mercoledì 24 novembre 2021

Il più duro digiuno è acqua e pane >>



 Sesta virtù

Sobrietà e castità angelica

Digiuno prudente

69. I. Paolo in mezzo a tanta povertà visse necessariamente sobrio. Così

vediamo campare sobriamente gli operai, che vivono col lavoro delle loro

mani, e devono procurare gli alimenti per sé e per la loro famiglia.

Sapientemente san Girolamo (119) prescrive ad Eustochio questa dieta di

sobrietà: «Prendi moderato cibo, e non riempir mai lo stomaco. Vi sono

parecchie che pur essendo sobrie nel bere vino, hanno l’ubbriachezza del

troppo mangiare. Digiuna quotidianamente, e rifuggi dal mangiare a

sazietà. Non giova a nulla portare lo stomaco vuoto per due, tre o più

giorni, se poi si rimpinza, e si ripaga il digiuno con la sazietà. La mente

sazia si intorpidisce subito, e la terra irrigata germina le spine della

libidine». Il medesimo Santo, scrivendo a Paolino (120), dice: «Cibati con

cose vili, e verso sera tuo cibo siano verdure e legumi; talvolta aggiungi

qualche pesciolino, per somma delizia. Chi desidera Cristo e si ciba di quel

pane, non cerca con tanta accuratezza la preziosità dei cibi. Qualunque

cosa che dopo mangiata più non si sente, sia tuo cibo, come il pane ed i

legumi».

Gli Apostoli si astenevano comunemente dalla carne e dal vino


70. II. Paolo digiunava di frequente, come egli stesso asserisce (2 Corinti

11, 27). Si asteneva dalle delizie del vino e della carne. Difatti, come

scrive san Girolamo a Nepoziano (121): «Il più duro digiuno è acqua e

pane; ma perché non ha gloria alcuna, dato che tutti viviamo di pane e di

acqua, diventa una cosa pubblica e comune, e non è creduta un digiuno».

Lo stesso, ad Eliodoro (122): «Nepoziano, dice, temperava secondo la

stanchezza e le forze i digiuni, come fa l’auriga». E, a Rustico (123): «I

digiuni siano moderati, dice, onde non abbiano ad indebolire troppo lo

stomaco, e le esigenze poi di maggior cibo non portino ad indigestioni, che

sono parenti della libidine. Poco e temperato cibo è utile al corpo ed

all’anima».

Lo stesso facevano gli altri Apostoli, se non dovevano partecipare a

qualche banchetto, per invito di altri. In tal caso, per lo stesso comando di

Cristo, mangiavano tutto quello che veniva loro offerto: ciò facevano per

urbanità, per evitare le singolarità, e per non essere molesti a chi li

ospitava.

E’ chiaro l’esempio di Timoteo, al quale Paolo scrisse: «Non continuare a

bere soltanto acqua, ma fa uso d’un po’di vino, a causa del tuo stomaco e

delle tue frequenti malattie» (l Timoteo 5, 23). Altro esempio ci viene dal

voto del nazareato, fatto da Paolo (Cfr.: Atti 21, 26), e soddisfatto subito il

giorno dopo. I Nazarei si astenevano dal vino, dalla sicera e da altre

golosità. «Se dunque, scrive, un cibo serve di scandalo al mio fratello, non

mangerò carne in eterno» (l Corinti 8, 13). E: «Bene è non mangiar carne e

non bere vino» (Romani 14, 21). Quello che Paolo consigliava agli altri,

praticava lui stesso.

Anche san Pietro, secondo la testimonianza di san Gregorio Nazianzeno

(De cura pauperum) campicchiava di lupini. Così san Giacomo, cugino del

Signore, si astenne dalla carne, dal vino e dalla sicera, e visse di pane ed

acqua. Così scrive il Baronio nei suoi Annali (all’anno 36 dopo Cristo),

seguendo Eusebio (124), Niceforo (125) ed altri. Così anche scrivono altri

nella Vita dello stesso san Giacomo. Clemente Alessandrino (126)

asserisce che san Matteo si astenne dalle carni. Il motivo è che gli Apostoli

dovevano dare esempio di sobrietà e di ogni virtù a tutta la Chiesa, ad ogni

stato di persone, e per tutti i secoli; essi erano dati al mondo come

esemplari di santità, di perfezione e di vita celeste, alla quale dovevano

incitare tutti con la parola ma assai più con l’esempio. Sarebbe cosa

veramente grottesca che un rimpinzato esortasse gli altri al digiuno, uno

soddisfatto all’astinenza, un incestuoso alla castità, uno pieno di vino a

bere acqua.

San Francesco Saverio, l’apostolo dell’India, si asteneva dal vino e dalla

carne; eccetto quando era ospite di qualcheduno, si cibava una volta sola al

giorno, e con cibi volgari e scarsi, e neanche satollava la fame col pane,

scrive Tursilio nella di lui Vita (Lib. 6, c. 7). Possidio (127) scrive che

sant’Agostino, Vescovo di Ippona, «usava una mensa frugale e parca;

qualche volta univa alla verdura ad ai legumi, anche della carne, per

riguardo ad ospiti, o ad infermi».



71. III. Paolo era parco nel dormire, e passava gran parte della notte

vegliando, sia pregando, sia lavorando, sia curando con sollecitudine la

salute di tutte le Chiese. Egli stesso confessò di aver vissuto in molte

vigilie (Cfr. 2 Corinti 11, 27).

La vigilanza è una virtù propria del pastore che deve vigilare il suo gregge.

Pertanto sembra poco conforme a verità quella distribuzione di tempo e di

ore che alcuni assegnano a san Paolo come fa la Glossa (ML 114, 462)

sugli Atti (19, 9), citando, Beda (ma ciò non si trova in Beda): «Alcuni

dicono, scrive, che Paolo protraesse le dispute dall’ora quinta fino all’ora

nona e decima; così che impiegava cinque ore nel fabbricare i tappeti,

altre cinque nell’insegnamento, due nel prender cibo e nel fare orazione».

Aggiunge però: «Nessuna autorità conferma ciò», e giustamente, dicono

Ugo e Lorino, nel medesimo luogo. Che cosa faceva Paolo nelle altre

rimanenti dodici ore del giorno? Certamente non le passava nel letto, ma

dopo un breve riposo attendeva alla preghiera ed al lavoro. Difatti a

mezzanotte fu trovato nel carcere pregante (Cfr. Atti 16, 25). Con verità

scrive san Girolamo (128) ad Eustochio: «Il sonno stesso è preghiera per i

santi. Sii una cicala notturna: salmeggia in ispirito, salmeggia anche con la

mente; lava durante la notte il tuo letto, bagna il tuo giaciglio con le tue

lacrime».

Paolo vittima di castità

72. IV. Paolo fu di castità angelica. Visse celibe, anzi vergine, per tutta la

vita. E proponendo ai fedeli il consiglio della verginità e della castità

evangelica, diceva: «Voglio, (vorrei, bramerei) che voi foste qual son io»

(l Corinti 7, 7). Così dice sant’Ambrogio (129) commentando questo

passo, san Girolamo (130) ed altri qua e là.

Paolo fece mirabili progressi nella castità, mediante una continua lotta

contro lo stimolo della carne, comprimendolo e soggiogandolo (131) senza

interruzione (Cfr. 2 Corinti 12, 7).

Conversava con le giovanette e le matrone come un angelo, e le conduceva

non solo alla fede, ma anche alla castità. Strappò le drude da Nerone,

inducendole alla castità; per questo venne ucciso da Nerone, e divenne

vittima di castità, come insegna san G. Crisostomo (132).

Fuggiva le donne

73. V.   Paolo, sebbene avesse il dono della castità, e giustamente fosse da

Dio confermato in essa e nella grazia, tuttavia, non solo si studiava di

evitare le tentazioni ed i pericoli, ma anche macerava severamente la sua

carne e la castigava austeramente (133). Senza di che è difficile, e quasi

impossibile conservare la castità, come asseriva san Carlo Borromeo. Non

volle per questo essere accompagnato da pie donne che lo sostentassero:

«Non abbiamo diritto di portare con noi una donna sorella, dice, come

fanno gli altri Apostoli?»; «io però non ho mai fatto uso di uno di questi

diritti» (1 Corinti 9, 5. 15).

A santa Tecla, che pendeva dal suo labbro e lo voleva seguire, Paolo lo

proibì, e la rimandò a casa sua; così è scritto nella Vita di santa Tecla.

Ugualmente fece con altre; appena le aveva convertite, andava altrove, e le

lasciava dietro.

Dalla frequente conversazione con donne, anche pie e devote, sorge un

grave pericolo per la castità e per la buona fama. Leggasi quanto scrive san

Cipriano (134).

San Francesco Saverio, ancorché fosse un uomo celeste, «non mai parlò

con una donna, se non al chiaro ed in presenza di testimoni, anche se si

trattava di cose necessarie; persuaso che le visite a donne sono più di

pericolo che di utilità»; così scrive Turselio, nella di lui Vita (Lib, 6, c. 6).

San Girolamo (135) prescrive al chierico Nepoziano le seguenti cautele:

«Mai, o ben di rado, i piedi di una donna calpestino il pavimento della tua

cameretta; o ignora nello stesso modo tutte le fanciulle e le vergini di

Cristo, o amale tutte egualmente. Non fare frequenti soggiorni sotto lo

stesso tetto; non fare affidamento sulla castità della vita passata. Non puoi

essere né più santo di Davide, né più forte di Sansone, né più sapiente di

Salomone. Ricordati sempre che la donna [non la madre di Abele] cacciò il colono del paradiso dai suoi possedimenti».

Lo stesso Santo scrive a Rustico (136): «Quando vai a trovare la madre, fa

in modo di non essere costretto a vedere altre donne, perché la loro

fisionomia non aderisca al tuo cuore, e una occulta ferita resti viva nel tuo

petto. Sappi che le serve che sono ad essa di ossequio sono per te di

insidia; poiché quanto più è vile la loro condizione, altrettanto è più facile

la rovina. Giovanni Battista ebbe una santa madre, ed un pontefice per

padre, tuttavia né l’affetto della madre, né l’opulenza del padre lo

persuasero a vivere nella casa paterna, con pericolo per la castità. Viveva

nell’eremo, e quegli occhi che anelavano a Cristo non si degnavano di

guardare altra cosa. Le rudi vesti, la cintura di pelle, le locuste ed il miele

selvatico come cibo, tutto contribuiva a fomentare la virtù e la castità. Per

tutto il tempo che rimani a casa, ritieni la tua cella come un paradiso;

raccogli i vari frutti della Scrittura; usa di tali delizie. Se l’occhio, il piede,

la mano ti sono di scandalo, tagliali via. Non risparmiare nessuno, onde

solamente risparmiare l’anima», ecc. «Il vaso di elezione, nella cui bocca

risuonava Cristo, macera il suo corpo, e lo riduce in servitù; e tuttavia vede

che il naturale ardore della carne ripugna alla sua mente; ed è sforzato a

fare ciò che non vuole, e come un violentato grida e dice: Oh, infelice

uomo ch’io sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte? E tu crederai

di potertela svignare senza cadute né ferite, anche senza custodire bene il

tuo cuore, e ripetere col Salvatore: Quelli che fanno la volontà del Padre

mio sono mia madre e miei fratelli? Questa crudeltà (verso i parenti) è vera

pietà», ecc. «La città è per me una prigione, la solitudine è per me un

paradiso». E più sotto: «Voglio che tu non dimori con la madre, per non

avvicinare l’olio al fuoco, e per non vedere nel giorno, nel via vai delle

fanciulle, ciò cui penserai poi la notte».


Possidio (137) scrive di sant’Agostino: «Nessuna donna abitò mai nella

sua casa, nessuna vi rimase, neppure sua sorella germana; la quale, rimasta

vedova, servì a Dio per molto tempo e visse, fino al giorno della sua

morte, in qualità di superiora delle serve di Dio; né le figlie dello zio, né le

figlie del fratello, che servivano pure a Dio». E ne dà subito la

spiegazione: «Non devono mai le donne rimanere in una medesima casa

coi servi di Dio, anche castissimi, per non dare scandalo o motivo di male,

con tale esempio, ai più deboli. Se per caso veniva chiamato da qualche

donna per una visita o per saluto, non entrava mai da esse senza avere con

sé dei chierici come testimoni. Non si fermò mai a parlare da solo con

donne sole, eccetto si fosse trattato di qualche cosa segreta».

((( Alla chiusura di questi tempi malvagi la Parola creatrice di Dio opererà l'inimmaginabile per il riscatto e il rinnovamento  della vita su questa Terra)))


AMDG et DVM


AVE MARIA PURISSIMA!

"VADO A CANTARE IL MATTUTINO IN CIELO!"

  

SAN GIOVANNI DELLA CROCE

1542 - 1591

Dottore della Chiesa

Padre Riformatore dei Carmelitani Scalzi

Patrono della Provincia Veneta dei Carmelitani Scalzi

 Solennità, 14 dicembre [dal 24 nov.]

 

La nascita

99473184copiSan Giovanni della CroceS. Giovanni della Croce, universalmente conosciuto come “Dottore mistico”nacque nel 1542 a Fontiveros, una cittadina della Castiglia. Già la tenera vicenda umana dei suoi genitori fu per Giovanni quasi un presagio: il papà, Gonzalo de Yepes, di nobile origine toledana, aveva sposato, contro la volontà dei suoi ricchi parenti, Caterina Alvarez, una povera tessitrice, di cui s’era innamorato. 

Era stato diseredato e, così, era stata Caterina a doverlo accogliere nella sua umile casetta e ad insegnargli il mestiere di tessitore. Erano nati tre bambini, ma il papà li aveva lasciati troppo presto, vittima di una epidemia mortale. Anche uno dei bambini morì di stenti. Giovanni, il più piccolo – che porterà per tutta la vita i segni della denutrizione patita – fu ospitato in un collegio per orfani, dove gli fu almeno concesso di studiare. Contemporaneamente, per mantenersi, faceva l’inserviente in un ospedale per sifilitici a Medina del Campo. Una infanzia “infelice”, si direbbe, e una adolescenza aggravata dagli stenti. E invece, proprio dal clima povero, ma dolce e intenso, che respirò in famiglia, Giovanni trasse quella certezza che avrebbe rischiarato tutta la sua esistenza: comprese, cioè, che la vita può essere una sublime avventura d’amore, benché sia così spesso impregnata di sofferenze. Pur senza disprezzare l’amore umano, egli si sentiva inclinato a scoprire le meraviglie dell’amore che Cristo ha rivelato e promesso a chi Lo segue.

L’ingresso in convento

49807092copiUniversità di Salamanca (Spagna)

A 21 anni chiese, dunque, di entrare nel convento carmelitano di Medina, iniziandovi gli studi che l’avrebbero condotto fino al sacerdozio. Poté così frequentare la prestigiosa Università di Salamanca. Lo studio affascinava la sua intelligenza acuta e argomentativa, mentre la preghiera e l’ascesi lo affinavano interiormente e fisicamente. A tale scopo aveva scelto per sè una cella piccola e buia, solo perché aveva una finestrella che guardava sul presbiterio della Chiesa: là passava lunghe ore, assorto nella contemplazione del tabernacolo.

Quando fu ordinato sacerdote, aveva quasi deciso di dedicarsi a una forma di vita ancora più austera e solitaria (quella dei Certosini), ma fu proprio in occasione della sua Prima Messa, celebrata a Medina, che gli accadde di incontrare Santa Teresa d’Avila. Fu lei, col prestigio della sua santità e della sua maturità, a coinvolgerlo nella sua missione di Riformatrice dell’antico Ordine Carmelitano.

Fu Teresa stessa a tagliare e cucire per lui un umile abito di lana grezza, e ad aiutarlo nella prima organizzazione di un poverissimo conventino a Durvelo, tra un gruppetto di case coloniche, sperduto nella campagna. Qui cominciò la storia dei primi “carmelitani scalzi” (cioè “riformati”), che vivevano in una solitudine quasi eremitica, interrompendo la preghiera solo per prendere un po’ di cibo e per andare nelle borgate vicine a predicare ai contadini, privi di ogni assistenza religiosa. Ma Giovanni non poté restare a lungo in quella beata solitudine. Presto fu necessario fondare altri conventi (e a lui veniva sempre affidato l’incarico di educatore dei giovani religiosi).

 

Alla scuola di Teresa d’Avila

Poi Teresa lo volle con sé ad Avila, per farsi aiutare nella formazione delle monache, di cui era priora. Ma l’attività dei due Riformatori non era ben vista da tanti altri frati e monache che si ritenevano quasi offesi dalla loro azione, e c’era chi li accusava di ribellione e di disobbedienza ai Superiori dell’Ordine. Allora le comunicazioni erano difficili e le notizie tendenziose si diffondevano facilmente. Così proprio il mite ed umile Giovanni della Croce fu accusato ingiustamente d’essere un ribelle e “incarcerato” nel grande convento di Toledo, dove fu rinchiuso in un bugigattolo umido e buio. Vi restò quasi nove mesi: trattato a pane e acqua, con una sola tonaca che gli marciva addosso, mentre i pidocchi lo divoravano e la febbre lo consumava. Ma in quella terribile “notte oscura” Dio lo avvolse di luce e di amore.

 

Scrittore mistico e teologo

San Giovanni della CroceSan Giovanni della Croce (disegno a matita)

Dal cuore straziato di Giovanni della Croce nacquero, così, le più calde e luminose poesie d’amore che siano mai state scritte in lingua spagnola. Egli le componeva a memoria, per esprimere il grido dell’anima che cerca Dio, come una fidanzata cerca il suo Amato, dal quale si è sentita improvvisamente abbandonata. Nella notte del carcere, lungo quei terribili mesi, Giovanni iniziò così il suo cammino verso il cuore della Sacra Scrittura, dove si trova incastonato il Cantico dei Cantici: la parola d’amore che Dio ha rivelato al suo popolo e alla sua Chiesa. Anche il nostro prigioniero compose, dunque, il suo Cantico Spirituale: quasi un commento poetico del testo biblico, ricreato con ricchezza di immagini, di colori, di suoni, di paesaggi, di ricordi, di appassionate invocazioni. 

Quando, dopo nove mesi, riuscì a fuggire dal carcere, portò con sé un quadernetto dove aveva trascritto quei versi che l’avevano aiutato a credere, a sperare, e ad amare… Passò gli anni successivi, ricoprendo quasi sempre l’ufficio di Superiore, generalmente amato e stimato, anche se tenuto un po’ in secondo piano, ricercato da coloro che volevano essere guidati nel cammino verso Dio. A loro (soprattutto alle monache, ma anche a dei laici), Giovanni della Croce spiegava le esigenze ardenti dell’amore di Dio, e lo faceva con lo stile che aveva imparato in prigione: scrivendo delle poesie e commentandole, rifacendosi continuamente agli insegnamenti della Sacra Scrittura e alla sua personalissima esperienza. «L’anima innamorata – insegnava Giovanni – è un’anima dolce, mite, umile e paziente». A tutti egli ricordava che «un pensiero dell’uomo vale più del mondo intero e perciò soltanto Dio ne è degno!». Insegnava con decisione l’esigente cammino della “nuda fede” che non vuole null’altro se non Dio. Soprattutto i monasteri fondati da Teresa si protendevano connaturalmente ad accogliere e desiderare la guida di Giovanni della Croce e alle anime contemplative egli ripeteva le sue bellissime poesie (e ne componeva di nuove) e poi tentava di darne una spiegazione, un commento, utilizzando tutta la teologia che aveva studiato, (e Giovanni aveva un’intelligenza e una forza argomentativa straordinarie) nel tentativo di spiegare l’indicibile. Al Cantico spirituale si aggiunsero prima la Notte oscura, poi la Fiamma viva d’Amore, con i relativi commenti, che lasciò quasi tutti incompleti. Sul finire della vita si trovò nuovamente avvolto dalle tenebre della sofferenza e dell’abbandono. Non tutti riuscivano a capire quella sua incredibile dolcezza pur mescolata a tanta inflessibilità, quando ne andavano di mezzo i diritti di Dio e il rispetto dovuto alla verità. Così qualcuno si spinse fino a calunniarlo, nel tentativo di screditarlo presso i superiori. Ad una monaca che voleva prendere le sue difese, Giovanni disse: «Non pensi ad altro se non che tutto è disposto da Dio. E dove non c’è amore, metta amore e ne riceverà amore».

Proprio in quei tristi anni egli stava commentando la sua ultima opera, quella Fiamma viva d’Amore, che è tutto un divampare di carità. Nonostante le sofferenze fisiche e morali in cui era immerso, egli poteva cantare l’amore di Dio e per Dio, divenuto un possesso totale e ardente e descrivere, per esperienza, l’abbraccio di amore più intenso che sia possibile in questa terra, quando solo un ultimo, leggerissimo velo che sta per lacerarsi separa la creatura dalla vita eterna.

La morte

Il Crocifisso e S. GiovanniIl Crocifisso e S. GiovanniA 49 anni si ammalò gravemente: nel collo del piede gli si aprì una piaga tumorale che non si riusciva a curare. Giovanni visse la sua malattia nel desiderio di diventare sempre più simile al suo Signore Crocifisso. L’immedesimazione era così piena che egli arrivava a commuoversi, durante le medicazioni, nel guardare il suo povero piede piagato, perché gli sembrava di vedere quello trafitto di Cristo. Intanto la morte si avvicinava: nella tarda sera del 13 dicembre 1591, quando i confratelli riuniti attorno al suo letto iniziarono le preghiere per gli agonizzanti, Giovanni chiese che le interrompessero e disse: «Non ho bisogno di questo. Leggetemi qualcosa del Cantico dei Cantici». E mentre quei versetti d’amore risuonavano nella cella del morente, egli sembrava incantato e sospirò: «Che perle preziose!». Poi sentì suonare le campane di mezzanotte e disse: «Vado a cantare il Mattutino in cielo».

di P. Antonio Maria Sicari ocd


"Multae tribulationes iustorum", cioè: 

Molte sono le sventure dei giusti, 

ma li libera da tutte il Signore 

(Sal 33,20).


"Cantico spirituale" (A): di San Giovanni della Croce: tra i libri più belli del mondo

http://www.cristinacampo.it/public/san%20giovanni%20della%20croce,%20cantico%20spirituale.%20testo%20integrale.pdf



 AMDG et DVM

sabato 20 novembre 2021

Chiesa e post concilio: Leone XIII - Atto di Consacrazione del genere uman...

Chiesa e post concilio: Leone XIII - Atto di Consacrazione del genere uman...: Nell'Anno Liturgico dell' Ordo Antiquior , e a coronamento di esso, la festa di Cristo Re è assegnata all'ultima domenica di o...

BENEDETTO XVI: AL POSTO DELLA SUA CHIESA...


 

…E’ SUBENTRATA LA NOSTRA, E CON ESSA LE MOLTE CHIESE: OGNUNO HA LA PROPRIA.

LE CHIESE SONO DIVENTATE NOSTRE IMPRESE, DI CUI SIAMO ORGOGLIOSI O CI VERGOGNIAMO….MA….SE FOSSE SOLTANTO NOSTRA LA CHIESA SAREBBE UN INUTILE GIOCO DA BAMBINI……

I Padri applicarono il simbolismo lunare alla Chiesa …..per il fatto che la luce della luna non è luce propria, ma luce del sole, senza il quale essa sarebbe solo oscurità; la luna risplende, ma la sua luce non è sua, bensì di qualcun altro.

Essa è buio e luce allo stesso tempo. In se stessa è oscurità, ma dona luminosità in virtù di un altro, di cui riflette la luce. Proprio per questo essa rispecchia la Chiesa, che illumina pur essendo essa stessa buio; non è luminosa in virtù della propria luce, ma riceve quella del vero sole, Gesù Cristo, cosicché – sebbene essa stessa sia solo terra (anche la luna non è che un’altra terra) – è tuttavia in grado di illuminare la notte della nostra lontananza da Dio – la luna narra il mistero di Cristo…….

E’ quindi ciò che non è in se stessa. L’altro, ciò che non è suo, fa comunque parte anche della sua realtà. Esiste una verità della fisica e una verità poetico-simbolica e l’una non annulla l’altra. Allora chiedo: questa non è forse un’immagine molto precisa della Chiesa? Chi la esplora e la percorre con la sonda spaziale, può scoprire solo deserto, sabbia, roccia, le debolezze dell’uomo, i deserti, la polvere e le altezze della sua storia.

Tutto ciò le appartiene, ma non rappresenta la sua effettiva realtà. L’elemento decisivo è che essa, benché sia solo sabbia e sassi, è di certo anche luce in virtù di un altro, del Signore: ciò che non è suo, è veramente suo, la sua effettiva natura, anzi, la sua natura consiste nel fatto che essa non vale per ciò che è, bensì solo per ciò che non è suo. Essa esiste in qualcosa che è al di fuori di essa e ha una luce che, pur non essendo sua, costituisce tutta la sua essenza. Essa è “luna” – mysterium lunae – e così riguarda i credenti, perché proprio così essa è il luogo di una costante scelta spirituale. Poiché il significato espresso in quest’immagine mi sembra di importanza decisiva, prima di tradurlo dal linguaggio metaforico in affermazioni oggettive, vorrei chiarirlo meglio con un’altra osservazione. Dopo la traduzione in tedesco della liturgia, secondo l’ultima riforma, mi si presentava continuamente una difficoltà linguistica nel recitare un testo, che appartiene proprio a questo stesso contesto e che è sintomatico per ciò di cui si tratta qui. - Nella traduzione tedesca del Suscipiat si dice: il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio “per il bene nostro e di tutta la Sua santa Chiesa”. A me veniva sempre spontaneo dire: “E di tutta la nostra santa Chiesa”. In questa difficoltà linguistica viene alla luce tutta la problematica che stiamo trattando e diventa chiaro il fatto che siamo incorsi in una deviazione di prospettiva. Al posto della Sua Chiesa è subentrata la nostra e con essa le molte chiese: ognuno ha la propria. Le chiese sono diventate nostre imprese, di cui siamo orgogliosi o ci vergogniamo, tante piccole proprietà private che stanno una accanto all’altra, chiese soltanto “nostre, che noi stessi costruiamo, che sono opera e proprietà nostra, e che noi vogliamo trasformare o conservare come tali. Dietro alla “nostra Chiesa” o anche alla “vostra Chiesa” è scomparsa la “sua Chiesa”. Ma solo quest’ultima interessa e se non esiste più anche la “nostra” Chiesa deve abdicare. 

Se fosse soltanto nostra, la Chiesa sarebbe solo un inutile gioco da bambini. [!]

JOSEPH RATZINGER – PERCHE’ SONO ANCORA NELLA CHIESA – 1970

Io parlo al loro cuore, ma essi non Mi danno ascolto: proseguono nel loro cammino senza ascoltare la Mia Voce Materna.

 Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi

 

VIRGO EUCARISTIAE

22.04.05

 

 

La Mamma parla agli eletti

 

 

Figli cari e tanto amati, vengo a voi con Cuore gioioso, perché vedo il fervore nella preghiera e la pazienza nel sacrificio. 


Gesù, in questo grande tempo, chiede di più perché, guardatevi intorno, poi volgete lo sguardo al mondo: quanta ribellione, quanta indocilità alle Leggi Divine. 


Molti sono i figli Miei che non comprendono i Messaggi Che Dio dona al mondo ogni giorno; Lo sfidano ed osano opporsi alla Sua Volontà davanti agli altri con esempi negativi che potrebbero essere emulati. 


Ecco, se il Mio Cuore esulta per i figli docili ed obbedienti, è colmo di pena per i ribelli che pur sono tanto cari al Mio Cuore e si avviano verso una strada buia e tenebrosa, quella della rovina. 


Io parlo al loro cuore, ma essi non Mi danno ascolto: proseguono nel loro cammino senza ascoltare la Mia Voce Materna. 




Pensate ad una madre che ha molti figli: ella li ama tutti teneramente e vuole per loro un futuro di gioia e di pace; quanto geme il suo cuore per il figlio ribelle, indocile, superbo che non comprende le sue premure. 


Pensate a Me Che sono la Madre Universale: quanto soffro per i figli lontani che non si accorgono del pericolo che incombe. 


Apro il Mio Manto per accogliere i piccoli in pericolo, non posso, però, costringerli a rifugiarsi al sicuro; Dio concede loro la libertà ed essi la usano per continuare a ribellarsi. 


Amati, sappiate ancora sacrificarvi per la salvezza di queste anime bisognose, accettate il dolore psichico e fisico, se persiste significa che è un’offerta che Dio vi chiede; finita la necessità tutto scomparirà rapidamente. 


Vi ho parlato con la pena nel Cuore dei figli ribelli: essi hanno bisogno di Grazie speciali per la conversione, Grazie che Dio concede a chi molto si impegna e non si risparmia. 


Figli cari e tanto amati, il Mio Sguardo abbraccia il mondo, vedo le necessità; il Mio Cuore geme, troverò tante anime belle pronte a sacrificarsi? 

I Miei Occhi cadono su di voi, figli amati, siete docili ed obbedienti, solo a voi posso chiedere un sacrificio in aggiunta a quelli che già fate. Volete, figli, aiutarMi a convertire il mondo, in fretta, prima che sia troppo tardi? 


Servono le vostre suppliche, serve il vostro sacrificio, non domani, ma proprio oggi; se le conversioni non saranno rapide, tutto sarà più difficile, questo è il grande tempo favorevole, figli amati, altro non ce ne sarà.



Mi dice la Mia piccola: “Madre Santissima, vogliamo decisamente sacrificarci per la conversione del mondo: trasforma, Madre Santissima, la nostra debolezza in forza; ci sentiamo al centro di un grande mistero, le forze del male crescono e gli uomini osano sfidare Dio con leggi che offendono profondamente il Suo Cuore Santissimo e Meraviglioso; questi chiamano severi castighi sul loro paese. 


Come per l’obbedienza di pochi, Dio concede a tutti, così per la ribellione molti deboli si fanno indurre nell’errore e cadono nella rete del nemico; Gesù Santissimo passa così dalla Misericordia alla Perfetta Giustizia”.



Figli amati, Gesù ha parlato spesso degli operatori di scandali, ha parlato con severità, ma, molti Miei figli non badano alle Parole di Mio Figlio, Lo sfidano e cercano la propria rovina e quella degli altri. Sono molti coloro che vivono senza comprendere il significato della loro vita, sono presi ed imprigionati dal proprio egoismo e non sanno; sono incalliti nel male e si lasciano sedurre dal nemico di Dio, egli ha volti diversi secondo le situazioni, volti ingannevoli che persuadono al male che non viene presentato come tale, ma come Bene. 


Figli amati, tenetevi stretti a Me, vicini al Mio Cuore, apro il Mio Manto e vi accolgo tutti, le forze del male si scateneranno sempre di più ed il nemico assalirà con ferocia coloro che sono senza difese e protezione. Il nemico è sciolto e vuole distruggere il mondo e tutte le anime. Il Mio Cuore vuole salvarvi tutti, ma non posso imporre a nessuno la Mia Volontà anche se vedo imminente la sua rovina. Figli del mondo, lasciatevi aiutare, lasciatevi salvare.

Insieme uniamo i cuori per lodare il Nome Santissimo, per ringraziare, per adorare. Vi amo tutti.

                                                                                  Ti amo, angelo Mio.

 Maria Santissima