venerdì 12 giugno 2020

Gesù non fa mai paura

Dai QUADERNI  1943 di 

Maria Valtorta



12 giugno 1943


    Dice Gesù: 

   «Molti, se molti leggessero quello che ti dètto, troverebbero che delle espressioni sono un po’ forti, quasi impossibili alla loro vista umana. Il Padre1 se ne stupirà meno perché, come mio servo, sa che nulla è impossibile a Dio, anche certe forme di condotta verso le anime che non sarebbero seguite dagli uomini che misurano le cose e le applicano secondo una falsariga e un modello creato da loro. Cioè sempre imperfetti.
   Quando Io dico2: "Ti ho tanto amata che ho persino accontentato i tuoi capricci...", dico una frase che farebbe sgranare gli occhi a molti e farebbe applicare critiche irrispettose a Me e giudizi poco piacevoli a te. Eppure è così, e questo avvenne per una mia vista giustissima.
   Quando Io ti volli per Me, povera Maria, eri così umana e l’umanità che avevi avuto intorno a te era ancor più umana di te stessa e ti aveva sempre più appesantita, di modo che eri proprio una piccola selvaggia. Se Io allora ti avessi chiesto quello che ti ho chiesto dopo, e specie quello che voglio da te, ora per ora, adesso, tu saresti fuggita spaventata.

   Ma Gesù non fa mai paura. Gesù coi suoi figli cari è un padre di un’amorevolezza perfetta; di una amorevolezza divina, perché se Gesù fu uomo e dell’uomo conobbe i sentimenti, Egli è sempre stato ed è Dio, e perciò nei sentimenti raggiunge la perfezione di Dio.
   Allora Io per avvicinarti e perché tu ti avvicinassi senza timore e con sempre più amore, ho seguito la regola in uso fra gli uomini per conquistare i bimbi scontrosi. Ti ho offerto e donato tutto quanto desideravi. Erano inezie alle volte, delle altre erano cose grandi. Ebbene: il tuo Gesù te le ha date.
   Qualche volta sognavi ad occhi aperti e davi per certo il sogno. Un uomo ti avrebbe smentita facendoti passare per pazza e insincera. Io, Dio, ho mutato i tuoi sogni in certezze per non avvilirti al cospetto del mondo. In tal modo ho ottenuto che tu ti affezionassi3 talmente a Me da giungere a quello che sei ora: una cosa sperduta in Me, inscindibile da Me.

   Tu, essere finito e imperfetto, non esisti più con le tue limitazioni e imperfezioni umane, perché sei assorbita, e da te stessa ti sei fatta assorbire, da Me. Vedi Me in ogni cosa piacevole, spiacevole, lieta, triste, che ti accada. Agisci guardando il mio Viso. Sei affascinata del mio Viso. Potrei guidarti con lo sguardo. Con anche meno: il battito del mio Cuore, del mio Amore, ti guida. Vivi del mio amore. Vivi nel mio amore. Vivi per il mio amore.
   Quando hai una gioia mi corri incontro ridendo a dirmi grazie. Quando hai un bisogno tendi la tua mano chiedendolo. Quando hai un dolore mi vieni sul Cuore per piangere. Sei talmente convinta che Io sono il tuo Tutto, che prendi decisioni, che hai confidenze che alla corta vista umana potrebbero parere imprudenze e pazzie. Ma tu sai che Io sono il tuo Tutto. Un Tutto-Dio e che posso tutto, e ti fidi.
Casa Valtorta - Fondazione Maria Valtorta Cev onlus
   E’ proprio questa confidenza assoluta che mi spinge a compiere per te continui piccoli miracoli, perché è la confidenza di chi mi ama quella che apre il mio Cuore di Dio per farne scendere torrenti di grazie.
Sei mia perché Io ti ho saputo prendere, perché ho saputo fare della tua povera umanità avvilita un capolavoro della Misericordia. Sei mia, la mia piccola Mia. Eri di tante cose. Vivevi per le sollecitudini umane. Soffrivi, morivi nella carne e nell’anima perché sei un’anima che il mondo non sazia e non sapevi trovare la via. Adesso sei mia, solo mia. E anche sulla croce sei felice perché hai chi ti ama come vuoi tu. Hai Me, tuo Dio e tuo Sposo, tuo Gesù.»


   «Quando un’anima giunge ad essere così mia, l’amore le tiene posto di Legge e di Comandamenti. Divini l’una e gli altri, ma che fanno ancora sentire la loro presenza. Sono come le bardature messe alla vostra animalità perché non si impenni e vada nei precipizi.
   Ma l’Amore non ha peso. Non è una briglia che esercita coercizioni. È una forza che vi conduce liberandovi anche dalla vostra umanità. Quando un’anima ama realmente, l’Amore le tiene luogo di tutto. È come un piccolo bimbo nelle braccia della sua mamma che lo nutre, lo veste, lo addormenta, lo lava, lo porta a spasso o lo mette nella cuna per suo bene. L’Amore è la mistica nutrice che alleva le anime destinate al Cielo.


   Se per un miracolo speciale, voluto per 3/4 dalla vostra volontà - perché senza la vostra volontà certi miracoli non possono, non devonoaccadere - e per un quarto dalla mia benignità, tutte le anime divenissero viventi solo per lo spirito, ossia tutte degne del Cielo, Io direi per la terra la parola "Fine" per potervi portare tutti al Cielo prima che un nuovo fermento di umanità corrompesse di nuovo qualcuno dei più deboli fra di voi. Ma disgraziatamente questo non accadrà mai. Anzi sempre più spiritualità e amore muoiono sulla terra.
   Per questo le anime che sanno vivere nella spiritualità e nell’amore devono toccare i vertici dello spirito, della carità a del sacrificio - perché il sacrificio non manca mai in questa trinità di cose necessarie per essere miei discepoli veri - e riparare per le altre che hanno sterilito spirito e amore nei loro cuori.
   Riparare, consolare, soffrire. Saranno le vittime quelle che salveranno il mondo.»


   1 Padre Migliorini. 

   
   
2 Nel dettato del 4 giugno, pag. 12.
   affezionassi è nostra correzione da affezionassi

Tredicina per sant'ANTONIO

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Giugno
1. Il Signore preparerà per tutti i popoli su questo monte (di Sion) un banchetto di carni grasse... e di vini prelibati (cf. Is 25,6). È ciò che fa oggi la chiesa, per la quale Cristo ha preparato un banchetto splendido e sontuoso, di una duplice e abbondante ricchezza: diede il suo vero corpo e il suo vero sangue, e comandò che fosse dato anche a tutti quelli che avrebbero creduto in lui.
Perciò si deve credere fermamente e confessare con la bocca che quel corpo che la Vergine partorì, che fu inchiodato sulla croce, che giacque nel sepolcro, che risuscitò il terzo giorno, che salì alla destra del Padre, egli lo diede realmente agli apostoli, e la chiesa ogni giorno lo "prepara" e lo distribuisce ai suoi fedeli.

2. Il contemplativo, quando si alza alle sfere superiori, non percorre una via stabilita o diritta, perché la contemplazione non è in potere del contemplativo, ma dipende dalla volontà del creatore, il quale elargisce la dolcezza della contemplazione a chi vuole, quando vuole e come vuole.
3. Il gaudio della speranza del cielo e l'ascolto dei divini precetti seppelliscono il giusto nella duplice spelonca della vita attiva e contemplativa, perché sia protetto al riparo del volto di Dio, nascosto agli intrighi degli uomini e lontano dalle lingue che contraddicono (cf. Sal 30,21).

4. Nella penitenza, come nella mandorla, ci sono tre elementi: la corteccia amara, il guscio solido, il seme dolce. Nella corteccia amara è indicata l'amarezza della penitenza, nel guscio solido la costanza della perseveranza e nel seme dolce la speranza del perdono.
5. Benché l'albero, cioè il corpo dell'uomo, venga tagliato dalla scure della morte, sia invecchiato, decomposto nella terra e ridotto in polvere, tuttavia l'uomo deve avere la speranza ch'esso rifiorirà, cioè risorgerà, e che le sue membra ricresceranno e che, al sentore dell'acqua, cioè per la munificenza della sapienza divina, germoglierà di nuovo e ritornerà al suo splendore, come nel paradiso terrestre.
6. Colui che nutre la speranza dei beni eterni è pieno dell'umore della devozione. Invece la speranza posta nei beni terreni non produce il frutto della carità; è piccola e meschina perché non cresce in Dio; è insipida perché la sua sapienza non è condita con il divino sapore.

7. Quando all'inizio della conversione e della nuova vita scoppiano i tuoni, cioè le tentazioni della prosperità o delle avversità, queste riescono spesso a guastare le uova della speranza e dei santi propositi. Quindi il figlio della grazia deve domandare al Padre della misericordia l'uovo della speranza dei beni eterni perché, come dice Geremia, "benedetto è l'uomo che confida nel Signore: il Signore stesso sarà la sua speranza" (Ger 17,7).
8. Come si deve aver paura del pungiglione che lo scorpione ha sulla coda, così è un atto contrario alla speranza guardare indietro, cioè al passato: la speranza è la virtù che si protende in avanti, che aspira cioè ai beni futuri.

9. Leggiamo in Giobbe: "Il legno (l'albero) ha una speranza: se viene tagliato, ancora ributta" (Gb 14,7). Così l'uomo ha e deve avere la speranza che il legno, cioè il suo corpo, dopo essere stato tagliato dalla scure della morte, rifiorirà nella risurrezione finale.
10. Dove ci sono timore e speranza, lì c'è una vita impegnata in Dio. E considera ancora che l'olio galleggia su tutti i liquidi, e per questo simboleggia la speranza, che ha per oggetto le cose eterne, le quali sono al di sopra di ogni bene transitorio. Infatti si chiama speranza, in latino spes, perché è il piede, in latino pes, per camminare verso il Signore. Speranza è attesa dei beni futuri, ed essa esprime il sentimento dell'umiltà e un'attenta dedizione di sudditanza.
11. Quelli che non sperano in se stessi ma solo nel Signore, che è il Dio della speranza, riacquisteranno forza, per essere forti in lui, anche se sono deboli in questo mondo.
12. Come l'uccello è fornito di due ali, così nell'anima c'è la fede e la speranza. La fede e la speranza riguardano le cose invisibili, e quindi dalle cose visibili innalzano a quelle invisibili. Ma coloro che hanno la fede solo a parole, che pongono la loro speranza solo in se stessi e nelle loro cose e pongono la fiducia nell'uomo, costoro bramano avidamente le cose terrene, gustano solo quelle e solo su quelle si fermano.
13. La virtù dei santi è come il piombino del muratore che controlla la perpendicolarità dei muri... Quando si celebrano le feste dei santi, viene teso questo piombino sulla vita dei peccatori; e quindi celebriamo le loro feste per avere dalla loro vita una norma per la nostra. È ridicolo perciò nelle solennità dei santi, volerli onorare con i cibi (con grandi pranzi), quando sappiamo che essi hanno conquistato il cielo con i digiuni.

14. Giuseppe e Maria sono figura della speranza e del timore, che sono come i "genitori" del giusto. La speranza è l'attesa dei beni futuri, che genera un sentimento di umiltà e una pronta disponibilità di servizio. La speranza è detta in latino spes, quasi pes, piede, passo di avanzamento: ecco l'aumento, l'accrescimento. Al contrario si dice disperazione, quando non c'è nessuna possibilità di andare avanti, poiché quando uno ama il peccato non spera certo nella gloria futura. E perché la speranza non degeneri in presunzione, dev'essere unita al timore, che è principio della saggezza (Sal 110,10; Eccli 1,16), al cui possesso nessuno può giungere se prima non ha assaporato l'amarezza del timore. Per questo è detto nell'Esodo che i figli d'Israele, prima di arrivare alla dolcezza della manna, trovarono l'amarezza dell'acqua di Mara (cf. Es 15,23). Bevendo una medicina amara si arriva alla gioia della guarigione.
15. "Ogni ipocrita è malvagio" (Is 9,17), dice Isaia; e Michea: "Il migliore tra di essi è come un pruno, e il più retto come le spine della siepe" (Mic 7,4). Veramente oggi molti sono ipocriti, pruni e spine. L'ipocrita è colui che finge di essere ciò che non è; è come il cespuglio di pruni, che sembra morbido nelle parole, ma punge con i fatti; è come le spine che feriscono i passanti per succhiarne il sangue della lode e del denaro.

16. Gesù Cristo darà il premio della vita eterna a colui che avrà sconfitto l'appetito della carne, avrà imitato gli esempi dei santi, e avrà scacciato gli zoppi e i ciechi, cioè i prelati e i sacerdoti che zoppicano da entrambi i piedi, vale a dire nei sentimenti e nelle opere, e che sono ciechi da entrambi gli occhi, vale a dire nella vita e nella scienza. Costoro hanno in odio la vita di Gesù Cristo, poiché vendono al diavolo la loro anima, per la quale Cristo ha dato la sua vita.

17. Come nelle mani ci sono dieci dita, così dieci sono le specie di flagellazione, cioè di mortificazione che dobbiamo praticare: la rinuncia alla propria volontà, l'astinenza dal cibo e dalla bevanda, la rigorosità del silenzio, le veglie di preghiera durante la notte, l'effusione delle lacrime, il dedicare un congruo tempo alla lettura, il lavoro materiale, la generosa partecipazione alle necessità del prossimo, il vestire dimessamente, il disprezzo di sé. Con queste dieci dita dobbiamo afferrare il flagello e colpirci senza pietà, senza misericordia, quasi con ferocia, perché nel giorno del castigo che spezzerà le ossa, possiamo trovare misericordia.
18. Come l'oro è superiore a tutti i metalli, così la scienza sacra è superiore a ogni altra scienza: non sa di lettere chi non conosce le "lettere sacre".
19. Gesù Cristo fu misericordioso nell'Incarnazione, forte e valoroso nella Passione e sarà sommamente desiderabile per noi nella beatitudine eterna. Parimenti è misericordioso nell'infusione della grazia.
20. La nostra anima è il giardino nel quale Cristo, come un giardiniere, mette a dimora i misteri della fede e poi la irriga quando le infonde la grazia della compunzione. Egli l'ha generata nei dolori della sua Passione.
21. Il giusto, nell'abbondanza della grazia che gli è elargita, entra nel sepolcro della vita contemplativa; come a suo tempo il mucchio di grano viene portato nel granaio, così, soffiata via la paglia delle cose temporali, la sua mente si rinchiude nel granaio della pienezza celeste e così rinchiusa si sazia della sua dolcezza.

22. Il volto del Padre è il Figlio. Come infatti una persona si riconosce dal volto, così per mezzo del Figlio conosciamo il Padre. Quindi la luce del volto di Dio è la conoscenza del Figlio e l'illuminazione della fede, che nel giorno della Pentecoste fu segnata e impressa nel cuore degli apostoli.

23. L'edera che da se stessa non può spingersi in alto, ma lo fa attaccandosi ai rami di qualche albero, sta a significare il ricco di questo mondo, il quale può elevarsi al cielo non per se stesso, ma con le elemosine elargite ai poveri, che lo sollevano a modo di braccia.
24. Giovanni (Battista) è detto "cervo slanciato", cioè agile e veloce, che scavalca luoghi spinosi e scoscesi, perché incrementa la corsa con i salti. Così il beato Giovanni scavalcò rapidamente le ricchezze del mondo, raffigurate nelle spine, e i piaceri della carne, paragonati alle scabrosità del suolo. Se egli, santificato già nel grembo materno e del quale, a testimonianza del Signore, uno più grande non ci fu tra i nati di donna, si tormentò con vesti così rozze e visse con cibo così povero, cosa possiamo dire noi, miseri peccatori, concepiti nei peccati, pieni di vizi, che detestiamo ogni asprezza e cerchiamo delicatezze e comodità?
25. Quando nel cuore dell'uomo ci sono le tenebre del peccato mortale, l'uomo è in preda alla mancanza della conoscenza di Dio e all'ignoranza della propria fragilità, e non sa distinguere il bene dal male. Invece la luce che illumina l'anima è la contrizione del cuore, che produce la conoscenza di Dio e della propria infermità, e mostra la differenza tra l'uomo retto e quello malvagio.

26. Come l'aurora segna la fine della notte e l'inizio del giorno, così la contrizione segna la fine del peccato e l'inizio della penitenza.

27. L'anima fedele che in Matteo viene chiamata "vigna", deve essere sarchiata con il sarchio (la zappa) della contrizione, potata con la falce della confessione e sostenuta con i paletti della penitenza (o soddisfazione).
28. Cingiti con la cintura della confessione e raccogli i tuoi vestiti perché non scendano a toccare le cose immonde della strada. E non voler passare per l'abbondanza dei beni terreni, dove molti si sono perduti, ma scegli di passare per la semplicità e le strettezze della povertà.

29. Coloro che rinnegano Cristo tre volte nelle tenebre dei peccati, al canto del gallo, cioè alla predicazione della parola di Dio, si pentano, per essere poi capaci, nella luce della penitenza, insieme con il beato Pietro, di dichiarare per tre volte: "Amo, amo, amo". Amo con il cuore per mezzo della fede e della devozione; amo con la lingua con la professione della verità e con l'edificazione del prossimo; amo con la mano mediante la purezza delle opere.

30. Ogni giorno il ventre esige ad alta voce il tributo della gola; ma il penitente non lo ascolta per nulla, perché gli obbedisce non per il piacere, ma solo per necessità.

TREDICINA A SANT’ANTONIO
1. O gloriosissimo sant’Antonio, che otteneste da Dio la virtù di risuscitare i morti, risvegliate l’anima
mia dalla sua tiepidezza ad una vita fervorosa e santa.
2. O sapientissimo sant’Antonio, vero luminare di santa Chiesa e del mondo, illuminate l’anima mia
con la luce delle celesti verità.
3. O pietosissimo Santo, sempre pronto e potente nel soccorrere i vostri devoti nelle loro calamità,
soccorrete l’anima mia nella presente necessità.
4. O potentissimo sant’Antonio, che fin da giovinetto imparaste a vincere il nemico infernale,
custodite e difendete l’anima mia dai suoi assalti e terribili tentazioni.
5. O purissimo sant’Antonio, giglio incomparabile d’innocenza, non permettete che l’anima mia
s’imbratti mai della schifosa lebbra dell’impurità.
6. O medico celeste, carissimo sant’Antonio, per cui tanti infermi tornano a salute, risanate l’anima
mia dalle ferite della colpa e dirizzatene le cattive inclinazioni.
7. O fedelissimo sant’Antonio, dirigete l’anima mia nel burrascoso mare della vita, e conducetela al
porto della sua eterna salute.
8. O tenerissimo sant’Antonio, liberatore dei condannati dell’umana giustizia, liberate l’anima mia dai
lacci del peccato, affinché non cada nei ceppi della terribile giustizia di Dio.
9. O vero Santo miracoloso, per cui anche le membra staccate dal corpo si ricompongono e
riacquistano la vita, ricongiungete alla Chiesa i suoi membri staccati dall’empietà e dal vizio.
10. O graziosissimo sant’Antonio, che sì bene fate ritrovare le cose smarrite, fate che io non perda
mai col peccato la grazia e l’amicizia con Dio; ma se per somma sventura la perdessi, subito la ritrovi
per non perderla mai più.
11. O carissimo Santo, giovani e vecchi vengono a voi e sono esauditi. Eccomi anch’io, povero e
miserabile: non venga mai meno la vostra carità, ed esauditemi.
12. O benignissimo sant’Antonio, molti pericoli circondano l’anima mia: da essi liberatemi e
salvatemi.
13. O amatissimo sant’Antonio, dalla vostra Padova, dalla vostra Arca guardate alle mie necessità;
parli a Dio per me la vostra Lingua miracolosa, sicché io possa finalmente essere consolato ed
esaudito.

mercoledì 10 giugno 2020

La Mia Chiesa



LA CHIESA

La mia Chiesa è molto travagliata, la mia Chiesa ha colonne sgretolate; ma essa si regge su di me e non crollerà, anche se dovrà subire una potente scossa, molto presto.   16.11.-98

 Il mio popolo non mi testimonia; la mia chiesa, quella che Io ho fondato solida e forte, è in preda ad una grande crisi; l’amore tra fratelli viene meno, lotte e discordie sono  dovunque ….   26.3.-99

Amati, vedete soffrire la chiesa: in questo momento essa è tribolata e percossa in una società smarrita e disorientata, ma la chiesa, per la quale voi tanto soffrite, la chiesa trema, geme, ma non crolla, non crolla, figli cari, figli tanto amati: essa è fondata su Gesù!   Essa trionferà, figli, vi annuncio che presto vi sarà il grande trionfo della chiesa di Gesù; proprio quando il nemico sognava la sua rovina, il suo tracollo, essa trionferà assieme a tutti quelli che l’hanno sostenuta, difesa, aiutata, amata.    11.2.-99

Piccola cara, quello che è accaduto a me sta per accadere alla mia Chiesa:  sembrerà colpita a morte, sembrerà giunta veramente alla fine, essa, però, come me risorgerà, risorgerà più grande e più splendida di prima …. 23.3.-99

Opera Divina Sapienza
AMDG et DVM

ALFONSO RODRIGUEZ: ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE


CAPO II.
Si dichiara meglio il secondo fondamento.
1. Dio non vuole il peccato.
2. Bensì l'effetto del peccato.
3. Così i malvagi servono di strumento alla divina giustizia.
4. Esempi.
5. Anche il demonio.
6. Prove della Scrittura.


1. È una verità tanto chiaramente espressa nella divina Scrittura, che tutti i travagli e mali di pena vengono dalla mano di Dio, che non vi sarebbe verun bisogno di trattenerci in provarla, se il demonio colla sua astuzia non procurasse d'oscurarla. Perché dell'altra verità, pur certa, che abbiamo detta, cioè non esser Dio cagione né autore del peccato, inferisce una conclusione falsa e bugiarda, facendo credere ad alcuni che, sebbene i mali che ci vengono per mezzo di cagioni naturali e di creature irragionevoli, come l'infermità, la carestia, la sterilità, vengono dalla mano di Dio; perché in queste cose non v'è peccato né vi può essere in creature tali, non essendo capaci di esso; nondimeno il male e il travaglio che accade per colpa dell'uomo, il quale ha dato delle ferite o ha rubato ad un altro, o lo ha ingiuriato, non viene dalla mano di Dio, né è guidato dalla sua ordinazione o provvidenza, ma viene dalla malizia e perversa volontà di colui; il che è un errore molto grande. 

Dice molto bene S. Doroteo, riprendendo questa cosa e quelli insieme che non pigliano tutte le cose come venute dalla mano di Dio: Vi sono alcuni, i quali, quando un altro dice qualche parola contro di essi, o fa loro qualche altro male, dimentichi di Dio, rivolgono tutta la loro ira contro il prossimo, imitando i cani, i quali mordono il sasso e non guardano alla mano che l'ha tirato, né fanno d'essa alcun conto (S. DOROTH. Doctr. 7, n. 6).


2. Per dar il bando a quest'errore, e acciocché stiamo ben fondati nella verità cattolica, notano i teologi che nel peccato che l'uomo commette concorrono due cose; l'una è il moto o atto esteriore che egli fa; l'altra il disordine della volontà col quale si scosta da quello che Dio comanda. Della prima cosa è autore Dio, della seconda l'uomo. Mettiamo, per esempio, che un uomo venga a rissa con un altro e lo ammazzi. Per ammazzarlo gli bisognò metter mano all'arma, alzare e maneggiare il braccio, tirare il colpo e far altri moti naturali, i quali si possono considerare da sé, senza il disordine della volontà dell'uomo che li fece per ammazzar quell'altro. 
Di tutti questi moti, considerati in sé stessi, ne è cagione Iddio, ed egli li fa, come fa anche tutti gli altri effetti delle creature irragionevoli: perché siccome esse non si possono muovere né operare senza l'attuale concorso di Dio, così né anche potrebbe senza esso maneggiar l'uomo il braccio né metter mano all'arma: Oltre di questo, quegli atti naturali da se stessi non sono cattivi, perché se l'uomo li usasse per sua necessaria difesa, o in guerra giusta, o come ministro della giustizia, e in questo modo ammazzasse un altro, non peccherebbe. 
Ma della colpa, che è il difetto e disordine della volontà con cui l'uomo cattivo fa l'ingiuria, e di quel traviamento dalla ragione e storcimento da essa, non ne è cagione Iddio; sebbene ciò egli permette, perché, potendolo impedire, non lo impedisce pei suoi giusti giudizi. E dichiarano questo con una similitudine. Si trova uno ferito nel piede e con esso va zoppicando. La cagione del camminare col piede è la virtù e la forza motiva dell'anima; ma del zoppicare ne è cagione la ferita, e non la virtù dell'anima: così nell’opera che uno fa peccando, la cagione dell'opera è Dio; ma l'errare e il peccare operando è del libero arbitrio dell'uomo.

Di maniera che, sebbene Iddio non è né può essere cagione né autore del peccato, abbiamo nondimeno da tener per certo che tutti i mali di pena, o vengano per mezzo di cagioni naturali e di creature irragionevoli; o vengano per mezzo di creature ragionevoli, per qualsivoglia via e in qualsivoglia modo che vengano, tutti vengono dalla mano di Dio, e per sua disposizione e provvidenza. Dio è quegli che ha maneggiata la mano di colui che ti ha percosso, e la lingua di colui che ti ha detta la parola ingiuriosa. «Vi sarà danno nella città, che non sia opera del Signore?» dice il profeta Amos (Am3,6); ed è piena la sacra Scrittura di questa verità, attribuendo a Dio il male che un uomo ha fatto ad un altro, e dicendo che Dio è quegli che l'ha fatto.


3. Nel secondo libro dei Re, parlandosi di quel castigo che Dio diede a Davide per mezzo del suo figlio Assalonne, per il peccato d'adulterio e d'omicidio che commise, dice Dio che un tale castigo gliela avrebbe dato egli di propria mano. «Ecco che io farò nascere le tue sciagure dalla tua stessa casa... poiché tu hai fatto in segreto, ma io farò questo a vista di tutto Israele, e a vista di questo sole» (2Re 12, 11-12). Quindi è ancora che i re empi, i quali per la loro superbia e crudeltà usavano trattamenti asprissimi col popolo di Dio, vengono chiamati dalla Scrittura strumenti della divina giustizia. «Guai ad Assur, verga del mio furore» (Is10,5). E di Ciro, re dei Persiani, per mezzo del quale il Signore aveva da castigare i Caldei, dice «che ne prese la destra» (Is45,1). 

Dice molto bene S. Agostino a questo proposito: Procede Dio con noi altri come suole procedere di qua un padre, il quale adirato col figliuolo dà di mano ad un bastone, che trova alla ventura, e con esso castiga il figliuolo erede di tutti i suoi beni. In questa maniera, dice il Santo, è solito anche il Signore dar di mano ai tristi e servirsene di strumento e di sferza per castigare i buoni (S. AUG. Enarr. in Ps. 73, n. 8).


4. Nella Storia Ecclesiastica (NICEPHOR. Eccles, hist. l. 3, c. 6) leggiamo che nella distruzione di Gerusalemme, vedendo Tito; capitano dei Romani, mentre passeggiava intorno alla città, i fossi pieni di teste di morti e di cadaveri, e che tutto quel paese circonvicino s'infettava per la puzza, alzò gli occhi al cielo e a gran voce chiamò Dio per testimonio, come egli non era cagione che si facesse tanto grande strage. 
E quando quel barbaro Alarico andava a saccheggiare e distruggere Roma, gli uscì incontro un venerabile monaco e gli disse che non volesse esser cagione di tanti mali, quanti si sarebbero commessi in quella giornata; ed egli rispose: Io non vo a Roma per volontà mia, ma una certa persona, la quale non so chi si sia, tutto dì mi va stimolando e mi tormenta, dicendomi: Va a Roma e distruggi la città (CASSIOD. Hist. tripart. l. 11, c. 9). 
Di maniera che abbiamo a conchiudere che tutte queste cose vengono dalla mano di Dio e per ordine e volontà sua. E così il reale profeta Davide, quando Semei gli diceva tanti improperi e gli tirava sassi e terra, disse a coloro che volevano di lui fare vendetta: Lasciatelo stare, ché il Signore gli ha comandato che dica tanto di male contro di me (2Re 16,10). E voleva dire: il Signore l'ha preso come suo strumento per affliggermi e castigarmi.


5. Ma che gran cosa è riconoscere gli uomini per strumenti della giustizia e provvidenza divina; poiché ne sono anche strumenti gli stessi demoni, ostinati e indurati nella loro malvagità e ansiosi della nostra rovina? S. Gregorio nota mirabilmente questa cosa sopra quello che dice la Scrittura nel primo libro dei Re: «Uno spirito maligno del Signore agitava Saulle» (S. GREG. Moral. l. 2, c. 10; l. 18, c. 2, n. 4). 
Lo stesso spirito si chiama spirito del Signore e spirito maligno; maligno, per il desiderio della sua maligna volontà; e del  Signore, per dimostrarci che era mandato da Dio per dar quel tormento a Saulle, e che Dio glielo dava per mezzo di esso. E lo dichiara ivi espressamente il testo medesimo, dicendo che lo spirito che lo vessava era per permissione di Dio (1Re 16,14), E per la stessa ragione dice il Santo (S. GREG. Moral. l. 14, c. 38, n. 46) che i demoni, i quali tribolano e perseguitano i giusti, sono chiamati dalla Scrittura ladroni di Dio, come si legge in Giobbe: ladroni, per la maligna volontà che hanno di farci male; e di Dio, per dimostrarci che la potestà che hanno di farci male l'hanno da Dio.


6. E così pondera molto bene S. Agostino (S. AUG. Enarr. 2 in Ps. 31, n. 26): «Non disse il Santo Giobbe: Il Signore me lo diede, il demonio me l'ha tolto»; ma ogni cosa riferì egli subito a Dio, e disse: Il Signore me lo diede; il Signore me l'ha tolto; perché sapeva molto bene che il demonio non può far più male di quello che gli è permesso da Dio. E prosegue il Santo: Nessuno dica: il demonio m'ha fatto questo male. Attribuisci pure a Dio il tuo travaglio e il tuo flagello; perciocché il demonio non può far niente, nemmeno toccarti un pelo della veste, se Dio non gliene dà licenza né anche nei porci dei Geraseni poterono entrare i demoni senza domandarne prima licenza a Cristo nostro Redentore, come narra il santo Vangelo (Mt 8, 31). 
Come dunque tenteranno te, o ti potranno tentare, senza licenza di Dio? Quegli che senza questa non poté toccare i porci, come potrà toccare i figliuoli?

ALFONSO RODRIGUEZ: ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE



AMDG et DVM

Un enorme altare...

   Dice Gesù:

   «Se la mia Carne è realmente cibo e il mio Sangue è realmente bevanda, come mai le vostre anime muoiono di inedia? 
Come mai non crescete nella vita della grazia? 
Vi sono molti per i quali è come se le mie chiese non avessero ciborio. Sono coloro che mi hanno rinnegato o dimenticato. 
Ma vi sono anche molti che si cibano di Me. Eppure non progrediscono. Mentre in altri, ad ogni unione con Me-Eucarestia, vi è un accrescimento di grazia.


   Ti spiegherò le cause di queste differenze. Vi sono i perfetti che mi cercano unicamente perché sanno che la mia gioia è di essere accolto nel cuore degli uomini e che non hanno gioia più grande di questa di divenire una sola cosa con Me. In questi l’incontro eucaristico diviene fusione, ed è tanto forte l’ardore che da Me emana e che da loro si sprigiona, che come due metalli in un crogiolo noi si diventa una cosa sola. Naturalmente quanto più la fusione è perfetta tanto più la creatura prende l’impronta mia, le mie proprietà, le mie bellezze. Così sanno unirsi a Me quelli che voi chiamate poi "Santi", ossia i perfetti che hanno capito chi Io sono.

   Ma in tutte le anime che vengono a Me con vero trasporto e puro cuore Io porto grazie indicibili e trasfondo la mia grazia, di modo che esse procedono sulla via della Vita e anche se non raggiungono una santità clamorosa, riconosciuta dal mondo, raggiungono sempre la vita eterna, perché chi sta in Me ha vita eterna.

   Per tutte le anime che sanno venire a Me con l’ardore dei primi e con la fiducia dei secondi e che mi dànno tutto quanto è in loro potere di dare, ossia tutto l’amore di cui sono capaci, Io sono pronto a compiere prodigi di miracoli pur di unirmi a loro. 
Il cielo più bello per Me è nel cuore delle creature che mi amano. Per loro, se la rabbia di Satana distruggesse tutte le chiese, Io saprei scendere, in forma eucaristica, dai Cieli. I miei angeli mi porterebbero alle anime affamate di Me, Pane vivo che dal Cielo discende.
   
Non è del resto cosa nuova. Quando la fede era ancora fiamma di amore vivo Io ho saputo andare ad anime serafiche seppellite negli eremi o nelle celle murate. Non occorrono cattedrali a contenermi. Mi basta un cuore che l’amore consacri. Anche la più vasta a splendida cattedrale è sempre troppo angusta e povera per Me, Dio che empio di Me tutto quanto è. Opera umana è soggetta alle limitazioni dell’umano e Io sono infinito. Mentre non m’è angusto e povero il vostro cuore se la carità lo accende. E la più bella cattedrale è quella della vostra anima abitata da Dio.
Dio è in voi quando voi siete in grazia. Ed è del cuore vostro che Dio si vuole fare un altare. Nei primi tempi della mia Chiesa non vi erano le cattedrali, ma Io avevo un trono degno di Me in ogni cuore di cristiano.
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   Vi sono poi quelli che vengono a Me soltanto quando il bisogno li spinge o la paura li sprona. Allora vengono a bussare al Tabernacolo che si apre, concedendo sempre conforto, spesso, se è utile, la grazia richiesta. Ma vorrei però che l’uomo venisse a Me non soltanto per chiedere ma anche per dare.

   Indi vengono quelli che si accostano alla Mensa, dove Io mi faccio cibo, per abitudine. In questi i frutti del Sacramento durano per quel poco di tempo che durano le Specie e poi dileguano. Non mettendo nessun palpito nel loro venire a Me, non progrediscono nella vita dello spirito che è essenzialmente vita di carità.
   Io sono Carità e porto carità, ma la mia carità viene a languire in queste anime tiepide che nulla riesce a scaldare di più.

   Altra categoria, quella dei farisei. Vi sono anche ora; è una gramigna che non muore. Costoro fanno gli ardenti, ma sono più freddi della morte. Sempre uguali a quelli che mi misero a morte vengono, mettendosi bene in mostra, gonfi di superbia, saturi di falsità, sicuri di possedere la perfezione, senza misericordia fuor che per se stessi, convinti d’essere esempio al mondo. Invece sono quelli che scandalizzano i piccoli e li allontanano da Me perché la loro vita è una antitesi di quella che dovrebbe essere e la loro pietà è di forma ma non di sostanza, e si tramuta, non appena allontanati dall’altare, in durezza verso i fratelli. Questi mangiano la loro condanna perché Io perdono molte cose, conoscendo la vostra debolezza, ma non perdono la mancanza di carità, l’ipocrisia, la superbia. Da questi cuori Io fuggo al più presto possibile.

   
Considerando queste categorie è facile capire perché l’Eucarestia non ha ancora fatto del mondo un   Cielo come avrebbe dovuto fare. Siete voi che ostacolate questo avvento d’amore che vi salverebbe come singoli e come società.

   Se realmente vi nutriste di Me col cuore, con l’anima, con la mente, con la volontà, con la forza, l’intelletto, con tutte insomma le potenze vostre, cadrebbero gli odî, e con gli odî le guerre, non vi sarebbero più le frodi, non le calunnie, non le passioni sregolate che creano gli adulterî e con questi gli omicidi, l’abbandono e la soppressione degli innocenti. Il perdono reciproco sarebbe non sulle labbra, ma nei cuori di tutti, e sareste perdonati dal Padre mio.

   Vivreste da angeli passando le vostre giornate adorando Me in voi e invocando Me per la [66] prossima venuta. La mia costante presenza nel vostro pensiero terrebbe voi lontani dal peccato, il quale sempre comincia da un lavorìo del pensiero che poi si traduce in atto. Ma dal cuore fatto ciborio non uscirebbero che pensieri soprannaturali e la terra ne sarebbe santificata. 
La terra diverrebbe un altare,  un enorme altare pronto ad accogliere la seconda venuta del Cristo, Redentore del mondo.»

Maria Valtorta: QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 23: 10 giugno 1943

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"Jesu, quem velatum nunc aspicio,
Oro, fiat illud quod tam sìtio:
Ut, te revelata cernens fàcie,
Visu sim beatus tuae gloriae. Amen."
Oh Gesù, che velato ora ammiro,
Prego che avvenga ciò che tanto bramo,
Che, contemplandoTi col volto rivelato,
A tal visione io sia beato della Tua gloria. Amen.