"L'ultima Messa di Padre Pio"
Per la potenza di profezia mostrata da P. Pio possiamo affermare con certezza: ciò che approva P. Pio, è perché prima quella cosa è approvata da Gesù stesso; ciò che P. Pio disapprova è perché prima quella cosa è disapprovata da Gesù stesso.
La missione di Padre Pio
In un quadro che si trova nel Santuario di Santa Maria del Monte (Campobasso) è rappresentata un’apparizione della Madonna a Padre Pio, nel giorno dell’Assunzione del 1905, nella quale la Madre di Dio indica al frate Gesù che sale il Calvario portando la croce. Fu Padre Pellegrino da Sant’Elia a Pianisi (il frate che rimase vicino a Padre Pio fino agli ultimi istanti di vita) a insistere col pittore Amedeo Trivisonno, perché lo dipingesse (1972). Padre Pio è il primo sacerdote della storia della Chiesa a ricevere le stigmate (pp. 5-8).
La Madre di Dio indica a Padre Pio suo Figlio Gesù che sale il Calvario portando la croce. (Amedeo Trivisonno, Santuario di Santa Maria del Monte, Campobasso).
La Messa non può mutare
L’attaccamento di Padre Pio alla S. Messa era bruciante: voleva stare quanto più possibile sull’altare, le celebrazioni duravano ore e ore. Ma con ancora maggiore chiarezza si vede l’attaccamento di Padre Pio all’immutabilità del rito della S. Messa.
Al vecchio frate bastarono i prodromi della riforma liturgica che sarebbe entrata in vigore nel 1969, dopo la sua morte, per averne un sacro orrore. Sempre obbediente, l’unica richiesta che osò avanzare all’autorità della Chiesa fu quella di essere esentato dalle novità della riforma liturgica incombente. Non era la bizzarria di un uomo vecchio ancorato al passato, ma era il grido di un uomo di Dio che vedeva il futuro.
Alter Christus. Ipse Christus.
«La mia missione — confidò a Luigi Peroni, che fu direttore dei suoi gruppi di preghiera — finirà quando sulla terra non si celebrerà più la Messa» (cfr. p. 9 e p. 18). In altre occasioni aveva detto: «Il mondo potrebbe stare anche senza il sole, ma non senza la Santa Messa».
Che cosa aveva mostrato il Cielo a quel giovane frate nel giorno dell’Assunzione del 1905 e poi nelle tante visioni celesti che seguirono, se i messaggi che lui consegnava all’umana comprensione erano così inquietanti? […] Qualcuno che si adopera, dentro la Chiesa, per distruggere la S. Messa e impedire il sacrificio che regge il mondo? (cfr. pp. 8-10).
Il colpo da maestro del Nemico
Le antenne spirituali del santo captavano un disegno volto a mutare la natura stessa della Messa che, se fosse riuscito, avrebbe distolto anche i buoni sacerdoti dall’essenza del loro ministero illudendoli di continuare a servire il Signore: zelanti ministri di Dio indotti in errore per virtù d’obbedienza con l’effetto di propagare l’infezione fino ai fedeli.
Un vero e proprio colpo da maestro. Dove non era riuscito il modernismo d’inizio Novecento, ce l’avrebbe fatta un neomodernismo che, grazie ad una nuova liturgia, fosse divenuto fenomeno popolare.
Nei disegni anticristici, la crisi della Messa avrebbe impresso una svolta epocale alla crisi della Chiesa.
[…] Dom Prosper Guéranger aveva detto: «Se il Santo Sacrificio della Messa cessasse, non tarderemmo a ricadere nell’abisso della depravazione in cui si trovavano i pagani e questa sarà l’opera dell’Anticristo». […]
Negli ultimi anni della sua vita, Padre Pio fu segnato più duramente dalla consapevolezza che la visione di dom Guéranger si stesse mostrando sempre più chiaramente attuale (cfr. pp. 10-12).
Giuseppe Pagnossin
Questo industriale padovano (costruiva piastrelle), figlio spirituale di Padre Pio, ha raccolto una miniera di documenti inediti, di foto mai viste, di riproduzioni fotostatiche e ha potuto produrre una ricostruzione della vita del santo che nessuno aveva mai raccontato. Il suo ricco e voluminoso archivio è stato donato alla Fraternità sacerdotale di san Pio X e si trova ora ad Albano laziale. Dopo la morte di Padre Pio il Pagnossin, così come molti altri figli spirituali di Padre Pio, andò alla ricerca di qualcuno che fosse legato alla Messa di sempre e alla Tradizione come vi era legato Padre Pio e trovarono questo nel fondatore di quella fraternità, Mons. Marcel Lefebvre.
Scrive il Pagnossin: «L’attacco di Satana, più doloroso, si svolge all’interno della Chiesa, dove proprio taluni successori degli apostoli contestano la tradizione, il dogma e il papa» (cfr. pp. 12-14).
La visita di Mons. Lefebvre a Padre Pio e le modalità e le caratteriste di quell’incontro avvenuto il 31 marzo 1967, sono riportate in una cartellina dove ci sono le foto e le testimonianze di quell’incontro e il bollettino ufficiale della Casa sollievo della sofferenza che descrive quell’avvenimento (cfr. pp. 14-16).
Incertezza dottrinale
L’archivio è un mare magnum di insegnamenti sicuri di Padre Pio. L’argomento principale è la Messa e la dottrina di sempre sulla Messa. Troviamo la semplice e immutabile fede professata dalla Chiesa di Cristo […] Ma oggi sembra difficile comprenderlo e, proprio la diffusione di questa incertezza dottrinale, che non di rado sfocia in vera e propria eresia, getta luce sulla missione riparatrice di padre Pio. […] II primo sacerdote stigmatizzato della storia aveva visto in anticipo la crisi che la Chiesa avrebbe patito. Un evento drammatico ed inedito poiché, per la prima volta, il Corpo Mistico di Cristo veniva squassato attraverso il tentativo di rivoluzionare il sacrificio offerto sull’altare (cfr. pp. 16-18).
In lotta con l’Anticristo
«L’Anticristo vuole distruggere la Messa. Quando l’Anticristo sarà qui, la Messa non ci sarà più». Leggete sant’Ireneo. […] È difficile dimenticare quanto scrive S. Ireneo di Lione nel suo trattato Contro le eresie. La trascuratezza consiste solo nel non averlo collegato prima alla vicenda di Padre Pio. Ma ora che il legame è stato allacciato si mostra in tutta la sua evidenza inquietante. […] S. Ireneo cita il libro di Daniele, dove è scritto che «il santuario sarà desolato: viene offerto il peccato al posto del sacrificio e la giustizia è stata gettata a terra». […] A metà della settimana verranno soppressi il sacrifico e la libagione e nel tempio si verificherà l’abominio della desolazione (cfr. Mt 24, 15).
[…] Non può essere sottovalutata la forza e l’urgenza con cui Padre Pio difese la Messa di sempre negli ultimi anni della sua vita (cfr. pp. 18-20).
Gesù parla di Padre Pio
Madre Eleonora Francesca Foresti, fondatrice delle religiose francescane adoratrici, di cui è in corso la causa di beatificazione, nel suo Diario, riporta quanto Gesù stesso le disse a proposito dell’eccezionalità di San Padre Pio:
«L’anima di padre Pio è fortezza inespugnabile, è cella vinaria in cui mi inebrio a mio piacere. É cielo tersissimo in cui gli angeli riflettono il loro volto stupendosi. E favo di miele! È il mio rifugio nelle ingratitudini degli uomini. È specchio della mia anima in cui mi rifletto, come un purissimo raggio di sole, attraverso il più puro cristallo! La mia voce in lui è come l’eco riprodotto tra due monti! II suo linguaggio è dolce e tagliente! […] misterioso come il mio: conforta ed abbatte. Ha il mio stesso imperio, perché, Io, Gesù, vivo in lui. Il suo spirito è diffusivo come un fluido. Il suo gesto, la sua parola, il suo sguardo operano più di un profondo discorso di un grande oratore. Io do valore a tutto ciò che emana da lui. É il capolavoro della mia misericordia. A lui ho conferito tutti i doni del mio Spirito, come a nessun’altra creatura. E il mio perfetto imitatore, la mia ostia, il mio altare, il mio sacrificio, la mia gloria!» (cfr. pp. 20-21).
L’ostacolo all’Anticristo
San Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi (cfr. 2Tess 2, 1-12) afferma che c’è un ostacolo che impedisce la manifestazione dell’Anticristo, in lingua greca è indicato in due modi o katechon (maschile) e to katechon (neutro). Il secondo, secondo San Tommaso d’Aquino è la sottomissione alla Chiesa romana. Il primo è il Papa, vicario di Cristo. Fino a quando il Papa sarà riconosciuto, rispettato e ubbidito, l’ostacolo sussisterà. Ma se il Papa viene disconosciuto, messo da parte, tolto dal centro, rigettato o eliminato, scompare l’ostacolo e l’Anticristo sarà libero di manifestarsi. Padre Pio ha tenuto tutti sottomessi alla Chiesa e al Papa (cfr. pp. 21-22).
I danni del ‘68
Troppi cristiani hanno preferito gli inganni del mondo. Mentre Padre Pio moriva l’Italia del boom si crogiolava nelle sue piccole conquiste illudendosi che fossero eterne. Erano gli ultimi giri di danza di una società inebriata dal laicissimo “miracolo economico” e inconsapevole del tunnel di odio e di piombo che avrebbe imboccato negli anni successivi. […] Il 1968 sarebbe passato alla storia come tutti gli altri anni simboli di rivoluzioni, come l’89, il ‘48, ecc. I giornali parlavano bene della “ribellione studentesca”, della violenza, della rivolta permanente, dell’odio per ogni autorità e ogni suo simbolo, della irrefrenabile ricerca di ogni tipo di liberazione. […] Tra i primi ad avventurarsi in quel tunnel, come avanguardie della “rivoluzione”, ci furono tanti cattolici.
Il 15 febbraio 1966 muore durante un’azione di guerriglia il sacerdote colombiano Camillo Torres, simbolo della rivolta dentro e fuori la Chiesa.
Il 9 ottobre il cardinale olandese Alfrink presenta ad Utrecht il Nuovo Catechismo Olandese, pieno degli errori che poi dovranno essere corretti da una commissione di altri cardinali.
Il 10 ottobre 1967, al Terzo congresso mondiale per l’apostolato dei laici, a Roma, i delegati commemorano ufficialmente il guerrigliero Ernesto Che Guevara. […]
Se stupisce che una cosiddetta rivoluzione sociale, mira a distruggere la dottrina cattolica, stupisce ancor di più che i pastori che avevano il dovere, la facoltà e il potere abbiano fatto poco o nulla per fermare tutto questo. Ci furono occupazioni di cattedrali, interruzioni di celebrazioni religiose, con messa in scena di cerimonie alternative, ci fu aperta contestazione dei vescovi e del Papa, rifiuto sistematico dei programmi di formazione nei seminari, comunità dirette da sacerdoti politicizzati che rifiutavano l’autorità ecclesiale; ci furono parroci e vescovi che benedivano ogni genere di protesta, profanazione dell’Eucaristia con riti e preghiere inventati ex novo; ci furono messe alternative improvvisate secondo il “genio locale”. […]
Ci fu una ribellione contro i diritti di Dio. […] mentre Padre Pio parla del Cielo e indica la strada sicura per arrivarci, i ribelli del ’68 cattolico parlano solo della terra (cfr. pp. 45-48).
Elenco dei traditori
Fu con l’avvento della teologia della liberazione, nei primi anni Settanta, che ci venne rivelata la verità […] secondo cui il regno di Dio e la società comunista perfetta, sono la stessa cosa. […]
L’ingresso di Fidel Castro all’Avana fu come il giudizio universale perché a ciascuno veniva dato quanto gli spettava (Padre Ernesto Cardenal, monaco trappista e ministro della cultura nella giunta del Nicaragua).
«La rivoluzione non solo è lecita, ma obbligatoria per i cristiani: essa è l’unico modo per realizzare l’amore per tutti. […] Ho smesso di dire Messa per realizzare l’amore nel temporale, nell’economico» (Camillo Torres, sacerdote guerrigliero colombiano, ucciso nel 1966).
Contro l’enciclica Humanae vitae di Papa Paolo VI, parlarono i teologi olandesi, i teologi della Catholic University di Washington, la Conferenza episcopale austriaca, la Conferenza episcopale canadese, l’82ma Giornata cattolica di Essen, Germania.
Paolo Sorbi il 26 marzo 1968 interrompe l’omelia nella cattedrale di Trento e prosegue con un contro quaresimale sul sagrato.
Nel Messaggio di Natale del 1968, i cappellani scolastici della Vandea affermavano: «La grande novella del Natale è la morte di Dio. Quel Dio non esiste: è stato inventato dagli uomini per rispondere ai misteri della natura, dell’ordine stabilito e del male. […] E inutile precisare che l’aldilà non esiste. Tutte le invenzioni dei teologi sul Cielo, l’inferno, il purgatorio non sono evidentemente che pure fantasie. Non esiste se non quello che è umano».
Don Luigi Rosadoni in Cattolici olandesi, ovvero il rischio di essere vivi (1968), descrive una “messa” modernista: nessun segno sacro in chiesa; al posto dell’altare, una tavola di legno senza tovaglia con sopra un grande bicchiere di vetro, una bottiglia a forma di fiasco piena di vino rosso, un cestino con tante focaccette. […] Il celebrante, accompagnato da un giovanotto in marrone, indossa un lungo mantello aperto avanti, con ampie maniche. Il celebrante si siede in una poltrona in prima fila, mentre è il giovanotto che l’accompagnava a leggere l’Epistola, il Vangelo e a fare l’omelia. È un prete pure lui. […] Alla comunione un prete in borghese arriva con un altro vassoio, prende metà delle focaccette e tutti si comunicano da soli.
Don Enzo Mazzi, leader della comunità dell’Isolotto di Firenze: «Che Guevara aveva un aspetto messianico. Abbiamo simpatizzato per le rivoluzioni socialiste nel Terzo Mondo perché quello era il modo di attuare il Vangelo».
Ettore Masina, giornalista politico, testimonia: «Padre Davide Turoldo, siccome Paolo VI non attuava audacemente la via della collegialità, arrabbiato affermò: “Questo Papa bisogna ucciderlo!”».
Nella Lettera al superiore di undici novizi francescani di Milano, nella primavera del 1968, era scritto: «Non vogliamo essere frati minori, poiché non sappiamo cosa vuol dire essere frate minore. Vogliamo essere religiosi atei. Vogliamo cessare di essere i professionisti o i professori di Dio. Il nostro ordine è per noi qualcosa di estremamente secondario, perché l’ordine nostro sono gli uomini».
Nella rivista milanese Il Confronto, ottobre 1968, si incita, senza vergogna, la cosiddetta eretica chiesa modernista a fare uno scisma dalla Chiesa Cattolica e si indicano anche i “campioni” di questo scisma: «E ancora lecito essere cattolici? E la Chiesa pacelliana che non è cattolica (sic!). Mai più obbedienza. Lo scisma c’è. Ora deve dichiararsi. Meglio un antipapa che la putrefazione dell’esperienza religiosa. Gli ignoranti, i sanfedisti, i clericali e i reazionari si tengano la Chiesa di Bellarmino e di Pacelli. I nuovi cattolici facciano lo scisma. E voi, i pochi che nell’alta gerarchia avete la nostra fiducia: voi, gli Alfrink e i Suenens e i Dopfner e i Pellegrino e gli Herder Camara, il tempo della prudenza è finito. Contate i vostri seguaci e, qualunque sia il vostro numero, uscite dalla Chiesa che non vi merita più, se è vero che non ci avete ingannato. Il cattolicesimo nuovo è già nato» (cfr. pp. 49-64).
Padre Pio e la messa moderna
Padre Pio vuole che l’immutabile S. Messa di sempre non sia cambiata, prevede la rivoluzione incombente e ottiene dal Papa di continuare a celebrare la S. Messa di sempre. Il cardinale Antonio Bacci, per conto di Papa Paolo VI, il 9 marzo 1965, porta a Padre Pio il documento con cui il Papa lo autorizzava a continuare a celebrare la Messa secondo il rito di sempre, il rito che aveva forgiato centinaia di santi. Il Papa che quattro anni dopo avrebbe varato la versione definitiva del Novus Ordo Missae, permettendo che gli inventori del nuovo rito lo imponessero con una prepotenza intellettuale e pastorale di rara efficacia, concedeva al frate delle stigmate di sottrarsi a quelle innovazioni che proprio nel 1965 cominciavano a essere introdotte nel Messale.
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[…] «Padre Pio era preoccupato delle diverse riforme e novità che agitavano la Chiesa e che rinfocolavano le divisioni tra i padri conciliari».
In realtà, la riforma liturgica che, stravolgendo il rito, avrebbe stravolto gli altari e le chiese oltre alla fede di tanti ignari cattolici, era ancora in fase di elaborazione. Inventata ex novo dal Consilium ad exsequendam constitutionem de Sacra Liturgia, l’organismo preposto alla redazione del nuovo testo del Messale romano in cui fece la parte del leone l’arcivescovo in fortissimo odore di massoneria Annibale Bugnini, sarebbe entrata in vigore, in maniera definitiva, nel 1969.
Dal 7 marzo, però, del 1965, prima domenica di quaresima, si erano già tentate delle sperimentazioni che, in breve, avrebbero portato irreparabilmente alla rivoluzione premeditata. L’operato di Bugnini non fu apprezzato troppo neanche nei sacri palazzi se, invece di essere premiato con la porpora cardinalizia, nel 1976 fu esiliato in fretta e furia come pro-nunzio apostolico in Iran. Ma era troppo tardi (cfr. pp. 65-67).
“Il concilio? Per pietà, finitelo presto!”
Padre Pio aveva capito, o visto, tutto molto prima. Non gli piaceva lo spirito innovatore che circolava nella Chiesa ed era inquieto davanti ai fermenti tumultuosi che scuotevano il Concilio Vaticano II ormai agli sgoccioli. Più di una volta si era lamentato della situazione e aveva parlato dolorosa-mente di una «Chiesa senza nocchiero», spiegando che «il pesce comincia a puzzare dalla testa».
Il card. Bacci e P. Pio.
Lo disse anche al card. Bacci che, per conto del Papa, gli chiedeva che cosa pensasse del Concilio: «Per pietà, il concilio, finitelo in fretta!». L’episodio è rivelato nella Piccola cronologia per la causa di beatificazione di Padre Pio redatta da Giuseppe Pagnossin, ma è confermato da un’altra fonte, padre Carmelo Durante da Sessano che fu a lungo vicino a Padre Pio. La testimonianza è riportata in un articolo uscito su Il Settimanale, il 4 gennaio 1975: «A rivelare pubblicamente l’episodio è stato padre Carmelo da Sessano. […] Si è sbilanciato nel corso di una conferenza stampa passata pressoché inosservata e indetta per la presentazione del libro Padre Pio da Pietrelcina: il Cireneo di tutti, edito dal Centro culturale francescano e scritto da padre Alessandro da Ripabottoni, della provincia monastica di Foggia. […] “Il nostro confratello”, ha spiegato Padre Carmelo da Sessano, “non era tanto contrario al Concilio, quanto preoccupato della piega che aveva preso. Temeva le innovazioni irrompenti, diffidava del fronte olandese che con austriaci ed altri si era già costituito”.
Il Padre aveva ben presente l’ammonimento lanciato contro chi intendesse mutare anche un solo iota della santa dottrina. (cfr. pp. 67-68).
L’eresia anti-liturgica
Padre Pio aveva intuito che l’eresia montante, era quella che Dom Prosper Guéranger, abate benedettino di Solesme e grande cultore della liturgia aveva definito già nel XIX secolo “eresia anti-liturgica”, un movimento anticristico perennemente all’attacco là dove il cristianesimo è autentico.
Dom Prosper Guéranger
Dom Guéranger, nel saggio L’eresia anti-liturgica e la riforma protestante, descrisse in anticipo l’opera corruttrice del modernismo e del neo-modernismo nel XX secolo, mostrando i principi e gli effetti disastrosi della riforma protestante. Lutero pretese di liberare l’uomo dal Magistero della Chiesa e dalla liturgia cattolica.
Esattamente le due cosiddette schiavitù su cui Padre Pio fondava la sua santificazione:
a) sottomissione a Roma, al papato;
b) il sacrificio della S. Messa di sempre.
Non serve troppa fantasia per scoprire che i risultati della riforma protestante denunciati da Dom Guéranger, sono gli stessi che flagellano la Chiesa cattolica a partire dagli anni Sessanta. Basta scorrere alcuni titoli dei paragrafi dell’opera dell’abate di Solesmes:
• Odio della Tradizione nelle formule di culto;
• Sostituzione delle formule ecclesiastiche con letture della Sacra Scrittura;
• Introduzione di formule erronee;
• Abituale contraddizione con i principi;
• Eliminazione delle cerimonie e delle formule che esprimono i misteri;
• Estinzione dello spirito di preghiera;
• Esclusione dell’intercessione della Vergine e dei santi;
• Uso completo del volgare nel servizio divino;
• Diminuzione del numero delle preghiere;
• Odio verso Roma e le sue leggi;
• Distruzione del Sacerdozio;
• Il principe, capo della religione.
[…] Del resto Lutero, parlando dell’odiata Roma, spiegava ai suoi seguaci: «Quando avremo girato i loro altari, avremo distrutto la loro religione». Proprio ciò che temeva Padre Pio (cfr. pp. 68-70).
La messa di Padre Pio
Era molto lunga. Al memento passava oltre un’ora. Si immedesimava completamente nel Sacrificio della Croce e viveva tutti i momenti della Passione di Gesù. […]
Ai sacerdoti insegnava a dividere la giornata in due parti:
1) la prima in preparazione al divino sacrificio;
2) e la seconda in ringraziamento.
Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote
In uno dei Diari, tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta, Gesù stesso spiega a Padre Pio che cos’è la S. Messa:
«Pensate che il sacerdote che mi chiama tra le Sue mani ha un potere che neanche a Mia Madre concessi; riflettete che se, invece di un sacrestano, servissero il sacerdote i più eccelsi serafini, non sarebbero abbastanza degni di stargli vicino. […] E degno allora starsene alla Messa pensando altro che a Me? […] Considerate l’Altare non per quello che lo hanno fatto gli uomini, ma per quello che vale, dato dalla Mia presenza mistica, ma reale. […] Guardate l’Ostia, vedrete Me umiliato per voi; guardate il Calice in cui il Mio Sangue ritorna sulla terra ricco com’è di ogni benedizione. Offritemi, offritemi al Padre, per questo Io torno tra voi. […] Se vi dicessero: “Andiamo in Palestina a conoscere i luoghi santi dove Gesù ha vissuto e dove è morto”, il vostro cuore sussulterebbe, è vero? Eppure l’Altare sul quale Io scendo ora è più della Palestina, perché da questa me ne sono partito venti secoli fa e sull’altare Io ritorno tutti i giorni vivo, vero, reale, sebbene nascosto, ma sono Io, proprio Io che palpito tra le mani del Mio ministro, Io torno a voi, non simbolicamente, oh no, bensì veramente; ve lo dico ancora; veramente […]. Getsemani, Calvario, Altare! Tre luoghi di cui l’ultimo, l’Altare, è la somma del primo e del secondo; sono tre luoghi, ma uno soltanto è Colui che vi troverete. […] Portate i vostri cuori sul corporale santo che sorregge il Mio Corpo; tuffatevi in quel Calice divino che contiene il Mio Sangue. È lì che l’Amore stringerà il Creatore, il Redentore, la vostra Vittima ai vostri spiriti; è lì che celebrerete la gloria Mia nell’umiliazione infinita di Me stesso. Venite all’Altare, guardate Me, pensate intensamente a Me […]» (cfr. pp. 70-74).
Il nuovo mondo ha bisogno della vecchia messa
Sono bastati pochi decenni di scellerate riforme per cancellare una pagina tanto sublime. Privati della nozione di sacrificio, tanti buoni cattolici si sono spenti, tanti altri hanno perduto la fede, altri ancora hanno scambiato per fede il solo esercizio caritativo privo di dottrina e di fervore. Si sono trasformate le chiese in palchi da comizio, nell’illusione di attrarre i lontani e, invece, si è finito per perdere i vicini.
Si è pensato che l’agitarsi nel mondo, secondo al sua logica antievangelica, danzando al suono delle musiche dei suoi pifferai portasse più frutti che stare immobili davanti all’altare. Si è pensato che l’efficienza portasse la vera salvezza in un mondo che la Chiesa non era ancora riuscita a rendere perfetto. Si è pensato che la vecchia Messa fosse troppo vecchia per un mondo nuovo. E, invece, era proprio di quella vecchia Messa che il mondo nuovo aveva bisogno. Negargliela è stato il più grande tradimento che si potesse commettere nei suoi confronti. Non si poteva creare arma più terribile ed efficace per gettare il mondo nuovo nelle mani del Nemico.
[…] Non c’è scudo più efficace della S. Messa di sempre per trattenere la collera di Dio davanti alle infedeltà delle sue creature, di tutte le creature. Non c’è strumento più efficace per forgiare in quelle creature infedeli dei figli degni di entrare nella casa del Padre.
[…] Nel libretto La Santa Messa, scriveva dom Guéranger: «Attraverso il sacrificio divino possiamo agire su Dio stesso, senza che Egli abbia il diritto d’essere indifferente ad esso, poiché altrimenti attenterebbe alla sua stessa gloria. […] Neppure una Santa Messa si celebra senza che si compiano i quattro fini del gran sacrificio:
1) l’adorazione,
2) il ringraziamento,
3) la propiziazione
4) e l’impetrazione» (cfr. pp. 75-76).
Eclissi della Messa, eclissi della Fede
Una voragine nelle mura di Gerusalemme. Il timore di non potere più celebrare la S. Messa di sempre aveva indotto Padre Pio a ricorrere al Papa, un gesto inusuale per il frate votato all’obbedienza fino al martirio. Solo la consapevolezza della gravità di ciò che si stava consumando e la visione delle tremende conseguenze che ne sarebbero discese, può aver spinto Padre Pio a osare tanto.
Padre Pio, sacerdote crocifisso.
Fin dalle prime avvisaglie, era chiaro che la riforma liturgica avrebbe oscurato l’aspetto sacrificale della Messa per esaltare in chiave filo-protestante quello conviviale. Ciò inquietava l’anima di Padre Pio che conosceva bene la frase di S. Agostino: «Sacerdote perché sacrificio».
[…] L’eclisse della Messa come sacrificio avrebbe portato all’eclisse della fede cristiana, della vita cristiana, della luce cristiana nel mondo. «Se il santo sacrificio della Messa cessasse», scrive dom Guéranger, «non tarderemmo a ricadere nell’abisso di depravazione in cui si trovavano i pagani, e questa sarà l’opera dell’Anticristo».
Padre Pio non avrebbe mai compiuto o avallato un gesto o un’intenzione che potessero svilire e indebolire l’efficacia del Divin Sacrificio. Ma era proprio ciò che si stava preparando e lui lo vedeva con chiarezza.
Il Padre capiva la drammaticità di quei momenti, generalmente scambiata come travaglio dell’inizio di una nuova e radiosa epoca, era un unicum nella storia della Chiesa. Non si trattava più di singoli sacerdoti indegni che disonoravano la Messa che nella sua oggettività rimaneva inalterata: qui si andava a tradire la natura stessa della Messa, trasformandola in qualcosa di diverso (cfr. pp. 76-78).
Effetti negativi
Nei decenni successivi si videro i frutti negativi di quella riforma. Conventi e monasteri svuotati, decimazione delle vocazioni, infatuazione per il mondo e per le sue sirene dolcemente anticristiche, sovreccitazione da spirito di riforma continua con inevitabile abbandono di ogni senso della gerarchia e dell’obbedienza, curati che si ribellano ai parroci, parroci che si ribellano ai vescovi, vescovi che si ribellano al Papa, sacramenti scambiati per piccola burocrazia da evitare, confessionali deserti, pratica della preghiera ridotta al lumicino, creatività liturgica spinta fino alla parodia, affievolimento della fede nella Presenza Reale, tabernacoli svuotati e tolti dagli altari, il Santissimo nascosto nelle sacrestie, altari ridotti a tavolini da mensa aziendale, reliquie e libri sacri svenduti ai mercatini dei robivecchi.
[…] Tutti cattivi frutti dell’abbandono della Messa di sempre e della buona dottrina che, naturalmente e soprannaturalmente, le si accompagna. Padre Pio vide tutto questo e chiese al Papa la dispensa dal celebrare la nuova messa. Lui che era obbediente in tutto, chiese di essere dispensato dall’obbedire a questa riforma liturgica. Lui che aveva accettato di scrivere e firmare sotto dettatura dichiarazioni in cui liberava da ogni responsabilità i suoi aguzzini. Lui che aveva patito in silenzio le angherie e le calunnie più odiose di uomini di Chiesa. Lui che non aveva mai osato criticare un superiore neanche quando veniva trattato da bugiardo e si negava l’evidenza delle stigmate donategli da Gesù. Lui, che aveva sopportato in silenzio tutto questo, non poteva accettare di celebrare il sacrificio divino secondo un messale inventato da degli intellettuali a propria immagine e somiglianza. Si oppose secondo il suo stile, con mitezza, ma fermamente. Sapeva che ci si poteva opporre a quella che lui chiamava “l’epoca dello scatascio”, solo rimanendo immerso nella sua Messa, la Messa dei santi.
[…] Dopo di lui la Messa viene accorciata, i sacerdoti celebrano di fretta; il rosario è considerato una preghiera che ha fatto il suo tempo e che stanca la gente; il bene si accorcia e il male si allunga (cfr. pp. 78-80).
Breve esame critico
Come scrissero i Cardinali Ottaviani e Bacci nel Breve esame critico del Novus ordo Missae, presentato a Papa Paolo VI il 13 settembre 1969, «la nuova messa rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica.
[…] I nuovi mutamenti nella liturgia porterebbero al totale disorientamento dei fedeli che già danno segni di insofferenza e di inequivocabile diminuzione di fede».
Nell’ottobre 1967 il sinodo episcopale, convocato a Roma, rigettò la nuova messa normativa “fabbricata” da Bugnini e dal Consilium ad exequendam. La definizione della Messa nel tristemente famoso paragrafo 7 è di tipo protestante e non implica né la Presenza Reale, né la realtà del Sacrificio, né la sacramentalità del sacerdote consacrante, né il valore intrinseco del Sacrificio eucaristico indipendentemente dalla presenza dell’assemblea. Non implica nessuno dei valori dogmatici essenziali della Messa e che ne costituiscono la vera definizione. Qui l’omissione di questi valori equivale alla loro negazione.
Papa Paolo VI, forse in seguito alla lettura del Breve esame critico o ad un intervento del card. Journet, corresse proprio il paragrafo 7 dell’Institutio generalis (I.G.M.R.). Ma il Messale, che su quella definizione errata si basava, non fu modificato (cfr. pp. 80-85).
Padre Pio e San Pio X
Padre Pio aveva scelto questo nome in omaggio a San Pio X. Papa Sarto era il Papa della lotta senza quartiere alla peste modernista, alla massoneria, all’americanismo. Era il Papa della buona dottrina, del catechismo, della vera e cattolica rinascita liturgica. Era il Papa della santità sacerdotale.
Era tanta la devozione di Padre Pio per San Pio X che si recò in bilocazione sulla sua tomba nelle grotte vaticane, prima che venisse portato agli onori degli altari. Lo vide Don Luigi Orione, anche lui canonizzato, che raccontò l’episodio a Papa Pio XI. «Se me lo dite voi – gli rispose in totale semplicità il pontefice – ci credo!» (cfr. pp. 86-87).
Guai a chi tradirà San Francesco!
Padre Pio era contro le nuove Costituzioni dei Cappuccini modificate dopo il Vaticano II. «Al giudizio di Dio, S. Francesco non ci riconoscerà come figli». […]
Nel 1967 prese a male parole anche il definitore generale dell’ordine che stava esaltando i cambiamenti delle nuove Costituzioni: «Ma che state facendo a Roma? Ma che state combinando? Questi vogliono toccare perfino la Regola di san Francesco». «Ma Padre, si fanno questi cambiamenti perché i giovani non vogliono saperne di tonsura, abito, piedi nudi…». «Cacciateli via! Cacciateli via! Ma che son loro che fanno un favore a san Francesco a prendere l’abito e la sua forma di vita, o è san Francesco che fa un dono a loro?». […]
Quei giovani che non volevano saperne di tutte quelle cose, in realtà volgevano le spalle a Cristo. Proprio come si apprestavano a fare girando gli altari per celebrare liturgie più gradevoli al palato di un mondo palesemente anticristico (cfr. pp. 94-97).
I Francescani dell’Immacolata
Hanno ripreso il Messale di sempre che essi avevano preso dalla cappella papale, la quale, prima ancora l’avevano preso proprio dai francescani. Questi francescani hanno associato il ritorno alle fonti francescane (secondo una vera riforma cattolica) al recupero della liturgia antica. […] Mentre tutti quegli ordini e quelle famiglie religiose che si sono illusi di trarre nuova vita lungo la via larga di una scriteriata apertura al mondo, si vanno spegnendo, questi figli di san Francesco incamminati lungo la via stretta continuano a richiamare un gran numero di anime in cerca della perfezione evangelica (cfr. pp. 111-114).
Anni ’60, inizio della fine degli ordini religiosi
«Tra il 1965 ed il 2005 – ha detto Padre Stefano Maria Manelli – i gesuiti sono praticamente dimezzati; i domenicani, i salesiani, i cappuccini si sono ridotti di almeno un terzo. Se i religiosi in totale erano 329.799 nel 1965, quarant’anni dopo il Vaticano II ne restano 214.903. Circa 115.000 religiosi, più di un terzo, sono venuti meno in questi 40 anni. Non era difficile immaginare dove si sarebbe arrivati snaturando la Messa. Il religioso muore al mondo per vivere a Dio, cioè compie un sacrificio. Il religioso è un’ostia e la vita religiosa una messa mistica» (cfr. pp. 114-115).
Cattiva liturgia, cattiva dottrina
Questo era quanto paventava Padre Pio a proposito della riforma liturgica. «La vita religiosa», continua Padre Stefano Maria Manelli, «ha subito ancora di più l’incidenza negativa del Novus Ordo, in quanto la vita religiosa è una vita anzitutto liturgica. […] Una vita religiosa in rovinosa retromarcia, com’è oggi, non può che essere testimonianza di una liturgia in deficit di consistenza e di forza vitale. Nel post-concilio i religiosi non solo hanno risentito ma hanno anche propagato tra i fedeli le deformazioni liturgiche che nell’ultimo quarantennio sono andate estendendosi in modo esponenziale. E, con tali deformazioni, hanno propagato anche errori dottrinali» (cfr. pp. 115-117).
Il demonio esiste (pp. 121- 143)
Una mattina si presenta a Padre Pio, in confessionale, un signore alto, snello, vestito con una certa raffinatezza e dai modi gentili e garbati. Si accusa di ogni genere di peccati: contro Dio, contro il prossimo, contro la morale. Dopo la riprensione di Padre Pio di ogni peccato dimostrando che ognuno era contro la Parola di Dio, contro il Magistero e contro la morale dei santi, quel personaggio giustificava con grande abilità e garbo, ogni genere di peccato, svuotandolo di ogni malizia e cercando di rendere normali tutti gli atti peccaminosi. Padre Pio, illuminato su chi era costui, gli disse: «Dì: viva Gesù e viva Maria», e quel personaggio, che era il Demonio camuffato, sparì all’istante in un guizzo di fuoco, lasciando dietro di sé un’insopportabile fetore. Il tempo in cui viviamo è pieno di persone vestite con una certa raffinatezza e dai modi gentili che cerca di giustificare ogni genere di peccato e di delitto (cfr. pp. 134-135).
La visione del 1903 descrive la missione di Padre Pio come un combattimento contro il diavolo e i suoi satelliti, per salvare anime (cfr. pp. 136-140).
Le anime del Purgatorio (pp. 144-152)
Per Padre Pio bisogna considerare con molta serietà i Novissimi e avere una grande e amorosa devozione per le anime del purgatorio. E soltanto a partire dal Novecento che si sono diffuse convinzioni di origine luterana e protestante anche in seno alla Chiesa Cattolica, miranti a negare l’esistenza del purgatorio. […] Padre Pio sapeva bene che le radici di questo rifiuto affondavano nel protestantesimo (cfr. pp. 144-149).
Padre Pio contro l’ecumenismo moderno
Nel suo quaderno autografo si trovano espressioni inequivocabili in merito al protestantesimo e ai suoi “padri nobili”, espressioni che oggi metterebbero in grave imbarazzo molti ecumenisti d’assalto, secondo i quali tutte le confessioni cristiane si equivalgono.
«Ora – scrive Padre Pio – nessun’altra, divisa dalla Chiesa romana, ha la nota della santità.
1) Indegnità morale dei fondatori. Primo, perché non altri fondatori riconoscono se non che Lutero, Calvino e compagnia bella, pieni di superbia, zeppi di vizi fino agli occhi, i quali si divisero dalla Chiesa per assecondare le loro malvagie passioni dalle quali erano dominati.
2) Dottrina empia ed eretica. Ma il problema non sta solo nell’indegnità dei fondatori. Il guaio è che la dottrina che questa sette insegnano è empia ed immorale. Infatti insegnano che è tempo perduto e cosa sacrilega ricorrere all’intercessione dei santi e specialmente di Maria Santissima, e che le loro immagini si debbano calpestare e gettare nel fuoco; e che la sola fede basta a salvarsi, quindi la bestemmia, l’impudicizia, il sacrilegio non impedirebbero all’uomo di potersi salvare, purché creda».
Padre Pio, come la gran parte dei suoi contemporanei, aveva studiato bene le quattro note essenziali che la dottrina cattolica attribuiva alla Chiesa (unità, santità, cattolicità, apostolicità) e dunque gli risultava del tutto naturale trarre le dovute conseguenze (cfr. pp. 149-150).
Quando a Padre Pio gli si presentavano persone di altre confessioni cristiane, come ad esempio ortodossi o protestanti, il frate non si limitava a suggerire un generico “abbraccio ecumenico”, non enfatizzava solo i “punti in comune”, non esortava a “restare ognuno con coerenza nella propria Chiesa”. Il santo metteva invece le anime di fronte alle solite decisioni radicali: o di qua, o di là. Facendo capire che, anche per la salvezza dell’anima, faceva una gran bella differenza (cfr. p. 176).
Gravità del peccato (pp. 153-177)
Padre Pio aveva una percezione assoluta della gravità del peccato e di ogni peccato. Il cappuccino non disdegnava, con certi penitenti riottosi, di usare le maniere forti. Passava tantissimo tempo in confessionale, mentre oggi tanta gente ha abbandonato il sacramento della confessione e ha fiducia nel lettino dello psicanalista o nella riunione settimanale con il personal trainer e mentre in certe chiese olandesi i confessionali sono stati trasformati in ripostigli per gli attrezzi delle pulizie.
Padre Pio esigeva che il penitente facesse bene l’esame di coscienza, si accusasse dei peccati senza omissioni intenzionali, che avesse un pentimento e un dolore sincero per averli commessi, che facesse il proposito altrettanto sincero di non commetterli più, evitando le occasioni e che facesse bene la penitenza assegnata dal confessore. […]
Convertì Carlo Campanini e attraverso lui, tanti attori e attrici: Erminio Macario, Elsa Merlini, Lisa Gastoni, Silvana Pampanini, Nino Taranto, Tino Scotti, Carlo Dapporto, Mario Riva. […] La pedagogia di Padre Pio cancella in un colpo solo l’immagine di un Dio solo bonario e perfino bonaccione, con il quale è sempre possibile giungere ad un compromesso, ad un accomodamento. […]
«La bestemmia è la via più sicura per andare all’inferno», diceva. Avrebbe potuto dire che chi bestemmia “rompe il suo rapporto di amicizia con Dio”, oppure che i bestemmiatori “si allontanano dalla fedeltà alla Parola”, invece, senza usare giri di parole afferma una cosa molto concreta e chiarissima (cfr. pp. 154-174).
Convertire, voce del verbo “diventare cattolici”
Convertirsi significa trasformarsi in Cristo, e quindi ricevere la gioia della fede cattolica, la grazia dei sacramenti, l’amore per i sacramenti. Padre Pio convertì molti massoni (cfr. pp. 174-177).
I fioretti di San Giovanni Rotondo (pp. 178-202)
Padre Pio, nella sua famiglia, venne chiamato Francesco, in onore di S. Francesco di Paola e come quel santo fece moltissimi miracoli. In questo capitolo si trova un lungo elenco di prodigi. […] Diceva P. Pio: «Basterebbe un giorno senza nessun aborto e Dio concederebbe la pace al mondo fino al termine dei giorni» (cfr. p. 202).
Tutto con Maria SS. Tutto di Maria SS. (pp. 203-216)
«Solo accomunando la Madonna al tuo sacerdozio diventerai efficace nel campo della grazia, per far germinare i figli di Dio e i santi sulla terra», diceva P Pio ai sacerdoti (p. 203).
San Pio e il S. Rosario erano inseparabili.
La Messa è la ripetizione del Sacrificio di Cristo, non una festa pop. C’è una differenza enorme tra la Messa di Padre Pio e le messe cui ci è toccato assistere a partire dalla “riforma” seguita al Vaticano II. Un processo di banalizzazione progressiva e inesorabile che ha letteralmente svuotato la celebrazione del suo contenuto, che ne ha fatto un piccolo show recitato a soggetto, lontano anni luce dal maestoso ed essenziale rito antico” (pp. 205-206).
La Chiesa cattolica è in crisi perché è in crisi il sacerdozio. Una crisi preparata e propiziata da decenni di sciagurata teologia che ha omologato il prete a qualunque altro battezzato, che ha insistito in modo patologico solo sull’esistenza del sacerdozio universale dei fedeli, che ha mortificato e reso insignificante il sacerdozio ministeriale (pp. 207- 209).
In Chiesa si fa silenzio. La Chiesa non è il luogo di ritrovo della comunità dei protestanti o il teatro neutrale che ospita la celebrazione del rito. Il Tabernacolo deve stare al centro della Chiesa e si deve fare la debita genuflessione (pp. 209-211).
Gesù, il 12 marzo 1913, dice a Padre Pio: «La mia casa è divenuta per molti un teatro di divertimenti» (cfr. Epistolario, voi. I, lettera n. 118, p. 342). Padre Pio, il 25 luglio 1915, ad una sua figlia spirituale, indica come ci si comporta in chiesa (cfr. Epistolario, voi. III, lettera n. 9, pp. 87-89)” (pp. 211-212).
Il modo di vestire in chiesa deve essere diverso da quello del tempo libero o per la spiaggia. S. Giovanni Bosco raccomandava: «Dopo la comunione trattenetevi almeno un quarto d’ora a fare il ringraziamento». Sarebbe una grave irriverenza se, dopo pochi minuti aver ricevuto la SS. Eucaristia, uno uscisse di chiesa o, stando al suo posto, si mettesse a ridere, chiacchierare, guardare di qua e di là per la chiesa (pp. 213-214).
Padre Pio recitava, ovunque, in cella, nei corridoi, in sacrestia, salendo e scendendo le scale, da 40 a 50 S. Rosari al giorno. Di fronte allo stupore del suo interlocutore chiedeva: «Come fai tu a non recitarli?». Diceva che il Demonio cercherà sempre di distruggere questa preghiera, ma non ci riuscirà mai perché è la preghiera di Colei che trionfa su tutto e su tutti. E Lei che ce l’ha insegnata, come Gesù ci ha insegnato il Pater noster. Poco prima di morire, ai suoi confratelli e figli spirituali, ripeteva: «Amate la Madonna e fatela amare. Recitate sempre il Rosario» (pp. 214-216).
Per la potenza di profezia mostrata da P. Pio possiamo affermare con certezza: ciò che approva P. Pio, è perché prima quella cosa è approvata da Gesù stesso; ciò che P. Pio disapprova è perché prima quella cosa è disapprovata da Gesù stesso.
GIURAMENTO CHE I PAPI FANNO AL MOMENTO DELL’ ELEZIONE
Io prometto:
• di non diminuire o cambiare niente di quanto trovai conservato dai miei probatissimi antecessori, e di non ammettere qualsiasi novità, ma di conservare e di venerare con fervore, come vero loro discepolo e successore, con tutte le mie forze e con ogni impegno, ciò che fu tramandato;
• di emendare tutto quanto emerga in contraddizione alla disciplina canonica, e di custodire i sacri Canoni e le Costituzioni Apostoliche dei nostri Pontefici, quali comandamenti divini e celesti, (essendo io) consapevole che dovrò rendere stretta ragione davanti al (Tuo) giudizio divino di tutto quello che professo.
Io che occupo il Tuo posto per divina degnazione e fungo come il tuo Vicario, assistito dalla Tua intercessione. Se pretendessi di agire diversamente, o di permettere che altri lo faccia, Tu non mi sarai propizio in quel giorno tremendo del divino giudizio… (pp. 43 o 31).
Perciò, ci sottoponiamo al rigoroso interdetto dell’anatema, se mai qualcuno, o noi stessi, o un altro, abbia la presunzione di introdurre qualsiasi novità in opposizione alla Tradizione evangelica, o alla integrità della Fede e della Religione, tentando di cambiare qualcosa all’integrità della nostra Fede, o consentendo a chi pretendesse di farlo con ardire sacrilego» (Liber Diurnus Romanorum Pontificum, pp. 54 o 44, P.L. 1 o 5).
FONTE: fedeecultura.it
Riassunto e recensione del libro “L’ultima messa di Padre Pio” di Gnocchi e Palmaro.
di Don Guglielmo Fichera
La missione di Padre Pio
In un quadro che si trova nel Santuario di Santa Maria del Monte (Campobasso) è rappresentata un’apparizione della Madonna a Padre Pio, nel giorno dell’Assunzione del 1905, nella quale la Madre di Dio indica al frate Gesù che sale il Calvario portando la croce. Fu Padre Pellegrino da Sant’Elia a Pianisi (il frate che rimase vicino a Padre Pio fino agli ultimi istanti di vita) a insistere col pittore Amedeo Trivisonno, perché lo dipingesse (1972). Padre Pio è il primo sacerdote della storia della Chiesa a ricevere le stigmate (pp. 5-8).
La Madre di Dio indica a Padre Pio suo Figlio Gesù che sale il Calvario portando la croce. (Amedeo Trivisonno, Santuario di Santa Maria del Monte, Campobasso).
La Messa non può mutare
L’attaccamento di Padre Pio alla S. Messa era bruciante: voleva stare quanto più possibile sull’altare, le celebrazioni duravano ore e ore. Ma con ancora maggiore chiarezza si vede l’attaccamento di Padre Pio all’immutabilità del rito della S. Messa.
Al vecchio frate bastarono i prodromi della riforma liturgica che sarebbe entrata in vigore nel 1969, dopo la sua morte, per averne un sacro orrore. Sempre obbediente, l’unica richiesta che osò avanzare all’autorità della Chiesa fu quella di essere esentato dalle novità della riforma liturgica incombente. Non era la bizzarria di un uomo vecchio ancorato al passato, ma era il grido di un uomo di Dio che vedeva il futuro.
Alter Christus. Ipse Christus.
«La mia missione — confidò a Luigi Peroni, che fu direttore dei suoi gruppi di preghiera — finirà quando sulla terra non si celebrerà più la Messa» (cfr. p. 9 e p. 18). In altre occasioni aveva detto: «Il mondo potrebbe stare anche senza il sole, ma non senza la Santa Messa».
Che cosa aveva mostrato il Cielo a quel giovane frate nel giorno dell’Assunzione del 1905 e poi nelle tante visioni celesti che seguirono, se i messaggi che lui consegnava all’umana comprensione erano così inquietanti? […] Qualcuno che si adopera, dentro la Chiesa, per distruggere la S. Messa e impedire il sacrificio che regge il mondo? (cfr. pp. 8-10).
Il colpo da maestro del Nemico
Le antenne spirituali del santo captavano un disegno volto a mutare la natura stessa della Messa che, se fosse riuscito, avrebbe distolto anche i buoni sacerdoti dall’essenza del loro ministero illudendoli di continuare a servire il Signore: zelanti ministri di Dio indotti in errore per virtù d’obbedienza con l’effetto di propagare l’infezione fino ai fedeli.
Un vero e proprio colpo da maestro. Dove non era riuscito il modernismo d’inizio Novecento, ce l’avrebbe fatta un neomodernismo che, grazie ad una nuova liturgia, fosse divenuto fenomeno popolare.
Nei disegni anticristici, la crisi della Messa avrebbe impresso una svolta epocale alla crisi della Chiesa.
[…] Dom Prosper Guéranger aveva detto: «Se il Santo Sacrificio della Messa cessasse, non tarderemmo a ricadere nell’abisso della depravazione in cui si trovavano i pagani e questa sarà l’opera dell’Anticristo». […]
Negli ultimi anni della sua vita, Padre Pio fu segnato più duramente dalla consapevolezza che la visione di dom Guéranger si stesse mostrando sempre più chiaramente attuale (cfr. pp. 10-12).
Giuseppe Pagnossin
Questo industriale padovano (costruiva piastrelle), figlio spirituale di Padre Pio, ha raccolto una miniera di documenti inediti, di foto mai viste, di riproduzioni fotostatiche e ha potuto produrre una ricostruzione della vita del santo che nessuno aveva mai raccontato. Il suo ricco e voluminoso archivio è stato donato alla Fraternità sacerdotale di san Pio X e si trova ora ad Albano laziale. Dopo la morte di Padre Pio il Pagnossin, così come molti altri figli spirituali di Padre Pio, andò alla ricerca di qualcuno che fosse legato alla Messa di sempre e alla Tradizione come vi era legato Padre Pio e trovarono questo nel fondatore di quella fraternità, Mons. Marcel Lefebvre.
Scrive il Pagnossin: «L’attacco di Satana, più doloroso, si svolge all’interno della Chiesa, dove proprio taluni successori degli apostoli contestano la tradizione, il dogma e il papa» (cfr. pp. 12-14).
La visita di Mons. Lefebvre a Padre Pio e le modalità e le caratteriste di quell’incontro avvenuto il 31 marzo 1967, sono riportate in una cartellina dove ci sono le foto e le testimonianze di quell’incontro e il bollettino ufficiale della Casa sollievo della sofferenza che descrive quell’avvenimento (cfr. pp. 14-16).
Incertezza dottrinale
L’archivio è un mare magnum di insegnamenti sicuri di Padre Pio. L’argomento principale è la Messa e la dottrina di sempre sulla Messa. Troviamo la semplice e immutabile fede professata dalla Chiesa di Cristo […] Ma oggi sembra difficile comprenderlo e, proprio la diffusione di questa incertezza dottrinale, che non di rado sfocia in vera e propria eresia, getta luce sulla missione riparatrice di padre Pio. […] II primo sacerdote stigmatizzato della storia aveva visto in anticipo la crisi che la Chiesa avrebbe patito. Un evento drammatico ed inedito poiché, per la prima volta, il Corpo Mistico di Cristo veniva squassato attraverso il tentativo di rivoluzionare il sacrificio offerto sull’altare (cfr. pp. 16-18).
In lotta con l’Anticristo
«L’Anticristo vuole distruggere la Messa. Quando l’Anticristo sarà qui, la Messa non ci sarà più». Leggete sant’Ireneo. […] È difficile dimenticare quanto scrive S. Ireneo di Lione nel suo trattato Contro le eresie. La trascuratezza consiste solo nel non averlo collegato prima alla vicenda di Padre Pio. Ma ora che il legame è stato allacciato si mostra in tutta la sua evidenza inquietante. […] S. Ireneo cita il libro di Daniele, dove è scritto che «il santuario sarà desolato: viene offerto il peccato al posto del sacrificio e la giustizia è stata gettata a terra». […] A metà della settimana verranno soppressi il sacrifico e la libagione e nel tempio si verificherà l’abominio della desolazione (cfr. Mt 24, 15).
[…] Non può essere sottovalutata la forza e l’urgenza con cui Padre Pio difese la Messa di sempre negli ultimi anni della sua vita (cfr. pp. 18-20).
Gesù parla di Padre Pio
Madre Eleonora Francesca Foresti, fondatrice delle religiose francescane adoratrici, di cui è in corso la causa di beatificazione, nel suo Diario, riporta quanto Gesù stesso le disse a proposito dell’eccezionalità di San Padre Pio:
«L’anima di padre Pio è fortezza inespugnabile, è cella vinaria in cui mi inebrio a mio piacere. É cielo tersissimo in cui gli angeli riflettono il loro volto stupendosi. E favo di miele! È il mio rifugio nelle ingratitudini degli uomini. È specchio della mia anima in cui mi rifletto, come un purissimo raggio di sole, attraverso il più puro cristallo! La mia voce in lui è come l’eco riprodotto tra due monti! II suo linguaggio è dolce e tagliente! […] misterioso come il mio: conforta ed abbatte. Ha il mio stesso imperio, perché, Io, Gesù, vivo in lui. Il suo spirito è diffusivo come un fluido. Il suo gesto, la sua parola, il suo sguardo operano più di un profondo discorso di un grande oratore. Io do valore a tutto ciò che emana da lui. É il capolavoro della mia misericordia. A lui ho conferito tutti i doni del mio Spirito, come a nessun’altra creatura. E il mio perfetto imitatore, la mia ostia, il mio altare, il mio sacrificio, la mia gloria!» (cfr. pp. 20-21).
L’ostacolo all’Anticristo
San Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi (cfr. 2Tess 2, 1-12) afferma che c’è un ostacolo che impedisce la manifestazione dell’Anticristo, in lingua greca è indicato in due modi o katechon (maschile) e to katechon (neutro). Il secondo, secondo San Tommaso d’Aquino è la sottomissione alla Chiesa romana. Il primo è il Papa, vicario di Cristo. Fino a quando il Papa sarà riconosciuto, rispettato e ubbidito, l’ostacolo sussisterà. Ma se il Papa viene disconosciuto, messo da parte, tolto dal centro, rigettato o eliminato, scompare l’ostacolo e l’Anticristo sarà libero di manifestarsi. Padre Pio ha tenuto tutti sottomessi alla Chiesa e al Papa (cfr. pp. 21-22).
I danni del ‘68
Troppi cristiani hanno preferito gli inganni del mondo. Mentre Padre Pio moriva l’Italia del boom si crogiolava nelle sue piccole conquiste illudendosi che fossero eterne. Erano gli ultimi giri di danza di una società inebriata dal laicissimo “miracolo economico” e inconsapevole del tunnel di odio e di piombo che avrebbe imboccato negli anni successivi. […] Il 1968 sarebbe passato alla storia come tutti gli altri anni simboli di rivoluzioni, come l’89, il ‘48, ecc. I giornali parlavano bene della “ribellione studentesca”, della violenza, della rivolta permanente, dell’odio per ogni autorità e ogni suo simbolo, della irrefrenabile ricerca di ogni tipo di liberazione. […] Tra i primi ad avventurarsi in quel tunnel, come avanguardie della “rivoluzione”, ci furono tanti cattolici.
Il 15 febbraio 1966 muore durante un’azione di guerriglia il sacerdote colombiano Camillo Torres, simbolo della rivolta dentro e fuori la Chiesa.
Il 9 ottobre il cardinale olandese Alfrink presenta ad Utrecht il Nuovo Catechismo Olandese, pieno degli errori che poi dovranno essere corretti da una commissione di altri cardinali.
Il 10 ottobre 1967, al Terzo congresso mondiale per l’apostolato dei laici, a Roma, i delegati commemorano ufficialmente il guerrigliero Ernesto Che Guevara. […]
Se stupisce che una cosiddetta rivoluzione sociale, mira a distruggere la dottrina cattolica, stupisce ancor di più che i pastori che avevano il dovere, la facoltà e il potere abbiano fatto poco o nulla per fermare tutto questo. Ci furono occupazioni di cattedrali, interruzioni di celebrazioni religiose, con messa in scena di cerimonie alternative, ci fu aperta contestazione dei vescovi e del Papa, rifiuto sistematico dei programmi di formazione nei seminari, comunità dirette da sacerdoti politicizzati che rifiutavano l’autorità ecclesiale; ci furono parroci e vescovi che benedivano ogni genere di protesta, profanazione dell’Eucaristia con riti e preghiere inventati ex novo; ci furono messe alternative improvvisate secondo il “genio locale”. […]
Ci fu una ribellione contro i diritti di Dio. […] mentre Padre Pio parla del Cielo e indica la strada sicura per arrivarci, i ribelli del ’68 cattolico parlano solo della terra (cfr. pp. 45-48).
Elenco dei traditori
Fu con l’avvento della teologia della liberazione, nei primi anni Settanta, che ci venne rivelata la verità […] secondo cui il regno di Dio e la società comunista perfetta, sono la stessa cosa. […]
L’ingresso di Fidel Castro all’Avana fu come il giudizio universale perché a ciascuno veniva dato quanto gli spettava (Padre Ernesto Cardenal, monaco trappista e ministro della cultura nella giunta del Nicaragua).
«La rivoluzione non solo è lecita, ma obbligatoria per i cristiani: essa è l’unico modo per realizzare l’amore per tutti. […] Ho smesso di dire Messa per realizzare l’amore nel temporale, nell’economico» (Camillo Torres, sacerdote guerrigliero colombiano, ucciso nel 1966).
Contro l’enciclica Humanae vitae di Papa Paolo VI, parlarono i teologi olandesi, i teologi della Catholic University di Washington, la Conferenza episcopale austriaca, la Conferenza episcopale canadese, l’82ma Giornata cattolica di Essen, Germania.
Paolo Sorbi il 26 marzo 1968 interrompe l’omelia nella cattedrale di Trento e prosegue con un contro quaresimale sul sagrato.
Nel Messaggio di Natale del 1968, i cappellani scolastici della Vandea affermavano: «La grande novella del Natale è la morte di Dio. Quel Dio non esiste: è stato inventato dagli uomini per rispondere ai misteri della natura, dell’ordine stabilito e del male. […] E inutile precisare che l’aldilà non esiste. Tutte le invenzioni dei teologi sul Cielo, l’inferno, il purgatorio non sono evidentemente che pure fantasie. Non esiste se non quello che è umano».
Don Luigi Rosadoni in Cattolici olandesi, ovvero il rischio di essere vivi (1968), descrive una “messa” modernista: nessun segno sacro in chiesa; al posto dell’altare, una tavola di legno senza tovaglia con sopra un grande bicchiere di vetro, una bottiglia a forma di fiasco piena di vino rosso, un cestino con tante focaccette. […] Il celebrante, accompagnato da un giovanotto in marrone, indossa un lungo mantello aperto avanti, con ampie maniche. Il celebrante si siede in una poltrona in prima fila, mentre è il giovanotto che l’accompagnava a leggere l’Epistola, il Vangelo e a fare l’omelia. È un prete pure lui. […] Alla comunione un prete in borghese arriva con un altro vassoio, prende metà delle focaccette e tutti si comunicano da soli.
Don Enzo Mazzi, leader della comunità dell’Isolotto di Firenze: «Che Guevara aveva un aspetto messianico. Abbiamo simpatizzato per le rivoluzioni socialiste nel Terzo Mondo perché quello era il modo di attuare il Vangelo».
Ettore Masina, giornalista politico, testimonia: «Padre Davide Turoldo, siccome Paolo VI non attuava audacemente la via della collegialità, arrabbiato affermò: “Questo Papa bisogna ucciderlo!”».
Nella Lettera al superiore di undici novizi francescani di Milano, nella primavera del 1968, era scritto: «Non vogliamo essere frati minori, poiché non sappiamo cosa vuol dire essere frate minore. Vogliamo essere religiosi atei. Vogliamo cessare di essere i professionisti o i professori di Dio. Il nostro ordine è per noi qualcosa di estremamente secondario, perché l’ordine nostro sono gli uomini».
Nella rivista milanese Il Confronto, ottobre 1968, si incita, senza vergogna, la cosiddetta eretica chiesa modernista a fare uno scisma dalla Chiesa Cattolica e si indicano anche i “campioni” di questo scisma: «E ancora lecito essere cattolici? E la Chiesa pacelliana che non è cattolica (sic!). Mai più obbedienza. Lo scisma c’è. Ora deve dichiararsi. Meglio un antipapa che la putrefazione dell’esperienza religiosa. Gli ignoranti, i sanfedisti, i clericali e i reazionari si tengano la Chiesa di Bellarmino e di Pacelli. I nuovi cattolici facciano lo scisma. E voi, i pochi che nell’alta gerarchia avete la nostra fiducia: voi, gli Alfrink e i Suenens e i Dopfner e i Pellegrino e gli Herder Camara, il tempo della prudenza è finito. Contate i vostri seguaci e, qualunque sia il vostro numero, uscite dalla Chiesa che non vi merita più, se è vero che non ci avete ingannato. Il cattolicesimo nuovo è già nato» (cfr. pp. 49-64).
Padre Pio e la messa moderna
Padre Pio vuole che l’immutabile S. Messa di sempre non sia cambiata, prevede la rivoluzione incombente e ottiene dal Papa di continuare a celebrare la S. Messa di sempre. Il cardinale Antonio Bacci, per conto di Papa Paolo VI, il 9 marzo 1965, porta a Padre Pio il documento con cui il Papa lo autorizzava a continuare a celebrare la Messa secondo il rito di sempre, il rito che aveva forgiato centinaia di santi. Il Papa che quattro anni dopo avrebbe varato la versione definitiva del Novus Ordo Missae, permettendo che gli inventori del nuovo rito lo imponessero con una prepotenza intellettuale e pastorale di rara efficacia, concedeva al frate delle stigmate di sottrarsi a quelle innovazioni che proprio nel 1965 cominciavano a essere introdotte nel Messale.
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[…] «Padre Pio era preoccupato delle diverse riforme e novità che agitavano la Chiesa e che rinfocolavano le divisioni tra i padri conciliari».
In realtà, la riforma liturgica che, stravolgendo il rito, avrebbe stravolto gli altari e le chiese oltre alla fede di tanti ignari cattolici, era ancora in fase di elaborazione. Inventata ex novo dal Consilium ad exsequendam constitutionem de Sacra Liturgia, l’organismo preposto alla redazione del nuovo testo del Messale romano in cui fece la parte del leone l’arcivescovo in fortissimo odore di massoneria Annibale Bugnini, sarebbe entrata in vigore, in maniera definitiva, nel 1969.
Dal 7 marzo, però, del 1965, prima domenica di quaresima, si erano già tentate delle sperimentazioni che, in breve, avrebbero portato irreparabilmente alla rivoluzione premeditata. L’operato di Bugnini non fu apprezzato troppo neanche nei sacri palazzi se, invece di essere premiato con la porpora cardinalizia, nel 1976 fu esiliato in fretta e furia come pro-nunzio apostolico in Iran. Ma era troppo tardi (cfr. pp. 65-67).
“Il concilio? Per pietà, finitelo presto!”
Padre Pio aveva capito, o visto, tutto molto prima. Non gli piaceva lo spirito innovatore che circolava nella Chiesa ed era inquieto davanti ai fermenti tumultuosi che scuotevano il Concilio Vaticano II ormai agli sgoccioli. Più di una volta si era lamentato della situazione e aveva parlato dolorosa-mente di una «Chiesa senza nocchiero», spiegando che «il pesce comincia a puzzare dalla testa».
Il card. Bacci e P. Pio.
Lo disse anche al card. Bacci che, per conto del Papa, gli chiedeva che cosa pensasse del Concilio: «Per pietà, il concilio, finitelo in fretta!». L’episodio è rivelato nella Piccola cronologia per la causa di beatificazione di Padre Pio redatta da Giuseppe Pagnossin, ma è confermato da un’altra fonte, padre Carmelo Durante da Sessano che fu a lungo vicino a Padre Pio. La testimonianza è riportata in un articolo uscito su Il Settimanale, il 4 gennaio 1975: «A rivelare pubblicamente l’episodio è stato padre Carmelo da Sessano. […] Si è sbilanciato nel corso di una conferenza stampa passata pressoché inosservata e indetta per la presentazione del libro Padre Pio da Pietrelcina: il Cireneo di tutti, edito dal Centro culturale francescano e scritto da padre Alessandro da Ripabottoni, della provincia monastica di Foggia. […] “Il nostro confratello”, ha spiegato Padre Carmelo da Sessano, “non era tanto contrario al Concilio, quanto preoccupato della piega che aveva preso. Temeva le innovazioni irrompenti, diffidava del fronte olandese che con austriaci ed altri si era già costituito”.
Il Padre aveva ben presente l’ammonimento lanciato contro chi intendesse mutare anche un solo iota della santa dottrina. (cfr. pp. 67-68).
L’eresia anti-liturgica
Padre Pio aveva intuito che l’eresia montante, era quella che Dom Prosper Guéranger, abate benedettino di Solesme e grande cultore della liturgia aveva definito già nel XIX secolo “eresia anti-liturgica”, un movimento anticristico perennemente all’attacco là dove il cristianesimo è autentico.
Dom Prosper Guéranger
Dom Guéranger, nel saggio L’eresia anti-liturgica e la riforma protestante, descrisse in anticipo l’opera corruttrice del modernismo e del neo-modernismo nel XX secolo, mostrando i principi e gli effetti disastrosi della riforma protestante. Lutero pretese di liberare l’uomo dal Magistero della Chiesa e dalla liturgia cattolica.
Esattamente le due cosiddette schiavitù su cui Padre Pio fondava la sua santificazione:
a) sottomissione a Roma, al papato;
b) il sacrificio della S. Messa di sempre.
Non serve troppa fantasia per scoprire che i risultati della riforma protestante denunciati da Dom Guéranger, sono gli stessi che flagellano la Chiesa cattolica a partire dagli anni Sessanta. Basta scorrere alcuni titoli dei paragrafi dell’opera dell’abate di Solesmes:
• Odio della Tradizione nelle formule di culto;
• Sostituzione delle formule ecclesiastiche con letture della Sacra Scrittura;
• Introduzione di formule erronee;
• Abituale contraddizione con i principi;
• Eliminazione delle cerimonie e delle formule che esprimono i misteri;
• Estinzione dello spirito di preghiera;
• Esclusione dell’intercessione della Vergine e dei santi;
• Uso completo del volgare nel servizio divino;
• Diminuzione del numero delle preghiere;
• Odio verso Roma e le sue leggi;
• Distruzione del Sacerdozio;
• Il principe, capo della religione.
[…] Del resto Lutero, parlando dell’odiata Roma, spiegava ai suoi seguaci: «Quando avremo girato i loro altari, avremo distrutto la loro religione». Proprio ciò che temeva Padre Pio (cfr. pp. 68-70).
La messa di Padre Pio
Era molto lunga. Al memento passava oltre un’ora. Si immedesimava completamente nel Sacrificio della Croce e viveva tutti i momenti della Passione di Gesù. […]
Ai sacerdoti insegnava a dividere la giornata in due parti:
1) la prima in preparazione al divino sacrificio;
2) e la seconda in ringraziamento.
Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote
In uno dei Diari, tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta, Gesù stesso spiega a Padre Pio che cos’è la S. Messa:
«Pensate che il sacerdote che mi chiama tra le Sue mani ha un potere che neanche a Mia Madre concessi; riflettete che se, invece di un sacrestano, servissero il sacerdote i più eccelsi serafini, non sarebbero abbastanza degni di stargli vicino. […] E degno allora starsene alla Messa pensando altro che a Me? […] Considerate l’Altare non per quello che lo hanno fatto gli uomini, ma per quello che vale, dato dalla Mia presenza mistica, ma reale. […] Guardate l’Ostia, vedrete Me umiliato per voi; guardate il Calice in cui il Mio Sangue ritorna sulla terra ricco com’è di ogni benedizione. Offritemi, offritemi al Padre, per questo Io torno tra voi. […] Se vi dicessero: “Andiamo in Palestina a conoscere i luoghi santi dove Gesù ha vissuto e dove è morto”, il vostro cuore sussulterebbe, è vero? Eppure l’Altare sul quale Io scendo ora è più della Palestina, perché da questa me ne sono partito venti secoli fa e sull’altare Io ritorno tutti i giorni vivo, vero, reale, sebbene nascosto, ma sono Io, proprio Io che palpito tra le mani del Mio ministro, Io torno a voi, non simbolicamente, oh no, bensì veramente; ve lo dico ancora; veramente […]. Getsemani, Calvario, Altare! Tre luoghi di cui l’ultimo, l’Altare, è la somma del primo e del secondo; sono tre luoghi, ma uno soltanto è Colui che vi troverete. […] Portate i vostri cuori sul corporale santo che sorregge il Mio Corpo; tuffatevi in quel Calice divino che contiene il Mio Sangue. È lì che l’Amore stringerà il Creatore, il Redentore, la vostra Vittima ai vostri spiriti; è lì che celebrerete la gloria Mia nell’umiliazione infinita di Me stesso. Venite all’Altare, guardate Me, pensate intensamente a Me […]» (cfr. pp. 70-74).
Il nuovo mondo ha bisogno della vecchia messa
Sono bastati pochi decenni di scellerate riforme per cancellare una pagina tanto sublime. Privati della nozione di sacrificio, tanti buoni cattolici si sono spenti, tanti altri hanno perduto la fede, altri ancora hanno scambiato per fede il solo esercizio caritativo privo di dottrina e di fervore. Si sono trasformate le chiese in palchi da comizio, nell’illusione di attrarre i lontani e, invece, si è finito per perdere i vicini.
Si è pensato che l’agitarsi nel mondo, secondo al sua logica antievangelica, danzando al suono delle musiche dei suoi pifferai portasse più frutti che stare immobili davanti all’altare. Si è pensato che l’efficienza portasse la vera salvezza in un mondo che la Chiesa non era ancora riuscita a rendere perfetto. Si è pensato che la vecchia Messa fosse troppo vecchia per un mondo nuovo. E, invece, era proprio di quella vecchia Messa che il mondo nuovo aveva bisogno. Negargliela è stato il più grande tradimento che si potesse commettere nei suoi confronti. Non si poteva creare arma più terribile ed efficace per gettare il mondo nuovo nelle mani del Nemico.
[…] Non c’è scudo più efficace della S. Messa di sempre per trattenere la collera di Dio davanti alle infedeltà delle sue creature, di tutte le creature. Non c’è strumento più efficace per forgiare in quelle creature infedeli dei figli degni di entrare nella casa del Padre.
[…] Nel libretto La Santa Messa, scriveva dom Guéranger: «Attraverso il sacrificio divino possiamo agire su Dio stesso, senza che Egli abbia il diritto d’essere indifferente ad esso, poiché altrimenti attenterebbe alla sua stessa gloria. […] Neppure una Santa Messa si celebra senza che si compiano i quattro fini del gran sacrificio:
1) l’adorazione,
2) il ringraziamento,
3) la propiziazione
4) e l’impetrazione» (cfr. pp. 75-76).
Eclissi della Messa, eclissi della Fede
Una voragine nelle mura di Gerusalemme. Il timore di non potere più celebrare la S. Messa di sempre aveva indotto Padre Pio a ricorrere al Papa, un gesto inusuale per il frate votato all’obbedienza fino al martirio. Solo la consapevolezza della gravità di ciò che si stava consumando e la visione delle tremende conseguenze che ne sarebbero discese, può aver spinto Padre Pio a osare tanto.
Padre Pio, sacerdote crocifisso.
Fin dalle prime avvisaglie, era chiaro che la riforma liturgica avrebbe oscurato l’aspetto sacrificale della Messa per esaltare in chiave filo-protestante quello conviviale. Ciò inquietava l’anima di Padre Pio che conosceva bene la frase di S. Agostino: «Sacerdote perché sacrificio».
[…] L’eclisse della Messa come sacrificio avrebbe portato all’eclisse della fede cristiana, della vita cristiana, della luce cristiana nel mondo. «Se il santo sacrificio della Messa cessasse», scrive dom Guéranger, «non tarderemmo a ricadere nell’abisso di depravazione in cui si trovavano i pagani, e questa sarà l’opera dell’Anticristo».
Padre Pio non avrebbe mai compiuto o avallato un gesto o un’intenzione che potessero svilire e indebolire l’efficacia del Divin Sacrificio. Ma era proprio ciò che si stava preparando e lui lo vedeva con chiarezza.
Il Padre capiva la drammaticità di quei momenti, generalmente scambiata come travaglio dell’inizio di una nuova e radiosa epoca, era un unicum nella storia della Chiesa. Non si trattava più di singoli sacerdoti indegni che disonoravano la Messa che nella sua oggettività rimaneva inalterata: qui si andava a tradire la natura stessa della Messa, trasformandola in qualcosa di diverso (cfr. pp. 76-78).
Effetti negativi
Nei decenni successivi si videro i frutti negativi di quella riforma. Conventi e monasteri svuotati, decimazione delle vocazioni, infatuazione per il mondo e per le sue sirene dolcemente anticristiche, sovreccitazione da spirito di riforma continua con inevitabile abbandono di ogni senso della gerarchia e dell’obbedienza, curati che si ribellano ai parroci, parroci che si ribellano ai vescovi, vescovi che si ribellano al Papa, sacramenti scambiati per piccola burocrazia da evitare, confessionali deserti, pratica della preghiera ridotta al lumicino, creatività liturgica spinta fino alla parodia, affievolimento della fede nella Presenza Reale, tabernacoli svuotati e tolti dagli altari, il Santissimo nascosto nelle sacrestie, altari ridotti a tavolini da mensa aziendale, reliquie e libri sacri svenduti ai mercatini dei robivecchi.
[…] Tutti cattivi frutti dell’abbandono della Messa di sempre e della buona dottrina che, naturalmente e soprannaturalmente, le si accompagna. Padre Pio vide tutto questo e chiese al Papa la dispensa dal celebrare la nuova messa. Lui che era obbediente in tutto, chiese di essere dispensato dall’obbedire a questa riforma liturgica. Lui che aveva accettato di scrivere e firmare sotto dettatura dichiarazioni in cui liberava da ogni responsabilità i suoi aguzzini. Lui che aveva patito in silenzio le angherie e le calunnie più odiose di uomini di Chiesa. Lui che non aveva mai osato criticare un superiore neanche quando veniva trattato da bugiardo e si negava l’evidenza delle stigmate donategli da Gesù. Lui, che aveva sopportato in silenzio tutto questo, non poteva accettare di celebrare il sacrificio divino secondo un messale inventato da degli intellettuali a propria immagine e somiglianza. Si oppose secondo il suo stile, con mitezza, ma fermamente. Sapeva che ci si poteva opporre a quella che lui chiamava “l’epoca dello scatascio”, solo rimanendo immerso nella sua Messa, la Messa dei santi.
[…] Dopo di lui la Messa viene accorciata, i sacerdoti celebrano di fretta; il rosario è considerato una preghiera che ha fatto il suo tempo e che stanca la gente; il bene si accorcia e il male si allunga (cfr. pp. 78-80).
Breve esame critico
Come scrissero i Cardinali Ottaviani e Bacci nel Breve esame critico del Novus ordo Missae, presentato a Papa Paolo VI il 13 settembre 1969, «la nuova messa rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica.
[…] I nuovi mutamenti nella liturgia porterebbero al totale disorientamento dei fedeli che già danno segni di insofferenza e di inequivocabile diminuzione di fede».
Nell’ottobre 1967 il sinodo episcopale, convocato a Roma, rigettò la nuova messa normativa “fabbricata” da Bugnini e dal Consilium ad exequendam. La definizione della Messa nel tristemente famoso paragrafo 7 è di tipo protestante e non implica né la Presenza Reale, né la realtà del Sacrificio, né la sacramentalità del sacerdote consacrante, né il valore intrinseco del Sacrificio eucaristico indipendentemente dalla presenza dell’assemblea. Non implica nessuno dei valori dogmatici essenziali della Messa e che ne costituiscono la vera definizione. Qui l’omissione di questi valori equivale alla loro negazione.
Papa Paolo VI, forse in seguito alla lettura del Breve esame critico o ad un intervento del card. Journet, corresse proprio il paragrafo 7 dell’Institutio generalis (I.G.M.R.). Ma il Messale, che su quella definizione errata si basava, non fu modificato (cfr. pp. 80-85).
Padre Pio e San Pio X
Padre Pio aveva scelto questo nome in omaggio a San Pio X. Papa Sarto era il Papa della lotta senza quartiere alla peste modernista, alla massoneria, all’americanismo. Era il Papa della buona dottrina, del catechismo, della vera e cattolica rinascita liturgica. Era il Papa della santità sacerdotale.
Era tanta la devozione di Padre Pio per San Pio X che si recò in bilocazione sulla sua tomba nelle grotte vaticane, prima che venisse portato agli onori degli altari. Lo vide Don Luigi Orione, anche lui canonizzato, che raccontò l’episodio a Papa Pio XI. «Se me lo dite voi – gli rispose in totale semplicità il pontefice – ci credo!» (cfr. pp. 86-87).
Guai a chi tradirà San Francesco!
Padre Pio era contro le nuove Costituzioni dei Cappuccini modificate dopo il Vaticano II. «Al giudizio di Dio, S. Francesco non ci riconoscerà come figli». […]
Nel 1967 prese a male parole anche il definitore generale dell’ordine che stava esaltando i cambiamenti delle nuove Costituzioni: «Ma che state facendo a Roma? Ma che state combinando? Questi vogliono toccare perfino la Regola di san Francesco». «Ma Padre, si fanno questi cambiamenti perché i giovani non vogliono saperne di tonsura, abito, piedi nudi…». «Cacciateli via! Cacciateli via! Ma che son loro che fanno un favore a san Francesco a prendere l’abito e la sua forma di vita, o è san Francesco che fa un dono a loro?». […]
Quei giovani che non volevano saperne di tutte quelle cose, in realtà volgevano le spalle a Cristo. Proprio come si apprestavano a fare girando gli altari per celebrare liturgie più gradevoli al palato di un mondo palesemente anticristico (cfr. pp. 94-97).
I Francescani dell’Immacolata
Hanno ripreso il Messale di sempre che essi avevano preso dalla cappella papale, la quale, prima ancora l’avevano preso proprio dai francescani. Questi francescani hanno associato il ritorno alle fonti francescane (secondo una vera riforma cattolica) al recupero della liturgia antica. […] Mentre tutti quegli ordini e quelle famiglie religiose che si sono illusi di trarre nuova vita lungo la via larga di una scriteriata apertura al mondo, si vanno spegnendo, questi figli di san Francesco incamminati lungo la via stretta continuano a richiamare un gran numero di anime in cerca della perfezione evangelica (cfr. pp. 111-114).
Anni ’60, inizio della fine degli ordini religiosi
«Tra il 1965 ed il 2005 – ha detto Padre Stefano Maria Manelli – i gesuiti sono praticamente dimezzati; i domenicani, i salesiani, i cappuccini si sono ridotti di almeno un terzo. Se i religiosi in totale erano 329.799 nel 1965, quarant’anni dopo il Vaticano II ne restano 214.903. Circa 115.000 religiosi, più di un terzo, sono venuti meno in questi 40 anni. Non era difficile immaginare dove si sarebbe arrivati snaturando la Messa. Il religioso muore al mondo per vivere a Dio, cioè compie un sacrificio. Il religioso è un’ostia e la vita religiosa una messa mistica» (cfr. pp. 114-115).
Cattiva liturgia, cattiva dottrina
Questo era quanto paventava Padre Pio a proposito della riforma liturgica. «La vita religiosa», continua Padre Stefano Maria Manelli, «ha subito ancora di più l’incidenza negativa del Novus Ordo, in quanto la vita religiosa è una vita anzitutto liturgica. […] Una vita religiosa in rovinosa retromarcia, com’è oggi, non può che essere testimonianza di una liturgia in deficit di consistenza e di forza vitale. Nel post-concilio i religiosi non solo hanno risentito ma hanno anche propagato tra i fedeli le deformazioni liturgiche che nell’ultimo quarantennio sono andate estendendosi in modo esponenziale. E, con tali deformazioni, hanno propagato anche errori dottrinali» (cfr. pp. 115-117).
Il demonio esiste (pp. 121- 143)
Una mattina si presenta a Padre Pio, in confessionale, un signore alto, snello, vestito con una certa raffinatezza e dai modi gentili e garbati. Si accusa di ogni genere di peccati: contro Dio, contro il prossimo, contro la morale. Dopo la riprensione di Padre Pio di ogni peccato dimostrando che ognuno era contro la Parola di Dio, contro il Magistero e contro la morale dei santi, quel personaggio giustificava con grande abilità e garbo, ogni genere di peccato, svuotandolo di ogni malizia e cercando di rendere normali tutti gli atti peccaminosi. Padre Pio, illuminato su chi era costui, gli disse: «Dì: viva Gesù e viva Maria», e quel personaggio, che era il Demonio camuffato, sparì all’istante in un guizzo di fuoco, lasciando dietro di sé un’insopportabile fetore. Il tempo in cui viviamo è pieno di persone vestite con una certa raffinatezza e dai modi gentili che cerca di giustificare ogni genere di peccato e di delitto (cfr. pp. 134-135).
La visione del 1903 descrive la missione di Padre Pio come un combattimento contro il diavolo e i suoi satelliti, per salvare anime (cfr. pp. 136-140).
Le anime del Purgatorio (pp. 144-152)
Per Padre Pio bisogna considerare con molta serietà i Novissimi e avere una grande e amorosa devozione per le anime del purgatorio. E soltanto a partire dal Novecento che si sono diffuse convinzioni di origine luterana e protestante anche in seno alla Chiesa Cattolica, miranti a negare l’esistenza del purgatorio. […] Padre Pio sapeva bene che le radici di questo rifiuto affondavano nel protestantesimo (cfr. pp. 144-149).
Padre Pio contro l’ecumenismo moderno
Nel suo quaderno autografo si trovano espressioni inequivocabili in merito al protestantesimo e ai suoi “padri nobili”, espressioni che oggi metterebbero in grave imbarazzo molti ecumenisti d’assalto, secondo i quali tutte le confessioni cristiane si equivalgono.
«Ora – scrive Padre Pio – nessun’altra, divisa dalla Chiesa romana, ha la nota della santità.
1) Indegnità morale dei fondatori. Primo, perché non altri fondatori riconoscono se non che Lutero, Calvino e compagnia bella, pieni di superbia, zeppi di vizi fino agli occhi, i quali si divisero dalla Chiesa per assecondare le loro malvagie passioni dalle quali erano dominati.
2) Dottrina empia ed eretica. Ma il problema non sta solo nell’indegnità dei fondatori. Il guaio è che la dottrina che questa sette insegnano è empia ed immorale. Infatti insegnano che è tempo perduto e cosa sacrilega ricorrere all’intercessione dei santi e specialmente di Maria Santissima, e che le loro immagini si debbano calpestare e gettare nel fuoco; e che la sola fede basta a salvarsi, quindi la bestemmia, l’impudicizia, il sacrilegio non impedirebbero all’uomo di potersi salvare, purché creda».
Padre Pio, come la gran parte dei suoi contemporanei, aveva studiato bene le quattro note essenziali che la dottrina cattolica attribuiva alla Chiesa (unità, santità, cattolicità, apostolicità) e dunque gli risultava del tutto naturale trarre le dovute conseguenze (cfr. pp. 149-150).
Quando a Padre Pio gli si presentavano persone di altre confessioni cristiane, come ad esempio ortodossi o protestanti, il frate non si limitava a suggerire un generico “abbraccio ecumenico”, non enfatizzava solo i “punti in comune”, non esortava a “restare ognuno con coerenza nella propria Chiesa”. Il santo metteva invece le anime di fronte alle solite decisioni radicali: o di qua, o di là. Facendo capire che, anche per la salvezza dell’anima, faceva una gran bella differenza (cfr. p. 176).
Gravità del peccato (pp. 153-177)
Padre Pio aveva una percezione assoluta della gravità del peccato e di ogni peccato. Il cappuccino non disdegnava, con certi penitenti riottosi, di usare le maniere forti. Passava tantissimo tempo in confessionale, mentre oggi tanta gente ha abbandonato il sacramento della confessione e ha fiducia nel lettino dello psicanalista o nella riunione settimanale con il personal trainer e mentre in certe chiese olandesi i confessionali sono stati trasformati in ripostigli per gli attrezzi delle pulizie.
Padre Pio esigeva che il penitente facesse bene l’esame di coscienza, si accusasse dei peccati senza omissioni intenzionali, che avesse un pentimento e un dolore sincero per averli commessi, che facesse il proposito altrettanto sincero di non commetterli più, evitando le occasioni e che facesse bene la penitenza assegnata dal confessore. […]
Convertì Carlo Campanini e attraverso lui, tanti attori e attrici: Erminio Macario, Elsa Merlini, Lisa Gastoni, Silvana Pampanini, Nino Taranto, Tino Scotti, Carlo Dapporto, Mario Riva. […] La pedagogia di Padre Pio cancella in un colpo solo l’immagine di un Dio solo bonario e perfino bonaccione, con il quale è sempre possibile giungere ad un compromesso, ad un accomodamento. […]
«La bestemmia è la via più sicura per andare all’inferno», diceva. Avrebbe potuto dire che chi bestemmia “rompe il suo rapporto di amicizia con Dio”, oppure che i bestemmiatori “si allontanano dalla fedeltà alla Parola”, invece, senza usare giri di parole afferma una cosa molto concreta e chiarissima (cfr. pp. 154-174).
Convertire, voce del verbo “diventare cattolici”
Convertirsi significa trasformarsi in Cristo, e quindi ricevere la gioia della fede cattolica, la grazia dei sacramenti, l’amore per i sacramenti. Padre Pio convertì molti massoni (cfr. pp. 174-177).
I fioretti di San Giovanni Rotondo (pp. 178-202)
Padre Pio, nella sua famiglia, venne chiamato Francesco, in onore di S. Francesco di Paola e come quel santo fece moltissimi miracoli. In questo capitolo si trova un lungo elenco di prodigi. […] Diceva P. Pio: «Basterebbe un giorno senza nessun aborto e Dio concederebbe la pace al mondo fino al termine dei giorni» (cfr. p. 202).
Tutto con Maria SS. Tutto di Maria SS. (pp. 203-216)
«Solo accomunando la Madonna al tuo sacerdozio diventerai efficace nel campo della grazia, per far germinare i figli di Dio e i santi sulla terra», diceva P Pio ai sacerdoti (p. 203).
San Pio e il S. Rosario erano inseparabili.
La Messa è la ripetizione del Sacrificio di Cristo, non una festa pop. C’è una differenza enorme tra la Messa di Padre Pio e le messe cui ci è toccato assistere a partire dalla “riforma” seguita al Vaticano II. Un processo di banalizzazione progressiva e inesorabile che ha letteralmente svuotato la celebrazione del suo contenuto, che ne ha fatto un piccolo show recitato a soggetto, lontano anni luce dal maestoso ed essenziale rito antico” (pp. 205-206).
La Chiesa cattolica è in crisi perché è in crisi il sacerdozio. Una crisi preparata e propiziata da decenni di sciagurata teologia che ha omologato il prete a qualunque altro battezzato, che ha insistito in modo patologico solo sull’esistenza del sacerdozio universale dei fedeli, che ha mortificato e reso insignificante il sacerdozio ministeriale (pp. 207- 209).
In Chiesa si fa silenzio. La Chiesa non è il luogo di ritrovo della comunità dei protestanti o il teatro neutrale che ospita la celebrazione del rito. Il Tabernacolo deve stare al centro della Chiesa e si deve fare la debita genuflessione (pp. 209-211).
Gesù, il 12 marzo 1913, dice a Padre Pio: «La mia casa è divenuta per molti un teatro di divertimenti» (cfr. Epistolario, voi. I, lettera n. 118, p. 342). Padre Pio, il 25 luglio 1915, ad una sua figlia spirituale, indica come ci si comporta in chiesa (cfr. Epistolario, voi. III, lettera n. 9, pp. 87-89)” (pp. 211-212).
Il modo di vestire in chiesa deve essere diverso da quello del tempo libero o per la spiaggia. S. Giovanni Bosco raccomandava: «Dopo la comunione trattenetevi almeno un quarto d’ora a fare il ringraziamento». Sarebbe una grave irriverenza se, dopo pochi minuti aver ricevuto la SS. Eucaristia, uno uscisse di chiesa o, stando al suo posto, si mettesse a ridere, chiacchierare, guardare di qua e di là per la chiesa (pp. 213-214).
Padre Pio recitava, ovunque, in cella, nei corridoi, in sacrestia, salendo e scendendo le scale, da 40 a 50 S. Rosari al giorno. Di fronte allo stupore del suo interlocutore chiedeva: «Come fai tu a non recitarli?». Diceva che il Demonio cercherà sempre di distruggere questa preghiera, ma non ci riuscirà mai perché è la preghiera di Colei che trionfa su tutto e su tutti. E Lei che ce l’ha insegnata, come Gesù ci ha insegnato il Pater noster. Poco prima di morire, ai suoi confratelli e figli spirituali, ripeteva: «Amate la Madonna e fatela amare. Recitate sempre il Rosario» (pp. 214-216).
Per la potenza di profezia mostrata da P. Pio possiamo affermare con certezza: ciò che approva P. Pio, è perché prima quella cosa è approvata da Gesù stesso; ciò che P. Pio disapprova è perché prima quella cosa è disapprovata da Gesù stesso.
GIURAMENTO CHE I PAPI FANNO AL MOMENTO DELL’ ELEZIONE
Io prometto:
• di non diminuire o cambiare niente di quanto trovai conservato dai miei probatissimi antecessori, e di non ammettere qualsiasi novità, ma di conservare e di venerare con fervore, come vero loro discepolo e successore, con tutte le mie forze e con ogni impegno, ciò che fu tramandato;
• di emendare tutto quanto emerga in contraddizione alla disciplina canonica, e di custodire i sacri Canoni e le Costituzioni Apostoliche dei nostri Pontefici, quali comandamenti divini e celesti, (essendo io) consapevole che dovrò rendere stretta ragione davanti al (Tuo) giudizio divino di tutto quello che professo.
Io che occupo il Tuo posto per divina degnazione e fungo come il tuo Vicario, assistito dalla Tua intercessione. Se pretendessi di agire diversamente, o di permettere che altri lo faccia, Tu non mi sarai propizio in quel giorno tremendo del divino giudizio… (pp. 43 o 31).
Perciò, ci sottoponiamo al rigoroso interdetto dell’anatema, se mai qualcuno, o noi stessi, o un altro, abbia la presunzione di introdurre qualsiasi novità in opposizione alla Tradizione evangelica, o alla integrità della Fede e della Religione, tentando di cambiare qualcosa all’integrità della nostra Fede, o consentendo a chi pretendesse di farlo con ardire sacrilego» (Liber Diurnus Romanorum Pontificum, pp. 54 o 44, P.L. 1 o 5).
FONTE: fedeecultura.it