lunedì 9 novembre 2020

DEDICAZIONE DELLA BASILICA DI GESU' SANTISSIMO SALVATORE - ROMA

 


L'abside della basilica, con le decorazioni cosmatesche, racchiude la cattedra papale, che rappresenta simbolicamente la Santa Sede e fa di San Giovanni in Laterano la cattedrale di Roma.

Basilica di San Giovanni in Laterano

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Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando l'omonima chiesa milanese, vedi Chiesa di San Giovanni in Laterano.
Papale arcibasilica patriarcale maggiore arcipretale cattedrale del Santissimo Salvatore e dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista in Laterano
San Giovanni in Laterano - Rome.jpg
StatoItalia Italia
RegioneLazio
LocalitàRoma
ReligioneChiesa cattolica di rito romano
TitolareGiovanni apostolo ed evangelista e Giovanni Battista
DiocesiRoma
Consacrazione324 (o 318)
FondatorePapa Milziade
ArchitettoDomenico Fontana[1]
Giacomo della Porta[2]
Francesco Borromini[3]
Alessandro Galilei[4]
Francesco Vespignani[5]
Stile architettonicoArchitettura paleocristianamedievalerinascimentale e barocca
Inizio costruzioneIV secolo
Completamento1735
Sito webSito ufficiale

Coordinate41°53′09.26″N 12°30′22.16″E (Mappa)

La basilica di San Giovanni in Laterano o cattedrale di Roma, nome completo Papale arcibasilica maggiore cattedrale arcipretale del Santissimo Salvatore e dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista in Laterano[6] (in latino Archibasilica Sanctissimi Salvatoris et Sanctorum Ioannis Baptistae et Ioannis Evangelistae in Laterano) è la cattedrale della diocesi di Roma, attualmente retta da papa Francesco tramite il cardinale arciprete Angelo De Donatis.

È la prima delle quattro basiliche papali maggiori e la più antica e importante basilica d'Occidente[7]. Sita sul colle del Celio, la basilica è la rappresentazione materiale della Santa Sede, che ha qui la sua residenza.

La basilica e il vasto complesso circostante (comprendente il Palazzo Pontificio del Laterano, il Palazzo dei Canonici, il Pontificio Seminario Romano Maggiore e la Pontificia Università Lateranense) godono dei privilegi di extraterritorialità riconosciuti dalla Repubblica Italiana alla Santa Sede che pertanto ne ha la piena ed esclusiva giurisdizione.

La denominazione ufficiale è "Arcibasilica Papale del Santissimo Salvatore e dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista in Laterano"[6]. Papa Silvestro I, nel IV secolo, la dedicò al Santissimo Salvatore; poi papa Sergio III, nel IX secolo, aggiunse la dedica a San Giovanni Battista; infine papa Lucio II, nel XII secolo, incluse anche San Giovanni Evangelista[6]. È detta "arcibasilica" perché è la più importante delle quattro basiliche papali maggiori[8]; più precisamente, ha il titolo onorifico di Omnium Urbis et Orbis Ecclesiarum Mater et Caput, ovvero Madre e Capo di tutte le chiese nella città e nel mondo[9]. È detta infine "in Laterano", o "lateranense"; Lateranus era un cognomen della gens Claudia[10], e nella zona dove sorse la basilica si trovavano dei possedimenti (horti) di quella famiglia.


La leggenda aurea di Costantino e papa Silvestro

Una famosa e popolare Legenda Aurea narrata nel Trecento da Jacopo da Varagine racconta in un altro modo la storia della fondazione della basilica, intitolando la donazione costantiniana a papa Silvestro I.

Pare che Costantino fosse stato colpito da lebbra, nel 313, ma si rifiutasse di sacrificare i bambini il cui sangue, secondo i medici, lo avrebbe guarito. Costantino avrebbe dunque sognato due sconosciuti di nome Pietro e Paolo, che lo esortarono a mandare a cercare un eremita di nome Silvestro, che con i suoi compagni si era sottratto alle persecuzioni anticristiane in una grotta del monte Soratte, il quale avrebbe saputo guarirlo.

Costantino, che aveva scambiato i due santi per dei, mandò a chiamare Silvestro, che, arrivato, gli mostrò due ritratti degli apostoli Pietro e Paolo, nei quali l'imperatore riconobbe i suoi "dei" del sogno. Allora Silvestro impose all'imperatore di liberare i cristiani carcerati e digiunare una settimana, poi lo immerse nel fonte battesimale e l'imperatore ne uscì guarito.

Costantino dedicò allora gli otto giorni successivi a produrre leggi sulla cristianizzazione di Roma e sull'istituzione della potestà dei vescovi e della Chiesa.

Poi, l'ottavo giorno, dice la leggenda «l'imperatore andò alla chiesa di san Pietro, dove confessò piangendo le sue colpe. Prese poi il piccone e iniziò personalmente lo scavo per costruire la basilica e portò via sulle sue spalle dodici carichi di terra».




AMDG et DVM

E’ venuto al mondo per dare la sua vita per te, una follia d’amore, perché tu fossi felice per sempre.

 

E’ GESU’ LA VERA “GIOVENTU’ BRUCIATA” (CE LO DICE IL NATALE…)

24 Dic, 2015

Forse “Via delle storie infinite” sarebbe la giusta dislocazione per “il caffè della gioventù perduta” di cui parlava Guy Debord. La vedo ogni giorno questa generazione di venticinquenni e di trentenni. Volti che fanno tenerezza. Destini incerti come le foglie nei boschi di dicembre. Proprio nell’età che dovrebbe essere quella della fioritura, della fecondità, dell’energia.

Silenziosi, pur trovandosi a pagare tutti i conti degli errori della generazione precedente.

Sembrano naufraghi in una terra di nessuno. Ci sono fra loro anche i “pirla”, come in ogni compagnia, ma perlopiù è una generazione di ragazzi bravi, intelligenti, col segreto dolore di chi si sente fuori luogo, senza definizione, anonimo, senza un posto nel presente e forse nel futuro: “non c’era posto per loro in quell’albergo”.

Così – col versetto evangelico riferito a Maria e Giuseppe (due altri giovani di duemila anni fa, con un figlio che doveva nascere) – con quelle parole del Vangelo, si può descrivere la condizione di questa generazione.

IL SENSO DELLA VITA

Non c’è “un posto” per loro. Non solo un posto di lavoro (e il lavoro è tanto per un uomo). Ma non hanno un posto nel mondo: una dimora, una patria, una terra che abbia un perché, una bellezza e un futuro. Non hanno padri che dicano loro chi sono e per cosa vale la pena vivere.

Abbandonati. Perduti. Senza sapere da chi sono stati fregati. Smarriti come solo si può smarrire un figlio all’aeroporto. In una terra di nessuno, che non è più il tuo Paese e non è nemmeno una terra straniera. E’ un non-luogo. Sembra (ma non è così) che per loro non sia in partenza nessun volo. Non sentono chiamate.

Sono spaesati. Si dice che il nostro non è un Paese per giovani. Ma è perduta questa gioventù o è perduto un tale Paese?

Guy Debord – ricordate il Situazionismo e la “Società dello spettacolo”? – fece una suggestiva parafrasi dell’incipit della Divina Commedia, che sembra un affresco di oggi: “Nel mezzo del cammino della vera vita, eravamo circondati da una malinconia oscura, che tante parole tristi e beffarde hanno espresso, nel caffè della gioventù perduta”.

Stava in un libro strano con un titolo misterioso: “In girum imus nocte et consumimur igni”. Questo bizzarro titolo latino, un vero palindromo (si può leggere egualmente da sinistra a destra e viceversa) è in realtà una citazione dell’esametro imperfetto che è stato attribuito a Paolo Silenziario, un poeta bizantino del VI secolo d.C.

Pare sia dedicato alle falene o alle torce (ma vale per tutte le gioventù bruciate) e significa: “Andiamo in giro di notte e veniamo consumate dal fuoco”.

Da quale fuoco? Dalla vita come passione inutile, come diceva Sartre? L’uomo deve ardere, ma per cosa? Consumarsi per nulla è la dissipazione e la disperazione. Una gioventù bruciata (dagli altri o da se stessi) è l’opposto dell’ardore.

Guardo i bei volti dei miei figli e mi chiedo: quale giovinezza è veramente perduta e bruciata? Non è forse quella che non conosce il suo significato?

Bisogna donare la propria vita (e così farne un capolavoro) prima che il tempo ce la rubi. Questo è il vero fuoco, così la giovinezza non sfiorisce mai. Sapere per cosa (per chi) si vive. E si muore.

Toni Negri ha scritto un libro autobiografico di 600 pagine. C’è una frase che colpisce: “‘Papà, che cosa vuol dire morire?’, chiede mia figlia”. La risposta non arriva, in 600 pagine. E allora voglio raccontarvi una storia di ardore, cioè di amore. Una storia di vita che vince la morte.

LA GRANDE AVVENTURA

Era giovane anche Robert Southwell. Era un poeta. Nasce a Horsham St Faith in Inghilterra, viaggia per l’Europa, va a Parigi e poi a Roma (e non c’era l’Erasmus). A 19 anni, nel 1580, entra nella Compagnia di Gesù. A 23 anni è ordinato sacerdote. A 25 anni viene mandato, con Henry Garnett, in Inghilterra.

Era la sua patria, ma la corona aveva imposto l’anglicanesimo e perseguitava i cattolici. Un feroce decreto della regina Elisabetta comminava la pena di morte ai sacerdoti cattolici che fossero trovati sul suolo inglese.

Era un bagno di sangue terribile. Un martirio che fece molte vittime illustri. Così Robert entrò clandestinamente nel suo Paese. A quel tempo i gesuiti erano un po’ i “marines” della Chiesa.

Si trovavano sempre nelle imprese più ardimentose, che si trattasse delle foreste amazzoniche (si ricorda il film “Mission”) o dei Paesi sotto tirannie anticattoliche, si trattasse di solcare gli oceani fino all’India e al Giappone, come Francesco Saverio, o di entrare alla corte degli imperatori cinesi come Matteo Ricci.

Il giovane padre Robert svolse in Inghilterra il suo lavoro missionario, in segreto, per nove anni. Poi, nel 1592, a 31 anni, fu denunciato, arrestato e accusato di far parte di un complotto per assassinare la regina Elisabetta.

Durante la prigionia fu brutalmente torturato, ma lui sempre si dichiarò innocente sostenendo che dovevano giudicarlo il popolo inglese e Dio. Nel 1595, a 34 anni, fu condannato a morte per tradimento (come si vede non ci sono solo gesuiti troppo amici dei potenti anticattolici, ma anche dei grandi gesuiti martiri).

Gli fu tagliata la testa e il corpo fu fatto a pezzi. Ma quando il boia sollevò il suo capo mozzato, quel 21 febbraio, a Tyburn, il popolo non gridò “Traditore!”, come di consueto. Il giudizio del suo popolo era contenuto in un triste silenzio di sgomento.

E il giudizio di Dio? Robert Southwell fu beatificato nel 1929 e fu proclamato santo nel 1970 da Paolo VI. E’ uno dei quaranta martiri d’Inghilterra e del Galles. Un giovane santo e martire.

Una gioventù bruciata, la sua, si direbbe. Ma bruciata per amore, per il grande Amico, per il vero Re dell’universo, un Re croficisso.

Così Robert Southwell conquistò un’eterna giovinezza. E’ sua una memorabile poesia su quel fuoco, su quell’ardore, su questa giovinezza bruciata (vedi sotto il testo integrale).

Southwell fu un grande poeta ed ebbe un’influenza decisiva sulla letteratura inglese, a cominciare da William Shakespeare di cui fu amico: c’è chi sostiene che proprio grazie a lui Shakespeare sia morto (segretamente) da cattolico.

Southwell appartiene a quel fiume di poesia metafisica che comprende anche John Donne e arriva a Thomas S. Eliot, passando per quello straordinario poeta che fu Gerard Manley Hopkins (1844-1889), un convertito al cattolicesimo diventato anche lui gesuita.

CUORI ARDENTI

Dunque, dicevo, fra le poesie di Southwell ce n’è una, strana e struggente, intitolata “The Burning Babe” (Il bambino che brucia), una poesia apprezzata da due artisti apparentemente così lontani da Southwell, come Dylan Thomas e Ben Jonson. E’ stata recentemente trasformata in canzone dal violinista folk  inglese Chris Wood ed è stata cantata da Sting nella cattedrale di Durham.

Inizia in una sorta di foresta oscura, che è la vita di tutti, dove accade qualcosa: “Una bianca notte d’inverno, tremando nella neve,/ Fui sorpreso da un improvviso calore che m’infiammava il cuore”.

L’ “everyman” che racconta questa situazione allegorica si accorge che il calore gli viene da un “bambino raggiante”, lì vicino, che soffre per essere avvolto nelle fiamme e versa fiumi di lacrime che quasi le spengono.

Il fanciullo parla: “appena nato mi consumo in fiamme ardenti,/ eppure nessuno si avvicina a riscaldarsi il cuore o a sentire il mio fuoco!”.

Ma da dove vengono quelle fiamme? Lo spiega il bimbo: “Il mio petto innocente è la fornace, la legna ha rovi laceranti,/ Amore è il fuoco, il fumo son sospiri, le ceneri insulti e scherno;/ Giustizia porta la legna e misericordia soffia sui carboni”.

E’ un fuoco che trasforma il duro metallo delle “anime degli uomini”, piene di sozzura, per rinnovarle, e dopo le fiamme “mi scioglierò in un bagno per lavarle nel mio sangue”.

Conclude il poeta: “Dette queste parole sparì alla mia vista dissolvendosi d’improvviso,/ e subito mi ricordai che era il giorno di Natale”.

E’ venuto al mondo per dare la sua vita per te, una follia d’amore, perché tu fossi felice per sempre.

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Antonio Socci

(da “Libero”, 24 dicembre 2015)

www.antoniosocci.com

(nella foto: Robert De Niro nel film “The Mission”)

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The Burning Babe (Il bambino che brucia)

Una bianca notte d’inverno, tremando nella neve,
Fui sorpreso da un improvviso calore che m’infiammava il cuore;
E alzando gli occhi timorosi per vedere quale fuoco avessi vicino
Un bel bambino raggiante mi apparve nell’aria
Che arso dall’eccessivo calore, versava fiumi di lacrime
E sembrava che quei fiotti potessero spegnere la fiamma che alimentava il suo pianto.
“Ahimé” disse “appena nato mi consumo in fiamme ardenti,
eppure nessuno si avvicina a riscaldarsi il cuore o a sentire il mio fuoco!
Il mio petto innocente è la fornace, la legna ha rovi laceranti,
Amore è il fuoco, il fumo son sospiri, le ceneri insulti e scherno;
Giustizia porta la legna e misericordia soffia sui carboni;
il metallo lavorato in questa fornace sono le profanate anime degli uomini;
e come ora io sono per esse infiammato per modellarle al loro bene,
così mi scioglierò in un bagno per lavarle nel mio sangue”.
Dette queste parole sparì alla mia vista dissolvendosi d’improvviso,
e subito mi ricordai che era il giorno di Natale.

di Robert Southwell (1561-95)


AMDG et DVM

GESU': Egli è Re di un Regno dove il potere è infinito...





A quelli che decretavano: "Non vogliamo che costui regni" Egli risponde coi fatti miracolosi sui quali il volere degli uomini non può esplicare nessun potere. Con la sua Risurrezione e la sua Ascensione risponde. 

Mostrando così che se poterono ucciderlo fu perché Egli lo permise per fine d'amore infinito, ma che Egli è Re di un Regno dove il potere è infinito, perché da Sé può rendersi la vita e da Sé ascendere, anche come Uomo di vera carne, al Cielo, presso il Padre suo.

   In attesa di poter concedere ai suoi eletti il Regno celeste, Egli dà ad essi la pace. La pace che è, con la carità, l'aura del suo Regno celeste. La pace che da Lui emana. 

Da Lui che è Colui che è, e che è il Principe della Pace, e che per dare agli uomini la pace della riconci­liazione con Dio è venuto sulla Terra ad assumere, Egli che è l'Esse­re in eterno, carne, sangue e anima, per unirle ipostaticamente alla sua Divinità, per compiere il Sacrificio perfetto che ha placato il Pa­dre. 

Perfetto, perché la Vittima immolata, per cancellare il peccato dell'Umanità e l'offesa fatta dalla stessa a Dio suo Creatore, era ve­ra Carne per poter essere immolata, e Carne innocente e pura, ma anche era vero Dio

Quindi il suo Sacrificio fu perfetto, ed atto e sufficiente a lavare la Macchia e a restituire la Grazia, e a rifarci cittadini del Regno di Dio e servi non per schiavitù, ma per spiritua­le sacerdozio che dà ossequio e culto a Dio, e lavora perché il suo Regno si estenda, e anime ed anime vadano alla Luce e alla Vita; a quella Vita immortale anche per la carne risorta dei giusti che Egli ci testimoniò poter essere cosa vera con la sua Risurrezione dopo esser stato fatto morto, 

Egli il Vivente, divenendo così "il Primoge­nito fra i morti", di coloro che all'ultimo giorno riassumeranno la carne di cui per millenni, secoli, o anni, s'erano spogliati, per gode­re anche con la stessa, oggetto di prova, di lotta e di merito sulla Terra, dell'inesprimibile gaudio della conoscenza di Dio e delle sue perfezioni.

http://www.valtortamaria.com/operaminore/quaderno/3/manoscritto/84/su-lapocalisse-di-s-giovanni-apostolo-settembre-ottobre-1950-i-quaderno-parte-i

Dio vi benedica.

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AMDG et DVM