venerdì 22 gennaio 2021

L'ULTIMA MESSA DI PADRE PIO

 


"L'ultima Messa di Padre Pio"

Per la potenza di profezia mostrata da P. Pio possiamo affermare con certezza: ciò che approva P. Pio, è perché prima quella cosa è approvata da Gesù stesso; ciò che P. Pio disapprova è perché prima quella cosa è disapprovata da Gesù stesso.
Riassunto e recensione del libro “L’ultima messa di Padre Pio” di Gnocchi e Palmaro.
di Don Guglielmo Fichera

La missione di Padre Pio
In un quadro che si trova nel Santuario di Santa Maria del Monte (Campobasso) è rappresentata un’apparizione della Madonna a Padre Pio, nel giorno dell’Assunzione del 1905, nella quale la Madre di Dio indica al frate Gesù che sale il Calvario portando la croce. Fu Padre Pellegrino da Sant’Elia a Pianisi (il frate che rimase vicino a Padre Pio fino agli ultimi istanti di vita) a insistere col pittore Amedeo Trivisonno, perché lo dipingesse (1972). Padre Pio è il primo sacerdote della storia della Chiesa a ricevere le stigmate (pp. 5-8).

La Madre di Dio indica a Padre Pio suo Figlio Gesù che sale il Calvario portando la croce. (Amedeo Trivisonno, Santuario di Santa Maria del Monte, Campobasso).


La Messa non può mutare

L’attaccamento di Padre Pio alla S. Messa era bruciante: voleva stare quanto più possibile sull’altare, le celebrazioni duravano ore e ore. Ma con ancora maggiore chiarezza si vede l’attaccamento di Padre Pio all’immutabilità del rito della S. Messa.
Al vecchio frate bastarono i prodromi della riforma liturgica che sarebbe entrata in vigore nel 1969, dopo la sua morte, per averne un sacro orrore. Sempre obbediente, l’unica richiesta che osò avanzare all’autorità della Chiesa fu quella di essere esentato dalle novità della riforma liturgica incombente. Non era la bizzarria di un uomo vecchio ancorato al passato, ma era il grido di un uomo di Dio che vedeva il futuro.

Alter Christus. Ipse Christus.
«La mia missione — confidò a Luigi Peroni, che fu direttore dei suoi gruppi di preghiera — finirà quando sulla terra non si celebrerà più la Messa» (cfr. p. 9 e p. 18). In altre occasioni aveva detto: «Il mondo potrebbe stare anche senza il sole, ma non senza la Santa Messa».
Che cosa aveva mostrato il Cielo a quel giovane frate nel giorno dell’Assunzione del 1905 e poi nelle tante visioni celesti che seguirono, se i messaggi che lui consegnava all’umana comprensione erano così inquietanti? […] Qualcuno che si adopera, dentro la Chiesa, per distruggere la S. Messa e impedire il sacrificio che regge il mondo? (cfr. pp. 8-10).

Il colpo da maestro del Nemico
Le antenne spirituali del santo captavano un disegno volto a mutare la natura stessa della Messa che, se fosse riuscito, avrebbe distolto anche i buoni sacerdoti dall’essenza del loro ministero illudendoli di continuare a servire il Signore: zelanti ministri di Dio indotti in errore per virtù d’obbedienza con l’effetto di propagare l’infezione fino ai fedeli.
Un vero e proprio colpo da maestro. Dove non era riuscito il modernismo d’inizio Novecento, ce l’avrebbe fatta un neomodernismo che, grazie ad una nuova liturgia, fosse divenuto fenomeno popolare.
Nei disegni anticristici, la crisi della Messa avrebbe impresso una svolta epocale alla crisi della Chiesa.
[…] Dom Prosper Guéranger aveva detto: «Se il Santo Sacrificio della Messa cessasse, non tarderemmo a ricadere nell’abisso della depravazione in cui si trovavano i pagani e questa sarà l’opera dell’Anticristo». […]
Negli ultimi anni della sua vita, Padre Pio fu segnato più duramente dalla consapevolezza che la visione di dom Guéranger si stesse mostrando sempre più chiaramente attuale (cfr. pp. 10-12).

Giuseppe Pagnossin
Questo industriale padovano (costruiva piastrelle), figlio spirituale di Padre Pio, ha raccolto una miniera di documenti inediti, di foto mai viste, di riproduzioni fotostatiche e ha potuto produrre una ricostruzione della vita del santo che nessuno aveva mai raccontato. Il suo ricco e voluminoso archivio è stato donato alla Fraternità sacerdotale di san Pio X e si trova ora ad Albano laziale. Dopo la morte di Padre Pio il Pagnossin, così come molti altri figli spirituali di Padre Pio, andò alla ricerca di qualcuno che fosse legato alla Messa di sempre e alla Tradizione come vi era legato Padre Pio e trovarono questo nel fondatore di quella fraternità, Mons. Marcel Lefebvre.
Scrive il Pagnossin: «L’attacco di Satana, più doloroso, si svolge all’interno della Chiesa, dove proprio taluni successori degli apostoli contestano la tradizione, il dogma e il papa» (cfr. pp. 12-14).
La visita di Mons. Lefebvre a Padre Pio e le modalità e le caratteriste di quell’incontro avvenuto il 31 marzo 1967, sono riportate in una cartellina dove ci sono le foto e le testimonianze di quell’incontro e il bollettino ufficiale della Casa sollievo della sofferenza che descrive quell’avvenimento (cfr. pp. 14-16).

Incertezza dottrinale
L’archivio è un mare magnum di insegnamenti sicuri di Padre Pio. L’argomento principale è la Messa e la dottrina di sempre sulla Messa. Troviamo la semplice e immutabile fede professata dalla Chiesa di Cristo […] Ma oggi sembra difficile comprenderlo e, proprio la diffusione di questa incertezza dottrinale, che non di rado sfocia in vera e propria eresia, getta luce sulla missione riparatrice di padre Pio. […] II primo sacerdote stigmatizzato della storia aveva visto in anticipo la crisi che la Chiesa avrebbe patito. Un evento drammatico ed inedito poiché, per la prima volta, il Corpo Mistico di Cristo veniva squassato attraverso il tentativo di rivoluzionare il sacrificio offerto sull’altare (cfr. pp. 16-18).

In lotta con l’Anticristo
«L’Anticristo vuole distruggere la Messa. Quando l’Anticristo sarà qui, la Messa non ci sarà più». Leggete sant’Ireneo. […] È difficile dimenticare quanto scrive S. Ireneo di Lione nel suo trattato Contro le eresie. La trascuratezza consiste solo nel non averlo collegato prima alla vicenda di Padre Pio. Ma ora che il legame è stato allacciato si mostra in tutta la sua evidenza inquietante. […] S. Ireneo cita il libro di Daniele, dove è scritto che «il santuario sarà desolato: viene offerto il peccato al posto del sacrificio e la giustizia è stata gettata a terra». […] A metà della settimana verranno soppressi il sacrifico e la libagione e nel tempio si verificherà l’abominio della desolazione (cfr. Mt 24, 15).
[…] Non può essere sottovalutata la forza e l’urgenza con cui Padre Pio difese la Messa di sempre negli ultimi anni della sua vita (cfr. pp. 18-20).

Gesù parla di Padre Pio
Madre Eleonora Francesca Foresti, fondatrice delle religiose francescane adoratrici, di cui è in corso la causa di beatificazione, nel suo Diario, riporta quanto Gesù stesso le disse a proposito dell’eccezionalità di San Padre Pio:
«L’anima di padre Pio è fortezza inespugnabile, è cella vinaria in cui mi inebrio a mio piacere. É cielo tersissimo in cui gli angeli riflettono il loro volto stupendosi. E favo di miele! È il mio rifugio nelle ingratitudini degli uomini. È specchio della mia anima in cui mi rifletto, come un purissimo raggio di sole, attraverso il più puro cristallo! La mia voce in lui è come l’eco riprodotto tra due monti! II suo linguaggio è dolce e tagliente! […] misterioso come il mio: conforta ed abbatte. Ha il mio stesso imperio, perché, Io, Gesù, vivo in lui. Il suo spirito è diffusivo come un fluido. Il suo gesto, la sua parola, il suo sguardo operano più di un profondo discorso di un grande oratore. Io do valore a tutto ciò che emana da lui. É il capolavoro della mia misericordia. A lui ho conferito tutti i doni del mio Spirito, come a nessun’altra creatura. E il mio perfetto imitatore, la mia ostia, il mio altare, il mio sacrificio, la mia gloria!» (cfr. pp. 20-21).

L’ostacolo all’Anticristo
San Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi (cfr. 2Tess 2, 1-12) afferma che c’è un ostacolo che impedisce la manifestazione dell’Anticristo, in lingua greca è indicato in due modi o katechon (maschile) e to katechon (neutro). Il secondo, secondo San Tommaso d’Aquino è la sottomissione alla Chiesa romana. Il primo è il Papa, vicario di Cristo. Fino a quando il Papa sarà riconosciuto, rispettato e ubbidito, l’ostacolo sussisterà. Ma se il Papa viene disconosciuto, messo da parte, tolto dal centro, rigettato o eliminato, scompare l’ostacolo e l’Anticristo sarà libero di manifestarsi. Padre Pio ha tenuto tutti sottomessi alla Chiesa e al Papa (cfr. pp. 21-22).

I danni del ‘68
Troppi cristiani hanno preferito gli inganni del mondo. Mentre Padre Pio moriva l’Italia del boom si crogiolava nelle sue piccole conquiste illudendosi che fossero eterne. Erano gli ultimi giri di danza di una società inebriata dal laicissimo “miracolo economico” e inconsapevole del tunnel di odio e di piombo che avrebbe imboccato negli anni successivi. […] Il 1968 sarebbe passato alla storia come tutti gli altri anni simboli di rivoluzioni, come l’89, il ‘48, ecc. I giornali parlavano bene della “ribellione studentesca”, della violenza, della rivolta permanente, dell’odio per ogni autorità e ogni suo simbolo, della irrefrenabile ricerca di ogni tipo di liberazione. […] Tra i primi ad avventurarsi in quel tunnel, come avanguardie della “rivoluzione”, ci furono tanti cattolici.
Il 15 febbraio 1966 muore durante un’azione di guerriglia il sacerdote colombiano Camillo Torres, simbolo della rivolta dentro e fuori la Chiesa.
Il 9 ottobre il cardinale olandese Alfrink presenta ad Utrecht il Nuovo Catechismo Olandese, pieno degli errori che poi dovranno essere corretti da una commissione di altri cardinali.
Il 10 ottobre 1967, al Terzo congresso mondiale per l’apostolato dei laici, a Roma, i delegati commemorano ufficialmente il guerrigliero Ernesto Che Guevara. […]
Se stupisce che una cosiddetta rivoluzione sociale, mira a distruggere la dottrina cattolica, stupisce ancor di più che i pastori che avevano il dovere, la facoltà e il potere abbiano fatto poco o nulla per fermare tutto questo. Ci furono occupazioni di cattedrali, interruzioni di celebrazioni religiose, con messa in scena di cerimonie alternative, ci fu aperta contestazione dei vescovi e del Papa, rifiuto sistematico dei programmi di formazione nei seminari, comunità dirette da sacerdoti politicizzati che rifiutavano l’autorità ecclesiale; ci furono parroci e vescovi che benedivano ogni genere di protesta, profanazione dell’Eucaristia con riti e preghiere inventati ex novo; ci furono messe alternative improvvisate secondo il “genio locale”. […]
Ci fu una ribellione contro i diritti di Dio. […] mentre Padre Pio parla del Cielo e indica la strada sicura per arrivarci, i ribelli del ’68 cattolico parlano solo della terra (cfr. pp. 45-48).

Elenco dei traditori
Fu con l’avvento della teologia della liberazione, nei primi anni Settanta, che ci venne rivelata la verità […] secondo cui il regno di Dio e la società comunista perfetta, sono la stessa cosa. […]
L’ingresso di Fidel Castro all’Avana fu come il giudizio universale perché a ciascuno veniva dato quanto gli spettava (Padre Ernesto Cardenal, monaco trappista e ministro della cultura nella giunta del Nicaragua).
«La rivoluzione non solo è lecita, ma obbligatoria per i cristiani: essa è l’unico modo per realizzare l’amore per tutti. […] Ho smesso di dire Messa per realizzare l’amore nel temporale, nell’economico» (Camillo Torres, sacerdote guerrigliero colombiano, ucciso nel 1966).
Contro l’enciclica Humanae vitae di Papa Paolo VI, parlarono i teologi olandesi, i teologi della Catholic University di Washington, la Conferenza episcopale austriaca, la Conferenza episcopale canadese, l’82ma Giornata cattolica di Essen, Germania.
Paolo Sorbi il 26 marzo 1968 interrompe l’omelia nella cattedrale di Trento e prosegue con un contro quaresimale sul sagrato.
Nel Messaggio di Natale del 1968, i cappellani scolastici della Vandea affermavano: «La grande novella del Natale è la morte di Dio. Quel Dio non esiste: è stato inventato dagli uomini per rispondere ai misteri della natura, dell’ordine stabilito e del male. […] E inutile precisare che l’aldilà non esiste. Tutte le invenzioni dei teologi sul Cielo, l’inferno, il purgatorio non sono evidentemente che pure fantasie. Non esiste se non quello che è umano».
Don Luigi Rosadoni in Cattolici olandesi, ovvero il rischio di essere vivi (1968), descrive una “messa” modernista: nessun segno sacro in chiesa; al posto dell’altare, una tavola di legno senza tovaglia con sopra un grande bicchiere di vetro, una bottiglia a forma di fiasco piena di vino rosso, un cestino con tante focaccette. […] Il celebrante, accompagnato da un giovanotto in marrone, indossa un lungo mantello aperto avanti, con ampie maniche. Il celebrante si siede in una poltrona in prima fila, mentre è il giovanotto che l’accompagnava a leggere l’Epistola, il Vangelo e a fare l’omelia. È un prete pure lui. […] Alla comunione un prete in borghese arriva con un altro vassoio, prende metà delle focaccette e tutti si comunicano da soli.
Don Enzo Mazzi, leader della comunità dell’Isolotto di Firenze: «Che Guevara aveva un aspetto messianico. Abbiamo simpatizzato per le rivoluzioni socialiste nel Terzo Mondo perché quello era il modo di attuare il Vangelo».
Ettore Masina, giornalista politico, testimonia: «Padre Davide Turoldo, siccome Paolo VI non attuava audacemente la via della collegialità, arrabbiato affermò: “Questo Papa bisogna ucciderlo!”».
Nella Lettera al superiore di undici novizi francescani di Milano, nella primavera del 1968, era scritto: «Non vogliamo essere frati minori, poiché non sappiamo cosa vuol dire essere frate minore. Vogliamo essere religiosi atei. Vogliamo cessare di essere i professionisti o i professori di Dio. Il nostro ordine è per noi qualcosa di estremamente secondario, perché l’ordine nostro sono gli uomini».
Nella rivista milanese Il Confronto, ottobre 1968, si incita, senza vergogna, la cosiddetta eretica chiesa modernista a fare uno scisma dalla Chiesa Cattolica e si indicano anche i “campioni” di questo scisma: «E ancora lecito essere cattolici? E la Chiesa pacelliana che non è cattolica (sic!). Mai più obbedienza. Lo scisma c’è. Ora deve dichiararsi. Meglio un antipapa che la putrefazione dell’esperienza religiosa. Gli ignoranti, i sanfedisti, i clericali e i reazionari si tengano la Chiesa di Bellarmino e di Pacelli. I nuovi cattolici facciano lo scisma. E voi, i pochi che nell’alta gerarchia avete la nostra fiducia: voi, gli Alfrink e i Suenens e i Dopfner e i Pellegrino e gli Herder Camara, il tempo della prudenza è finito. Contate i vostri seguaci e, qualunque sia il vostro numero, uscite dalla Chiesa che non vi merita più, se è vero che non ci avete ingannato. Il cattolicesimo nuovo è già nato» (cfr. pp. 49-64).

Padre Pio e la messa moderna
Padre Pio vuole che l’immutabile S. Messa di sempre non sia cambiata, prevede la rivoluzione incombente e ottiene dal Papa di continuare a celebrare la S. Messa di sempre. Il cardinale Antonio Bacci, per conto di Papa Paolo VI, il 9 marzo 1965, porta a Padre Pio il documento con cui il Papa lo autorizzava a continuare a celebrare la Messa secondo il rito di sempre, il rito che aveva forgiato centinaia di santi. Il Papa che quattro anni dopo avrebbe varato la versione definitiva del Novus Ordo Missae, permettendo che gli inventori del nuovo rito lo imponessero con una prepotenza intellettuale e pastorale di rara efficacia, concedeva al frate delle stigmate di sottrarsi a quelle innovazioni che proprio nel 1965 cominciavano a essere introdotte nel Messale.

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[…] «Padre Pio era preoccupato delle diverse riforme e novità che agitavano la Chiesa e che rinfocolavano le divisioni tra i padri conciliari».
In realtà, la riforma liturgica che, stravolgendo il rito, avrebbe stravolto gli altari e le chiese oltre alla fede di tanti ignari cattolici, era ancora in fase di elaborazione. Inventata ex novo dal Consilium ad exsequendam constitutionem de Sacra Liturgia, l’organismo preposto alla redazione del nuovo testo del Messale romano in cui fece la parte del leone l’arcivescovo in fortissimo odore di massoneria Annibale Bugnini, sarebbe entrata in vigore, in maniera definitiva, nel 1969.
Dal 7 marzo, però, del 1965, prima domenica di quaresima, si erano già tentate delle sperimentazioni che, in breve, avrebbero portato irreparabilmente alla rivoluzione premeditata. L’operato di Bugnini non fu apprezzato troppo neanche nei sacri palazzi se, invece di essere premiato con la porpora cardinalizia, nel 1976 fu esiliato in fretta e furia come pro-nunzio apostolico in Iran. Ma era troppo tardi (cfr. pp. 65-67).

“Il concilio? Per pietà, finitelo presto!”
Padre Pio aveva capito, o visto, tutto molto prima. Non gli piaceva lo spirito innovatore che circolava nella Chiesa ed era inquieto davanti ai fermenti tumultuosi che scuotevano il Concilio Vaticano II ormai agli sgoccioli. Più di una volta si era lamentato della situazione e aveva parlato dolorosa-mente di una «Chiesa senza nocchiero», spiegando che «il pesce comincia a puzzare dalla testa».

Il card. Bacci e P. Pio.
Lo disse anche al card. Bacci che, per conto del Papa, gli chiedeva che cosa pensasse del Concilio: «Per pietà, il concilio, finitelo in fretta!». L’episodio è rivelato nella Piccola cronologia per la causa di beatificazione di Padre Pio redatta da Giuseppe Pagnossin, ma è confermato da un’altra fonte, padre Carmelo Durante da Sessano che fu a lungo vicino a Padre Pio. La testimonianza è riportata in un articolo uscito su Il Settimanale, il 4 gennaio 1975: «A rivelare pubblicamente l’episodio è stato padre Carmelo da Sessano. […] Si è sbilanciato nel corso di una conferenza stampa passata pressoché inosservata e indetta per la presentazione del libro Padre Pio da Pietrelcina: il Cireneo di tutti, edito dal Centro culturale francescano e scritto da padre Alessandro da Ripabottoni, della provincia monastica di Foggia. […] “Il nostro confratello”, ha spiegato Padre Carmelo da Sessano, “non era tanto contrario al Concilio, quanto preoccupato della piega che aveva preso. Temeva le innovazioni irrompenti, diffidava del fronte olandese che con austriaci ed altri si era già costituito”.
Il Padre aveva ben presente l’ammonimento lanciato contro chi intendesse mutare anche un solo iota della santa dottrina. (cfr. pp. 67-68).

L’eresia anti-liturgica
Padre Pio aveva intuito che l’eresia montante, era quella che Dom Prosper Guéranger, abate benedettino di Solesme e grande cultore della liturgia aveva definito già nel XIX secolo “eresia anti-liturgica”, un movimento anticristico perennemente all’attacco là dove il cristianesimo è autentico.

Dom Prosper Guéranger
Dom Guéranger, nel saggio L’eresia anti-liturgica e la riforma protestante, descrisse in anticipo l’opera corruttrice del modernismo e del neo-modernismo nel XX secolo, mostrando i principi e gli effetti disastrosi della riforma protestante. Lutero pretese di liberare l’uomo dal Magistero della Chiesa e dalla liturgia cattolica.
Esattamente le due cosiddette schiavitù su cui Padre Pio fondava la sua santificazione:

a) sottomissione a Roma, al papato;
b) il sacrificio della S. Messa di sempre.
Non serve troppa fantasia per scoprire che i risultati della riforma protestante denunciati da Dom Guéranger, sono gli stessi che flagellano la Chiesa cattolica a partire dagli anni Sessanta. Basta scorrere alcuni titoli dei paragrafi dell’opera dell’abate di Solesmes:

• Odio della Tradizione nelle formule di culto;
• Sostituzione delle formule ecclesiastiche con letture della Sacra Scrittura;
• Introduzione di formule erronee;
• Abituale contraddizione con i principi;
• Eliminazione delle cerimonie e delle formule che esprimono i misteri;
• Estinzione dello spirito di preghiera;
• Esclusione dell’intercessione della Vergine e dei santi;
• Uso completo del volgare nel servizio divino;
• Diminuzione del numero delle preghiere;
• Odio verso Roma e le sue leggi;
• Distruzione del Sacerdozio;
• Il principe, capo della religione.
[…] Del resto Lutero, parlando dell’odiata Roma, spiegava ai suoi seguaci: «Quando avremo girato i loro altari, avremo distrutto la loro religione». Proprio ciò che temeva Padre Pio (cfr. pp. 68-70).

La messa di Padre Pio
Era molto lunga. Al memento passava oltre un’ora. Si immedesimava completamente nel Sacrificio della Croce e viveva tutti i momenti della Passione di Gesù. […]
Ai sacerdoti insegnava a dividere la giornata in due parti:

1) la prima in preparazione al divino sacrificio;
2) e la seconda in ringraziamento.

Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote
In uno dei Diari, tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta, Gesù stesso spiega a Padre Pio che cos’è la S. Messa:
«Pensate che il sacerdote che mi chiama tra le Sue mani ha un potere che neanche a Mia Madre concessi; riflettete che se, invece di un sacrestano, servissero il sacerdote i più eccelsi serafini, non sarebbero abbastanza degni di stargli vicino. […] E degno allora starsene alla Messa pensando altro che a Me? […] Considerate l’Altare non per quello che lo hanno fatto gli uomini, ma per quello che vale, dato dalla Mia presenza mistica, ma reale. […] Guardate l’Ostia, vedrete Me umiliato per voi; guardate il Calice in cui il Mio Sangue ritorna sulla terra ricco com’è di ogni benedizione. Offritemi, offritemi al Padre, per questo Io torno tra voi. […] Se vi dicessero: “Andiamo in Palestina a conoscere i luoghi santi dove Gesù ha vissuto e dove è morto”, il vostro cuore sussulterebbe, è vero? Eppure l’Altare sul quale Io scendo ora è più della Palestina, perché da questa me ne sono partito venti secoli fa e sull’altare Io ritorno tutti i giorni vivo, vero, reale, sebbene nascosto, ma sono Io, proprio Io che palpito tra le mani del Mio ministro, Io torno a voi, non simbolicamente, oh no, bensì veramente; ve lo dico ancora; veramente […]. Getsemani, Calvario, Altare! Tre luoghi di cui l’ultimo, l’Altare, è la somma del primo e del secondo; sono tre luoghi, ma uno soltanto è Colui che vi troverete. […] Portate i vostri cuori sul corporale santo che sorregge il Mio Corpo; tuffatevi in quel Calice divino che contiene il Mio Sangue. È lì che l’Amore stringerà il Creatore, il Redentore, la vostra Vittima ai vostri spiriti; è lì che celebrerete la gloria Mia nell’umiliazione infinita di Me stesso. Venite all’Altare, guardate Me, pensate intensamente a Me […]» (cfr. pp. 70-74).

Il nuovo mondo ha bisogno della vecchia messa
Sono bastati pochi decenni di scellerate riforme per cancellare una pagina tanto sublime. Privati della nozione di sacrificio, tanti buoni cattolici si sono spenti, tanti altri hanno perduto la fede, altri ancora hanno scambiato per fede il solo esercizio caritativo privo di dottrina e di fervore. Si sono trasformate le chiese in palchi da comizio, nell’illusione di attrarre i lontani e, invece, si è finito per perdere i vicini.
Si è pensato che l’agitarsi nel mondo, secondo al sua logica antievangelica, danzando al suono delle musiche dei suoi pifferai portasse più frutti che stare immobili davanti all’altare. Si è pensato che l’efficienza portasse la vera salvezza in un mondo che la Chiesa non era ancora riuscita a rendere perfetto. Si è pensato che la vecchia Messa fosse troppo vecchia per un mondo nuovo. E, invece, era proprio di quella vecchia Messa che il mondo nuovo aveva bisogno. Negargliela è stato il più grande tradimento che si potesse commettere nei suoi confronti. Non si poteva creare arma più terribile ed efficace per gettare il mondo nuovo nelle mani del Nemico.
[…] Non c’è scudo più efficace della S. Messa di sempre per trattenere la collera di Dio davanti alle infedeltà delle sue creature, di tutte le creature. Non c’è strumento più efficace per forgiare in quelle creature infedeli dei figli degni di entrare nella casa del Padre.
[…] Nel libretto La Santa Messa, scriveva dom Guéranger: «Attraverso il sacrificio divino possiamo agire su Dio stesso, senza che Egli abbia il diritto d’essere indifferente ad esso, poiché altrimenti attenterebbe alla sua stessa gloria. […] Neppure una Santa Messa si celebra senza che si compiano i quattro fini del gran sacrificio:

1) l’adorazione,
2) il ringraziamento,
3) la propiziazione
4) e l’impetrazione» (cfr. pp. 75-76).

Eclissi della Messa, eclissi della Fede
Una voragine nelle mura di Gerusalemme. Il timore di non potere più celebrare la S. Messa di sempre aveva indotto Padre Pio a ricorrere al Papa, un gesto inusuale per il frate votato all’obbedienza fino al martirio. Solo la consapevolezza della gravità di ciò che si stava consumando e la visione delle tremende conseguenze che ne sarebbero discese, può aver spinto Padre Pio a osare tanto.

Padre Pio, sacerdote crocifisso.
Fin dalle prime avvisaglie, era chiaro che la riforma liturgica avrebbe oscurato l’aspetto sacrificale della Messa per esaltare in chiave filo-protestante quello conviviale. Ciò inquietava l’anima di Padre Pio che conosceva bene la frase di S. Agostino: «Sacerdote perché sacrificio».
[…] L’eclisse della Messa come sacrificio avrebbe portato all’eclisse della fede cristiana, della vita cristiana, della luce cristiana nel mondo. «Se il santo sacrificio della Messa cessasse», scrive dom Guéranger, «non tarderemmo a ricadere nell’abisso di depravazione in cui si trovavano i pagani, e questa sarà l’opera dell’Anticristo».
Padre Pio non avrebbe mai compiuto o avallato un gesto o un’intenzione che potessero svilire e indebolire l’efficacia del Divin Sacrificio. Ma era proprio ciò che si stava preparando e lui lo vedeva con chiarezza.
Il Padre capiva la drammaticità di quei momenti, generalmente scambiata come travaglio dell’inizio di una nuova e radiosa epoca, era un unicum nella storia della Chiesa. Non si trattava più di singoli sacerdoti indegni che disonoravano la Messa che nella sua oggettività rimaneva inalterata: qui si andava a tradire la natura stessa della Messa, trasformandola in qualcosa di diverso (cfr. pp. 76-78).

Effetti negativi
Nei decenni successivi si videro i frutti negativi di quella riforma. Conventi e monasteri svuotati, decimazione delle vocazioni, infatuazione per il mondo e per le sue sirene dolcemente anticristiche, sovreccitazione da spirito di riforma continua con inevitabile abbandono di ogni senso della gerarchia e dell’obbedienza, curati che si ribellano ai parroci, parroci che si ribellano ai vescovi, vescovi che si ribellano al Papa, sacramenti scambiati per piccola burocrazia da evitare, confessionali deserti, pratica della preghiera ridotta al lumicino, creatività liturgica spinta fino alla parodia, affievolimento della fede nella Presenza Reale, tabernacoli svuotati e tolti dagli altari, il Santissimo nascosto nelle sacrestie, altari ridotti a tavolini da mensa aziendale, reliquie e libri sacri svenduti ai mercatini dei robivecchi.
[…] Tutti cattivi frutti dell’abbandono della Messa di sempre e della buona dottrina che, naturalmente e soprannaturalmente, le si accompagna. Padre Pio vide tutto questo e chiese al Papa la dispensa dal celebrare la nuova messa. Lui che era obbediente in tutto, chiese di essere dispensato dall’obbedire a questa riforma liturgica. Lui che aveva accettato di scrivere e firmare sotto dettatura dichiarazioni in cui liberava da ogni responsabilità i suoi aguzzini. Lui che aveva patito in silenzio le angherie e le calunnie più odiose di uomini di Chiesa. Lui che non aveva mai osato criticare un superiore neanche quando veniva trattato da bugiardo e si negava l’evidenza delle stigmate donategli da Gesù. Lui, che aveva sopportato in silenzio tutto questo, non poteva accettare di celebrare il sacrificio divino secondo un messale inventato da degli intellettuali a propria immagine e somiglianza. Si oppose secondo il suo stile, con mitezza, ma fermamente. Sapeva che ci si poteva opporre a quella che lui chiamava “l’epoca dello scatascio”, solo rimanendo immerso nella sua Messa, la Messa dei santi.
[…] Dopo di lui la Messa viene accorciata, i sacerdoti celebrano di fretta; il rosario è considerato una preghiera che ha fatto il suo tempo e che stanca la gente; il bene si accorcia e il male si allunga (cfr. pp. 78-80).

Breve esame critico
Come scrissero i Cardinali Ottaviani e Bacci nel Breve esame critico del Novus ordo Missae, presentato a Papa Paolo VI il 13 settembre 1969, «la nuova messa rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica.
[…] I nuovi mutamenti nella liturgia porterebbero al totale disorientamento dei fedeli che già danno segni di insofferenza e di inequivocabile diminuzione di fede».
Nell’ottobre 1967 il sinodo episcopale, convocato a Roma, rigettò la nuova messa normativa “fabbricata” da Bugnini e dal Consilium ad exequendam. La definizione della Messa nel tristemente famoso paragrafo 7 è di tipo protestante e non implica né la Presenza Reale, né la realtà del Sacrificio, né la sacramentalità del sacerdote consacrante, né il valore intrinseco del Sacrificio eucaristico indipendentemente dalla presenza dell’assemblea. Non implica nessuno dei valori dogmatici essenziali della Messa e che ne costituiscono la vera definizione. Qui l’omissione di questi valori equivale alla loro negazione.
Papa Paolo VI, forse in seguito alla lettura del Breve esame critico o ad un intervento del card. Journet, corresse proprio il paragrafo 7 dell’Institutio generalis (I.G.M.R.). Ma il Messale, che su quella definizione errata si basava, non fu modificato (cfr. pp. 80-85).

Padre Pio e San Pio X
Padre Pio aveva scelto questo nome in omaggio a San Pio X. Papa Sarto era il Papa della lotta senza quartiere alla peste modernista, alla massoneria, all’americanismo. Era il Papa della buona dottrina, del catechismo, della vera e cattolica rinascita liturgica. Era il Papa della santità sacerdotale.
Era tanta la devozione di Padre Pio per San Pio X che si recò in bilocazione sulla sua tomba nelle grotte vaticane, prima che venisse portato agli onori degli altari. Lo vide Don Luigi Orione, anche lui canonizzato, che raccontò l’episodio a Papa Pio XI. «Se me lo dite voi – gli rispose in totale semplicità il pontefice – ci credo!» (cfr. pp. 86-87).

Guai a chi tradirà San Francesco!
Padre Pio era contro le nuove Costituzioni dei Cappuccini modificate dopo il Vaticano II. «Al giudizio di Dio, S. Francesco non ci riconoscerà come figli». […]
Nel 1967 prese a male parole anche il definitore generale dell’ordine che stava esaltando i cambiamenti delle nuove Costituzioni: «Ma che state facendo a Roma? Ma che state combinando? Questi vogliono toccare perfino la Regola di san Francesco». «Ma Padre, si fanno questi cambiamenti perché i giovani non vogliono saperne di tonsura, abito, piedi nudi…». «Cacciateli via! Cacciateli via! Ma che son loro che fanno un favore a san Francesco a prendere l’abito e la sua forma di vita, o è san Francesco che fa un dono a loro?». […]
Quei giovani che non volevano saperne di tutte quelle cose, in realtà volgevano le spalle a Cristo. Proprio come si apprestavano a fare girando gli altari per celebrare liturgie più gradevoli al palato di un mondo palesemente anticristico (cfr. pp. 94-97).

I Francescani dell’Immacolata
Hanno ripreso il Messale di sempre che essi avevano preso dalla cappella papale, la quale, prima ancora l’avevano preso proprio dai francescani. Questi francescani hanno associato il ritorno alle fonti francescane (secondo una vera riforma cattolica) al recupero della liturgia antica. […] Mentre tutti quegli ordini e quelle famiglie religiose che si sono illusi di trarre nuova vita lungo la via larga di una scriteriata apertura al mondo, si vanno spegnendo, questi figli di san Francesco incamminati lungo la via stretta continuano a richiamare un gran numero di anime in cerca della perfezione evangelica (cfr. pp. 111-114).

Anni ’60, inizio della fine degli ordini religiosi
«Tra il 1965 ed il 2005 – ha detto Padre Stefano Maria Manelli – i gesuiti sono praticamente dimezzati; i domenicani, i salesiani, i cappuccini si sono ridotti di almeno un terzo. Se i religiosi in totale erano 329.799 nel 1965, quarant’anni dopo il Vaticano II ne restano 214.903. Circa 115.000 religiosi, più di un terzo, sono venuti meno in questi 40 anni. Non era difficile immaginare dove si sarebbe arrivati snaturando la Messa. Il religioso muore al mondo per vivere a Dio, cioè compie un sacrificio. Il religioso è un’ostia e la vita religiosa una messa mistica» (cfr. pp. 114-115).

Cattiva liturgia, cattiva dottrina
Questo era quanto paventava Padre Pio a proposito della riforma liturgica. «La vita religiosa», continua Padre Stefano Maria Manelli, «ha subito ancora di più l’incidenza negativa del Novus Ordo, in quanto la vita religiosa è una vita anzitutto liturgica. […] Una vita religiosa in rovinosa retromarcia, com’è oggi, non può che essere testimonianza di una liturgia in deficit di consistenza e di forza vitale. Nel post-concilio i religiosi non solo hanno risentito ma hanno anche propagato tra i fedeli le deformazioni liturgiche che nell’ultimo quarantennio sono andate estendendosi in modo esponenziale. E, con tali deformazioni, hanno propagato anche errori dottrinali» (cfr. pp. 115-117).

Il demonio esiste (pp. 121- 143)
Una mattina si presenta a Padre Pio, in confessionale, un signore alto, snello, vestito con una certa raffinatezza e dai modi gentili e garbati. Si accusa di ogni genere di peccati: contro Dio, contro il prossimo, contro la morale. Dopo la riprensione di Padre Pio di ogni peccato dimostrando che ognuno era contro la Parola di Dio, contro il Magistero e contro la morale dei santi, quel personaggio giustificava con grande abilità e garbo, ogni genere di peccato, svuotandolo di ogni malizia e cercando di rendere normali tutti gli atti peccaminosi. Padre Pio, illuminato su chi era costui, gli disse: «Dì: viva Gesù e viva Maria», e quel personaggio, che era il Demonio camuffato, sparì all’istante in un guizzo di fuoco, lasciando dietro di sé un’insopportabile fetore. Il tempo in cui viviamo è pieno di persone vestite con una certa raffinatezza e dai modi gentili che cerca di giustificare ogni genere di peccato e di delitto (cfr. pp. 134-135).
La visione del 1903 descrive la missione di Padre Pio come un combattimento contro il diavolo e i suoi satelliti, per salvare anime (cfr. pp. 136-140).

Le anime del Purgatorio (pp. 144-152)
Per Padre Pio bisogna considerare con molta serietà i Novissimi e avere una grande e amorosa devozione per le anime del purgatorio. E soltanto a partire dal Novecento che si sono diffuse convinzioni di origine luterana e protestante anche in seno alla Chiesa Cattolica, miranti a negare l’esistenza del purgatorio. […] Padre Pio sapeva bene che le radici di questo rifiuto affondavano nel protestantesimo (cfr. pp. 144-149).

Padre Pio contro l’ecumenismo moderno
Nel suo quaderno autografo si trovano espressioni inequivocabili in merito al protestantesimo e ai suoi “padri nobili”, espressioni che oggi metterebbero in grave imbarazzo molti ecumenisti d’assalto, secondo i quali tutte le confessioni cristiane si equivalgono.

«Ora – scrive Padre Pio – nessun’altra, divisa dalla Chiesa romana, ha la nota della santità.
1) Indegnità morale dei fondatori. Primo, perché non altri fondatori riconoscono se non che Lutero, Calvino e compagnia bella, pieni di superbia, zeppi di vizi fino agli occhi, i quali si divisero dalla Chiesa per assecondare le loro malvagie passioni dalle quali erano dominati.
2) Dottrina empia ed eretica. Ma il problema non sta solo nell’indegnità dei fondatori. Il guaio è che la dottrina che questa sette insegnano è empia ed immorale. Infatti insegnano che è tempo perduto e cosa sacrilega ricorrere all’intercessione dei santi e specialmente di Maria Santissima, e che le loro immagini si debbano calpestare e gettare nel fuoco; e che la sola fede basta a salvarsi, quindi la bestemmia, l’impudicizia, il sacrilegio non impedirebbero all’uomo di potersi salvare, purché creda».
Padre Pio, come la gran parte dei suoi contemporanei, aveva studiato bene le quattro note essenziali che la dottrina cattolica attribuiva alla Chiesa (unità, santità, cattolicità, apostolicità) e dunque gli risultava del tutto naturale trarre le dovute conseguenze (cfr. pp. 149-150).
Quando a Padre Pio gli si presentavano persone di altre confessioni cristiane, come ad esempio ortodossi o protestanti, il frate non si limitava a suggerire un generico “abbraccio ecumenico”, non enfatizzava solo i “punti in comune”, non esortava a “restare ognuno con coerenza nella propria Chiesa”. Il santo metteva invece le anime di fronte alle solite decisioni radicali: o di qua, o di là. Facendo capire che, anche per la salvezza dell’anima, faceva una gran bella differenza (cfr. p. 176).

Gravità del peccato (pp. 153-177)
Padre Pio aveva una percezione assoluta della gravità del peccato e di ogni peccato. Il cappuccino non disdegnava, con certi penitenti riottosi, di usare le maniere forti. Passava tantissimo tempo in confessionale, mentre oggi tanta gente ha abbandonato il sacramento della confessione e ha fiducia nel lettino dello psicanalista o nella riunione settimanale con il personal trainer e mentre in certe chiese olandesi i confessionali sono stati trasformati in ripostigli per gli attrezzi delle pulizie.
Padre Pio esigeva che il penitente facesse bene l’esame di coscienza, si accusasse dei peccati senza omissioni intenzionali, che avesse un pentimento e un dolore sincero per averli commessi, che facesse il proposito altrettanto sincero di non commetterli più, evitando le occasioni e che facesse bene la penitenza assegnata dal confessore. […]
Convertì Carlo Campanini e attraverso lui, tanti attori e attrici: Erminio Macario, Elsa Merlini, Lisa Gastoni, Silvana Pampanini, Nino Taranto, Tino Scotti, Carlo Dapporto, Mario Riva. […] La pedagogia di Padre Pio cancella in un colpo solo l’immagine di un Dio solo bonario e perfino bonaccione, con il quale è sempre possibile giungere ad un compromesso, ad un accomodamento. […]
«La bestemmia è la via più sicura per andare all’inferno», diceva. Avrebbe potuto dire che chi bestemmia “rompe il suo rapporto di amicizia con Dio”, oppure che i bestemmiatori “si allontanano dalla fedeltà alla Parola”, invece, senza usare giri di parole afferma una cosa molto concreta e chiarissima (cfr. pp. 154-174).

Convertire, voce del verbo “diventare cattolici”
Convertirsi significa trasformarsi in Cristo, e quindi ricevere la gioia della fede cattolica, la grazia dei sacramenti, l’amore per i sacramenti. Padre Pio convertì molti massoni (cfr. pp. 174-177).

I fioretti di San Giovanni Rotondo (pp. 178-202)
Padre Pio, nella sua famiglia, venne chiamato Francesco, in onore di S. Francesco di Paola e come quel santo fece moltissimi miracoli. In questo capitolo si trova un lungo elenco di prodigi. […] Diceva P. Pio: «Basterebbe un giorno senza nessun aborto e Dio concederebbe la pace al mondo fino al termine dei giorni» (cfr. p. 202).

Tutto con Maria SS. Tutto di Maria SS. (pp. 203-216)
«Solo accomunando la Madonna al tuo sacerdozio diventerai efficace nel campo della grazia, per far germinare i figli di Dio e i santi sulla terra», diceva P Pio ai sacerdoti (p. 203).

San Pio e il S. Rosario erano inseparabili.
La Messa è la ripetizione del Sacrificio di Cristo, non una festa pop. C’è una differenza enorme tra la Messa di Padre Pio e le messe cui ci è toccato assistere a partire dalla “riforma” seguita al Vaticano II. Un processo di banalizzazione progressiva e inesorabile che ha letteralmente svuotato la celebrazione del suo contenuto, che ne ha fatto un piccolo show recitato a soggetto, lontano anni luce dal maestoso ed essenziale rito antico” (pp. 205-206).
La Chiesa cattolica è in crisi perché è in crisi il sacerdozio. Una crisi preparata e propiziata da decenni di sciagurata teologia che ha omologato il prete a qualunque altro battezzato, che ha insistito in modo patologico solo sull’esistenza del sacerdozio universale dei fedeli, che ha mortificato e reso insignificante il sacerdozio ministeriale (pp. 207- 209).
In Chiesa si fa silenzio. La Chiesa non è il luogo di ritrovo della comunità dei protestanti o il teatro neutrale che ospita la celebrazione del rito. Il Tabernacolo deve stare al centro della Chiesa e si deve fare la debita genuflessione (pp. 209-211).
Gesù, il 12 marzo 1913, dice a Padre Pio: «La mia casa è divenuta per molti un teatro di divertimenti» (cfr. Epistolario, voi. I, lettera n. 118, p. 342). Padre Pio, il 25 luglio 1915, ad una sua figlia spirituale, indica come ci si comporta in chiesa (cfr. Epistolario, voi. III, lettera n. 9, pp. 87-89)” (pp. 211-212).
Il modo di vestire in chiesa deve essere diverso da quello del tempo libero o per la spiaggia. S. Giovanni Bosco raccomandava: «Dopo la comunione trattenetevi almeno un quarto d’ora a fare il ringraziamento». Sarebbe una grave irriverenza se, dopo pochi minuti aver ricevuto la SS. Eucaristia, uno uscisse di chiesa o, stando al suo posto, si mettesse a ridere, chiacchierare, guardare di qua e di là per la chiesa (pp. 213-214).
Padre Pio recitava, ovunque, in cella, nei corridoi, in sacrestia, salendo e scendendo le scale, da 40 a 50 S. Rosari al giorno. Di fronte allo stupore del suo interlocutore chiedeva: «Come fai tu a non recitarli?». Diceva che il Demonio cercherà sempre di distruggere questa preghiera, ma non ci riuscirà mai perché è la preghiera di Colei che trionfa su tutto e su tutti. E Lei che ce l’ha insegnata, come Gesù ci ha insegnato il Pater noster. Poco prima di morire, ai suoi confratelli e figli spirituali, ripeteva: «Amate la Madonna e fatela amare. Recitate sempre il Rosario» (pp. 214-216).
Per la potenza di profezia mostrata da P. Pio possiamo affermare con certezza: ciò che approva P. Pio, è perché prima quella cosa è approvata da Gesù stesso; ciò che P. Pio disapprova è perché prima quella cosa è disapprovata da Gesù stesso.
GIURAMENTO CHE I PAPI FANNO AL MOMENTO DELL’ ELEZIONE
Io prometto:
• di non diminuire o cambiare niente di quanto trovai conservato dai miei probatissimi antecessori, e di non ammettere qualsiasi novità, ma di conservare e di venerare con fervore, come vero loro discepolo e successore, con tutte le mie forze e con ogni impegno, ciò che fu tramandato;
• di emendare tutto quanto emerga in contraddizione alla disciplina canonica, e di custodire i sacri Canoni e le Costituzioni Apostoliche dei nostri Pontefici, quali comandamenti divini e celesti, (essendo io) consapevole che dovrò rendere stretta ragione davanti al (Tuo) giudizio divino di tutto quello che professo.
Io che occupo il Tuo posto per divina degnazione e fungo come il tuo Vicario, assistito dalla Tua intercessione. Se pretendessi di agire diversamente, o di permettere che altri lo faccia, Tu non mi sarai propizio in quel giorno tremendo del divino giudizio… (pp. 43 o 31).
Perciò, ci sottoponiamo al rigoroso interdetto dell’anatema, se mai qualcuno, o noi stessi, o un altro, abbia la presunzione di introdurre qualsiasi novità in opposizione alla Tradizione evangelica, o alla integrità della Fede e della Religione, tentando di cambiare qualcosa all’integrità della nostra Fede, o consentendo a chi pretendesse di farlo con ardire sacrilego» (Liber Diurnus Romanorum Pontificum, pp. 54 o 44, P.L. 1 o 5).
FONTE: fedeecultura.it

COSE ... MIRABILI

 


Viaggi e profumi


Padre Pio ebbe ed ha il dono di viaggiare in ogni parte del mondo per aiutare gli ammalati, prevenire incidenti, raddrizzare le coscienze, risolvere problemi. Viaggi dopo la morte.  Padre Pio va in sogno. Il profumo di Padre Pio.

I viaggi di Padre Pio in BILOCAZIONE.

 

 

Giovanna Rizzani

 

 

Giovanna Rizzani

Convento di Sant'Elia a Pianisi ai tempi di Padre Pio

Da Sant'Elia a Pianisi a Udine

Durante la permanenza a Sant’Elia a Pianisi, a 17 anni, il 18 gennaio 1905, accadde il primo fenomeno di bilocazione, che lo stesso fra Pio, dopo circa un mese, descrisse su un foglio: «Giorni fa mi è capitato un fatto insolito: mentre mi trovavo in coro con fra Anastasio, erano circa le ore 23 del 18 del mese scorso [gennaio 1905], quando mi ritrovai lontano, in una casa signorile, dove il padre moriva, mentre una bambina nasceva. Mi apparve allora Maria Santissima che mi disse: “Affido a te questa creatura; è una pietra preziosa allo stato grezzo: lavorala, levigala, rendila il più lucente possibile, perché un giorno voglio adornarmene”... “Come sarà possibile, se io sono ancora un povero chierico e non so se un giorno avrò la fortuna e la gioia di essere sacerdote? Ed anche se sarò sacerdote, come potrò pensare a questa bambina, essendo io molto lontano da qui?”. La Madonna soggiunse: “Non dubitare, sarà lei che verrà da te, ma prima la incontrerai in San Pietro...”. Dopo di ciò mi sono ritrovato nuovamente in Coro." ( Epistolario IV, 1027-9) (D'Apolito, Padre Pio, 315-6)

Quanto scritto da fra Pio poteva anche far pensare ad un sogno. Ma si rimane profondamente colpiti quando si viene a sapere che l’intera vicenda si è poi realizzata esattamente così come scritto su quel foglio. Si ritiene di aprire una breve parentesi per accennare a quanto effettivamente avvenuto.

 

Pagina autografa di Padre Pio riguardo alla bilocazione, febbraio 1905

 

La neonata Giovanna Rizzani con la madre

 

 

Da Udine a Roma

Giovanna Rizzani: questo il nome della bambina nata a Udine intorno alle ore 23 del 18 gennaio 1905, mentre il padre, il marchese Giovanni Battista Rizzani, colpito da infarto, moriva. Dopo la morte del marchese, la famiglia si trasferì a Roma. In un tardo pomeriggio dell’estate 1922, Giovanna, ormai diciassettenne studentessa liceale, si recò con una amica nella Basilica di San Pietro, dove, visto un frate cappuccino, lo pregò di ascoltare la sua confessione. Il frate le rispose di si ed entrò nel secondo confessionale a sinistra entrando nella Basilica. Giovanna gli disse: «Padre, non sono venuta per confessarmi, ma per essere illuminata in tanti dubbi di fede, che mi tormentano, specialmente quello sul mistero della SS. Trinità». Il frate ebbe per lei affettuose parole di conforto, e con calma e pazienza seppe dissiparle ogni ombra di dubbio. Giovanna, ricevuta la benedizione, rasserenata e piena di gioia, si spostò dallo sportello del confessionale e andò verso l’amica dicendole: «Quanto è buono questo frate! È un sacerdote dotto e santo. Mi ha dissipato ogni dubbio… Aspettiamo che esca dal confessionale per chiedergli l’in-dirizzo della sua residenza, così quando avremo bisogno di confessione e di consigli, andremo da lui». Al sagrista, che annunciava la chiusura della Basilica, le due ragazze dissero che aspettavano il frate confessore. Il sagrista, avvicinatosi al confessionale, disse: «Signorine, qui non c’è nessuno». Il frate si era come volatilizzato. (D'Apolito, Padre Pio, 317-21)

Confessionale nella Basilica di San Pietro

 

Giovanna Rizzani

 

 

San Giovanni Rotondo

L’anno dopo, nelle vacanze estive del 1923, Giovanna, avendo sentito parlare di Padre Pio, si recò con una zia e due amiche a San Giovanni Rotondo. E qui si mescolò alla folla che gremiva il corridoio che dalla sagrestia immette nella clausura del Convento. Giovanna si trovava in prima fila aspettando il passaggio di Padre Pio. E il Padre, passando, appena la vide le si avvicinò, le porse a baciare la mano e le disse: «Giovanna, io ti conosco. Tu sei nata il giorno in cui morì tuo padre». Giovanna rimase sbalordita, chiedendosi come il Padre poteva sapere che ella era nata lo stesso giorno in cui suo padre stava morendo. Il mattino del giorno successivo andò a confessarsi. Accostatasi al confessionale, subito Padre Pio le disse: «Figlia mia, finalmente sei venuta! Da quanti anni ti sto aspettando…». E Giovanna: «Padre, io non vi conosco. È la prima volta che vengo a S. Giovanni Rotondo. Ho accompagnato la zia. Forse mi avete scambiata con qualche altra ragazza». Padre Pio replicò: «No, non mi sono sbagliato, né ti ho scambiato con un’altra ragazza. Noi già ci siamo incontrati l’anno scorso. Rammenti? In un pomeriggio d’estate venisti con un’amica in San Pietro, a Roma, in cerca di un sacerdote che dissipasse dalla tua mente i dubbi che ti affliggevano. Quel frate cappuccino ero io!». E poi: «Figlia mia, tu mi appartieni. Sei stata affi-data alle mie cure dalla Madonna. Quando io risposi alla Madonna che mi sarebbe stato impossibile prendere cura della tua anima a causa della lontananza, Ella mi disse: “Non dubitare, sarà lei che verrà da te, ma prima la incontrerai a San Pietro”. L’anno scorso t’incontrai in S. Pietro, ora sei venuta qui, a S. Giovanni Rotondo, spontaneamente, senza che io ti avessi chiamata. È ora che io prenda cura dell’anima tua, come vuole la Mamma celeste». Giovanna, in lacrime, gli chiese: «Padre, poiché io vi appartengo, prendetevi cura di me. Ditemi che cosa debbo fare. Mi devo fare suora?». E Padre Pio: «Nulla di questo. Tu verrai spesso a San Giovanni Rotondo; io avrò cura della tua anima e conoscerai la volontà di Dio». Giovanna, benedetta da Padre Pio, emozionata e in lacrime, si tolse dal confessionale. Da allora, più volte lasciò Roma per recarsi da Padre Pio. Dopo qualche tempo Padre Pio vestirà Giovanna da terziaria, imponendole il nome di suor Iacopa, la quale si sposò e continuò a recarsi frequentemente a San Giovanni Rotondo. (D'Apolito, Padre Pio, 322-7)

Incontro con Padre Pio in eta' matura

 

In seguito, Giovanna riuscì ad avere da padre Agostino il foglio nel quale Padre Pio aveva descritto nel lontano 1905 la nascita di una bimba mentre il padre moriva. Padre Agostino, al quale il foglio era stato consegnato dallo stesso Padre Pio, lo aveva conservato per poi, dopo molti anni, darlo alla diretta interessata. Giovanna mostrò il foglio a Padre Pio, il quale ne confermò l’autenticità. Allora, fattene alcune fotocopie, consegnò il foglio al Superiore del convento di San Giovanni Rotondo perché fosse messo a disposizione della Curia Arcivescovile di Manfredonia, dove poi ella sarà chiamata a testimoniare. (D'Apolito, Padre Pio, 328) (Ruffin, Padre Pio, 66-70)

Qualche giorno prima della morte di Padre Pio Giovanna Rizzani sentì la voce di Padre Pio che gli disse: Vieni subito a San Giovanni Rotondo perché' me ne vado. Se ritardi non mi vedrai più. Giovanna si precipitò, con l'amica Margherita Hamilton. Si confesso' e al termine Padre Pio le disse: "Questa e' l'ultima confessione che fai con me. Ora ti dò l'assoluzione di tutti i peccati commessi dall'uso della ragione fino a questo momento." (D'Apolito, Padre Pio, 332-3)

Giovanna assistette in visione alle ultime due ore della vita, sino alla morte di Padre Pio, e ne diede un racconto dettagliato all'amica Margherita. (D'Apolito, Padre Pio, 333-41). (Schug, A Padre, 14-30) (Bruno, Roads, (105-11) (Capuano, Con P. Pio, 247-50) (Ingoldsby, Padre Pio, 26-9) (Chiron, Padre Pio, 39-41)

Il 23 settembre 1983, la signore Giovanna Rizzani incontro un frate sul sagrato della chiesa di Santa Maria delle Grazie. Lo fermò e gli disse: "Lei e' padre Paolo Covino. L'ho visto la notte che mori' Padre Pio, il 23 settembre 1868. Lei gli amministrò l'olio santo nella sua cella." (Covino, Ricordi, 241-2)

Padre Alberto D'Apolito

 

 

Padre Paolo Covino assiste Padre Pio all'altare nell'ultima messa

 

 

 

 

Madre Teresa Salvadores

Madre Teresa Salvadores, selle suore di San Vincenzo dei Paoli, superiora del convento della medaglia miracolosa in Montevideo, Uruguay, era gravemente inferma e costretta a stare a letto nel mese di novembre del 1921. La suora aveva cancro all stomaco e doveva essere nutrita per iniezione, aveva anche una malformazione cardio-aortica, e sul fianco si era sviluppata una infiammazione della misura di un pugno. Il vicario della diocesi di Salto, in Uruguay, Mons. Vincenzo Damiani, era appena tornato da San Giovanni Rotondo con un guanto usato da Padre Pio. Madre Teresa Salvadores riporta: "Il 31 dicembre 1921 mi applicarono il guanto sul fianco e sulla gola. Io mi addormentai. Nel sogno vidi Padre Pio che toccava il mio fianco e la mia bocca, e mi disse molte cose che non sono di questo mondo. Quando mi svegliai, dopo tre ore, mi rivestii dell'abito religioso e andai giu' nella cappella, poi andai al refettorio e mangiai normalmente. Io non avevo fatto nessuno di queste cose negli ultimi tre mesi. Da allora non ho avuto alcun ritorno del cancro." (Napolitano, 139-141)  (De Liso, Padre Pio, 98-9)

 

Su questo fatto c'è la testimonianza del dr. Morelli, professore alla facoltà di medicina di Montevideo. Egli visitò madre Teresa Salvadores nel mese di gennaio del 1922, e di nuovo nel gennaio del 1925. Egli constatò che la suora era stata grandemente impegnata in tutte le sue attività nei tre anni trascorsi, senza nessun trattamento medico.

 

 

Monsignor Vincenzo Damiani

11 settempre 1941: Mons. Damiani, Uruguay

Il vicario generale di Salto, Uruguay, Mons. Vincenzo Damiani, che soffriva di cuore, in una visita a San Giovanni Rotondo si fece promettere da Padre Pio che lui l'avrebbe aiutato nei momenti finali della vita. L'11 settembre 1941, si svolgeva a Salto un convegno sulle vocazioni,  a cui parteciparono Mons. Damiani, il vescovo di Salto Mons. Alfredo Viola, e l'arcivescovo di Montevideo Mons. Antonio Maria Barbieri, lui stesso cappuccino, insieme ad altri vescovi e a tanti altri membri del clero.  Quella sera, appena dopo mezzanotte Mons Damiani ebbe un attacco cardiaco. Nello stesso momento Mons. Barbieri sentì aprire la porta della sua camera e una voce disse: "Va ad aiutare Mons. Damiani che sta morendo." Mons. Barbieri corse da Mons. Damiani. Mons. Damiani era ancora cosciente e chiese l'Estrema Unzione. Quattro vescovi e sei sacerdoti erano presenti al rito. Mons. Damiani morì raccolto in pace, pochi minuti dopo il rito. Sul comodino fu trovato un foglio di carta dove Mons. Damiani aveva scritto come per mandare un telegramma: "Padre Pio. San Giovanni Rotondo. Continui dolori cardiaci mi stanno consumando."

 

Diversi anni dopo, il 12 marzo 1949, Mons. Barbieri si recò a San Giovanni Rotondo, e volle parlare con Padre Pio di quanto era successo anni prima a Mons. Damiani. Padre Pio cercò di evitare le domande, e con un sorriso disse: "Se tu hai capito quello che successe, è inutile insistere." Anche Mons. Viola visitò Padre Pio, il 3 maggio 1949, e lasciò al convento uno scritto intorno alla morte di Mons. Damiani. (Agostino, Diario, 210-12, note 65, 66, 67)  (Ruffin, Padre Pio, 243-5) (Winowska, Il vero, 100-101) (Capuano, Con P. Pio, 251-2) (McCaffery, Tales, 33-4) (Bruno, Roads, 24-5) ( Gallagher, Padre Pio, 124) (Chiron, Padre Pio, 165-7) (De Robeck, Padre Pio, 86) (Ingoldsby, Padre Pio, 90) (Fernando da Riese, Crocifisso, 217-8)

 

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Monsignor Alfredo Viola parla con Padre Pio

Castellammare di Stabia

Padre Francesco Napolitano presentò a Padre Pio un gruppo di pellegrini provenienti da Castellammare di Stabia. Una delle donne del gruppo disse a Padre Pio: "Padre, io vi invoco tante volte al giorno!" Padre Pio: "E tu credi che io sono sordo. Mi esasperi lamentandoti continuamente di tante cose insignificanti. Sarebbe meglio che tu avessi un po' più di fede in Dio." (Napolitano, Padre Pio, 183)

 

St. Vincent, New York

Padre Giuseppe Pio ricordava una signora americana che si presentò al convento nel 1967. Poche settimane prima giaceva in un letto d'ospedale a St. Vincent Hospital, Greenwich, New York, morendo di cancro. Padre Giuseppe Pio ricordava particolarmente quella donna perché lui stesso è di New York. La donna disse che pregava Padre Pio mentre stava morendo. Padre Pio le comparve accanto al letto, le sorrise, la benedisse, e se ne andò senza dire una parola. La signora guarì completamente e fece il viaggio a San Giovanni Rotondo. (Gallagher, Padre Pio, 125)

Padre  Joseph Pius di New York

 

New York

Padre Francesco Napolitano descriveva ai frati radunati in refettorio il suo viaggio in America, specialmente a New York, che lui aveva visitato per la prima volta. Padre Pio lo ascoltò attentamente, poi disse: "Tu a new York ci sei stato una volta sola. Io ci sono stato centinaia di volte." (Napolitano, Padre Pio, 183)

 

Milwaukee

Padre Dominic Meyer, di Milwaukee, fu per tanti anni assistente di Padre Pio. Suo Padre un giorno gli disse: "Figlio mio, tu conosci così bene Padre Pio. Tu sei suo amico. Puoi chiedergli di venire ad aiutarmi quando arriva il mio momento?" Padre Dominic si fece coraggio e presento' a Padre Pio la richiesta del suo padre. Padre Pio non disse una parola, ma gli diede uno sguardo d'intesa e fece di sì col capo. Due anni dopo il padre morì a casa della sorella sposata, in Milwaukee. Quando Padre Dominic fu informato si precipitò a tornare ma arrivò ad esequie finite.  La sorella e il marito riferirono che un giorno, dato che era una bella giornata, lo sistemarono sul terrazzo a prendere il sole. Egli non girava da solo per la casa, e aveva bisogno di aiuto. Quando tornarono dopo poco sul terrazzo, non lo trovarono. Lo cercarono dovunque e finalmente lo trovarono nella sua stanza, morto. La sorella aggiunse: " Aveva la bocca semichiusa, e sulla bocca c'era un'Ostia."  (McCaffey, Tales, 33-4)

Padre Dominic Meyer di Milwaukee

 

America

Padre Rosario da Aliminusa scrisse di suo pugno negli annali del convento che ad un'anziana signora in America era comparso Padre Pio, e il tumore di cui lei soffriva era scomparso, e la donna ora menava una vita normale. Padre Eusebio da Castelpetroso lesse la storia e disse a Padre Pio: "Così ogni tanto tu te ne vai in America. Ho appena saputo che andasti a visitare una signora con un tumore." Padre Pio: "Come l'hai saputo?" (Napolitano, Padre Pio, 183-4)

Padre Rosario da Aliminusa (tiene in mano un giornale)

 

Siete venuti a curiosare?

Il reverendo John Esseff, di Scranton, in Pennsylvania, a maggio del 1959 fece il suo primo viaggio in Europa, accompagnato dal suo amico il reverendo Bob Calligan. Dopo aver visitato Roma, i due volevano vedere Padre Pio, ma furono sconsigliati di andarci perche' era difficile avvicinarlo, a meno che, una volta giunti a San Giovanni Rotondo non chiedessero di una persona chiamata Mary Pyle, che poteva aiutarli a incontrare Padre Pio. "Noi non parlavamo italiano. Dicemmo solo Mary Pyle e dopo poco Mary venne e ci invitò a casa sua offrendoci del pane e del formaggio, dato che era nel primo pomeriggio. Mary poi si offrì di vedere dove potevamo passare la notte nel vicinato. Mentre Mary si dava da fare, io vidi Padre Pio entrare nella stanza dove stavamo. Egli mi disse: "Che fate qua? Siete venuti a curiosare?" Io rimasi completamente sorpreso! Ma gli risposi e gli domandai perché era così importante avere le stigmate, mentre l'Eucaristia sembra che sia più importante. Di lì continuammo a parlare di Gesù e dell'Eucaristia. Parlammo per circa venti minuti e poi Padre Pio se ne andò. Io mi voltai verso Mary Pyle e domandai: "Egli viene spesso qui?" La risposta di Mary fu strana: "Noi non lo sapevamo che egli fosse qui. Se ha avuto una conversazione con te, vuol dire che è venuto a vedere te. Nessun altro di noi seduti a tavola lo ha visto. Lui fa così frequentemente. Egli ha il dono della bilocazione." Io non ne avevo mai sentito parlare, ma in seguito venni a conoscenza di tanti episodi di bilocazione da parte di Padre Pio." (Esseff, Brothers, 141-4)

   Mons. John Esseff    

   Mons. Esseff con Mother Theresa

 

 

Un uomo in paese

Padre Carmelo da Sessano riportò che nel 1953, quando lui era superiore del convento, Padre Pio stava assistendo a una recita nella sala dei terziari, insieme agli altri frati e a un numeroso pubblico. Durante l'intervallo egli appoggiò le braccia solle schienale della sedia davanti a lui e poggio la testa sulle braccia, rimanendo in silenzio e senza muoversi per circa cinque minuti. Poi alzò la testa rimanendo seduto normalmente. Nessuno diede importanza alla cosa. Il giorno dopo Padre Carmelo andò a visitare un uomo malato in paese. Questi, quando lo vide, lo ringraziò per avergli mandato Padre Pio il giorno prima. Padre Carmelo rimase sconcertato.  Il malato e i suoi familiari avevano tutti visto Padre Pio nella stanza. Quando Padre Carmelo domandò a che ora avevano visto Padre Pio, il tempo corrispondeva esattamente alla durata dell'intervallo della recita quando Padre Pio era sembrato assopito. (McCaffery, Tales, 26) (Ruffin, Padre Pio, 325)

      

Padre Carmelo da Sessano con Padre Pio

 

Un uomo di Maglie

Un frate cappuccino del convento di Maglie, vicino a Lecce, aveva il padre costretto permanentemente a letto a cause di una malattia alla spina dorsale. Un giorno il frate scrisse una lettera a Padre Pio pregandolo di intercedere per il padre che stava lentamente morendo. Padre Pio rispose assicurandolo delle preghiere. Il tempo passò e la malattia aveva preso un rapido corso per il peggio. Un pomeriggio il malato vide un frate con la barba accanto al suo letto, che gli disse: "Tu stai soffrendo! Soffri con pazienza!" Lo stesso accadde per i nove giorni seguenti, e il malato peggiorava invece di migliorare. Il decimo giorno si penso' di dare al malato l'estrema unzione. Il frate apparve e questa volta disse: "Basta adesso! Hai sofferto abbastanza!" Da quel momento in malato comincio' a migliorare finche guarì completamente. Dopo poche settimane egli riprese il suo lavora nei campi. Il frate scrisse a Padre Pio una lettera di ringraziamento. (Cataneo, Padre Pio, 100-1)

 

 

 

Il sagrato

Dr. Sala, il medico di Padre Pio che lavorava alla Casa Sollievo, riporta che una sera mentre stava attraversando lo spiazzale di Santa Maria delle Grazie alla fine del lavoro, vide Padre Pio che camminava a piedi verso il convento attraverso la piazza. Egli salutò, ma Padre Pio non rispose al saluto. Poi Padre Pio continuò a camminare verso il convento e attraversò la porta chiusa, senza bussare e senza usare la chiave, e scomparve dentro. Il giorno dopo il dr. Sala chiese a Padre Pio perché non lo aveva salutato la sera prima mentre attraversava la piazza. Padre Pio non negò e disse: "Evidentemente non ti ho sentito." (Bruno, Road, 26)

Il dr. Giuseppe Sala con Padre Pio

Vigliacco

  Uno dei suoi figli spirituali residente a Roma era abituato togliersi il cappello in segno di rispetto, passando davanti a una chiesa. Un giorno passando davanti a una chiesa ebbe vergogna di togliersi il cappello perché stava in allegra compagnia. Una voce ben conosciuta gli gridò all'orecchio: "Vigliacco." La prossima volta che vide Padre Pio, il Padre gli disse: "Questa volta non hai avuto che una sgridata. Ma la prossima volta avrai un sonoro scapaccione." (Winowska, Il vero, 149-50) (Gaudiose, Prophet, 163)

 

Padre Benedetto

Il 18 luglio 1948 Padre Benedetto, che era stato direttore spirituale  e superiore provinciale di Padre Pio, stava morendo nel convento di San Severo. Il Padre Guardiano del convento chiese a Padre Benedetto se voleva che chiedesse a Padre Pio di venire a visitarlo. Padre Benedetto: "No. Non è necessario. Padre Pio è qui vicino a me." (Ruffin, Padre Pio, 192)

Raffaelina Cerase

Quando Padre Pio era ancora a Foggia, il 25 marzo 1960, Padre Nazareno da Arpaise e Padre Pio Si recarono a trovare donna Raffaelina Cerase gravemente ammalata. Padre Nazareno testimoniò : "Prima di lasciarla, le ho dato l'assoluzione in articulo mortis, ed io e Padre Pio siamo rientrati al convento. Alle quattro del mattino bussarono alla porta del convento e un uomo mi chiese quattro candelabri da mettere intorno alle spoglie di donna Raffaelina, che era appena morta. Andai subito ad avvertire Padre Pio per annunciargli la morte della Cerase.  Padre Pio, senza agitarsi, mi rispose: "L'ho assistita io: è andata direttamente in Paradiso." (Chiron, 88-9)

 

Basilica di San Pietro

Don Orione (ora San Luigi Orione) disse al Papa Pio XI che egli aveva personalmente visto Padre Pio, nella Basilica di San Pietro in Roma, Durante il rito di Beatificazione di San Teresa del Bambino Gesù. Il Papa disse: "Siccome sei stato tu a dirmelo, io ti credo." (Napolitano, Padre Pio, 185) (Gallagher, Padre Pio, 124) (Winowska, Il vero, 103)

 

San Luigi Orione

 

25 ottobre 1921: Cardinal Silj

 

Il Cardinale Augusto Silj, cugino del cardinal Gasoarri, fu a San Giovanni Rotondo in visita a Padre Pio il 25 ottobre 1921. Scrisse sul registro dei visitatori: "Ho con molta soddisfazione spirituale visitato il reverendo Padre Pio nel conventodi San Giovanni Rotondo. Raccomando alle sue orazioni tutte le mie intenzioni espostegli a voce, e ringrazio il molto reverendo padre guardiano della cortese ospitalità riservata a me e al mio compagno di viaggio, mons. Giuseppe De Angelis.

Secondo la conessa Virginia Silj, cognata del cardinale, la visita di questi a Padre Pio avvenne per ordine del papa Benedetto XV "per vedere, inquisire, e osservare , e poi riferire a lui quanto riguardava il movimento intorno a Padre Pio::: e all'operato dei cappuccini in S. Maria delle Grazie. " (Epistolario IV, pag. 17)

 

 

La reliquia

La contessa Virginia Silj, cugina del cardinale Pietro Gasparri e cognata del cardinal Silj, aveva invitato diversi dignitari ecclesiastici, incluso Padre Pio delle Piane di San Francesco di Paola, suo confessore, per la dedicazione della cappellina privata che lei aveva fatto costruire nel suo appartamento in Via del Tritone a Roma. Tra gli invitati c'erano il suo cugino cardinal Gasparri, e suo cognato il cardinal Silj.

Mentre si discuteva per decidere a quale santo dedicare la cappella quando entrò in casa una giovane suora che diede alla contessa una reliquia della Santa Croce dicendo che la sera prima era venuto a visitarla Padre Pio "in carne e ossa" e l'aveva pregata di consegnare la reliquia alla contessa Silj il mattino seguente. La cappellina fu dedicata alla Santa Croce. Quando tempo dopo la contessa visitò Padre Pio, egli confermò di aver dato personalmente la reliquia alla suora. (Napolitano, Padre Pio, 187-8).

 

Lo studio di Papa Pio XI

Papa Pio XI si trovava nel suo studio discutendo con alcuni cardinali sull'argomento della sospensione "a divinis" di Padre Pio, quando improvvisamente vide entrare un frate cappuccino, con le mani entro le maniche del saio, che, procedendo con passo claudicante, si reca direttamente da lui, senza che i presenti possano fermarlo e, prostratosi al bacio del sacro piede, gli dice: "Santità, per il bene della Chiesa non permettete questo." Quindi, chiesta la benedizione e baciando nuovamente il sacro piede, uscì. Superato il momento di smarrimento, alcuni prelati si recano alla porta per chiedere alle guardie il motivo per cui abbiano fatto entrare il frate; ma si sentono rispondere che nessuno si e' avvicinato e tantomeno entrato nella sala. Il Papa non da' seguito al fatto, ma, intuendo di che cosa possa trattarsi, interrompe la riunione e chiamato a se il cardinale Augusto Silj, ci cui conosceva l'ammirazione per Padre Pio, l'incarica di recarsi a San Giovanni Rotondo per indagare se Padre Pio si fosse allontanato dal convento quel giorno. Silj, come è ovvio riceve la conferma dal Padre Guardiano (al quale però non rivela il motivo della richiesta) che Padre Pio, in quella data e ora, stava in coro a pregare. A seguito di questo fatto il Papa dopo aver esclamato "qui' c'è il dito di Dio, ordina l'archiviazione della pratica. (Peroni, Padre Pio, 325-6) (Ruffin, Padre Pio, 198) La notizia e' stata resa nota dalla cognata del cardinale Contessa Virginia Silj, soltanto dopo la morte del papa Pio XI.  La contessa Silj aveva viaggiato a San Giovanni Rotondo col cardinal Silj (Peroni, Padre Pio, 329-30, nota 25)

 

 

A maggio 1924 visitò San Giovanni Rotondo, con il padre e uno zio, la contessa Virginia Silj, cognata del card. Augusto Silj e cugina del cardinale Pietro Gasparri: la contessa era lì naturalmente per colloqui con Padre Pio; al convento lasciò pure un'offerta  in denaro e un messale del costo di lire 193, come annota nel suo diario e nei registri del convento il superiore del tempo, Padre Ignazio. (Mischitelli, 458, prosieguo di nota 2)

 

 

 

 

 

 

Pope Pius XI

 

Sua Eminenza Augusto Silj

 

Madre Speranza

La venerabile Madre Speranza da Collevalenza, attestò nel 1970 che: "Quando io lavoravo al Sant'Offizio in Vaticano, vidi Padre Pio ogni giorno per un anno intero. Egli usava avere i mezzi guanti sulle mani per nascondere le stimmate. Io lo salutavo, baciavo la sua mano, e qualche volta scambiavamo delle parole. Questo avvenne tra il 1937 e il 1939. (Schug, A Padre Pio, 45-6) Madre Speranza confermò il fatto, diversi anni dopo,  a Padre Alberto D'Apolito (D'Apolito, Padre Pio, 362-4)

 

Madre Speranza

 

Padre Gemelli

Rina Giordanelli: "Un giorno del luglio 1959, mentre ero a San Giovanni in attesa della nascita del mio terzo figlio, Padre Pellegrino mi mise al corrente di un episodio straordinario, che lo aveva particolarmente colpito ed edificato. "Padre Pio mi ha chiamato e io sono andato immediatamente nella sua camera: l'ho trovato tutto rosso in volto, emozionato e contento come un bambino. Non poté' fare a meno di confidarmi che aveva confessato Padre Agostino Gemelli in punto di morte." Padre Gemelli morì il 15 luglio del 1959.   (Pronzato, Padre Pio un santo, 40)

Padre Agostino Gemelli

 

Daniel Batonnier

Daniel Batonnier di Alencon, in Francia, di anni sei, era in pericolo di morte colpito da meningite cerebro spinale. Ricoverato in ospedale, si dibatte e delira contro i tormenti di un'agonia sempre più  vicina. Per i medici gli resta un solo giorno di vita. La madre è al colmo del dolore. I vicini di casa si offrono di mandare un telegramma a Padre Pio chiedendogli di pregare per Daniel. Il telegramma viene inviato alle 13:30 del 29 gennaio 1957 dall'ufficio postale di Alencon, destinazione: Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo. Alle ore 15, la signora Batonnier sta vicino al figlio in ospedale. Daniele ha 41 di febbre ed è in preda a terribili convulsioni.  Alle 16 la febbre scende a 37. La mamma, che aveva il marito e altri sette figli da accudire, torna a casa. L'indomani mattina torna in ospedale e trova Daniele perfettamente guarito. Il medico lo esamina e dice: "Non ci capisco niente, suo figlio non solo è salvo, ma è completamente guarito."  La mamma torna a casa e partecipa la sua gioia con i vicini di casa. Una donna le da' da leggere un libro su Padre Pio, con una sua foto sulla copertina. La mamma torna in ospedale con il libro sotto il braccio, si avvicina al letto del figlio, e questo, guarda la copertina del libro e dice: 'Mamma, io lo conosco quel prete. E' già venuto a trovarmi due volte stamattina sul tardi, per non farmi paura. Poi se ne è andato. Mamma, quando divento grande voglio diventare un prete come lui." (Chiron, Padre Pio, 270-1)

 

Il cardinal Joseph Mindszenty

Il cardinal Joseph Mindszenty, primate di Ungheria, si trovava in carcere a Budapest sin dal 1949, condannato all'ergastolo dal regime comunista. E' stato riportato che un frate con la barba portava frequentemente tutto l'occorrente perché' il cardinale potesse celebrare la Messa. (Allegri, La vita, 558)

Padre Pio porta al Cardinal Mindszenty in prigione pane e vino per celebrare la Messa. Mosaico nella cripta di San Pio.

 

Padre Bonaventura

Padre Bonaventura, un frate cappuccino di Napoli, riportò che nel 1956, mentre egli stava predicando verso le 7 di sera nella basilica dello Spirito Santo in Napoli, lui e tutti i presenti in chiesa videro Padre Pio che in silenzio nella navata centrale ascoltando la predica. Stette in piedi per almeno quaranta minuti, anche durante le preghiere. Padre Bonaventura scrisse a Padre Carmelo, il superiore del convento di San Giovanni Rotondo, chiedendogli di domandare a Padre Pio se lui era veramente stato a Napoli quella sera. Padre Pio: "Sì è vero. E' vero." (Schug, A Padre, 6)

 

Padre Placido e l'impronta della mano

Nel luglio del 1957, Padre Placido fu ricoverato urgentemente nell'ospedale di San Severo per una grave forma di cirrosi epatica. La notte egli vide Padre Pio presso il suo letto che lo confortava e gli assicurava la guarigione. Poi lo vide avvicinarsi alla finestra della camera, posare la mano sul vetro, e scomparire. La mattina dopo Padre Placido guardò verso la finestra e vide l'impronta di una mano. Si avvicinò e riconobbe l'impronta della mano di Padre Pio. Si convinse allora che la visita di Padre Pio non era stato un sogno, ma una realta'. La notizia si sparse nell'ospedale e in città e molti vennero a vedere la finestra con l'impronta della mano. Si cercò di pulire il vetro con detersivo, ma riappariva sempre. Io, Padre Alberto D'Apolito, chiesi a Padre Pio  se era stato a San Severo da Padre Placido. Padre Pio: "E tu ne dubiti? Sì sono andato." (D'Apolito, Padre, 141-2) (Ingoldsby, Padre Pio, 91-2)

Padre Placido da San Marco in Lamis

 

Ma è proprio lui!

La signora Concetta Bellarmini di S. Vito Lanciano, farmacista, nel 1926 aveva contratto una malattia che, per un'infezione generale del sangue e una sopravvenuta broncopolmonite, l'aveva ridotta in condizioni disperate. La sua pelle aveva assunto un colore giallastro. Allora una parente, visto che i medici non vi potevano far più nulla, le consigliò di rivolgersi a Padre Pio, che l'ammalata non aveva mai conosciuto. I figli però vi si opponevano, perché non credevano affatto a tutto quello che si andava dicendo del Frate del Gargano. La signora Concetta invece vi credeva e cominciò a pregarlo fervidamente.

Un giorno, mentre stava a letto, si vide comparire nel mezzo della stanza un Cappuccino, il quale senza toccarla, le sorrise e la benedisse. L'ammalata non ebbe paura di questa apparizione, ma invece ne sentì pace e tranquillità. Poi chiese se la sua venuta significasse la grazia della conversione dei figli o quella della sua guarigione. Il Cappuccino le rispose: «Domenica mattina starai bene». Detto questo, scomparve lasciando dietro di sé una scia d'intenso profumo, che fu sentito anche dalla domestica della casa. Venuta la domenica la signora Concetta si sentì guarita e inoltre constatò che la sua pelle era ritornata normale. Allora volle andare a S. Giovanni Rotondo per conoscere e ringraziare Padre Pio e in questo viaggio si fece accompagnare dal fratello. Quando giunsero si portarono al convento e chiesto alla gente chi fosse Padre Pio, se lo videro additare mentre egli passava in mezzo alla folla. Allora la signora Bellarmini, guardandolo lo confrontò col Cappuccino che le era apparso nella sua casa di S. Vito Lanciano e subito esclamò: «Ma è lui, è proprio lui!» (Cataneo, Padre Pio, 136-7) (Del Fante, Per la storia, 471-2)


AMDG et DVM

EL SOL DE PUEBLA : 21 de Mayo 2005

 






https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/87/Sol_de_Puebla_21.05.05_Conchiglia_MASJD_Presentacion_Basilica_GPE.jpg


AVE MARIA PURISSIMA!

Eugenio Corti

 

  • IL CENTENARIO

Eugenio Corti, lo scrittore al servizio della gloria di Dio

Il 21 gennaio di cent’anni fa nasceva Eugenio Corti, autore del capolavoro Il cavallo rosso, romanzo storico giunto alla 34^ edizione pur senza battage pubblicitari né ossequi alla cultura dominante. Salvatosi miracolosamente nella ritirata dal fronte russo, fu testimone di una fede limpida. Il suo talento narrativo, unito alla lucidità di giudizio, è tutt’uno con la ricerca della verità sull’uomo e sulla storia. Dove Corti sapeva riconoscere l’agire della Provvidenza.

21 gennaio 1921, Besana in Brianza, via Santa Caterina 14. Nella casa color giallo ocra, una vecchia fabbrica tessile sistemata per accogliere la famiglia Corti, nasce il primogenito Eugenio. La stanza al primo piano in fondo al corridoio che guarda a nord, con una finestra che dà sulle Prealpi lombarde e l’altra sul grande giardino, sarebbe poi diventata lo studio dello scrittore. Lì avrebbero preso vita il romanzo Il cavallo rosso e gli altri scritti della maturità di Corti; lì avrebbero trovato posto le migliaia di lettere di coloro ai quali la sua narrazione ha segnato il cuore e la vita.

Fin da ragazzo Eugenio scrutava tra le pieghe del quotidiano la via per rispondere alla propria vocazione: «Io ho intenzione di scrivere e di compiere un’opera che serva potentemente alla gloria di Dio sulla terra. Mi pare che sono stato creato proprio per questo», annotava a diciotto anni sul diario.

Non è un obiettivo che goda di buona stampa, ma le trentaquattro edizioni del suo romanzo capolavoro Il cavallo rosso, continuamente ripubblicato dal 1983, e le traduzioni in otto lingue sono il segno di un’avventura che continua a galoppare. Il tutto - giova ricordarlo - senza quelle campagne pubblicitarie ben orchestrate che spesso decretano il successo della narrativa di consumo. Ma soprattutto senza alcun ossequio alla cultura dominante.

Testimone di una fede limpida e salda, lontano dai compromessi del politicamente (e culturalmente) corretto, Corti sapeva perché era al mondo: «Ogni essere umano, anche il più umile, è chiamato dal Signore a svolgere un determinato compito: da sempre io mi sono sentito chiamato a raccontare». Dal suo talento narrativo sono fiorite pagine di autentica poesia, nella raffigurazione di una realtà avvincente e vera. Si definiva un cantastorie, classicamente incantato dalla bellezza, volto del bene e della verità. E insieme era un soldato, scampato alla Seconda guerra mondiale perché, impugnata la penna, potesse continuare a fare la propria parte nella buona battaglia.

Nella ritirata dal fronte russo si era miracolosamente salvato dal fuoco nemico e dalle marce interminabili nel gelo; accanto agli alleati anglo-americani aveva partecipato alla liberazione dell’Italia. Nel diario I più non ritornano e nel romanzo Gli ultimi soldati del re rivivono queste drammatiche esperienze, illuminate dalla tenace volontà di scoprirne il significato ultimo.

Il suo narrare ha il sigillo della letteratura autentica: l’implacabile lucidità del giudizio è tutt’uno con la ricerca della verità sull’uomo e sulla storia, indagati con uno sguardo realistico e, insieme, carico di serena misericordia. Non c’è sconcerto né compiacimento nella rappresentazione del male, ma c’è un coraggio disarmante nel rendere conto della presenza del bene anche nelle circostanze più drammatiche. Una scrittura libera e vera, che va dritta alla mente e al cuore delle persone, che le fa sentire a casa nel mondo narrato, soprattutto nella Brianza del Cavallo rosso. È la terra natale di cui è impastata l’identità di Corti il segreto della prospettiva aperta e universale delle sue opere. Il modello culturale e sociale affidato da Corti al lettore è quello che anima la Brianza dei suoi anni giovanili: uno spazio umano certamente imperfetto, ma che vive del concreto e quotidiano riferimento a Dio. Nascono in questa dimensione la solidarietà, che in lingua briantea si chiama carità, il sostegno reciproco, il darsi da fare gli uni per gli altri: non una generica generosità, ma la fede cristiana vissuta che si esprime nella concretezza tipica di questa terra.

Hanno la stessa origine il gusto e la responsabilità del lavoro ben fatto, anche di quello più umile e nascosto: è questo il modo in cui ciascuno è responsabile della propria famiglia e della comunità paesana. Perché per Corti il bene comune - così come il senso del dovere - non è solo un ideale.

Nelle sue pagine vive l’eroismo del quotidiano: uomini e donne coi piedi ben saldi a terra e lo sguardo che abbraccia la realtà nella prospettiva dell’eterno. Ne è un esempio, nel Cavallo rosso, l’industriale Gerardo Riva. Come la persona reale a cui si ispira (il padre dello scrittore), ha costruito la propria fortuna lavorando di giorno e frequentando le scuole serali. Anche lui sa che ognuno ha un compito nel mondo: il suo è quello di creare posti di lavoro.

Niente ragionamenti astratti, ma i nomi e i volti dei compaesani a lui affidati, come accade quando, nel dopoguerra, Gerardo riflette sull’urgenza di ampliare l’azienda familiare. È domenica e, vedendo un centinaio di bambini uscire dalla chiesa dopo la Messa, considera: «Quanti! E tutti per vivere dovranno in futuro lavorare. Ma i posti di lavoro sono quelli che sono: in che modo si potrà far fronte a un problema simile?». Sa che i loro genitori confidano «nella Provvidenza, d’accordo, ma anche negli uomini, cioè in noi cui tocca provvedere». Subito si sente interpellato sul piano pratico: «E come rispondo io, per quanto mi riguarda?». Perché certo, per dirla con quel Manzoni tanto caro a Gerardo e al padre di Eugenio Corti, «La c’è la Provvidenza!»; ma nella terra di Corti si sa che la Provvidenza ha bisogno di braccia e menti umane per agire. E si cerca di far rendere il lavoro anche per l’eternità.

Corti sapeva bene che questa non è una dimensione esclusiva del fazzoletto di terra in cui ha messo a frutto i suoi giorni; proprio il suo radicamento in un tempo e in un luogo preciso, però, è pegno di un bene possibile per tutti.

Celebrare il centenario della nascita di Corti - così come raccontare la sua terra - non è dunque un’operazione di nostalgia: il cantastorie avrebbe scosso la testa, folgorandoti con lo sguardo azzurro. È la memoria viva di quella speranza che non viene meno, fondata sulla presenza di Dio nella storia. Dar voce a quella speranza è un compito per tutti e per ciascuno. Perché la Provvidenza - si sa - ha bisogno degli uomini.

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AVVISO: Venerdì 29 gennaio, alle 21, in collegamento via Zoom e sul canale YouTube del Centro culturale Talamoni, sarà trasmesso l’incontro dal titolo “Dalla Brianza al mondo (e ritorno): identità, cultura, fede nell’opera di Eugenio Corti (1921-2014)”. In programma, delle letture teatrali a cura di Andrea Soffiantini (attore) e un intervento dell’autrice di questo articolo, Paola Scaglione, saggista e biografa di Corti. Introduce Samuele Sanvito.

AMDG et DVM