sabato 28 marzo 2020

28 marzo! - La meravigliosa Croce era sempre presente davanti a me, immensa e bella. Oh! com’era bella, per la sua luminosità. Ho mai visto nulla di così bello e di così luminoso.

Messaggi integrali a Madeleine (Maddalena) AUMONT :        

PROLOGO                               
Maddalena Aumont : 
"Da quel 12 aprile 1970, per me, è la resurrezione."
"Una presenza che non è di questo mondo."

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Madeleine Aumont
Il 29 marzo 1970, per l’insistenza di sua madre, che visse fino a 94 anni, dopo Maddalena decide di confessarsi e comunicarsi per la Pasqua, cosa che aveva tralasciato da quattro anni perchè nella chiesa di Putôt-en-Auge non vi era più il sacerdote.
    La domenica dopo Pasqua, dopo essersi comunicata, tornando ad inginocchiarsi "mi accade qualche cosa che non sapevo spiegare ... provavo un senso di debolezza ... ero ebbra di gioia, di felicità. Mi pareva di scoprire un altro mondo." Tutto questo si è protratto sino al suo ritorno a casa. Era il 5 aprile.
   La domenica seguente, 12 aprile 1970 "questa gioia interiore mi riempì, ma questa volta sentivo una presenza che non era di questo mondo ... la presenza di Gesù, dello Spirito Santo, una forza soprannaturale mi possedeva, presenza dolce ... il mondo non esisteva più. Il mio corpo non esisteva più, non restava che Dio in me e io in Dio."
   La terza domenica dopo Pasqua, 19 aprile, "questa gioia meravigliosa si riprodusse ancora." Decise di confidarsi col Parroco, poiché: "Non sono più io che vivo, è Gesù che vive in me." Il sacerdote le concede la facoltà di comunicarsi anche durante la settimana, "è così lunga l’attesa da una domenica all’altra... niente può sostituire una messa. E' Gesù-Ostia che mi ha salvata dal dubbio, ed in ogni messa vedo veramente Gesù attraverso il sacerdote, nei suoi gesti della vigilia della Passione e vedo lo Spirito di Dio venire sull’Altare per donarsi a tutti noi."
    "Tutto si trasforma se si offre tutto a Dio ogni mattina per "amore di Lui" che ha donato la Sua vita per ciascuno di noi. Cristo è Riesuscitato ed è veramente vivo: tutti i giorni io vivo questa risurrezione ... Non lasciate mai trascorrere una giornata senza pregare, senza pensare a Gesù, a tutti coloro che soffrono, che piangono ... La preghiera ci unisce a Gesù e ci dona la gioia spirituale che nessun bene materiale può sostituire ... nè la scienza, nè la saggezza umana, nè le belle parole che possono dirvi, hanno il potere di aprire il cuore di un incredulo a Dio. La conversione non è opera dell’uomo, bisogna che sia Dio ad attirarlo con il Suo Spirito. Senza lo Spirito Santo, l’uomo è nulla e non può nulla. Bisogna pregare "per amore" poiché senza lo Spirito di Dio noi siamo niente. Egli veglia su di noi in ogni momento, ditelo a tutti: Dio veglia su di noi in ogni istante e, se lo sappiamo e l’abbiamo ben compreso, noi possiamo dire grazie a Dio. Solo Dio può trasformare così il cuore dell’uomo, ma per ricevere delle grazie dal Signore bisogna pregare molto, con fiducia, con fede."
    "Nel mio spirito, tutto canta la lode del Signore, i fiori, il loro profumo, gli alberi, la rugiada del mattino, tutto quello che esiste, tutto quello che vive, è il soffio di Dio, poiché qui, su questa terra, tutto canta le lodi del Signore ... Prima, dubitavo dell’esistenza di Dio, la mia vita non aveva alcun interesse, lugubre, cinque figli da allevare, la mancanza di denaro ... ma da quel 12 aprile 1970, per me è stata la risurrezione del mio spirito, della mia anima, le preocuppazioni materiali sono sparite, questa pace interiore si eleva al di sopra di tutto quello che esiste su questa terra... Il cielo è lo scopo della nostra vita terrestre..."
       

"Farete conoscere questa Croce e la porterete"

Martedì 28 marzo 1972 ore 4.35 del mattino. Haute Butte.
Ecco il martedì della settimana santa 1972.
    Mio marito ripartiva per andare a lavorare alle 4.30 del mattino.
    Come la vigilia e le giornate precedenti, mi sono alzata, e sono scesa a chiudere la porta, dopo la sua partenza. Sono risalita in camera ed ho aperto la finestra.  
    Il cielo era coperto da grosse nubi che andavano veloci da Nord-Ovest a Sud-Est. C’era un forte vento. Non pioveva ed era abbastanza chiaro. Doveva esserci la luna. Guardavo il cielo, quelle grosse nubi che passavano veloci.
    Mi accingevo a recitare la preghiera alla Santa Trinità. Non avevo ancora iniziato la prima parola.
    Improvvisamente, scorgo in fondo all’orizzonte, un po’ a destra, un chiarore abbagliante che illumina tutto l’orizzonte come quando vi è un lampo durante un temporale. Ma questa luminosità rimaneva, mentre quella di un lampo non dura che un attimo.
    Ho avuto paura.
    Ho spinto la finestra e mi sono ricoricata. Mi sono coperta per non vedere più nulla.
    Otto o dieci minuti dopo, mi sono sollevata sul letto. Non vi era più il chiarore alla finestra. Era talmente abbagliante che l’avrei visto senza muovermi.
    Mi sono dunque alzata e sono ritornata alla finestra. Non vi era assolutamente niente.
    E qualche istante dopo, di nuovo, vedevo qualche cosa formarsi nel cielo, nel punto dove avevo appena visto quella luce.
    Tutto si formava contemporaneamente, così:
    La base, i bracci, la parte superiore si formavano insieme lentamente congiungendosi al centro della Croce.
    Quando questa Croce fu formata, era immensa, meravigliosa, più brillante del giorno, tutta semplice, tutta diritta, un po' più grande della Croce del calvario di Dozulé quando la vedo da vicino.
    Era impressionante ma meravigliosamente bella, dolce da guardare sebbene fosse di una luminosità abbagliante.
    Oh! com’era bello sulla piccola collina davanti alla mia casa, il martedì 28 marzo tra le ore 4.30 e 4.50 del mattino.
    Non vi era che la Croce. Il Cristo non c’era.
    E sulla piccola collina, l’insieme aveva la forma del calvario.
    Qualche secondo dopo, ho udito queste tre parole:
   
"Ecce Crucem Domini." (Ecco la Croce del Signore)
    Queste tre parole risuonavano come in una chiesa. Riecheggiavano, erano sonore. Mi sembrava che fossero dette al mondo intero e che il nostro globo avrebbe tremato al suono di questa voce grave.
    Questa immensa Croce, questa voce nel mezzo della notte, erano impressionanti.
    Poi ho fatto il segno della Croce.
    La meravigliosa Croce era sempre presente davanti a me, immensa e bella. Oh! com’era bella, per la sua luminosità. Ho mai visto nulla di così bello e di così luminoso.
    Ho poi sentito qualcuno che parlava vicino a me. Questa voce era così dolce, nessun essere su questa terra mi ha mai parlato così lentamente, così dolcemente.
    Ho pensato che fosse Gesù.
    Ho udito:
   "Farete conoscere questa Croce e la porterete"
    Ancora qualche secondo, poi tutto è sparito in un attimo.
    Quando è apparsa, si è formata a poco a poco, ma è sparita in un attimo, poi non ho visto più nulla.
    E' il Giovedì Santo, durante la confessione, che l’ho detto al Signor Parroco.
    Egli ha un po' insistito per sapere; gli avevo chiesto, tre giorni prima, cosa volesse dire:
    "Ecce Crucem Domini."
   Se non avesse insistito per sapere, credo che non glielo avrei detto così presto. Ma doveva pur saperlo. Senza alcun dubbio, erano destinate a lui quelle tre parole e gli dovevo dire tutto. Non dubitavo della sua discrezione. Un sacerdote deve mantenere il segreto. E credo, pure, che tutti avrebbero dovuto saperlo.
    Il Signore non si è mostrato e fatto intendere per una sola persona.
    Sul momento, avevo detto a Don L’Horset (Parroco di Dozulé nel 1972) di non parlarne a nessuno. Ma un po' più tardi gli ho detto: "Vi lascio libero di parlarne a chi voi crederete necessario, ma che non sia rivelato il mio nome."
    Se non desidero che il mio nome venga rivelato, non crediate innanzi tutto che sia per vergogna, per scrupolo, per pudore, no. Ma tutto questo mi è stato donato da Gesù l'Onnipotente.  Io non possiedo nulla in me stessa, non ho alcuna capacità, alcun potere, il mio nome non è niente.  Non è a me che bisogna guardare in tutto questo. E' Dio, Gesù, lo Spirito Santo che è tutto, che può tutto. Io temo che mi si guardi per la strada come un fenomeno, un essere straordinario che si segna a dito e di cui si dica: "E' colei che ha visto la Croce di Gesù, che ha udito quelle parole..."
    Io non c’entro per nulla.
    Io sono una creatura molto semplice, perciò non voglio che questa cosa sia resa pubblica per il mio nome che non è niente.
   "Farete conoscere questa Croce."

Incrustatione della Croce et del Sanctuario sulla Haute Butte            croixper.GIF (18967 octets)    
      ... Senza dubbio, per mezzo delle mie parole, ricordare alla gente che incontro che Gesù ha sofferto per salvarci; che si ricordino:
    - Che la Sua Croce è un trionfo,
    - Che la Sua Croce è la nostra unica speranza,
    - Che la Sua Croce deve essere sempre presente in noi, nei nostri cuori,
    - Che la Sua Croce è sempre innalzata sull’universo.
    Oh! Croce adorata di Gesù che fu macchiata di sangue per salvare tutti gli uomini!
Credetemi, è con il cuore e con fede che parlerò di GESÙ e della SUA CROCE. E inoltre :
   "Voi la porterete."
   Talvolta è molto difficile portare la croce.
    Intendo dire accettare tutte le miserie, tutte le tristezze, tutte le preoccupazioni, tutte le difficoltà di ogni giorno, tutte le sofferenze. Sì, è molto difficile.
    Ma quando si ha la certezza che Gesù esiste, che Egli è vivente, che Egli è presente in ogni momento della nostra vita, che la Sua presenza si fa talmente sentire, questo deve addolcire tutte queste miserie, tutte queste tristezze, tutte queste preoccupazioni, tutte queste sofferenze.
    Gesù stesso non ha sofferto per tutti noi?
    E quali sofferenze ha subìto, moralmente e fisicamente. E’ stato picchiato, schernito, Gli hanno sputato in faccia, Gli hanno dato da bere aceto, e in questo stato pietoso, ha detto:
    "Padre, perdona loro, essi non sanno quello che fanno."
    Chi di noi avrebbe il coraggio, in un simile momento, di perdonare il suo carnefice?
    Bisognava che fosse Gesù ad accettare tali sofferenze per salvare l’Umanità.
    A questo pensiero, ci verrebbero le lacrime agli occhi.
    Eppure, quanta gente ignora Gesù, dimentica Gesù.
    Nessuno pensa alla Croce di Gesù, che domina il mondo, questa immensa Croce, meravigliosa, risplendente di luce che appare all’orizzonte.
    Simbolo della potenza, la Croce domina il nostro globo.
    Questo globo deve essere molto piccolo paragonato alla Potenza di Dio.
    Dovremmo tutti tremare davanti a un tale spettacolo.
    Tutto ciò che esiste su questa terra è nulla, paragonato a quello che ho visto e udito il 28 marzo alle 4.35 del mattino.
Il 28 maggio 1998 sulla Haute Butte              HBE98m1.GIF (348607 octets)





AMDG et DVM

SENZA ALTERNATIVE..........E' UN DRAMMA, E' UN ABOMINIO

La chiesa cattolica al tempo del... coronavirus

           In questi giorni di reclusione forzata - all’interno del mondo cattolico e non solo - si è aperto un vivace e appassionato dibattito circa la straordinaria decisione della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) di sospendere ogni messa e funzione religiosa fino al 3 aprile in ottemperanza al lockdown deciso dal premier Giuseppe Conte in tutta Italia per frenare l’epidemia di coronavirus. 
       Secondo il partito favorevole alla serrata dei luoghi di culto “senza se e senza ma”, le chiese sarebbero infatti luoghi da fuggire, in particolare per la loro peculiarità di “attirare gli anziani” che rappresentano in questo momento la categoria più a “rischio epidemia”. Per questo, come sono stati chiusi musei, parchi, negozi, ecc., in nome della suprema e prioritaria tutela della salute pubblica, vanno sbarrate anche tutte le chiese, tanto “Dio è più grande di ogni luogo” e ognuno di noi può alimentare l’anima lo stesso in mille altri modi diversi.
Quello che, in sostanza, si chiede alla Chiesa è di abdicare alla propria specifica missione di assistenza pastorale e cura della salute delle anime, “facendosi da parte” in questo momento eccezionale, come che essa non possa dare un proprio contributo utile alla causa. Questa è l’ora degli “esperti” e della “competenza” si sente da dire da più parti. Spazio dunque alla scienza, ai medici e ai diversi tecnici “competenti” e nessuno spazio per la Chiesa e per i sacerdoti giudicati “incompetenti” a gestire la gravità e la complessità della pandemia in corso.
Tali tesi leggono e giudicano la realtà da una prospettiva puramente terrena, senza tenere conto della sua dimensione soprannaturale. Sono punti di vista comprensibili se pronunciati da persone che non credono nell’esistenza di cause e fini che trascendono la realtà. Se infatti Dio non c’entra nulla con il coronavirus, i riti religiosi non servono, i miracoli sono mere superstizioni, allora, certamente, la preghiera, i sacramenti, le benedizioni, ecc., non hanno alcun senso, in quanto non possono apportare alcun beneficio, ed è logico e conseguente essere d’accordo con la chiusura delle chiese alla pari della chiusura dei musei, dei cinema, dei ristoranti, ecc.
Ma se, al contrario, si crede nell’esistenza di una dimensione trascendente e soprannaturale, mai come in questo momento le persone hanno bisogno di incoraggiamento e assistenza spirituale e quindi di chiese spalancate e sacerdoti disponibili a dispensare, ad ogni ora, sacramenti e benedizioni. Accanto alla necessaria cura del corpo vi sta infatti la ben più importante cura dell’anima e, di fronte alla odierna situazione, che vede morire ogni giorno centinaia di persone, la Chiesa con i suoi sacerdoti avrebbe dovuto essere in prima linea a dare il proprio fondamentale conforto e sollievo spirituale.
Come ha scritto il monaco benedettino dom Giulio Meiattini: «La cosa più triste, e preoccupante per il futuro dell’umanità, è che la stessa Chiesa (o meglio gli uomini di Chiesa) hanno dimenticato che la grazia di Dio vale più della vita presente. Per questo si chiudono le chiese e ci si allinea ai criteri sanitari e igienici. La Chiesa trasformata in agenzia sanitaria, invece che in luogo di salvezza. Ci pensino bene i vescovi a chiudere le chiese e a privare i fedeli dei sacramenti, dell’eucaristia, che è medicina dell’anima e del corpo: chiudere le porte ai cristiani e pensare di potersela cavare con la scienza umana, è chiudere le porte all’aiuto di Dio. È confidare nell’uomo, invece che confidare in Dio».
In una prospettiva cattolica il coronavirus con il suo tributo di morte, può essere interpretato dunque come un richiamo alla realtà che ci mette in guardia nei confronti della odierna effimera ed imperante mentalità del consumo e del benessere, ricordandoci che siamo esseri fragili e deperibili… Al riguardo, in questo giorni Amedeo Capetti, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, ha dichiarato: «Io ai miei pazienti ho sempre detto: “Guardate che la battaglia per la salute è una battaglia persa, prima o poi la perderemo tutti quanti, quindi è inutile insistere così su questa… la salute è semplicemente lo strumento per poter incontrare e riconoscere nella vita Chi ci ha dato la vita! E quindi poter rendere anche la nostra vita grande”… lo dico a maggior ragione adesso, ci si rende conto che siamo fragili ma non ci deve far paura questo, ma ci deve far spostare il tiro su ciò che non è una battaglia persa”… Ci sono pazienti che mi hanno scritto: “Ma dottore io non ho paura di morire, quando il Signore mi chiamerà vorrà dire che sarà arrivato il mio momento e io sarò felice di tornare da Lui”… Tutte le epidemie sono un’occasione in questo senso».
In questa ora, per molti drammatica, purtroppo la Chiesa ha scelto di abbandonare l’ “ospedale da campo” e di rinunciare alla propria missione, adeguandosi silenziosamente alle disposizioni governative, senza nemmeno alzare la voce e provare a rivendicare il proprio imprescindibile ruolo. Eppure le soluzioni, garantendo tutti i requisiti di sicurezza, ci sarebbe state: i vescovi polacchi avevano fatto una proposta di moltiplicare le messe così da diradare al massimo i fedeli partecipanti, altri avevano suggerito di celebrare solo nelle chiese ampie, evitando quelle piccole. In Italia abbiamo chiese enormi e i fedeli che partecipano alle messe, ahinoi, sono sempre di meno, quindi si sarebbero tranquillamente potute garantire le distanze di sicurezza. Altri ancora hanno proposto di celebrare le messe all’aperto. Nessuna di queste proposte è stata però presa in considerazione. Si è scelto di non contrattare con lo Stato alcuna soluzione e adeguarsi come se la Chiesa cattolica fosse una banale organizzazione umanitaria qualsiasi.
Eppure sarebbero bastate poche parole, ricordare i novissimi della tradizione cattolica e la massima “Memento mori”, come recitano le eloquenti parole di san Leonardo da Porto Maurizio, ideatore e propagatore della pratica della Via Crucis, quanto mai attuali in questi insoliti giorni di quaresima : «Vita breve, morte certa, un’anima sola si ha, se si perde che sarà?».  (Lupo Glori)
AMDG et DVM

giovedì 26 marzo 2020

VIRGILIO: si parla proprio di lui in un incontro di Gesù con le Donne romane , nell'opera di Maria Valtorta.

Virgilio

Risultato immagini per Virgilio
Se il greco Socrate è il filosofo per eccellenza di tutto il mondo antico, i Romani da parte loro hanno uno scrittore nazionale altrettanto famoso, Virgilio, poeta sapiente e cantore della grandezza di Roma nell’Eneide, ma anche cantore della natura nelle Bucoliche e nelle Georgiche.
(Quando nel primo capitolo le tre fiere (la lonza, il leone e la lupa) ostacolarono la strada a Dante gli apparve in aiuto Virgilio che gli consigliò di seguire un altro percorso, quello che lo condurrà al Regno dei dannati: l'Inferno. Il poeta latino difenderà Dante anche anche da altri pericoli come mostri e demoni, da Caronte e dai centauri. Ma perché Dante ha scelto proprio quest'uomo come guida per il suo viaggio nell'Inferno?)

E si parla proprio di Virgilio in un incontro a Cesarea Marittima fra Gesù e le romane, ovvero Livia, Plautina, Lidia, Valeria e la liberta Albula Domitilla. Livia porta il discorso su Virgilio, raccontando come esse, insieme a Claudia, avevano cercato e trovato in Virgilio parole profetiche che annunciavano Gesù.
Poi Livia, arrossendo come una fiamma, dice: «Maestro, tempo fa cercavamo di Te anche nelle pagine del nostro Virgilio. Perché per noi hanno più valore le… profezie dei vergini da ogni fede d’Israele che quelle dei vostri profeti, nei quali possiamo sentire la suggestione di credenze millenarie… E fra noi si discusse… Confrontando i diversi che in ogni tempo, nazione e religione, ti hanno presentito. Ma nessuno così giustamente ti ha sentito come Virgilio nostro… Quanto parlammo quel giorno anche con Diomede, il liberto greco, astrologo, caro a Claudia! Egli sosteneva che ciò avvenne perché più vicini erano i tempi, e gli astri parlavano con le loro congiunzioni… E ad appoggio della sua tesi portava il fatto dei tre Saggi dei tre paesi d’Oriente venuti ad adorarti infante, provocando l’eccidio di cui Roma inorridì… Ma non ne fummo persuase, perché… in oltre cinquant’anni nessuno più dei sapienti di tutto il mondo parlò di Te per voce d’astri, benché più vicini ancora alla tua manifestazione attuale. Claudia esclamò: “Ci vorrebbe il Maestro! Egli darebbe la parola di verità e sapremmo il luogo e il destino immortale del nostro massimo poeta!”. Vorresti dirci… per Claudia… Un dono per mostrarci che non ti è invisa per il suo dubbio su Te…».
«Ho compreso la sua reazione di romana e non le ho serbato rancore. Rassicuratela. E udite. Virgilio non fu grande unicamente come poeta, non è vero?».
«Oh! no! Anche come uomo. In mezzo ad una società già corrotta e viziosa, egli fu luminoso di purezza spirituale. Nessuno può dire di averlo visto lussurioso, amante di orgie e di licenze. I suoi scritti sono casti, ma più casto ebbe il cuore. Tanto che nei luoghi da lui più abitati veniva detto “la verginella”, con scherno dai viziosi, con venerazione dai buoni».
«E dunque, in un’anima limpida di uomo casto non avrà potuto riflettersi Dio, anche se quell’uomo era pagano? La Virtù perfetta non avrà amato il virtuoso? E se amore e vista del Vero gli furono concessi per la bellezza pura del suo spirito, non potrà aver avuto un lampo di profezia? Di profezia, che altro non è che verità che si disvela a chi merita di conoscere il Vero per premio e per sprone ad una virtù sempre maggiore?».
«Allora… egli ti profetò realmente?».
«La sua mente accesa di purezza e di genio salì a conoscere una pagina che mi riguarda, ed egli può essere detto il poeta pagano e giusto, uno spirito profetico e precristiano per premio alle sue virtù».
«Oh! Il nostro Virgilio!! E avrà premio?».
«Ho detto: “Dio è giusto”. Ma voi non imitate il poeta fermandovi al suo limite. Procedete, perché a voi la Verità non si è mostrata per intuito e in parte, ma completa, e vi ha parlato».
«Grazie, Maestro… Ci ritiriamo. Claudia ci ha detto di chiederti se ti può essere utile in cose morali», dice Plautina senza dare risposta in merito.
«E vi ha detto di dirmelo se Io non ero un usurpatore…».
«Oh! Maestro! Come lo sai?».
«Sono più di Virgilio e dei profeti…» (EMV 426.6-7).
Livia conosce dunque la castità e la purezza di cuore di Virgilio, tanto che nei luoghi da lui più abitati veniva detto “La verginella”. Ora, nella più antica biografia del poeta, attribuita a Donato, si dice esattamente la stessa cosa: Virgilio “nella vita, nelle parole e nell’animo era tanto casto, che a Napoli era chiamato dal popolo ‘la vergine’[1].
La notizia è riportata anche da un altro antico commentatore di Virgilio, Servio: “A tal punto poi fu verecondo, che dai suoi costumi ricevette un soprannome: infatti fu chiamato ‘la vergine’[2].
È un argomento poco conosciuto e poco trattato dagli studiosi di Virgilio, limitato agli specialisti. Ma qui diventa importante, perché, come dice Gesù, fra i pagani “coloro che sentono attrazione al Bene, alla Verità, e ripugnanza al Vizio, e fuggono le male azioni come avvilenti l’uomo … sono già sul sentiero della giustizia” (EMV 426.5). E Virgilio fu tra questi.
È importante inoltre il riferimento delle dame romane alla famosa “quarta ecloga” di Virgilio, nella quale si parla della nascita di un “puer”, un fanciullo, che rinnoverà la sua epoca con una nuova età dell’oro, di pace, giustizia, amore e prosperità. Esiste una lunga tradizione cristiana, a cominciare da Costantino, secondo la quale Virgilio avrebbe profetizzato in questa composizione la nascita di Cristo, e molto si è scritto in proposito. Molto singolare è la somiglianza fra Virgilio e il testo biblico di Isaia, capitoli 7-11, brani nei quali si predice la nascita dell’Emmanuele: “Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele. Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene” (Is 7,14-15).
Fra i tanti studi, citiamo quello di Luciano Nicastri su Virgilio e in particolare sulla quarta ecloga in rapporto alla Bibbia e ad Isaia. Fra questi due testi, dice Nicastri, vi sono profonde consonanze, ma Virgilio non poteva conoscere i Settanta e il “Libretto dell’Emmanuele”, che non circolava neppure in ambito giudaico e nei testi rabbinici, e che ci appare come totalmente rimosso dalla coscienza storica e religiosa ebraica.
La cosiddetta attesa messianica, sempre più debole, quasi accantonata nel tardo giudaismo, in ogni caso non prevedeva alcun bambino che dovesse ‘nascere di donna’, ma un… adulto, un re-guerriero e/o un sacerdote. (…) Sull’altra sponda diventa addirittura impensabile che un intellettuale pagano, anche il coltissimo Virgilio, arrivasse addirittura da solo — perché non c’era chi glielo porgesse — ad individuare, a tagliare per così dire, da una congerie di oracoli difficilissimi (ancor oggi per gli esegeti) quella sezione… o altre ancora, tematicamente connesse[3].
La profezia dell’Emmanuele di Isaia viene poi ripresa proprio in ambito cristiano, nel Vangelo di Matteo (Mt 1,22-23: “Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: ‘Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele’, che significa ‘Dio con noi’”).
Ma se siamo ragionevolmente certi che Virgilio non conosceva Isaia, come spiegare le concordanze con la quarta ecloga? La risposta, sottolinea Nicastri, va cercata al di fuori dello schema modello-imitazione, ricorrendo al discorso sull’universalità del Lògos, ovvero sulla trascendentalità del linguaggio poetico. I grandi poeti “si lasciano parlare” dall’universalità del linguaggio, riducono le interferenze personali e sono ricettivi al massimo nell’ascolto del Lògos.
Come mai si verifica, nel poeta latino, una tale concentrazione di paralleli significativi con l’universo testuale biblico? Credo che ciò consegua dalla misura unica del coinvolgimento di materia umana e divina, storica ed escatologica che egli poeticamente interpreta ed esprime nella sua opera, attingendo alle profondità del suo spirito il senso possibile di un travaglio epocale che prelude alla “pienezza del tempo”[4].
In sostanza, potremmo semplificare questo discorso esegetico dicendo che Virgilio, grande poeta ed animo puro e sensibile, scrive la sua quarta ecloga attingendo nelle profondità del suo cuore alle parole sussurrate dallo spirito divino, il Lògos. Ed è proprio quello che riguardo a Virgilio spiega Gesù alle romane ne L’Evangelo: “Se amore e vista del Vero gli furono concessi per la bellezza pura del suo spirito, non potrà aver avuto un lampo di profezia? (…) La sua mente accesa di purezza e di genio salì a conoscere una pagina che mi riguarda”.



Notes

1.Donato, Vita Vergilii, pagg. 22-23, par. 11 Brugnoli e Stock: “Vitae et ore et animo tam probum constat, ut Neapoli Parthenias vulgo appellatus sit.
2.Servio, In Vergilii Aeneidos librum primum commentarius, pag. 1 Thilo: “Adeo autem verecundissimus fuit, ut ex moribus cognomen acceperit; nam dictus est Parthenias”.
3.L. Nicastri, Per una iniziazione a Virgilio, Edisud, Salerno, 2006, pag. 396.
4.L. Nicastri, Per una iniziazione a Virgilio, cit., pagg. 403-404.

mercoledì 25 marzo 2020

ET VERBUM CARO FACTUM EST

Preghiera per l'Italia recitata ogni giorno nella Santa Casa di Loreto - Papa Benedetto XVI


Santa Maria, Madre di Dio,
ti salutiamo nella tua casa.

Qui l’arcangelo Gabriele ti ha annunciato
che dovevi diventare la Madre del Redentore;
che in te il Figlio eterno del Padre,
per la potenza dello Spirito Santo,
voleva farsi uomo.

Qui dal profondo del tuo cuore hai detto:
“Eccomi, sono la serva del Signore,
avvenga di me quello che hai detto”.

Così in te il Verbo si è fatto carne.

Santa Madre del Signore,
aiutaci a dire “sì" alla volontà di Dio
anche quando non la comprendiamo.

Aiutaci a fidarci della Sua Bontà
anche nell’ora del buio.

Aiutaci a diventare umili
come lo era il tuo Figlio
e come lo eri tu.

Proteggi le nostre famiglie,
perché siano luoghi della fede e dell’amore,
perché cresca in esse
quella potenza del bene
di cui il mondo ha tanto bisogno.

Proteggi il nostro Paese,
perché rimanga un Paese credente;
perché la fede ci doni l’amore
e la speranza che ci indica la strada
dall’oggi verso il domani.

Tu, Madre buona,
soccorrici nella vita e nell’ora della morte.
Amen.
INNO 

RicordaTi, o Dio, d’ogni essere
supremo Autore e Padre,
che in nostra carne piacqueTi
nascer da Vergin  Madre.

Maria , Madre dolcissima,
di grazia alma sorgente,
Deh! Tu assisti e libera
dall’infernal serpente.

E nell’estrema e orribile
ora di nostra morte,
vinto l’inferno, schiudici
le sacre eterne porte.

A Te, di Vergin Figlio,
al Sommo Genitore
sia gloria in tutti i secoli
e all’Increato Amore. Amen.

"Cuore Immacolato di Maria, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen”.


"Vieni, Spirito Santo, vieni: per mezzo della potente intercessione
del Cuore Immacolato di Maria
Tua  Sposa amatissima" (3 v.)









martedì 24 marzo 2020

MARZIAM

La generosità dell’amore. L’esempio di Marziam nell’Opera di maria Valtorta

«Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato» (Gv 15,12)
È la dolce parola che il Signore ci rivolge al tramonto della vita sulla terra, prima che inizi la sua Passione.
Il precetto dell’amore è spesso citato nei Vangeli. Il Cristo ci dice che è il più grande comandamento. Il comandamento che riassume la Legge e i profeti (Mt 22,34-40). Gesù ne fa il motore trainante della sua propria vita terrena, tanto da dare la propria vita sulla Croce per amore di tutta l’umanità. Simile ad un braciere ardente, Gesù si è immolato per noi affinché possiamo avere la vita e la vita in abbondanza (Gv 10,10).
È questo esempio di amore attivo, vivo e santo che il Signore ci induce a seguire con sempre più persistenza.
L’Opera di Maria Valtorta ci insegna che ogni gesto fatta con bontà per i propri fratelli e sorelle può portare delle grazie al nostro prossimo. Così come nei piccoli gesti quotidiani o anche nei piccoli sacrifici, ogni atto può servire il bene e aiutare qualcuno sulla terra. Astenersi dal rivolgere una cattiva parola, rinunciare ad un piccolo piacere, tali da dare procurare ad un pari, tutto può costituire un fiore celeste che sarà di aiuto al prossimo. Parimenti, i nostri gesti più anonimi possono trasformarsi in tesori spirituali, sempre se offerti con amore per coloro che si amano.
Ne L’Evangelo come mi è stato rivelato, Gesù si trova a far visita ad una nonna che ha perso molti membri della sua famiglia. È molto povera, e Gesù le da una borsa con un’offerta per aiutarla fino al prossimo raccolto. Al suo fianco è Marziam, giovane discepolo e figlio adottivo di Pietro. Presto si trova a colloquiare con gli altri bambini della sua età. Gli esorta ad aiutare la loro nonna, ma i ragazzi iniziano a parlargli della loro sorella:
[…] Rachele è buona! Veglia fino a tardi per filare quel poco di lana e stame che abbiamo, e si è presa le febbri per lavorare nel campo per prepararlo al seme mentre il padre moriva.
– Dio te ne compenserà, dice serio Marziam.
– Mi ha già compensato col levare di pena la nonna.
Gesù interviene:
– Non chiedi di più?
– No, Signore.
– Ma sei guarita?
– No, Signore. Ma non importa. Ora, anche se muoio, la nonna è sovvenuta. Prima mi spiaceva morire perché l’aiutavo.
– Ma la morte è brutta, bambina…
– Dio, come mi aiuta in vita, mi aiuterà in morte e andrò dalla mamma… Oh! non piangere, nonna! Voglio bene anche a te, cara. Non lo dirò più se questo ti deve fare piangere. Anzi, se lo vuoi, dirò al Signore di guarirmi… Non piangere, mammetta mia…
E abbraccia la vecchietta desolata.
– Falla guarire, Signore. Mio nonno lo hai fatto felice, per me. Fa’ felice questa vecchia, ora.
– Le grazie si ottengono con sacrificio. Tu che sacrificio fai per ottenerla? chiede serio Gesù.
Marziam pensa… Cerca la cosa più penosa a rinunciarsi… poi sorride:
– Non prenderò più miele per tutta una luna.
– Poco! Quella di casleu è già ben avanti…
– Dico luna per dire quattro fasi. E pensa… che in questi giorni c’è la festa dei Lumi e le focacce di miele…
– È vero. Ebbene, allora Rachele guarirà per merito tuo. (EMV, 309.3-4)
Quindi Marziam vuole offrire un sacrificio per amore della giovane ragazza, affinché si ristabilisca prontamente. Bisogna notare la semplicità del suo gesto. Non intende diventare un grande asceta o un grande mistico tanto da compiere grandi gesti. Esamina se stesso con semplicità e dolcezza. E trova sinceramente ciò a cui deve rinunciare. Offre le focacce di miele che tanto gradisce. Non è un’offerta grandiosa, eclatante, tuttavia è tutto ciò che può offrire e lo fa di buon cuore. Emerge nel racconto la buona volontà di Marziam, la sua bontà e la sua semplicità, tutte virtù profondamente care a Gesù.
Gesù acconsente alla richiesta di Marziam che presto però si troverà al confronto con la tentazione di mangiare focacce al miele quando Pietro ne porta a Nazareth dove alloggia Gesù da qualche giorno.
– Uh! le focacce!… grida Marziam. Ma poi si zittisce.
– Sì. Sono qui dentro con i fichi seccati nel forno e le ulive e le mele rosse. […] Non assaggi il miele?
Non posso, dice serio Marziam.
Perché? Stai male?
No. Ma non posso mangiarlo.
Ma perché?
Il bambino diventa rosso ma non risponde. Guarda Gesù e tace. Gesù sorride e spiega:
– Marziam ha fatto un voto per ottenere una grazia. Non può prendere miele per quattro settimane.
Ah! bene! Lo mangerai dopo… Prendi il vaso lo stesso… Ma guarda! Non lo credevo così… così…
– Così generoso, Simone. Chi si inizia alla penitenza da bambino troverà facile il cammino della virtù per tutta la vita, dice Gesù mentre il bambino va via col suo vasetto fra le mani. (EMV, 310.2-3)  
Il sacrificio — che possiamo offrire in ogni momento della nostra vita — va ben interpretato. Gesù non chiede di affliggersi contro il proprio corpo, in una sorta di tortura fisica o morale. Al contrario, ci chiede di avere un buono e sano equilibrio, dando al nostro corpo ciò di cui necessità e dando alla nostra anima il necessario per crescere nella pace e nella gioia. In seguito, se possiamo offrire a Dio un piccolo gesto (che sia un pezzo di cioccolato, oppure un controllo di qualche nostro difetto), Gesù lo accetta volentieri e ci ringrazia. Ma il Signore chiede prima di tutto un buon discernimento nel comprendere cosa possiamo dare e offrire a Lui.
I nostri piccoli atti di amore e le nostre rinunce non devono quindi risultate sproporzionate alle nostre possibilità. Si rischia di essere come quell’alpinista che vuoi raggiungere la sommità della montagna, ma senza scalare i pendii. È necessario salire dolcemente, secondo le nostre possibilità fisiche, ma sempre infiammati e luminosi di amore. È con l’amore che i nostri atti assumono valore; è con l’amore che diveniamo simili a Dio. È con l’amore, infine, che portiamo grazie a fratelli e sorelle.
Nell’Opera di Maria Valtorta vediamo che Marziam tiene profondamente alla guarigione della giovane ragazza, tanto da diventare eroico quando ci si siede a tavola. Così si rivolge a Maria:
– Perché, Madre, non hai messo in tavola le focacce col miele? A Gesù piacciono e a Giovanni farebbero bene per la sua gola. E poi piacciono anche al padre mio…
– E anche a te, termina Pietro.
– Per me… è come non ci fossero. Ho promesso…
– È per questo, caro, che non le ho messe…, dice Maria accarezzandolo. […]
– No, no. Le puoi portare. Anzi, le devi portare. E le darò io a tutti.
[…] E Marziam le prende il vassoio e inizia la distribuzione.
[…] Poi torna al suo posto posando risolutamente il vassoio in mezzo alla tavola e incrociando le braccia.
– Mi fai andare per traverso questa delizia, dice Pietro vedendo che Marziam non ne prende proprio.
E aggiunge:
– Almeno un pezzettino. Toh! della mia, tanto per non morire di voglia. Soffri troppo… Gesù te lo concede.
– Ma se non soffrissi non avrei merito, padre mio. È ben perché sapevo che mi avrebbe fatto soffrire, che ho offerto questo sacrificio… E del resto… Sono così contento da quando l’ho fatto che mi pare di essere pieno di miele. Ne sento il sapore da per tutto, mi pare persino di respirarlo con l’aria…
– È perché ne muori di voglia.
– No. È perché so che Dio mi dice: “Bene fai, figlio mio”.
– Il Maestro ti avrebbe fatto contento anche senza questo sacrificio. Ti ama tanto!
– Sì. Ma non è giusto che, perché sono amato, me ne approfitti. Egli lo dice, del resto, che grande è la ricompensa in Cielo anche per una coppa d’acqua offerta in suo nome. Penso che, se è grande per un calice dato ad altri in suo nome, lo sarà anche per una focaccia o un poco di miele negato a se stessi per amore di un fratello. Dico male, Maestro? (EMV, 311.3-4)
A questo punto, interpellato da Marziam, Gesù interviene spiegando il potere che può procurare un amore generoso.
Parli con saggezza. Io potevo, infatti, concederti ciò che mi chiedevi per la piccola Rachele anche senza il tuo sacrificio, perché era cosa buona da farsi ed il mio cuore la voleva. Ma con più gioia l’ho fatto perché aiutato da te. L’amore per i nostri fratelli non si limita a mezzi e limiti umani, ma si alza a ben più alti luoghi. Quando è perfetto tocca assolutamente il trono di Dio e si fonde con la sua infinita carità e bontà. La comunione dei santi è proprio questo operare continuo, come continuamente e con tutti i modi opera Iddio, per dare aiuto ai fratelli, sia nei loro bisogni materiali come nei loro bisogni spirituali o in ambedue, come lo è nel caso di Marziam che, ottenendo la guarigione di Rachele, la solleva dalla malattia e nello stesso tempo solleva lo spirito abbattuto della vecchia Giovanna e accende una confidenza sempre più grande nel Signore nel cuore di tutti di quella famiglia. Anche una cucchiaiata di miele sacrificata può servire a riportare pace e speranza ad un afflitto, così come la focaccia, o altro cibo non mangiato per scopo d’amore, può ottenere un pane, miracolosamente offerto, ad un affamato lontano e che sarà per noi sempre sconosciuto; e la parola d’ira, anche se giusta, trattenuta per spirito di sacrificio, può impedire un delitto lontano, così come resistere alla voglia di cogliere un frutto, per amore, può servire a dar pensiero di resipiscenza ad un ladrone e così sventare un ladrocinio. Nulla va perso nell’economia santa dell’amore universale. Non l’eroico sacrificio di un bambino davanti ad un piatto di focacce come non l’olocausto di un martire. Anzi, vi dico che l’olocausto di un martire ha sovente origine dalla educazione eroica che egli si è data fin dall’infanzia per amore di Dio e del prossimo. (EMV, 311.4)
L’esempio di Marziam ci mostra dunque dove può giungere il potere dell’amore. Ma ci si può inoltrare ancora più in là, cercando l’unione con Dio in tutte le nostre azioni della nostra vita quotidiana. L’esempio di Santa Teresa di Lisieux che incontrava Dio in ogni momento, nelle avversità come in tutti gesti quotidiani, ci può essere di aiuto. Teresina era confrontata ad enormi difficoltà nel rapporto con la superiora del convento, che vedeva del negativo nell’attività quotidiana della giovane suore. Santa Teresa si sforzava di imparare ad amare attraverso questo rapporto con questa suora. “Io non mi accontentavo di pregare molto per la sorella che mi dava tanto da combattere, io cercavo di farle tutti i piaceri possibili”, così scrive Teresina, “e quando avevo la tentazione di risponderle in un modo sgradevole, mi accontentavo di farle il mio più amabile sorriso”.
Nel quotidiano, nei gesti più innocui, oppure nelle nostre piccole rinunce, tutto fatto per amore, il Signore ci benedice e prende dunque le nostre offerte per aiutare un fratello o una sorella in Cristo.
“Nulla va perso nell’economia santa dell’amore universale”, dice il Cristo nell’opera valtortiana.
È ciò che dobbiamo tenere a mente per progredire nella nostra vita con Dio e con gli altri.
(Hélène Thils)