dell’Inferno e degli uomini, contro di Lui. Contro il Forte che sentivano Vincitore, anche se aveva mitezza d’agnello.

   Ma Gesù non volle peccare. Date al Forte il giusto riconoscimento della sua fortezza. Non peccò perché non volle peccare. E anche per questa sua perfezione di giustizia, contro tutte le insidie e gli eventi, Egli ha dichiarato d’esser Figlio di Dio.

   Non vi è detto, anche a voi: “Siate dèi e figli dell’Altissimo”?

   Egli lo fu perché nella sua umanità, pari alla vostra, fu dio e figlio dell’Altissimo per la giustizia di ogni suo atto.

   La Sapienza vi dice, o uomini, che la dichiarazione della figliolanza divina nel Gesù nato da Maria della stirpe di Davide, oltreché dalla parola del Padre, dai miracoli, dalla parola del Maestro e dalla sua risurrezione, è data da questa sua signoria sulle passioni dell’uomo e sulle tentazioni date all’Uomo. Santo per natura divina, volle esser santo anche secondo natura umana, Primogenito vero della famiglia eterna dei figli di Dio coeredi del Regno dei Cieli.

   Si è dichiarato infine Figliuolo di Dio per la sua risurrezione spontanea. Dio: Egli, a Se stesso: Dio-Uomo, ucciso dagli uomini per salute degli stessi, consumato il sacrificio, data la prova sicura di esser stato morto, si infuse nuovamente la vita, e da Se stesso, senza attese e giudizio, glorificò anche il suo Corpo vincitore su tutte le miserie conseguenti al primo originale peccato.»


[1]I rimandi ai brani della lettera paolina, che mettiamo in forma abbreviata, sono gli stessi che Maria Valtorta mette, per esteso, dopo le date e prima di iniziare a scrivere i “dettati” delle lezioni. Solo nelle lezioni 1ª e 3ª aggiunge al rimando il testo del brano, che noi omettiamo, sia per uniformicon le altre lezioni, sia perché abbiamo riportato all’inizio l’intero testo della Lettera ai Romani.

AMDG et DVM