lunedì 18 novembre 2019

L'applicazione pratica delle opere di misericordia spirituali


MARIA VALTORTA E 
LA DIVINA MISERICORDIA

53.1
«T'è arrivata al giusto momento questa Novena e Coroncina della Divina Misericordia. Procuratela e falla, perché la mia
Divina Misericordia apra a misericordia verso te e l'Opera tutti i cuori chiusi alla giustizia e carità verso te e l'Opera; e per
l'Opera e per ogni altra cosa».1

53.2

«La mia Divina Misericordia aveva dato l'Opera per misericordia d'infinite anime, perdute o sulla via di perdersi, laiche e
anche consacrate, perché riavessero Salvezza eterna.2


1 Cfr. Maria Valtorta, I Quadernetti, 16 maggio 1953, ed. CEV.
2 Idem, 17 maggio 1953, ed. CEV.


10

L'Opera era l'applicazione pratica delle opere di misericordia spirituali che Io ho insegnato: "Istruire gli ignoranti, convertire i peccatori...".

Chi l'ha bloccata da anni, senza giustizia e senza vero motivo, anzi solo per un riprovevole motivo, non ha capito il fine,
lo scopo, la potenza del mio dono ed ha ferito profondamente
il mio Cuore e si è reso responsabile della morte spirituale di
tante creature e di una grande mancanza di carità e giustizia
verso di te.

Io l'ho già detto, nel secondo anno di Vita Pubblica, nel primo
volume: "Ogni anima che si travia o che viene traviata, ed è traviamento lo svisare a se stessi e ad altri la mia Parola e la mia opera ed impedirne la diffusione, nuoce a Dio nelle anime che si
perdono. Ogni anima che si perde è una ferita fatta a Me: Dio e
Salvatore".

E poiché da ormai cinque anni mi si ferisce senza sosta,
con l'ingiusta azione verso l'Opera, ho chiuso il fiume della
Divina Sapienza che volevo riversare in te, mia cisterna d'amore e di grazia per le anime, dandoti le spiegazioni dell'Apocalisse, delle altre Epistole Paoline e di quelle di Pietro, Giacomo e Giuda d'Alfeo. Tutte le lettere apostoliche».

53.3

«Fammi conoscere, Io-Misericordia, e fa' conoscere le mie
preghiere dettate a Suor Maria Faustina a quanti più puoi.3
Ogni anima che porti a Me-Misericordia ti accresce un grado
di gloria. Se tu sapessi quale fiume di grazie Io riverso su chi
prega Me-Misericordia! Fammi, fammi, fammi conoscere, e
ogni anno, dal Venerdì santo, giornata per te sempre fatidica,

3 Idem, 26 maggio 1953, ed. CEV.

11

alla Domenica in Albis, fa' la Novena alla Divina Misericordia, per ricondurre a Me tutti quelli che in essa sono ricordati».

53.4

«Falla, senza attendere il tempo proprio della Novena vera
e propria alla Misericordia, per i comunisti, specie per quelli
che ti sono vicini, per gli eretici, scismatici, fratelli separati; e
anche per i Sacerdoti d'ogni ordine, perché tornino come i
miei primi Sacerdoti: eroici, ardenti; vero sale che da sapore
alle anime, vero lume che da luce alle anime».4

53.5

«Hai visto bene. Sono proprio Io, sul Monte delle Beatitudini, mentre spiego le Beatitudini e con esse le opere di Misericordia. Ah! quelle opere e quelle beatitudini che ho così ben
spiegato, e con esse i Dieci Comandamenti, all'Acqua Speciosa, per il bene di un gregge vastissimo di pecore ferite o sperse!5
Perché così lungo astio e cecità contro il mio grande dono
d'amore e contro il mio amatissimo strumento? Non è valsa, ad
ammonire i novelli miei nemici, la morte improvvisa dei sette?
Anima mia, mia violetta nascosta ma così olezzante d'amore, mia cisterna, mio granaio, mia sconosciuta grande apostola, se tu vedessi come soffro per questo contegno verso Me,
l'Opera e te! Ne soffro come soffrii per l'ingiusta, anzi per la

4 Idem, 28 maggio 1953, ed. CEV.
5 Idem, 30 maggio 1953, ed. CEV.


12

diabolica azione di Giuda di Keriot, per l'ingiusto processo
contro Me, Giusto perfetto, per il contegno del Popolo mio,
da Me sempre beneficato e che non mi volle, come non vuole
te, mia voce, luce, arma di bene per infinite anime».


13


PREGHIERA ALLA DIVINA MISERICORDIA
Dettata da Gesù a Maria Valtorta
26 maggio 1949, Ascensione, 9 ant.ne.

Gesù ancor più straordinariamente amoroso che mi vuole
col suo amore confortare, confortare di tante cose.
La sua infinita, sensibile carità mi sprofonda in una contemplazione di tutte le mie miserie passate e presenti, e in un
dolore di contrizione così pieno come mai lo provai sino ad
ora.
Anche se Gesù non me ne rassicurasse, sento che sono nel
giusto se penso che, morendo dopo un così perfetto movi-

14

mento di contrizione di tutte le mie colpe, imperfezioni, omissioni, ecc., avrei l'anima assolta da Dio stesso.
Poi temo di aver avuto un pensiero superbo dicendo questo. E chiedo a Gesù di confortarmi. Lo fa con questa orazione:

<<Gesù, infinita Misericordia, che perdonasti a Levi e lo vocasti
a Te, perdonaci i nostri peccati, perché l'averti offeso è il nostro dolore.

Gesù, infinita Misericordia, che perdonasti alla Maddalena e la unisti alle Donne sante e fedeli, perdonaci i nostri peccati, perché l'averti offeso è il nostro dolore.

Gesù, infinita Misericordia, che perdonasti a Zaccheo e ne facesti un tuo discepolo, perdona i nostri peccati, perché l'averti offeso è il
nostro dolore.

Gesù, infinita Misericordia, che perdonasti all'adultera e soltanto le desti il divino comando di non più peccare, perdonaci i nostri peccati, perché l'averti offeso è il nostro dolore.

Gesù, infinita Misericordia, che perdonasti al ladrone pentito
conducendolo teco in Paradiso, perdona i nostri peccati, ché l'averti offeso è il nostro dolore.

Gesù, infinita Misericordia, che perdonasti a Pietro d'averti
rinnegato, perdona i nostri peccati di infedeltà, perché l'averti offeso è il nostro dolore.

Gesù, infinita Misericordia, che dall'alto della croce invocasti il perdono del Padre per i tuoi nemici e crocifissori, ottienici il perdono del Padre per averlo offeso tante volte Te offendendo, Ss. Verbo del Padre, perché di averlo offeso è il nostro dolore.

Gesù, infinita Misericordia, che tanto perdonasti gli Apostoli da ottenere per essi dal Padre lo Spirito Santo da essi offeso non amando Dio sopra ogni cosa - Te, Dio Incarnato, vilmente da loro abbandonato - e il prossimo loro - Te, Amico e Maestro perfetto - ottienici il perdono dello Spirito Santo per le nostre colpe contro il duplice amore, perché di avere offeso l'amore, essenza stessa di Dio, noi ci doliamo.

Perdonaci, Gesù - Tu, Specchio del Padre, Tu, Frutto del divino Amore - di tutte le nostre colpe contro il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo, perché l'avere offeso la Triade Ss. è il nostro dolore, e Tu solo ci puoi levare le macchie delle colpe, perché per rendere monde le nostre anime hai versato tutto il tuo Ss. Sangue.
Vogliamo amarti, o Signore!

Soccorri la nostra debolezza. Soccorrici quando cadiamo.
Infondici il tuo amore perché Tu possa vivere in noi, instaurare in noi il Regno di Dio, farci "una cosa sola" con Te, con Te che sei Uno col Padre, e con Lui e lo Spirito Santo formi il Dio Uno e Trino, nostro Principio e a nostro Fine, Origine d'ogni nostro bene presente ed eterno. 

Vivi Tu solo in noi, vivi col tuo Spirito, con quel tuo Spirito tutto amore che è lo stesso Spirito che dal Padre e da Te procede, e le nostre anime assecondino i tuoi più leggeri impulsi, onde ogni nostra apparente azione non sia che la veste alle tue reali e nascoste azioni in noi. E così avvenga per la completa fusione, anzi più, per il completo annichilimento della creatura per far vivere solo Tu in noi.

Vivere ed agire, movendo, o eterno e santissimo Movente, ogni movimento delle nostre anime, delle nostre menti, dei nostri cuori, e persino della nostra umanità, perché tutto che è nostro si muova e ti serva nell'amore e con amore, o Dio che meriti tutto il nostro amore e ci chiedi di amarti, perché nell'amore è la Legge, e chi giunge ad amarti con tutto se stesso, e ad amare il prossimo suo come si ama, non pecca più ed ha il tuo Regno, in questa e nell'altra vita.

Vivi Tu solo in noi, o Figlio del Padre che col Padre e lo Spirito
Santo sei un unico Dio, di modo che il Padre guardando noi, Te suo Diletto veda, e ci ami in Te e per Te nostro Ospite divino, e per stare con Te in noi inabiti.

Vivi Tu solo in noi, o Verbo incarnato, che fosti concepito per
opera dell'Amore eterno, e che mai da Lui sei diviso, onde, pregando lo spirito nostro per lodare l'adorabilissima Divinità Una e Trina e per invocarla nelle nostre necessità e dolori, sia ancora la voce dello Spirito Santo che sale al Trono di Dio per dargli lode perfetta e supplica giusta, accettevoli entrambe al Signore.

Non ti chiedo, o Amore Ss., di farmi vivere una mia personale vita nella grazia, ma ti chiedo di vivere Tu,
Grazia, in me, perché io viva realmente la vita della Grazia e mi trasformi e supericrei in un vero cristo >>.


Albero genealogico di Gesù Cristo



i

sabato 16 novembre 2019

Riflettiamoci di più




...Stefano e la sua lapidazione. Le opposte vie di Saulo e di Gamaliele alla santità.




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6 Saulo, con un atto d'ira, va via sgarbatamente, tornando nel cortile prospiciente all'aula del Sinedrio, cortile nel quale dura il gridio della folla esasperata contro Stefano. Saulo raggiunge gli aguzzini in questo cortile, si unisce a loro, che lo attendevano, ed esce insieme agli altri dal Tempio e poi dalle mura della città. Insulti, dileggi, percosse continuano ad esser lanciati contro il diacono, che procede già spossato, ferito, barcollante, verso il luogo del supplizio.
   Fuori delle mura vi è uno spazio incolto e sassoso, assolutamente deserto. Là giunti, i carnefici si allargano in cerchio, lasciando solo, al centro, il condannato, con le vesti lacere e sanguinante in molte parti del corpo per le ferite già ricevute. Gliele strappano prima di allontanarsi. Stefano resta con una tunichetta cortissima. Tutti si levano le vesti lunghe, rimanendo con le sole tuniche, corte come quella di Saulo, al quale affidano le vesti, dato che egli non prende parte alla lapidazione, o perché scosso dalle parole di Gamaliele, o perché si sa incapace di colpire bene.

 7 I carnefici raccolgono i grossi ciottoli e le aguzze selci, che abbondano in quel luogo, e cominciano la lapidazione.
   Stefano riceve i primi colpi rimanendo in piedi e con un sorriso di perdono sulla bocca ferita, che, un istante prima dell'inizio della lapidazione, ha gridato a Saulo, intento a raccogliere le vesti dei lapidatori: «Amico mio, ti attendo sulla via di Cristo». Al che Saulo gli aveva risposto: «Porco! Ossesso!», unendo alle ingiurie un calcio vigoroso sugli stinchi del diacono, che solo per poco non cade, e per l'urto e per il dolore.
   Dopo diversi colpi di pietra, che lo colpiscono da ogni parte, Stefano cade in ginocchio puntellandosi sulle mani ferite e, certo ricordando un episodio lontano, mormora, toccandosi le tempie e la fronte ferita: «Come Egli m'aveva predetto! La corona… I rubini… O Signore mio, Maestro, Gesù, ricevi lo spirito mio!».
   Un'altra grandine di colpi sul capo già ferito lo fanno stramazzare del tutto al suolo, che si impregna del suo sangue. Mentre si abbandona tra i sassi, sempre sotto una grandine di altre pietre, mormora spirando: «Signore… Padre… perdonali… non tener loro rancore per questo loro peccato… Non sanno quello che…». La morte gli spezza la frase tra le labbra, un estremo sussulto lo fa come raggomitolare su sé stesso, e così resta. Morto.
   I carnefici gli si avvicinano, gli lanciano addosso un'altra scarica di sassate, lo seppelliscono quasi sotto di esse. Poi si rivestono e se ne vanno, tornando al Tempio per riferire, ebbri di zelo satanico, ciò che hanno fatto.

 8 Mentre parlano col Sommo Sacerdote e altri potenti, Saulo va in cerca di Gamaliele. Non lo trova subito. Torna, acceso d'odio verso i cristiani, dai sacerdoti, parla con loro, si fa dare una pergamena col sigillo del Tempio che lo autorizza a perseguitare i cristiani. Il sangue di Stefano deve averlo reso furente come un toro che veda il rosso, o un vino generoso dato ad un alcoolizzato.
   Sta per uscire dal Tempio quando vede, sotto il portico dei Pagani, Gamaliele. Va da lui. Forse vuole iniziare una disputa o una giustificazione. Ma Gamaliele traversa il cortile, entra in una sala, chiude la porta in faccia a Saulo che, offeso e furente, esce di corsa dal Tempio per perseguitare i cristiani.
           
 9 [Dice Gesù:]
   «Mi sono manifestato molte volte e a molti, anche nelle straordinarie manifestazioni. Ma non in tutti in ugual modo la mia manifestazione operò. Possiamo vedere come ad ogni mia manifestazione corrisponda una santificazione di coloro che possedevano la buona volontà richiesta agli uomini per avere Pace, Vita, Giustizia.
   Così, nei pastori la Grazia lavorò per i trent'anni del mio nascondimento e poi fiorì con spiga santa quando fu il tempo in cui i buoni si separarono dai malvagi per seguire il Figlio di Dio, che passava per le vie del mondo gettando il suo grido d'amore per chiamare a raccolta le pecore del Gregge eterno, sparpagliate e sperdute da Satana. Presenti tra le turbe che mi seguivano, messi miei, perché, coi loro semplici e convinti racconti, bandivano il Cristo dicendo: "È Lui. Noi lo riconosciamo. Sul suo primo vagito scesero le ninna-nanne degli angeli. E a noi, dagli angeli, fu detto che avranno pace gli uomini di buona volontà. Buona volontà è il desiderio del Bene e della Verità. Seguiamolo! Seguitelo! Avremo tutti la Pace promessa dal Signore".
   Umili, ignoranti, poveri, i miei primi messi tra gli uomini si scaglionarono come scolte lungo le vie del Re d'Israele, del Re del mondo. Occhi fedeli, bocche oneste, cuori amorosi, incensieri esalanti il profumo delle loro virtù per fare meno corrotta l'aria della Terra intorno alla mia divina Persona, che s'era incarnata per loro e per tutti gli uomini, e persino ai piedi della Croce li ho trovati, dopo averli benedetti col mio sguardo lungo la via sanguinosa del Golgota, unici, con pochissimi altri, che non maledicessero fra la plebe scatenata ma che amassero, credessero, sperassero ancora, e che mi guardassero con occhi di compassione, pensando alla notte lontana del mio Natale e piangendo sull'Innocente, il cui primo sonno fu su un legno penoso e l'ultimo su un legno ancor più doloroso. Questo perché la mia manifestazione a loro, anime rette, li aveva santificati.
   E così pure avvenne ai tre Savi d'Oriente, a Simeone ed Anna nel Tempio, ad Andrea e Giovanni al Giordano, e a Pietro, Giacomo e Giovanni al Tabor, a Maria di Magdala nell'alba pasquale, agli undici perdonati sull'Uliveto, e ancor prima a Betania, del loro smarrimento… No. Giovanni, il puro, non ebbe bisogno di perdono. Fu il fedele, l'eroe, l'amante sempre. L'amore purissimo che era in lui e la sua purezza di mente, di cuore, di carne, lo preservò da ogni debolezza.

 10Gamaliele, e con lui Hillele, non erano semplici come i pastori, santi come Simeone, sapienti come i tre Savi. In lui, e nel suo maestro e parente, era il viluppo delle liane farisaiche a soffocare la luce e la libera espansione della pianta della Fede. Ma nel loro essere farisei era purità d'intenzione. Credevano di essere nel giusto e desideravano di esserlo. Lo desideravano per istinto, perché erano dei giusti, e per intelletto, perché il loro spirito gridava malcontento: "Questo pane è mescolato a troppa cenere. Dateci il pane della vera Verità".
   Gamaliele però non era forte al punto di avere il coraggio di spezzare queste liane farisaiche. L'umanità sua lo teneva ancor troppo schiavo e, con essa, le considerazioni della stima umana, del pericolo personale, del benessere famigliare. Per tutte queste cose Gamaliele non aveva saputo comprendere "il Dio che passava tra il suo popolo", né usare "quell'intelligenza e quella libertà" che Dio ha dato ad ogni uomo perché le usi per il suo bene. Solo il segno atteso per tanti anni, il segno che lo aveva atterrato e torturato con rimorsi che non cessavano più, avrebbe suscitato in lui il riconoscimento del Cristo e la mutazione del suo antico pensiero, per cui, da rabbi dell'errore — avendo gli scribi, i farisei ed i dottori corrotta l'essenza e lo spirito della Legge, soffocandone la semplice e luminosa verità, venuta da Dio, sotto cumuli di precetti umani, sovente errati, ma sempre di utilità per loro — sarebbe divenuto, dopo lunga lotta tra il suo io antico e il suo io attuale, discepolo della Verità divina.

 11Non era, del resto, stato il solo nell'essere incerto nel decidere e forte nell'agire. Anche Giuseppe d'Arimatea, e più ancora Nicodemo, non seppero mettere subito sotto i piedi le consuetudini e le liane giudaiche e abbracciare palesemente la nuova Dottrina, tanto che usavano venire dal Cristo "in occulto" per timore dei giudei, oppure costumavano incontrarlo come per caso, e per lo più nelle loro case di campagna o in quella di Betania, da Lazzaro, perché la sapevano più sicura e più temuta dai nemici del Cristo, ai quali era ben nota la protezione di Roma per il figlio di Teofilo.
   Certamente, però, sempre molto più avanti nel Bene e più coraggiosi questi rispetto a Gamaliele, al punto da osare i gesti pietosi del Venerdì Santo. Meno avanti rabbi Gamaliele.

 12Ma osservate, voi che leggete, la potenza della sua retta intenzione. Per essa la sua giustizia, umanissima, si intinge di sovrumano. Quella di Saulo, invece, si sporca di demoniaco nell'ora che lo scatenarsi del male pone lui e il suo maestro Gamaliele davanti al bivio della scelta tra il Bene e il Male, tra il giusto e l'ingiusto.
   L'albero del Bene e del Male si drizza davanti ad ogni uomo per presentargli, col più invitante e appetitoso aspetto, i suoi frutti del Male, mentre tra le fronde, con ingannevole voce di usignolo, sibila il Serpente tentatore. Sta all'uomo, creatura dotata di ragione e di un'anima datagli da Dio, saper discernere e volere il frutto buono tra i molti che buoni non sono e che dànno lesione e morte allo spirito, e quello cogliere, anche se pungente e faticoso a cogliersi, amaro a gustarsi e meschino d'aspetto. La sua metamorfosi, per cui diviene tanto più liscio e morbido al tatto, dolce al gusto, bello all'occhio, avviene solo quando, per giustizia di spirito e ragione, si sa scegliere il frutto buono e ci si è nutriti del suo succo, amaro ma santo.
   Saulo tende le mani avide al frutto del Male, dell'odio, del­l'in­giu­stizia, del delitto, e le tenderà sinché non verrà folgorato, abbattuto, fatto cieco della vista umana perché acquisti la vista sovrumana e divenga non solo giusto, ma apostolo e confessore di Colui che prima odiava e perseguitava nei suoi servi.
   Gamaliele, spezzando le liane tenaci della sua umanità e dell'ebraismo, per il nascere e fiorire del lontano seme di luce e giustizia, non solo umana ma anche sovrumana, che la mia quarta epifania — o manifestazione, che forse vi è parola più chiara e comprensibile — gli aveva posto in cuore, nel suo cuore dalle rette intenzioni, seme che egli aveva custodito e difeso con onesta affezione ed eletta sete di vederlo nascere e fiorire, tende le mani al frutto del Bene. Il suo volere ed il mio Sangue ruppero la dura scorza di quel lontano seme, che egli aveva conservato nel cuore per decenni, in quel cuore di roccia che si fendette insieme al velo del Tempio e alla terra di Gerusalemme — e che gridò il suo supremo desiderio a Me, che più non potevo udirlo con udito umano ma che ben l'udivo col mio spirito divino — là, gettato a terra ai piedi della croce. E sotto il fuoco solare delle parole apostoliche e dei discepoli migliori e la pioggia del sangue di Stefano, primo martire, quel seme mette radici, fa pianta, fiorisce e fruttifica.
   La pianta novella del suo cristianesimo, nata là dove la tragedia del Venerdì Santo aveva abbattuto, sradicato, distrutto tutte le piante ed erbe antiche. La pianta del suo nuovo cristianesimo e della sua santità nuova è nata e s'erge davanti agli occhi miei.
   Perdonato da Me, benché colpevole per non avermi compreso avanti, per la sua giustizia che non volle partecipare alla mia condanna né a quella di Stefano, il suo desiderio di divenire mio seguace, figlio della Verità, della Luce, viene benedetto anche dal Padre e dallo Spirito Santificatore, e da desiderio diviene realtà, senza bisogno di una potente e violenta folgorazione quale fu necessaria per Saulo sulla via di Damasco, per il protervo che con nessun altro mezzo avrebbe potuto esser conquistato e condotto alla Giustizia, alla Carità, alla Luce, alla Verità, alla Vita eterna e gloriosa dei Cieli».

AMDG et DVM

Santa GERTRUDE DI HACKEBORN


Risultato immagini per GLORIOSO TRAPASSO DI GELTRUDE DI HACKEBORN
CAPITOLO I
GLORIOSO TRAPASSO DI GERTRUDE DI HACKEBORN, SECONDA ABBADESSA DEL MONASTERO E SORELLA DI S. MATILDE
Geltrude di Hackeborn fu veramente grande, piena di Spirito Santo e degna di tutta la nostra filiale tenerezza. Bisogna renderle lode e onore perchè durante quaranta anni e undici giorni, ella esercitò la carica abbaziale con saggezza, prudenza, soavità e discrezione ammirabile, a la gloria di Dio ed a bene delle anime.
Aveva ardente amore per Dio, tenerezza e sollecitudine incomparabile per il prossimo, disprezzo profondo per se stessa.
La sua umiltà la portava a visitare gli ammalati, a soccorrerli, a servirli colle sue mani: li consolava, si sforzava di farli riposare e voleva sollevarli in tutti i loro bisogni, cosa che faceva spendendosi completamente, fino a quando la tenerezza delle sue figlie, non subentrava a porre un limite alla sua dedizione d'amore. Spesso era la prima nei lavori più pesanti, si faceva un onore di scopare il chiostro, riordinare la casa, e talora si affaticava da sola, fino a quando il suo esempio e le sue dolci parole trascinavano amabilmente le Suore a venirle in aiuto.
La sua esimia virtù aveva irradiato splendori durante tutta la vita: rosa di meravigliosa freschezza, era la compiacenza di Dio e degli uomini. Dopo quaranta anni e undici giorni di fecondo Superiorato, fu colpita, da una malattia, chiamata piccola apoplessia.
Coloro ch'ebbero il bene di conoscerla sanno quanto penetrò nell'anima delle sue figlie lo strale scoccato dall'Ormipotente per attrarre a sè, e togliere dalla terrestre miseria quell'anima così nobile e così ricca di virtù!

Noi non pensiamo che possa esservi stata in tutto il mondo creatura dotata dai Signore di doni naturali, gratuiti e nascosti, più ricchi e preziosi. Infatti, benché il numero delle persone che aveva accolto e educato nella vita religiosa sorpassi di molto il centinaio, pure non abbiamo mai sentito dire che alcuno ispirasse maggior affetto di lei e potesse esserle preferita. Basti dire che alcune bimbe, di non ancora sette anni, ricevute nel Monastero, ed incapaci di discernimento, erano talmente attratte dalla sua bontà appena l'ebbero conosciuta per madre della loro anima, che la preferirono tosto al babbo, alla mamma ed a tutti i parenti. Sarebbe troppo lungo diffondersi in particolari e dire com'era giudicata dagli estranei che la vedevano e raccoglievano le sue parole, ricche di sapienza celeste. Tornino tutti questi doni che le furono accordati, in lode e ringraziamento a Dio, abisso infinito e sorgente di ogni bene!

Quando dunque questo raggio di sole parve scomparire sotto le ombre di morte, le figlie, temendo con la perdita di si luminoso esemplare di saggia direttiva, d'una Madre sì tenera, di deviare dal retto sentiero della perfezione, si rifugiarono, con slancio dei cuore, nel Padre delle misericordie, implorando, con insistenti suppliche, la guarigione della loro Madre. Dio, che è la bontà suprema dalla quale tutto ciò che è buono riceve cose buone, non sdegnò le preghiere di quelle anime desolate; ma siccome il rendere la salute all'inferma non entrava nei disegni della sua Provvidenza, volle tuttavia consolare le figlie, mostrando la beatitudine della loro Madre. Perciò esaudì le loro suppliche; dando loro, per mezzo di Geltrude, risposte piene di conforto, come si vedrà in seguito.

Una volta infatti, mentre Geltrude pregava per la malata, desiderando conoscere il suo stato, il Signore le disse: « Ho atteso questo tempo con gaudio ineffabile, per condurre la mia Sposa nella solitudine e parlarle cuore a cuore. Il mio desiderio si attua, perchè ella entra in tutte le mie vie e compie in ogni cosa la mia Volontà ». Tali parole significavano che la malattia è quella solitudine ove Gesù parla al cuore della sua diletta, più che alle sue orecchie; le sue parole non colpiscono l'orecchio del corpo, perchè le parole che si rivolgono al cuore sono più sentite che ascoltate. Le parole del signore alla sua eletta sono le tribolazioni e le angosce ch'ella prova pensando che la malattia la rende inutile, ch'ella perde il tempo, che le consorelle affaticandosi intorno a lei, lo perdono esse pure, giacchè non le sarà dato di poter guarire. Ma ella risponde a tali tentazioni nel modo da Dio desiderato, cioè, custodendo la pazienza e non bramando che una sola cosa, cioè che in essa si compia la divina Volontà.

Questa risposta si fa sentire fino in cielo, non in modo umano, ma per mezzo dello strumeno divino del Sacro Cuore di Gesù, ove risuona per allietare la SS. Trinità e tutta la Corte celeste. Infatti il cuore dell'uomo non potrebbe certo accettare volontieri la sofferenza per compiere la Volontà di Dio, se tale disposizione non fosse riversata nell'anima sua dallo stesso Cuore di Gesù Cristo; è dunque per mezzo di questo Cuore divino, che tale risposta può riecheggiare in cielo.

Disse ancora il Signore: «La mia eletta compie i miei più cari desideri, accettando i dolori della malattia, lungi d'imitare la regina Vasthi che disprezzò gli ordini d'Assuero, quando quel re le ordinò di entrare col diadema in testa, perchè i grandi della corte potessero, contemplare la sua bellezza. Io pure voglio far risplendere la magnificenza della mia Sposa davanti all'adorabile Trinità ed a tutta la Corte celeste, perciò la tormento con gli spasimi della malattia. Ma ella compie i desideri del mio Cuore, accettando con tranquillità, pazienza e discrezione í ristori che il suo stato reclama: ciò le varrà grandi gradi di gloria, perchè deve superare se stessa per agire in tal modo. Ella però deve farsi coraggio pensando che, grazie alla mia bontà infinita « diligentibus omnia eooperantur in bonum - Tutto coopera al bene di coloro che amano » (Rom. VIII, 28).

Un'altra volta, mentre Geltrude pregava per la malata, Gesù le disse: « Talvolta mi compiaccio di mirare, la mia eletta che sta preparandomi doni graditi, e allora le procuro perle e fiori d'oro. Ecco ciò che queste parole significano; Le perle sono i suoi sensi, i fiori sono le ore disponibili che le permettono di prepararmi, ornamenti belli, graditi, preziosi; giacchè, appena può e riprende le forze, si occupa subito della sua carica, per quanto le riesce possibile. Con sollecitudine prende diverse misure per conservare ed accrescere la Religione perché, dopo la sua morte, le sue parole ed i suoi esempi siano come colonna saldissima che, per la mia eterna gloria, sostenga la stato religioso.
Se però s'accorge che il lavoro nuoce alla sua salute, lo lascia tosto e mi abbandona ogni cosa con grande fiducia. Questa fedeltà a riprendere il lavoro, o a lasciarlo quando le forze declinano, commuove profondamente il mio Cuore». Un'altra volta che la santa Abbadessa, di dolce memoria, s'affliggeva di non poter compiere lavori di mano, temendo di sciupare il tempo, si rivolse, con la solita umiltà a Geltrude, preferiva i suoi consigli a quelli delle altre, le raccomandò di pregare il Signore per quell'intenzione.

Geltrude lo fece ben volentieri e ricevette questa risposta: « Il Re di bontà non esige che la sua diletta lavori a rendere più bella la sua corona, mentre Egli stesso, prodigandole la sua immensa tenerezza, si compiace di tenerle le mani strette nelle sue; ma ciò che vuole prima di tutto, è che sempre si trovi pronta a compiere la sua Volontà. Così il mio divin Cuore si compiace nella sua eletta, sia che sapporti dolcemente l'infermità che le impedisce di lavorare, sia che si occupi, per quanto può, della sua carica, quando la sofferenza le lascia un po' di respiro ».

Siccome poi la malattia le impediva di esercitare perfettamente i suoi doveri di Abbadessa, ella pensò di dimettersi, ma prima volle sapere da Geltrude quale era la divina Volontà. La Santa ricevette questa risposta: « Con tale malattia santifico la mia Sposa per stabilirmi in essa, quasi in gradita dimora, così come il Pontefice, mediante la consacrazione, santifica una chiesa. Le serrature poste alla porta della medesima, la garantiscono contro i malfattori; così, mediante la malattia, Io la chiudo, per così dire, afflnchè i suoi sensi siano liberati da una folla di cose esteriori, che non hanno grande utilità e spesso turbano il cuore, allontanandolo da me. Nel libro della Sapienza ho proclamato: « Deliciae meae sunt esse cum fìliis hominum - Le mie delizie sono di stare coi figli degli uomini » (Prov. VIII, 31). Ho dunque mandato la malattia a questa mia Sposa per abitare in essa, secondo quest'altra parola: « Juxta est Dominus his qui tribulato sunt corde - Il Signore è vicino a coloro che soffrono » (Ps. XXXIII, 19). Ho voluto ch'ella sia adorna di buoni desideri e di ottima volontà, perchè mi sia dato dimorare in essa come un re sul suo letto di riposo, e gustare le mie delizie nella sua anima, prima di fare gustare a lei stessa le gioie eterne. Lo ho lasciato l'uso parziale dei sensi esteriori, perché potesse trasmettere ancora le mie volontà alle sue figlie, come altra volta diedi agli Israeliti l'Arca santa che rivelava i miei oracoli e nella quale essi dovevano onorarmi. Simile a quell'Arca santa ella deve dare la manna, cioè diffondere sulle sue suddite la dolcezza delle consolazioni con teneri affetti, e parole soavi. Ella deve rinchiudere anche la verga di Aronne per la correzione delle ribelli, dopo di aver riflesso la cosa nel vigore dello spirito, ricordandosi che avrei potuto Io stesso correggere i cattivi col rimorso, o con la sofferenza, ma che ho preferito agire con la sua mediazione per aumentare i suoi meriti. Quando ella avrà esercitato la sua missione secondo la misura delle sue forze, non subirà nessun detrimento se, fra coloro ch'ella corregge, ve ne sono alcune che non si emendano, perchè l'uomo pianta e inaffia, ma Io solo dò l'incremento ».

Altra volta ella si turbò, temendo che vi fosse negligenza da parte sua nell'omettere la S. Comunione, l'orazione ed altre pratiche di Regola. Le sembrava anche di comunicarsi con poco rispetto, poiché la sua grave infermità le impediva di prepararsi accuratamente. Il Signorà volle istruirla e consolarla per tramite di Geltrude: « Sappi che quando, per giusto senso di discrezione, tralascia di comunicarsi; o di compiere altra pratica, la mia infinita bontà si affretta ad attribuirle un bene che supplisce a quello che non ha potuto acquistare, perchè tutti i tesori della Chiesa sono miei, ed Io posso disporre dei medesimi ».

Siccome è proprio delle anime virtuose temere il male anche dove non esiste, ella si contristò, vedendo le persone che la servivano, perdere il tempo, poichè le lor cure non le portavano nessun reale refrigerio. Ma Dio, che è fedele e che non permette che un'anima sia tentata al di sopra delle sue forze, la consolò ancora per mezzo di Geltrude. « Desidero che per mio amore e per mio onore ella sia servita con rispetto, bontà, diligenza e allegrezza, perchè Io, il Dio che in essa abita, l'ho posta a capo del Monastero; ciascuna è dunque tenuta ad assisterla, come i membri servono il capo. Ella, da parte sua, deve rallegrarsi che ani serva di lei, come di un tenero amico, per aumentare i meriti dei miei eletti, giacchè considererò come resi a me tutti i servigi che le saranno prodigati, e tutta l'affezione che le si dimostrerà, sia pure con una sola parola».

Nel giorno di S. Lievino (vescovo e martire, compagno di S. Bonifacio - XII Novembre) tutta la Comunità si era riunita per domandare la sua guarigione al santo martire; Geltrude, avendolo pregato con maggior insistenza, ebbe questa risposta: « Quando il re si rallegra con la sua sposa nel segreto della camera nuziale, è forse conveniente che un soldato venga a pregarlo di far uscire la sposa, perchè la famiglia del servo possa godere la presenza dell'augusta regina? Così non si può troppo supplicare per avere la guarigione di una persona tanto unita a Dio e che, con la sua sapienza e bontà, offre al Re dei cieli le prove della sua tenerezza ». Impariamo che coloro che maggiormente glorificano Dio nel loro stato d'infermità, meritano, invocando i Santi, di ricevere una dolce abbondanza di grazia che accresce la loro pazienza e li aiuta a ritrarre dalla malattia frutti più graditi a Dio.

Prendo come testimonio della fedeltà di quanto dico tutte le persone che in questa malattia hanno riconosciuto la grazia di Dio, ed ammirato la virtù di quella veneranda Madre.

Durante ventidue settimane ella rimase così priva dell'uso della lingua da non poter manifestare nessun desiderio, nè con parole, nè con segni; ella diceva solo queste due parolette: spiritus meus - il mio spirito. Le consorelle che la servivano non potevano nè capire, né sodisfare i suoi desideri. La cara Madre, dopo d'aver ripetuto lungamente e con fatica: spiritus meus, vedendo che tutto era inutile, taceva come un dolce agnello, e, guardando con l'occhio semplice della colomba quello che si faceva contro la sua volontà, sorrideva mestamente, senza mai lasciar trapelare la minima impazienza.
Il grande amore di Dio e del prossimo, vita della sua vita, erano così profondamente radicati nei suo cuore che, persino nei momenti del più acuto spasimo, bastava una sola parola riguardante Dio, per renderla serena, tanto che sembrava non avere più nulla da soffrire.

La sua grande divozione si manifestava con copiosissime lagrime prima della S. Comunione, e con lo zelo per ascoltare la S. Messa. Ella voleva, ad ogni costo esservi condotta, quantunque fosse priva dell'uso di una gamba e che l'altra fosse così addolorata da non poter neppure toccarla: ma tutto dissimulava purchè non la privassero del grande tesoro della S. Messa.

Aveva pure grande fervore per il divin Ufficio. Facile ad assopirsi per la sua malattia, si faceva violenza per destarsi quando suonavano le ore canoniche, e riusciva, come per miracolo, a mantenersi sveglia. Se poi aveva incominciato il suo leggero pasto, le interrompeva sino alla fine delle preghiera. L'ultima volta che disse: spiritus meus, fu per chiedere di recitare Compieta, dopo dì che entrò in agonia.

La sua bontà mostrò assai spesso la perfezione della sua carità; siccome non poteva articolare che le due parole spiritus meus, se ne serviva in ogni bisogno, per ricevere cioè coloro che la visitavano, per accompagnare un gesto affettuoso a chi la circondava, per rispondere a tutte le domande, per esprimere tenerezza alle sue figlie, stringendo loro la mano e accarezzandole amorosamente. Tutte confessavano che, lungi dall'annoiarsi, provavano a quel capezzale delizie misteriose, molto più che se ne avessero ascoltato discorsi eloquenti, accompagnati da doni preziosi. Ella congedava le sue figlie con le stesse parole: spiritus meus, levando la mano malata per benedirle con soavità: scena commovente e dolce!

Un giorno seppe che una sua figlia, colpita da grave malore, aveva dovuto coricarsi. Quantunque non potesse nè fare un passo, nè dire altre parole se non spiritus meus, fece capire, con cenni ripetuti, che voleva visitare l'inferma e lo fece con tanta insistenza che bisognò accontentarla e condurla dalla malata. Ella le mostrò tali segni di compassione coi suoi gesti, che anche i cuori indifferenti, ne furono commossi fino alle lagrime. Ma la penna non può vergare il poema di virtù e di tenerezza che si celava in quel cuore; perciò offriamo a Dio, Autore d'ogni bene, un sacrificio di lode per i doni meravigliosi fatti alla sua Sposa.

Da quanto andiamo dicendo, si può concludere che vi era qualche cosa di miracoloso nel pronunciare ch'ella faceva, in modo distinto, queste parole spiritus meus, poichè non poteva dire altro. Geltrude, che l'amava con particolare tenerezza, volle interrogare il Signore chiedendoGli la ragione di questo fatto. Egli rispose: « Sono il Dio che abito in essa: ora Io ho attirato e unito intimamente il suo spirito al mio, si che ella, in tutte le creature, cerca me solo. Quando per chiedere, o per rispondere, ella dice spiritus meus, parla di me, che vivo nel suo spirito. Così ogni volta che pronuncia queste parole, mostro alla Corte celeste come quest'anima non pensi che a me e le preparo una eterna ricompensa ».

Potremmo ancora riportare molti altri fatti riguardanti questa venerata Madre, ma crediamo bene abbreviare perchè tali cose provano una sola realtà cioè che, essendo ancora visibile, agli occhi umani, pure Dio abitava in lei e con lei, così che, in tutte le, sue azioni, ella si lasciava condurre dolcemente, dallo Spirito del Signore (ciò che è conforme agli insegnamenti della Sacra Scrittura).

Un mese prima di perdere la parola, ella si sentì così male da sembrare sul punto di morire. Quando le venne data con sollecitudine l'Estrema Unzione, davanti alla Comunità riunita, il Signore Gesù apparve raggiante di splendore: Egli tendeva le mani come per abbracciare la sua Sposa, e stava sempìe di fronte a lei, in modo che potesse vederlo da qualsiasi parte si fosse voltata.

Géltrude comprese la tenerezza del Signore per la sua Sposa diletta, giacchè, quattro mesi prima della sua morte, si era mostrato a lei nello stesso atteggiamento, tendendo le mani per ammettere fa sua anima al divino amplesso e all'eterno bacio.

Geltrude chiese poi al Signore come mai quella venerarti da Abbadessa potesse uguagliare i meriti delle vergini già canonizzate, che avevano, versato il sangue per la fede. Le rispose Gesù: « Il primo anno che ella ricevette la carica abbaziale unì talmente la sua volontà alla mia e compi, con la mia grazia, tutte le sue opere con tale perfezione, da uguagliarsi alle vergini più sante; in seguito ella continuò a progredire; così le riserbo un aumento di beatitudine pari ai suoi meriti ». Da queste divine parole si potrà comprendere la fulgida gloria di cui la nostra Madre è rivestita in cielo.

Quando arrivò il giorno tanto ardentemente desiderato e preparato con tante suppliche, quando scoccò l'ora dell'agonia il Signore accorse a lei con gaudio: a destra aveva la sua beatissima Madre, a sinistra S. Giovanni Evangelista, l'apostolo prediletto. Il Salvatore era seguito da una immensa moltitudine di Santi e specialmente dalla candida falange delle Vergini che, durante l'agonia della morente, sembravano riempire la casa e frammischiarsi con le monache.

Le consorelle non abbandonarono la moribonda, deplorando la sua perdita con lagrime, sospiri e supplicando Dio per il trapasso di quella diletta. Quando Gesù giunse al suo capezzale, le mostrò tanta bontà, con tenerezze divine, che la morte perdette tutta la sua amarezza. Quando poi, nella lettura del Passio, si giunse a quelle parole et inclinato capite emisit spiritum, Gesù. parve non poter, più trattenere le fiamme del suo amore: si chinò verso la malata, aperse con le sue stesse mani il Cuore e lo tenne davanti a lei.

La Comunità tutta era in preghiera. Geltrude, spinta dalla sua particolare affezione, disse al Signore: « O buon Maestro, in virtù di quella inesauribile tenerezza con cui ci hai dato una Superiora così degna del nostro amore, degnati, per quanto è possibile, assimilarla alla tua Madre, mostrandole qualche cosa dell'affezione di cui hai circondato la beatissima Vergine, quando usci dal suo corpo mortale». Il Signore, commosso da tenera compassione, parve dire a sua Madre: « Dimmi, o Madre, ciò che ho fatto per Te; di più dolce, quando stavi per uscire dal corpo, perché questa mia Sposa mi prega di agire nello stesso modo con la sua Superiora morente ». La misericordiosissima Vergine rispose con bontà: « La cosa che mi parve più deliziosa, o Figlio mio, fu quella di trovare un rifugio sicuro fra le tue braccia ». « Tu hai ricevuto questo favore, o Madre, per avere meditato spesso sulla terra, con dolorosi sospiri, tormenti della mia Passione ». E aggiunse: « La mia eletta dovrà supplire a tali meriti che non ha, sopportando oggi l'angoscia che le procura la sua respirazione difficile, tante volte quante tu stessa hai sospirato in terra al ricordo della mia Passione».
Cosi ella passò quel giorno d'agonia. Durante questo tempo ella usufruì delle tenerezze del divin Cuore che si apriva davanti a lei come un giardino di fiori profumati, o come un tesoro di aromi preziosi. Ad ogni istante si vedevano gli Angeli scendere dal cielo, guardarla e invitarla a seguirli con questa dolce melodia da essi modulata: « Vieni, vieni; vieni, o Signora, perché le delizie del cielo sono preparate per te ». « Alleluia, Alleluia! - Veni, veni, veni, Domina, quia te expeetant coelt deliciae. Alleluia, Alleluial ».;

L'ora deliziosa s'avvicinava, l'ora nella quale le Sposo celeste, il Re di gloria, il Figlio del Padre si preparava a fare riposare nella Camera nuziale dell'amore quella Sposa diletta che aspettava con sì ardenti desideri il volo supremo. Il Signore si avvicinò e le disse queste dolci parole « Ecco che nel bacio del mio potente amore, io m'impossesso di te, affine di presentarti al Padre mio, nell'amplesso del mio Cuore ». Come se avesse voluto dirle: « La mia onnipotenza ti ha trattenuta finora in terra per darti possibilità di maggior merito; ma l'ardore della mia tenerezza non può più trattenersi, quindi ti libera dal corpo e ti consegna a me, come desideratissimo tesoro, perchè calmi la violenza dell'amore, gustando in te le più soavi delizie ». E subito quell'anima felice, cento volte felice, lasciando la spoglia mortale, s'inalzò con giubilio ineffabile, per entrare nell'augusto santuario del S. Cuore di Gesù, che le era stato aperto con tanto amore, letizia e generosità, come più sopra abbiamo detto. Nessun mortale saprebbe immaginare quello che lassù quell'anima, che meritò di passare per tale via, ricevette di tenerezza, ciò che vide e intese. La debolezza umana: non potrebbe esprimere che balbettando le tenere carezze dello Sposo che accolse la sua diletta nelle profondità del suo Sacro Cuore, e i giocondi trasporti della Corte celeste che, con le sue lodi, parve coronare quella festa di nuove gioie.

Unite pur non al palpito gaudioso del cielo, tenteremo di cantare un inno di giubilo e di ringraziamento a Dio, Autore di ogni bene.
Quando dunque quel sole brillante, che aveva diffuso così lontano i suoi benefici raggi, scomparve dalla terra, quando quella gocciolina d'acqua rientrò nell'oceano da dove era uscita, le figlie, rimaste quaggiù nelle tenebre della desolazione, levarono verso il cielo lo sguardo della fede per tentare di scoprire mediante la speranza, qualche cosa della gloriosa felicità della loro Madre. Tuttavia esse continuavano a piangere per il sacrificio di una Madre così buona, veramente superiore a tutto quello che avevano visto nel passato, e che potevano sperare nell'avvenire. I loro rimpianti erano però illuminati da un certo senso di gioia al pensiero della gloria di quell'eletta: così facevano salire le loro lodi verso il cielo, confidando la loro desolazione alla tenera affezione dell'Estinta. Esse cantarono il Responsorio Surge Virgo, et nostra Sponso preces aperi; tua vox est dulcis in aure Domini: quae pausas sub umbra Diletti. Ab aestu mundi transfer nos ad amoena paradisi. Pulchre Sion filia pro mortali tunica. Agni testa vellere, et corona gloriae. Ab aestu. - Levati, o Vergine, e presenta le nostre preghiere allo Sposo: la tua voce è dolce all'orecchio del Signore: o tu, che riposi all'ombra del Diletto, toglici dagli ardori di questo mondo e trasportaci nelle delizie del Paradiso. O figlia di Sion che hai mutata la tunica mortale con la veste dell'Agnello e con la corona della gloria.

Essendo malata Matilde, cantora del Monastero, fu Geltrude che intonò questo canto: il corpo verginale, tempio agusto di Cristo, fu portato da mani caste in cappella e deposto davanti all'altare.

Quando tutta la Comunità si prostrò in preghiera, l'anima dell'eletta defunta comparve, rivestita di gloria incomparabile. Ella stava davanti alla SS. Trinità e pregava per le agnellette che, durante il terreno pellegrinaggio, le erano state confidate.

Mentre si cantava la S. Messa per la defunta, Geltrude sfogava il suo dolore con Gesù, il quale volendo consolarla le disse con tenerezza: « Non basto forse io a darti tutto quello che ti ho tolto? Nel secolo si usa fidarsi di un uomo onesto, il quale dopo la morte dei suoi vassalli, prende in tutela i loro beni, perchè si è persuasi che egli nulla trascurerà per il vantaggio degli eredi. Fidati dunque di me, io ti consolerò perchè sono la bontà infinita: se tu a me ti rivolgerai con tutto il cuore, sarò per te, tutto quello che la defunta Madre era per ciascuna di voi ».

Nello stesso momento in cui, come più sopra si disse, il Signore ricevette nel suo Cuore l'anima della defunta, diffuse sul mondo intero una rugiada di grande dolcezza, e Geltrude comprese che in quell'istante, tutte le preghiere che salivano al cielo erano esaudite.
All'indomani, giorno della sepoltura, Geltrude fece la sua oblazione all'Offertorio della prima Messa, per l'anima della defunta. Per supplire ai suoi meriti offerse l'amabilissimo Cuore di Gesù, tale e quale è nei suoi rapporti con l'umanità, cioè colmo dei beni e delle perfezioni che scorrono dal medesimo Cuore sui cuori degli uomini, per risalire poi, con pienezza, verso Dio. Il Signore parve accettare quell'offerta, sotto il simbolo di un vaso, in forma di cuore, colmo di ricchi doni: Egli lo chiuse nel suo seno, poi chiamò l'anima della defunta, dicendole: « Vieni piccola vergine (virguncula) vieni da me, e disponi dei beni che le tue figlie ti hanno mandato ». Ella si volse allora al suo Diletto, ed immerse la mano nel seno del Signore, osservando quello che in esso racchiudeva. Siccome colà trovava la perfezione di tutte le virtù e di tutti i doni, ella toglieva a uno a uno quei tesori, li indirizzava a Dio, e diceva con la sua solita dolcezza: « O amato Gesù, questo converrebbe alla Priora, questo a quell'altra, e questo a quell'altra consorella». Siccome sulla terra aveva notato ciò che mancava a ciascuna, ora cercava di supplirvi con le virtù del Cuore di Gesù. Il Signore, guardandola con ineffabile amore, le disse ancora: « Avvicinati di più, o mia diletta ». Ella si alzò e si pose a sinistra del Signore che la circondò col suo braccio e, serrandola al Cuore, le disse: « Vedi ora le cose come le miro Io stesso ».

Quelle parole le fecero capire ch'ella era guidata dall'affezione umana nel distribuire alle sue figlie i doni del Signore, secondo ciò che aveva conosciuto in terra. Ora che il Signore l'aveva unita totalmente a sè, ella non poteva vedere se non ciò che Dio vedeva, quel Dio che ama gli uomini più di quanto noi possiamo comprendere e che però loro lascia dei difetti, che servono ai suoi disegni di Provvidenza.

All'elevazione Geltrude offerse a Dio, per l'anima della sua diletta Priora, in unione alla sacratissima Ostia la filiale tenerezza che Gesù provò per Maria, sua amorosissima Madre. Allora il Figlio di Dio, chiamando soavemente la defunta, le disse: « Avvicinati, piccola vergine. Voglio mostrarti la filiale affezione del mio Cuore ». La Madonna prese quell'anima fra le sue braccia, la condusse dal Signore che si chinò su lei per farle gustare, con un soavissimo bacio, qualche cosa della filiale tenerezza che sentiva per la sua Madre. Siccome tale visione si ripeteva ad ogni S. Messa, e più di venti erano già state celebrate per la defunta, Geltrude cercò di offrire a Dio qualche cosa di più grande ancora, per aumentare i meriti della sua amatissima Priora. Ella presentò dunque la filiale affezione che Gesù, come Dio, ebbe per il Padre, e che, come uomo, ebbe per la Madre.

Il Figlio di Dio, tenendosi ritto davanti all'eterno Genitore, chiamò l'anima della defunta e le disse: « Vieni, mia Signora e mia Regina, perchè ti viene invìato un dono ancora più prezioso ». E siccome l'anima della defunta, guidata dalla Mano della Madonna, erasi inalzata a vette sublimi, Geltrude, seguendola con lo sguardo, le disse: « O Madre mia, ben presto non potrò più nè vederti, nè capire la meravigliosa gloria che ti circonda ». Ella rispose: « Tu potrai però sempre interrogarmi su quanto desideri sapere ». E Geltrude: « O Madre cara, perchè le tue preghiere non ci ottengono di frenare le lagrime? Noi ci sentiamo tutte male a furia di piangere la tua assenza, pur sapendo che a te non piacciono queste esagerazioni indiscrete ».
La defunta rispose: « Il mio Salvatore; nella sua dolce tenerezza, muta per me in gloria e in vantaggio tutto quello che di solito torna di poco profitto ad altri: ora sappi che, per la discrezione con cui seppi guidarvi, Egli mi permette di offrire in un calice d'oro tutte le lagrime che voi versaste per la mia morte. Per ciascuna di queste lagrime Egli versa in me le dolci acque della Divinità e quando esse hanno calmato la mia sete, canto al Diletto un inno di ringraziamento per le mie figlie e per tutti colora che mi piangono ».

Geltrude chiese se tale effetto era raggiunto da tutte le lagrime, o soltanto da quelle che si versavano in vista di Dio, per il timore che la sua morte portasse un rilassamento nella religiosa osservanza. Quell'anima beata rispose: « Questa gioia mi viene elargita, anche per le lagrime che si versano solo per semplice tenerezza; tuttavia quando offro le lagrime sparse per l'onore di Dio, allora il mio Salvatore stesso canta con me l'inno del ringraziamento: queste sante lagrime mi procurano un gaudio superiore alle altre, così come il Creatore è al di sopra delle creature ».

Poi, avendo chiamata Geltrude per nome, le disse: « Cara figlia, sappi che ho ricevuto una ricompensa speciale per averti incoraggiata in vista di Dio, a compiere quell'affare che bene conosci. Per questo io ascolto sempre nel Cuore del mio Diletto un canto d'amore che assomiglia a quello di uno strumento melodioso, tanto che tutta la Corte celeste si rallegra con me. Tale canto procura ai miei occhi un mite splendore, al palato un gusto squisito, all'odorato un soave profumo. Soltanto il senso del tatto non prova speciale godimento, perchè ho commesso alcune negligenze a questa riguardo, quantunque con buona; intenzione e per amore di pace ».

Mentre si sonava l'Elevazione, Geltrude offerse l'Ostia santa al Padre, per riparare le negligenze della defunta. L'Ostia divina apparve allora come uno scettro ammirabile che sembrava bilanciarsi con un grazioso movimento: esso era davanti all'anima della defunta che non poteva tuttavia toccarlo, perchè, nell'altra vita, non si può supplire alle mancanze commesse quaggiù. In virtù di quel sentimento di affettuosa riconoscenza di cui il Signore l'aveva dotata, la defunta parve pregare per tutti coloro che assistevano alle sue esequie: tale preghiera ottenne a ciascuna la remissione di molti peccati, e un aumento di grazia, di forza, di vigore per fare il bene.

Alla benedizione che si dava alla fine della S. Messa, la diletta Priora apparve in piedi, davanti al trono della sempre adorabile Trinità, alla quale rivolse questa supplica: « O Dio, che sei l'Autore di ogni, bene, accorda un favore alla mia spoglia mortale. Quando le mie figlie verranno sulla mia tomba a gemere sulle loro pene e sulle loro colpe, fa che una segreta consolazione le assicuri che io sono veramente la loro Madre ».

Il Signore accolse con bontà questa domanda e in nome della sua Onnipotenza, della sua Sapienza e Bontà, benedisse ciascuna anima in particolare. Quando poi questa beata Madre venne deposta nella tomba, il Signore, per confermare quella benedizione, parve fare tanti segni di croce quante erano le palate di terra che cadevano sulla cassa. Allorchè essa fu interamente ricoperta, la Vergine Maria, Madre di Dio, tracciò ella pure con la sua dolce mano, lo stesso segno di croce, come un sigillo, atto a testimoniare il favore concesso da Dio alla defunta.

All'intonazione del responsorio « Regnum mundi »; dopo la sepoltura, il cielo parve ammantarsi dì nuova gioia, così come una casa di cui ogni pietra, e ogni lastra si fossero messe a danzare, per esprimere la loro allegrezza. La defunta apparve preceduta da un coro di vergini, di cui ella era la regina: con una mano teneva un giglio circondato da altri fiori, con l'altra guidava le vergini che le erano state confidate e che l'avevano preceduta nella gloria. Al loro seguito camminavano altre vergini del Paradiso. Fra gioia ed allegrezza esse giunsero al trono di Dio. Alle parole del Responsorio: quem vidi, Dio Padre accordò nuovi favori a quell'amatissima anima che conduceva le vergini, già sue figlie. All'altra parola quem amavi, il Figlio di Dio le accordò pure le sue grazie; all'espressione in quem credidi, lo Spirito Santo l'arricchì dei suoi doni. Ma quando si cantò quem diiext, la defunta aperse le braccia per dare un tenero amplesso a Gesù, suo amatissimo Sposo.
In seguito venne detto il Responsorio Libera me e si vide in cielo radunarsi un altro coro composto dalle anime che, in virtù dei meriti della defunta, delle S. Messe e preghiere offerte per lei, in quel giorno erano giunte all'eterna gloria. In quel numero si notò un fratello converso del Monastero che aveva trascurato la vita spirituale; egli per i meriti della santa Priora, aveva avuto il massimo refrigerio.

Nel trentesimo giorno la beata Priora apparve ancora a Geltrude raggiante di una gloria così meravigliosa, da eclissare tutto quello che prima aveva ammirato. Si vedevano rifulgere di splendore soprattutto i mali sopportati pazientemente nell'ultima malattia. Un libro d'oro, magnificamente ornato, apparve davanti al trono: esso conteneva tutti gli insegnamenti che aveva dati agli inferiori. In avvenire si vedranno i tesori che i suoi esempi e le sue parole avranno prodotto nelle anime.
Geltrude, stupita di tante meraviglie, chiese alla beata Priora quale ricompensa avesse ricevuto per i dolori sopportati al braccio destro. Ella rispose: « Con la destra abbraccio teneramente il mio Diletto e provo una gioia incomparabile, vedendo come il mio amatissimo Sposo trovi le sue delizie nell'essere circondato dal mio braccio, come da preziosa collana. Il lato destro della defunta sembrava, dalla testa fino ai piedi tempestato di gemme preziose, il cui splendore si rifletteva anche sul lato sinistro. L'ornamento di destra indicava le ricompense ai suoi dolori, lo splendore di sinistra stava a significare i meriti acquistati per l'unione della sua volontà al divin beneplacito. Era dunque, da una parte e dall'altra, come un gioco di luci, simile a quello dei raggi di sole che si riflettono nelle acque. La sofferenza poi che la beata Madre defunta aveva provato per la perdita della parola, le fu ripagata da un bacio divino, che le venne dato da Gesù appena spirata, il cui splendore sarebbe durato eternamente, con gaudio ineffabile di tutta la Corte celeste.

Durante la S. Messa, Geltrude, ricordando il bene ricevuto dalla Santa Abbadessa, pregò il Signore di ricompensarla Lui stesso. Egli rispose: « Ciascuna di voi mi venga in aiuto, eccitandomi a diffondere su di lei i miei doni, perchè non so vedere in me alcun bene, che non sia disposto a cederle ». E il Signore, guardando con tenerezza la defunta, aggiunse « I tuoi benefici furono bene accordati, poichè hanno in ricambio tale riconoscenza ». La Santa Priora si prostrò allora davanti al trono della divina Maestà e ringraziò Dio per la fedeltà delle sue figlie, dicendo: « Lode eterna, immensa, immutabile sia a Te, dolcissimo Dio, per tutti i tuoi benefici, e benedetto sia il tempio nel quale mi hai preparato a ricevere un frutto sì dolce e salutare ». E aggiunse: « O Dio, che sei la mia vita, ricompensa Tu stesso per me ». Rispose il signore: « Fisserò su loro lo sguardo della mia misericordia », nel contempo fece due segni di croce con la mano per accordare a ciascun membro della Comunità la grazia di dare buon esempio al prossimo con opere esterne, ed agire unicamente per amore di Dio.

AMDG et DVM