giovedì 1 ottobre 2020

S. Mirachiel, Angelo della fede contro i dubbi

 

VII Coro3 ottobre
ex 1 ottobre
Angelo della fede contro i dubbiSan Dionigi l'Areopagita

S. Mirachiel

Con una luce molto forte, che non solo dall’esterno opera sulla nostra mente, ma forse ancora più irrompe dall’interno verso l’esterno e l’anima cresce e si espande, sta questo grande angelo, che oggi è il nostro intercessore, dinnanzi a noi. Esso è

S. Mirachiel,

l’angelo della forza della fede. Il coro delle virtù, a cui egli appartiene, è per noi uno dei più incomprensibili. Esso è situato al più alto confine dell’anello della redenzione, e potrebbe essere al più confrontato con una corrente del cielo deviata nella tensione terrestre, che per noi esseri umani diviene sopportabile e necessaria, proprio come la nostra risposta munita di questa forza celeste, con cui viventi e vigorosi possiamo arrivare attraverso le regioni celesti davanti al trono di Dio.

Tutti i più alti cori - dal primo fino al sesto - sono portatori di un grande flusso di forza, o dell’amore, o della parola, o della vita. Gli altri due flussi di forza stanno in gran misura dietro questo flusso di forza principale. Ma nell’anello della redenzione, tutti e tre i fiumi di forza sfociano assieme in un comune quanto più ampio letto.

All’interno del coro delle virtù abbiamo le sette virtù della fede, che ricevono il flusso della vita dai troni e principati; le sette virtù della speranza, che ricevono il flusso della parola dai cherubini e dalle potestà; e il flusso dell’amore, che scende giù dai serafini e dalle dominazioni sulle sette virtù dell’amore. Le dodici virtù della Chiesa ricevono già assieme tutte le correnti allo stesso tempo e in tal modo anche gli arcangeli ed angeli, che stanno sotto di loro.

Il coro delle virtù è nella sua riconoscibilità contraddistinto dagli altri cori dal silenzioso vigore del divino “Sia!”, che egli porta, e da cui l’interiore tensione, ampliamento e trasformazione delle anime.

Le virtù della fede somigliano nella loro statica ad un molteplice levigato cristallo, che accoglie la luce di Dio con grande intensità e la irradia su tutti i lati potentemente. Le virtù della speranza potrebbero essere paragonate ad un seme germogliante, che con grande, interiore forza rompe il proprio involucro e si estende verso la luce, e per quanto riguarda le virtù dell’amore si può pensare ad un celeste rintocco di campana, indomabile, che espande il cuore a tal punto da ritenere che debba rompersi in schegge.

S. Mirachiel porta come simbolo tale molto luminescente cristallo, da cui non è possibile distinguere la luce, ovvero se questa luce provenga dall’interno o dall’esterno.

Questo significa che la forza della fede, che riceve da Dio la luce e la potenza, espande e rinforza le anime, illumina ogni oscurità, supera tutte le confusioni nella chiarezza di Dio e dà la potenza di dilaniare la serpe del male, potesse essa anche essere così sottilmente nascosta.

Preghiera: Tu grande angelo della forza della fede, aiutaci in questi tempi di oscurità e confusione affinché la nostra forza non si affievolisca, la nostra adesione divenga sempre più forte e che noi per la nostra fede moriamo più volentieri, piuttosto che rinnegarla. Amen.

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VII Coro4a domenica dopo Pentecoste
Angelo della forza della fede 

S. Mirachiel

In una struttura meravigliosa si estendono i testi del messale da Domenica a Domenicaera l'ultima domenica il discorso sulla vigilanzaper premunirsi contro l'avversario, il leone ruggente- e nel quadro allegorico abbiamo visto S. Aralim Enneth, il più debole dei troni, ondeggiante sotto l'assalto dell'inferno  e in somiglianza è così S. Mirachiel, l'angelo del potere della fede e soprattutto della forza della fedela migliore immagine al testo della introito“Il Signore è la mia salvezzadi chi avrò pauraEgli è il protettore della mia vita, di chi debbo tremareSorgesse anche un esercito contro di me, il mio cuore non conosce la paura.” Questo è il potere della fedeNaturalmente, la fede non è conoscenza, ma solo un ritenere come verocosì la forza della fede è una grande benedizioneIl Signore ha realizzato i suoi miracoli sulla forza della fede del suo confratelloVa’, la tua fede ti ha guarito!”

Ecco perché dobbiamo credere che Dio ci ama, perché vuole aiutarci e venire in nostro aiuto. Quindi noi saremo aiutati!

 
Testo in lingua originale
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SAN REMIGIO Vescovo



San Remigio di Reims Vescovo

  1° ottobre

Laon, Francia, 440 circa - Reims, Francia, 533 circa

San Remigio, vescovo di Reims, dopo che il re Clodoveo nel Natale 498 fu iniziato al sacro fonte battesimale ed ai sacramenti della fede, convertì i Franchi a Cristo e, dopo oltre sessant’anni di episcopato, lasciò questa vita ragguardevole per santità. L'ultima edizione del Martirologio Romano (2001) ricorda San Remigio il 13 gennaio, suo dies natalis, mentre la sua memoria liturgica facoltativa in Francia è celebrata il 15 gennaio, giorno della sua sepoltura. Il calendario della forma extra-ordinaria del Rito Romano pone la sua commemorazione al 1° ottobre, anniversario della traslazione solenne dei suoi resti nella basilica a lui dedicata, traslazione autorizzata dal pontefice San Leone IX il 1° ottobre 1049. Un tempo anche il Martirologio lo ricordava il 1° ottobre ed ancora oggi in tanti luoghi è festeggiato in tale data.

Etimologia: Remigio = che sta al remo, rematore, dal latino

Emblema: Bastone pastorale, Fiala d'olio

Martirologio Romano: A Reims sempre nella Gallia belgica, ora in Francia, deposizione di san Remigio, vescovo: dopo che il re Clodoveo fu iniziato al sacro fonte battesimale e ai sacramenti della fede, egli convertì i Franchi a Cristo e, dopo oltre sessant’anni di episcopato, lasciò questa vita ragguardevole per santità.


Nato cittadino romano, Remigio vede crollare nel 476 l’Impero di Occidente e sparire il dominio di Roma nella sua Gallia, che passa in mano alle tribù barbariche di Burgundi, Alamanni e Visigoti. Sul finire del V secolo, il popolo germanico dei Franchi occupa via via il Paese, al quale darà infine anche il proprio nome: Francia. 

Remigio appartiene al ceto dei gallo romani, legati da generazioni alla cultura latina, da cui ora provengono molti uomini di Chiesa. Viene acclamato vescovo di Reims prima di compiere i trent’anni, e un suo fratello di nome Principio sarà vescovo di Soissons.


All’epoca, la Gallia è un arcipelago di isole e isolette cattoliche, in un mare formato da Burgundi e Visigoti di fede ariana, mentre le campagne sono ancora pagane, come a loro modo pagani sono anche i Franchi, condotti in Gallia dal re Childerico. Meno evoluti degli altri popoli, i Franchi sono però dei grandi combattenti (non portano elmo né corazza) e hanno reso buoni servizi militari a Roma in passato.


Morto nel 482 Childerico, gli succede il figlio Clodoveo quindicenne. A lui Remigio, vescovo cattolico in territorio franco, scrive lettere rispettose e insieme autorevoli. Una di esse dice: "Vegliate a che il Signore non distolga lo sguardo da voi. Consigliatevi con i vostri vescovi. Divertitevi con i giovani, ma deliberate coi vecchi". Da un lato lo ammonisce, dall’altro riconosce la sua sovranità: un muoversi anche da politico, che è inevitabile per Remigio, "evangelizzatore a vita" tra i Franchi.


E’ un aiuto prezioso per Clodoveo, perché favorisce l’adesione degli altri vescovi e dei gruppi galloromani. Così il re giungerà a essere padrone del Paese, dopo la vittoria del 507 a Vouillé sui Visigoti, dando così l’inizio alla dinastia dei Merovingi. Ma non c’è soltanto la politica. 

Su di lui influisce fortemente in senso religioso la moglie Clotilde, che è già cattolica; influisce Remigio, che lo istruisce personalmente nella fede. E molti atti successivi del re Clodoveo rivelano una religiosità personale autentica. Si arriva così al suo battesimo, per opera del vescovo, a Reims, in un giorno di Natale di un anno incerto. Alcuni sostengono fosse il 497. In un’iscrizione della fine del XV secolo a Reims si legge: "L’an de grace cinq cent le roy Clovis – receut a Reims par saint Remy baptesme". Saremmo allora al 500.


Ma dopo quel Natale, quale che sia, riprende il lungo, feriale lavoro di Remigio per annunciare il Vangelo a chi non è re né principe; senza poeti e cronisti al seguito. Una fatica durata quasi settant’anni, secondo una tradizione. Un’immersione totale nei suoi doveri, oscuramente portata avanti, e di cui si parlerà soltanto dopo la sua morte, quando Remigio sarà acclamato santo direttamente dalla voce popolare.


Autore: 
Domenico Agasso

AMDG et DVM

Che cosa possiamo imparare noi da san Girolamo?



 << Che cosa possiamo imparare noi da san Girolamo?

 Mi sembra soprattutto questo: amare la Parola di Dio nella Sacra Scrittura. Dice san Girolamo: «Ignorare le Scritture è ignorare Cristo» (Commento ad Isaia, prol.). 

Perciò è importante che ogni cristiano viva in contatto e in dialogo personale con la Parola di Dio, donataci nella Sacra Scrittura. Questo nostro dialogo con essa deve sempre avere due dimensioni: da una parte, dev’essere un dialogo realmente personale, perché Dio parla con ognuno di noi tramite la Sacra Scrittura e ha un messaggio per ciascuno. 

Dobbiamo leggere la Sacra Scrittura non come parola del passato, ma come Parola di Dio, che si rivolge anche a noi, e cercare di capire che cosa il Signore voglia dire a noi. 

Ma per non cadere nell’individualismo dobbiamo tener presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella verità nel nostro cammino verso Dio. 

Quindi essa, pur essendo sempre una Parola personale, è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò dobbiamo leggerla in comunione con la Chiesa viva. 

Il luogo privilegiato della lettura e dell’ascolto della Parola di Dio è la Liturgia, nella quale, celebrando la Parola e rendendo presente nel Sacramento il Corpo di Cristo, attualizziamo la Parola nella nostra vita e la rendiamo presente tra noi. 

Non dobbiamo mai dimenticare che la Parola di Dio trascende i tempi. Le opinioni umane vengono e vanno. Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo. 

La Parola di Dio, invece, è Parola di vita eterna, porta in sé l’eternità, ciò che vale per sempre. Portando in noi la Parola di Dio, portiamo dunque in noi l’eterno, la vita eterna.>> 

Papa Benedetto XVI

SAN GIROLAMO: «Ciceroniano e non cristiano» prima, confutatore energico e vivace di eretici e contestatori poi.

 

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 7 novembre 2007

 

San Girolamo

I: Vita e scritti

Cari fratelli e sorelle,

fermeremo oggi la nostra attenzione su san Girolamo, un Padre della Chiesa che ha posto al centro della sua vita la Bibbia: l’ha tradotta nella lingua latina, l’ha commentata nelle sue opere e soprattutto si è impegnato a viverla concretamente nella sua lunga esistenza terrena, nonostante il ben noto carattere difficile e focoso ricevuto dalla natura.

Girolamo nacque a Stridone verso il 347 da una famiglia cristiana, che gli assicurò un’accurata formazione, inviandolo anche a Roma a perfezionare i suoi studi. Da giovane sentì l’attrattiva della vita mondana (cfr Ep. 22,7), ma prevalse in lui il desiderio e l’interesse per la religione cristiana. Ricevuto il Battesimo verso il 366, si orientò alla vita ascetica e, recatosi ad Aquileia, si inserì in un gruppo di ferventi cristiani, da lui definito quasi «un coro di beati» (Cronaca dell’anno 374), riunito attorno al Vescovo Valeriano. Partì poi per l’Oriente e visse da eremita nel deserto di Calcide, a sud di Aleppo (cfr Ep. 14,10), dedicandosi seriamente agli studi. Perfezionò la sua conoscenza del greco, iniziò lo studio dell’ebraico (cfr Ep. 125,12), trascrisse codici e opere patristiche (cfr Ep. 5,2). La meditazione, la solitudine, il contatto con la Parola di Dio fecero maturare la sua sensibilità cristiana. Sentì più pungente il peso dei trascorsi giovanili (cfr Ep. 22,7) e avvertì vivamente il contrasto tra mentalità pagana e vita cristiana: un contrasto reso celebre dalla drammatica e vivace «visione», della quale egli ci ha lasciato il racconto. In essa gli sembrò di essere flagellato al cospetto di Dio, perché «ciceroniano e non cristiano» (cfr Ep. 22,30).

Nel 382 si trasferì a Roma: qui il Papa Damaso, conoscendo la sua fama di asceta e la sua competenza di studioso, lo assunse come segretario e consigliere; lo incoraggiò a intraprendere una nuova traduzione latina dei testi biblici per motivi pastorali e culturali. Alcune persone dell’aristocrazia romana, soprattutto nobildonne come Paola, Marcella, Asella, Lea ed altre, desiderose di impegnarsi sulla via della perfezione cristiana e di approfondire la conoscenza della Parola di Dio, lo scelsero come loro guida spirituale e maestro nell’approccio metodico ai testi sacri. Queste nobili donne impararono anche il greco e l’ebraico.

Dopo la morte di Papa Damaso, Girolamo lasciò Roma nel 385 e intraprese un pellegrinaggio, dapprima in Terra Santa, silenziosa testimone della vita terrena di Cristo, poi in Egitto, terra di elezione di molti monaci (cfr Contro Rufino 3,22; Ep. 108,6-14). Nel 386 si fermò a Betlemme, dove, per la generosità della nobildonna Paola, furono costruiti un monastero maschile, uno femminile e un ospizio per i pellegrini che si recavano in Terra Santa, «pensando che Maria e Giuseppe non avevano trovato dove sostare» (Ep. 108,14). A Betlemme restò fino alla morte, continuando a svolgere un’intensa attività: commentò la Parola di Dio; difese la fede, opponendosi vigorosamente a varie eresie; esortò i monaci alla perfezione; insegnò la cultura classica e cristiana a giovani allievi; accolse con animo pastorale i pellegrini che visitavano la Terra Santa. Si spense nella sua cella, vicino alla grotta della Natività, il 30 settembre 419/420.

La preparazione letteraria e la vasta erudizione consentirono a Girolamo la revisione e la traduzione di molti testi biblici: un prezioso lavoro per la Chiesa latina e per la cultura occidentale. Sulla base dei testi originali in ebraico e in greco e grazie al confronto con precedenti versioni, egli attuò la revisione dei quattro Vangeli in lingua latina, poi del Salterio e di gran parte dell’Antico Testamento. Tenendo conto dell’originale ebraico e greco, dei Settanta, la classica versione greca dell’Antico Testamento risalente al tempo precristiano, e delle precedenti versioni latine, Girolamo, affiancato poi da altri collaboratori, poté offrire una traduzione migliore: essa costituisce la cosiddetta Vulgata, il testo «ufficiale» della Chiesa latina, che è stato riconosciuto come tale dal Concilio di Trento e che, dopo la recente revisione, rimane il testo «ufficiale» della Chiesa di lingua latina. E’ interessante rilevare i criteri a cui il grande biblista si attenne nella sua opera di traduttore. Li rivela egli stesso, quando afferma di rispettare perfino l’ordine delle parole delle Sacre Scritture, perché in esse, dice, «anche l’ordine delle parole è un mistero» (Ep. 57,5), cioè una rivelazioneRibadisce inoltre la necessità di ricorrere ai testi originali: «Qualora sorgesse una discussione tra i Latini sul Nuovo Testamento, per le lezioni discordanti dei manoscritti, ricorriamo all’originale, cioè al testo greco, in cui è stato scritto il Nuovo Patto. Allo stesso modo per l’Antico Testamento, se vi sono divergenze tra i testi greci e latini, ci appelliamo al testo originale, l’ebraico; così tutto quello che scaturisce dalla sorgente, lo possiamo ritrovare nei ruscelli» (Ep. 106,2). Girolamo, inoltre, commentò anche parecchi testi biblici. Per lui i commentari devono offrire molteplici opinioni, «in modo che il lettore avveduto, dopo aver letto le diverse spiegazioni e dopo aver conosciuto molteplici pareri – da accettare o da respingere –, giudichi quale sia il più attendibile e, come un esperto cambiavalute, rifiuti la moneta falsa» (Contro Rufino 1,16).

Confutò con energia e vivacità gli eretici che contestavano la tradizione e la fede della Chiesa. Dimostrò anche l’importanza e la validità della letteratura cristiana, divenuta una vera cultura ormai degna di essere messa a confronto con quella classica: lo fece componendo il De viris illustribus (Gli uomini illustri), un’opera in cui Girolamo presenta le biografie di oltre un centinaio di autori cristiani. Scrisse pure biografie di monaci, illustrando accanto ad altri itinerari spirituali anche l’ideale monastico; inoltre tradusse varie opere di autori greci. Infine nell’importante Epistolario, un capolavoro della letteratura latina, Girolamo emerge con le sue caratteristiche di uomo colto, di asceta e  di guida  delle anime.

Che cosa possiamo imparare noi da san Girolamo? Mi sembra soprattutto questo: amare la Parola di Dio nella Sacra Scrittura. Dice san Girolamo: «Ignorare le Scritture è ignorare Cristo» (Commento ad Isaia, prol.). Perciò è importante che ogni cristiano viva in contatto e in dialogo personale con la Parola di Dio, donataci nella Sacra Scrittura. Questo nostro dialogo con essa deve sempre avere due dimensioni: da una parte, dev’essere un dialogo realmente personale, perché Dio parla con ognuno di noi tramite la Sacra Scrittura e ha un messaggio per ciascuno. Dobbiamo leggere la Sacra Scrittura non come parola del passato, ma come Parola di Dio, che si rivolge anche a noi, e cercare di capire che cosa il Signore voglia dire a noi. Ma per non cadere nell’individualismo dobbiamo tener presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella verità nel nostro cammino verso Dio. Quindi essa, pur essendo sempre una Parola personale, è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò dobbiamo leggerla in comunione con la Chiesa viva. Il luogo privilegiato della lettura e dell’ascolto della Parola di Dio è la Liturgia, nella quale, celebrando la Parola e rendendo presente nel Sacramento il Corpo di Cristo, attualizziamo la Parola nella nostra vita e la rendiamo presente tra noi. Non dobbiamo mai dimenticare che la Parola di Dio trascende i tempi. Le opinioni umane vengono e vanno. Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo. La Parola di Dio, invece, è Parola di vita eterna, porta in sé l’eternità, ciò che vale per sempre. Portando in noi la Parola di Dio, portiamo dunque in noi l’eterno, la vita eterna.

E così concludo con una parola di san Girolamo a san Paolino di Nola. In essa il grande Esegeta esprime proprio questa realtà, che cioè nella Parola di Dio riceviamo l’eternità, la vita eterna. Dice san Girolamo: «Cerchiamo di imparare sulla terra quelle verità, la cui consistenza persisterà anche nel cielo» (Ep. 53,10).


Piazza San Pietro
Mercoledì, 14 novembre 2007

 

San Girolamo

II: La dottrina

Cari fratelli e sorelle,

continuiamo oggi la presentazione della figura di san Girolamo. Come abbiamo detto mercoledì scorso, egli dedicò la sua vita allo studio della Bibbia, tanto che fu riconosciuto da un mio Predecessore, il Papa Benedetto XV, come «dottore eminente nell’interpretazione delle Sacre Scritture». Girolamo sottolineava la gioia e l’importanza di familiarizzarsi con i testi biblici: «Non ti sembra di abitare – già qui, sulla terra – nel regno dei cieli, quando si vive fra questi testi, quando li si medita, quando non si conosce e non si cerca nient’altro?» (Ep. 53,10). In realtà, dialogare con Dio, con la sua Parola, è in un certo senso presenza del cielo, cioè presenza di Dio. Accostare i testi biblici, soprattutto il Nuovo Testamento, è essenziale per il credente, perché «ignorare la Scrittura è ignorare Cristo» (Commento ad Isaia, prol.). E’ sua questa celebre frase, citata anche dal Concilio Vaticano II nella Costituzione Dei Verbum (n. 25).

Veramente «innamorato» della Parola di Dio, egli si domandava: «Come si potrebbe vivere senza la scienza delle Scritture, attraverso le quali si impara a conoscere Cristo stesso, che è la vita dei credenti?» (Ep. 30,7). La Bibbia, strumento «con cui ogni giorno Dio parla ai fedeli» (Ep. 133,13), diventa così stimolo e sorgente della vita cristiana per tutte le situazioni e per ogni persona. Leggere la Scrittura è conversare con Dio: «Se preghi – egli scrive a una nobile giovinetta di Roma –, tu parli con lo Sposo; se leggi, è Lui che ti parla» (Ep. 22,25). Lo studio e la meditazione della Scrittura rendono l’uomo saggio e sereno (cfr Commento alla Lettera agli Efesini, prol.). Certo, per penetrare sempre più profondamente la Parola di Dio è necessaria un’applicazione costante e progressiva. Così Girolamo raccomandava al sacerdote Nepoziano: «Leggi con molta frequenza le divine Scritture; anzi, che il Libro Santo non sia mai deposto dalle tue mani. Impara qui quello che tu devi insegnare» (Ep. 52,7). Alla matrona romana Leta dava questi consigli per l’educazione cristiana della figlia: «Assicurati che essa studi ogni giorno qualche passo della Scrittura ... Alla preghiera faccia seguire la lettura, e alla lettura la preghiera ... Che invece dei gioielli e dei vestiti di seta, essa ami i Libri divini» (Ep. 107,9.12). Con la meditazione e la scienza delle Scritture si «mantiene l’equilibrio dell’anima» (Commento alla Lettera agli Efesini,  prol.). Solo un profondo spirito di preghiera e l’aiuto dello Spirito Santo possono introdurci alla comprensione della Bibbia: «Nell’interpretazione della Sacra Scrittura noi abbiamo sempre bisogno del soccorso dello Spirito Santo» (Commento a Michea 1,1,10,15).

Un appassionato amore per le Scritture pervase dunque tutta la vita di Girolamo, un amore che egli cercò sempre di destare anche nei fedeli. Raccomandava ad una sua figlia spirituale: «Ama la Sacra Scrittura e la saggezza ti amerà; amala teneramente, ed essa ti custodirà; onorala e riceverai le sue carezze. Che essa sia per te come le tue collane e i tuoi orecchini» (Ep. 130,20). E ancora: «Ama la scienza della Scrittura, e non amerai i vizi della carne» (Ep. 125,11).

Per Girolamo un fondamentale criterio di metodo nell’interpretazione delle Scritture era la sintonia con il Magistero della Chiesa. Non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il «noi» nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire. Per il grande esegeta un’autentica interpretazione della Bibbia doveva essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica. Non si tratta di un’esigenza imposta a questo Libro dall’esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante, e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la Sacra Scrittura. Perciò Girolamo ammoniva un sacerdote: «Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono» (Ep. 52,7). In particolare, dato che Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa su Pietro, ogni cristiano – egli concludeva – deve essere in comunione «con la Cattedra di san Pietro. Io so che su questa pietra è edificata la Chiesa» (Ep. 15,2). Conseguentemente, senza mezzi termini, dichiarava: «Io sono con chiunque sia unito alla Cattedra di san Pietro» (Ep. 16).

Girolamo ovviamente non trascura l’aspetto etico. Spesso, anzi, egli richiama il dovere di accordare la vita con la Parola divina: solo vivendola troviamo anche la capacità di capirla. Tale coerenza è indispensabile per ogni cristiano e particolarmente per il predicatore, affinché le sue azioni, quando fossero discordanti rispetto ai discorsi, non lo mettano in imbarazzo. Così esorta il sacerdote Nepoziano: «Le tue azioni non smentiscano le tue parole, perché non succeda che, quando tu predichi in chiesa, qualcuno nel suo intimo commenti: “Perché dunque proprio tu non agisci così?”. Carino davvero quel maestro che, a pancia piena, disquisisce sul digiuno; anche un ladro può biasimare l’avarizia; ma nel sacerdote di Cristo la mente e la parola si devono accordare» (Ep. 52,7). In un’altra lettera Girolamo ribadisce: «Anche se possiede una dottrina splendida, resta svergognata quella persona che si sente condannare dalla propria coscienza» (Ep. 127,4). Sempre in tema di coerenza, egli osserva: il Vangelo deve tradursi in atteggiamenti di vera carità, perché in ogni essere umano è presente la Persona stessa di Cristo. Rivolgendosi, ad esempio, al presbitero Paolino (che divenne poi Vescovo di Nola e Santo), Girolamo così lo consiglia: «Il vero tempio di Cristo è l’anima del fedele: ornalo, questo santuario, abbelliscilo, deponi in esso le tue offerte e ricevi Cristo. A che scopo rivestire le pareti di pietre preziose, se Cristo muore di fame nella persona di un povero?» (Ep. 58,7). Girolamo concretizza: bisogna «vestire Cristo nei poveri, visitarlo nei sofferenti, nutrirlo negli affamati, alloggiarlo nei senza tetto» (Ep. 130,14). L’amore per Cristo, alimentato con lo studio e la meditazione, ci fa superare ogni difficoltà: «Amiamo anche noi Gesù Cristo, ricerchiamo sempre l’unione con Lui: allora ci sembrerà facile anche ciò che è difficile» (Ep. 22,40).

Girolamo, definito da Prospero di Aquitania «modello di condotta e maestro del genere umano» (Poesia sugli ingrati 57), ci ha lasciato anche un insegnamento ricco e vario sull’ascetismo cristiano. Egli ricorda che un coraggioso impegno verso la perfezione richiede una costante vigilanza, frequenti mortificazioni, anche se con moderazione e prudenza, un assiduo lavoro intellettuale o manuale per evitare l’ozio (cfr Epp. 125,11 e 130,15) e soprattutto l’obbedienza a Dio: «Nulla ... piace tanto a Dio quanto l’obbedienza..., che è la più eccelsa e l’unica virtù» (Omelia sull’obbedienza). Nel cammino ascetico può rientrare anche la pratica dei pellegrinaggi. In particolare, Girolamo diede impulso a quelli in Terra Santa, dove i pellegrini venivano accolti e ospitati negli edifici sorti accanto al monastero di Betlemme, grazie alla generosità della nobildonna Paola, figlia spirituale di Girolamo (cfr Ep. 108,14).

Non può essere taciuto, infine, l’apporto dato da Girolamo in materia di pedagogia cristiana (cfr Epp. 107 e 128). Egli si propone di formare «un’anima che deve diventare il tempio del Signore» (Ep. 107,4), una «preziosissima gemma» agli occhi di Dio (Ep. 107,13). Con profondo intuito egli consiglia di preservarla dal male e dalle occasioni peccaminose, di escludere amicizie equivoche o dissipanti (cfr Ep. 107,4 e 8-9; cfr anche Ep. 128,3-4). Soprattutto esorta i genitori perché creino un ambiente di serenità e di gioia intorno ai figli, li stimolino allo studio e al lavoro, anche con la lode e l’emulazione (cfr Epp. 107,4 e 128,1), li incoraggino a superare le difficoltà, favoriscano in loro le buone abitudini e li preservino dal prenderne di cattive, perché – e qui cita una frase di Publilio Siro sentita a scuola – «a stento riuscirai a correggerti di quelle cose a cui ti vai tranquillamente abituando» (Ep. 107,8). I genitori sono i principali educatori dei figli, i primi maestri di vita. Con molta chiarezza Girolamo, rivolgendosi alla madre di una ragazza ed accennando poi al padre, ammonisce, quasi esprimendo un’esigenza fondamentale di ogni creatura umana che si affaccia all’esistenza: «Essa trovi in te la sua maestra, e a te guardi con meraviglia la sua inesperta fanciullezza. Né in te, né in suo padre veda mai atteggiamenti che la portino al peccato, qualora siano imitati. Ricordatevi che... potete educarla più con l’esempio che con la parola» (Ep. 107,9). Tra le principali intuizioni di Girolamo come pedagogo si devono sottolineare l’importanza attribuita a una sana e integrale educazione fin dalla prima infanzia, la peculiare responsabilità riconosciuta ai genitori, l’urgenza di una seria formazione morale e religiosa, l’esigenza dello studio per una più completa formazione umana. Inoltre un aspetto abbastanza disatteso nei tempi antichi, ma ritenuto vitale dal nostro autore, è la promozione della donna, a cui riconosce il diritto ad una formazione completa: umana, scolastica, religiosa, professionale. E vediamo proprio oggi come l’educazione della personalità nella sua integralità, l’educazione alla responsabilità davanti a Dio e davanti all’uomo, sia la vera condizione di ogni progresso, di ogni pace, di ogni riconciliazione e di ogni esclusione della violenza. Educazione davanti a Dio e davanti all’uomo: è la Sacra Scrittura che ci offre la guida dell’educazione, e così del vero umanesimo.

Non possiamo concludere queste rapide annotazioni sul grande Padre della Chiesa senza far cenno  all’efficace contributo da lui recato alla salvaguardia degli elementi positivi e validi delle antiche culture ebraica, greca e romana nella nascente civiltà cristiana. Girolamo ha riconosciuto ed assimilato i valori artistici, la ricchezza di pensiero e l’armonia delle immagini presenti nei classici, che educano il cuore e la fantasia a nobili sentimenti. Soprattutto, egli ha posto al centro della sua vita e della sua attività la Parola di Dio, che indica all’uomo i sentieri della vita, e gli rivela i segreti della santità. Di tutto questo non possiamo che essergli profondamente grati, proprio nel nostro oggi.


Saluti:

Je suis heureux de saluer les francophones, notamment les jeunes prêtres de Belley-Ars, avec leur Évêque, Mgr Bagnard. J’adresse un salut tout particulier aux pèlerins de France venus avec les reliques de sainte Thérèse de l’Enfant Jésus et de la Sainte-Face, accompagnés par Mgr Pican, Évêque de Bayeux et Lisieux. Nous nous souvenons qu’il y a cent vingt ans, la petite Thérèse est venue rencontrer le Pape Léon XIII, pour lui demander la permission d’entrer au Carmel malgré son jeune âge. Il y a quatre-vingt ans, le Pape Pie XI la proclamait Patronne des Missions et, en 1997, le Pape Jean-Paul II la déclarait Docteur de l’Église. Après cette audience, j’aurai la joie de prier devant ses reliques, comme de nombreux fidèles peuvent le faire pendant toute la semaine dans différentes églises de Rome. Sainte Thérèse aurait voulu apprendre les langues bibliques pour mieux lire l’Écriture. À sa suite et à l’exemple de saint Jérôme, puissiez-vous prendre du temps pour lire la Bible de manière régulière. En devenant familiers de la Parole de Dieu, vous y rencontrerez le Christ pour demeurer en intimité avec lui. Avec ma Bénédiction apostolique.

I am pleased to greet the English-speaking visitors present at today’s Audience, especially those from England, Denmark, Japan, Canada and the United States of America. I greet especially the Sisters of Saint Anne of Tiruchirapalli, who are preparing to celebrate the one hundred and fiftieth anniversary of their foundation. Upon all of you I cordially invoke an abundance of joy and peace in our Lord Jesus Christ.

Von Herzen grüße ich die Pilger und Besucher aus den Ländern deutscher Sprache. Der hl. Hieronymus mag uns allen in seinem Ringen, das oft nicht leicht war - er hatte ein schwieriges und wildes Temperament - ein Vorbild sein und uns ermutigen im beständigen Gebet, im Hören auf Gottes Wort, im Ringen mit Gottes Wort und im Ringen mit uns selbst, den rechten Weg zu finden. Der Herr unseres Lebens schenke euch seinen Frieden und geleite euch auf allen euren Wegen.

Saludo a los peregrinos españoles, especialmente a los del Arciprestazgo de Abegondo, de Santiago de Compostela, a los de la Parroquia de Serantes, de Ferrol y a los miembros de la Hermandad de Santa Marta, de Madrid. También a los estudiantes chilenos de Santiago, a los venezolanos de Maracaibo, a los mexicanos y de otros países latinoamericanos. Agradeciendo al Señor la vida de san Jerónimo, seguid sus enseñanzas y poned la Palabra de Dios en el centro de vuestra vida y actividades. Ella os guía a la santidad. ¡Gracias!

Saúdo os que me ouvem, desejando-lhes todo o bem, com as graças divinas, na sua caminhada como novo Povo de Deus. Em particular, sejam bem-vindos os grupos de peregrinos do Brasil e de Portugal: abençoando-vos, penso em vossos entes queridos. Que sejais felizes!

Saluto in lingua croata:

Srdačno pozdravljam sve hrvatske hodočasnike, osobito vjernike iz Vrsara. Nasljedujući primjer Svetoga Jeronima, zaštitnika vaših sunarodnjaka u Rimu, proučavajte Sveto Pismo upoznavajući tako sve više samoga Krista. Hvaljen Isus i Marija!

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini croati, particolarmente i fedeli di Vrsar. Seguendo l’esempio di San Girolamo, protettore dei vostri connazionali a Roma, studiate la Sacra Scrittura facendo così conoscere sempre di più il Cristo. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Pozdrawiam pielgrzymów z Polski. Św. Hieronim był całkowicie oddany medytacji nad Pismem Świętym, które objawia tajemnicę Boga, wskazuje właściwe drogi życia i świętości, i prowadzi do zbawienia. Niech jego przykład zachęca nas do częstego obcowania ze Słowem Bożym. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus!

Traduzione italiana:

Saluto i pellegrini provenienti dalla Polonia. San Girolamo è stato totalmente dedito alla meditazione della Sacra Scrittura che rivela il mistero di Dio, indica i giusti sentieri della vita e della santità, e conduce alla salvezza. Il suo esempio ci stimoli al frequente accostamento alla Parola di Dio. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Zo srdca vítam pútnikov z Grinavy, Limbachu, Pezinka a Diviny. Bratia a sestry, budúcu nedeľu sa v rímskych bazilikách svätých apoštolov Petra a Pavla bude sláviť Výročie ich posviacky. Nech návšteva týchto chrámov zveľadí vašu lásku k Cirkvi, ktorá je postavená na apoštolskom základe. Rád vás žehnám. Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:

Do un cordiale benvenuto ai pellegrini provenienti da Grinava, Limbach, Pezinok e Divina. Fratelli e sorelle, domenica prossima nelle basiliche romane dei santi Apostoli Pietro e Paolo si celebrerà la festa della Dedicazione. La visita di queste chiese approfondisca il vostro amore per la Chiesa, fondata sugli apostoli. Volentieri vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua lituana:

Nuoširdžiai sveikinu piligrimus atvykusius iš Lietuvos. Brangūs bičiuliai, suteikdamas kiekvienam iš jūsų ir jūsų šeimoms Apaštališkąjį palaiminimą, karštai linkiu, kad būtumėte krikščioniškos vilties pasiuntiniai ir liudytojai ten, kur gyvenate ir dirbate.

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini provenienti dalla Lituania. Cari amici, nell'impartire la Benedizione Apostolica a ciascuno di voi e alle vostre famiglie, auspico vivamente che sappiate essere messaggeri e testimoni della speranza cristiana nell'ambiente in cui vivete e lavorate.

* * *

Rivolgo ora un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i rappresentanti dell'Unione Apostolica del Clero ed auguro che contribuisca a tener viva nei sacerdoti la coscienza della loro vocazione alla santità, condizione indispensabile per essere nel mondo segno credibile dell'amore di Cristo. Saluto poi i fedeli di Ficulle, qui convenuti in occasione del Millennio di fondazione dell'Abbadia di S. Nicolò al Monte e, mentre li ringrazio per la loro visita, li esorto a trarre dalla loro storia sempre nuovo impulso per progredire nel cammino della testimonianza cristiana. Saluto inoltre i membri dell'Associazione Cuochi italiani, venuti a Roma da tutte le Regioni d'Italia in occasione del loro simposio d'autunno. Cari amici, nel vostro lavoro siate messaggeri non solo della gioia serena del convivio, ma anche della condivisione fraterna e solidale. Il mio affettuoso pensiero va ora ai familiari delle vittime di Nassirya, che ricordano i loro cari nel quarto anniversario della loro tragica morte. La memoria di questi nostri fratelli e di quanti hanno sacrificato il bene supremo della vita per il nobile intento della pace contribuisca a sostenere il cammino della rinascita, piena di speranza, del caro popolo iracheno.

Saluto, infine i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. Celebreremo domani la festa del vescovo sant'Alberto Magno, apostolo di pace tra le popolazioni del suo tempo. Il suo esempio sia stimolo per voi, cari giovani, specialmente per voi cari studenti del Collegio Mondo Unito dell'Adriatico e per voi alunni della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Salesiana, ad essere artefici di riconciliazione e di giustizia. Sia per voi, cari ammalati, incoraggiamento a confidare nel Signore, che mai ci abbandona nel momento della prova. Sia per voi, cari sposi novelli, spinta a trovare nel Vangelo la gioia di accogliere e servire generosamente la vita, dono incommensurabile di Dio

”Gridate a gran voce, perché è un dio! È occupato, è in affari o è in viaggio; forse dorme, ma si sveglierà”

 



 

La sfida dei profeti di Baal al Carmelo

In questa meditazione presentiamo un celebre episodio dal Primo Libro dei Re, la strage dei profeti di Baal compiuta da Elia al Carmelo. Il brano va letto tenendo conto della sensibilità e della coscienza del redattore biblico di quell’epoca, per il quale era normale, se non doveroso, attribuire a Dio a e ai suoi profeti anche gesti di violenza. Illuminati dalla coscienza di Gesù noi leggiamo e preghiamo questi brani per cogliervi quegli elementi simbolici per far crescere in noi la fede la speranza e l’amore.

Dono da chiedere nella preghiera

  • Scoprire la forza dell’alleanza e della fedeltà all’unico Dio
  • Sconfiggere le illusioni con cui gli idoli e i loro profeti si presentano

1Re, 18

Abdia andò incontro ad Acab e gli riferì la cosa. Acab si diresse verso Elia. Appena lo vide, Acab disse a Elia: “Sei tu colui che manda in rovina Israele?”. Egli rispose: “Non io mando in rovina Israele, ma piuttosto tu e la tua casa, perché avete abbandonato i comandi del Signore e tu hai seguito i Baal. Perciò fa’ radunare tutto Israele presso di me sul monte Carmelo, insieme con i quattrocentocinquanta profeti di Baal e con i quattrocento profeti di Asera, che mangiano alla tavola di Gezabele”.

Acab convocò tutti gli Israeliti e radunò i profeti sul monte Carmelo. Elia si accostò a tutto il popolo e disse: “Fino a quando salterete da una parte all’altra? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!”. Il popolo non gli rispose nulla. Elia disse ancora al popolo: “Io sono rimasto solo, come profeta del Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta. Ci vengano dati due giovenchi; essi se ne scelgano uno, lo squartino e lo pongano sulla legna senza appiccarvi il fuoco. Io preparerò l’altro giovenco e lo porrò sulla legna senza appiccarvi il fuoco. Invocherete il nome del vostro dio e io invocherò il nome del Signore. Il dio che risponderà col fuoco è Dio!”. Tutto il popolo rispose: “La proposta è buona!”.

Elia disse ai profeti di Baal: “Sceglietevi il giovenco e fate voi per primi, perché voi siete più numerosi. Invocate il nome del vostro dio, ma senza appiccare il fuoco”. Quelli presero il giovenco che spettava loro, lo prepararono e invocarono il nome di Baal dal mattino fino a mezzogiorno, gridando: “Baal, rispondici!”. Ma non vi fu voce, né chi rispondesse. Quelli continuavano a saltellare da una parte all’altra intorno all’altare che avevano eretto. Venuto mezzogiorno, Elia cominciò a beffarsi di loro dicendo: “Gridate a gran voce, perché è un dio! È occupato, è in affari o è in viaggio; forse dorme, ma si sveglierà”. Gridarono a gran voce e si fecero incisioni, secondo il loro costume, con spade e lance, fino a bagnarsi tutti di sangue. Passato il mezzogiorno, quelli ancora agirono da profeti fino al momento dell’offerta del sacrificio, ma non vi fu né voce né risposta né un segno d’attenzione.

Elia disse a tutto il popolo: “Avvicinatevi a me!”. Tutto il popolo si avvicinò a lui e riparò l’altare del Signore che era stato demolito. Elia prese dodici pietre, secondo il numero delle tribù dei figli di Giacobbe, al quale era stata rivolta questa parola del Signore: “Israele sarà il tuo nome”. Con le pietre eresse un altare nel nome del Signore; scavò intorno all’altare un canaletto, della capacità di circa due sea di seme. Dispose la legna, squartò il giovenco e lo pose sulla legna. Quindi disse: “Riempite quattro anfore d’acqua e versatele sull’olocausto e sulla legna!”. Ed essi lo fecero. Egli disse: “Fatelo di nuovo!”. Ed essi ripeterono il gesto. Disse ancora: “Fatelo per la terza volta!”. Lo fecero per la terza volta. L’acqua scorreva intorno all’altare; anche il canaletto si riempì d’acqua. Al momento dell’offerta del sacrificio si avvicinò il profeta Elia e disse: “Signore, Dio di Abramo, di Isacco e d’Israele, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose sulla tua parola. Rispondimi, Signore, rispondimi, e questo popolo sappia che tu, o Signore, sei Dio e che converti il loro cuore!”. Cadde il fuoco del Signore e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere, prosciugando l’acqua del canaletto. A tal vista, tutto il popolo cadde con la faccia a terra e disse: “Il Signore è Dio! Il Signore è Dio!”. Elia disse loro: “Afferrate i profeti di Baal; non ne scappi neppure uno!”. Li afferrarono. Elia li fece scendere al torrente Kison, ove li ammazzò.

Elia disse ad Acab: “Va’ a mangiare e a bere, perché c’è già il rumore della pioggia torrenziale”. Acab andò a mangiare e a bere. Elia salì sulla cima del Carmelo; gettatosi a terra, pose la sua faccia tra le ginocchia. Quindi disse al suo servo: “Sali, presto, guarda in direzione del mare”. Quegli salì, guardò e disse: “Non c’è nulla!”. Elia disse: “Tornaci ancora per sette volte”. La settima volta riferì: “Ecco, una nuvola, piccola come una mano d’uomo, sale dal mare”. Elia gli disse: “Va’ a dire ad Acab: “Attacca i cavalli e scendi, perché non ti trattenga la pioggia!””. D’un tratto il cielo si oscurò per le nubi e per il vento, e vi fu una grande pioggia. Acab montò sul carro e se ne andò a Izreèl. La mano del Signore fu sopra Elia, che si cinse i fianchi e corse davanti ad Acab finché giunse a Izreèl.

Punti per la meditazione

“Sei tu colui che manda in rovina Israele?”(v.17)Spesso il profeta biblico è associato alla sventura alla sfortuna, tanto che è divenuta proverbiale l’espressione “essere profeti di sventura”. In realtà, il profeta, come nel nostro caso, si comporta come il medico, che non è responsabile o causa della malattia del paziente, ma colui che ne sa cogliere i sintomi per proporre la cura. Elia vede nella siccità in cui è incorso il regno di Acab un simbolo dell’aridità spirituale da cui il regno è avvolto, a causa dell’idolatria incoraggiata dal re e da sua moglie Gezabele.

“Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!” (v. 20).Il profeta è l’uomo dell’alleanza. Ha molto chiaro chi è l’unico Dio, l’amante della vita (Sap 11,29), l’unico capace di prendersi cura dell’uomo perché ne è stato il liberatore, come tutta la vicenda dell’esodo ha mostrato. Di fronte a lui non si può rimanere neutrali “saltando da una parte all’altra” o, come diremmo noi, “tenendo un piede in due scarpe”. Con grande realismo, il profeta invita alla verifica sperimentale. In fondo è facile capire da che parte stare, se solo ci si schiera e si esce dalla zona grigia dell’indecisione. Talvolta una scelta decisa nel male può far correggere il tiro più che tanti tentennamenti tra l’uno e l’altro.

“Io sono rimasto solo, come profeta del Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta. Ci vengano dati due giovenchi” (v. 23). Il profeta non segue le opinioni della moltitudine anche a costo di rimanere solo, perché sa per esperienza chi è Dio.    Non da ascolto ai sondaggi di opinione, ma segue il suo cuore. Al tempo stesso non solo interpreta ma anche offre dei segni, affinché la fede del popolo sia stimolata. Qui non ha paura di sfidare i profeti di Baal sul loro stesso terreno. Chi è in grado di essere efficace?

“Elia cominciò a beffarsi di loro dicendo:”Gridate a gran voce, perché è un dio! È occupato, è in affari o è in viaggio; forse dorme, ma si sveglierà” (v. 27). Elia si sente molto sicuro al punto da prendere in giro i profeti che, nonostante tutti i loro sforzi, non riescono a far scendere in campo il loro dio. I sentimenti e i pensieri che Elia attribuisce ai profeti di Baal talvolta sono anche i nostri. Anche noi spesso pensiamo che Dio sia occupato altrove, sia addormentato, come Gesù durante la traversata del lago (Mc 4,35-41)…, che si sia dimenticato di noi. Questo accade quando consideriamo Dio alla stregua di un idolo, un prolungamento del nostro io che deve soddisfare le nostre richieste nei tempi e noi modi che noi abbiamo stabilito.

“Rispondimi, Signore, rispondimi, e questo popolo sappia che tu, o Signore, sei Dio e che converti il loro cuore!” (v.37). Elia ha molto chiaro che quanto sta per avvenire non è opera sua, anche se non può avvenire senza il suo concorso. Il profeta non è un superuomo, come le vicende successive al nostro episodio confermano, è uno fragile come noi che però ha sperimentato la forza, la vicinanza e la costante presenza di Dio nella propria vita. La vera battaglia del profeta è contro la propria incredulità e le proprie paure.

Cadde il fuoco del Signore (v.38). Ciò che il Signore non ci fa mai mancare è il suo fuoco, simbolo del suo Spirito, del suo amore e della sua presenza. Lo Spirito è Dio è lui che si rende concreto e operante nella nostra vita, alle volte per farci uscire da ciò che ci imprigiona e ci impedisce di vivere, come qui viene simbolicamente rappresentato nell’uccisione dei falsi profeti,  altre volte per rinforzare la pianticella di una nuovo vita che è cominciata. È questo il dono da chiedere vincendo la paura e il pregiudizio che sia troppo poco, che non sia la medicina giusta, ciò di cui abbiamo realmente bisogno.

AMDG et DVM