martedì 12 novembre 2019

UN GRAN REGALO CONOSCERE QUESTA PAGINA.

6 luglio 1944

   Dice Gesù
   «Vedi, anima mia, che avevo molta ragione di dire: "La conoscenza del mio tormento del Getsemani non sarebbe capita e diverrebbe scandalo"? 
   La gente non ammette il Demonio. Quelli che l'ammettono non ammettono che il Demonio abbia potuto vessare l'anima di Cristo sino al punto di far sudare sangue. Ma tu, che hai avuto un briciolo di questa tentazione, puoi comprendere. Parliamo dunque insieme. 
   Mi hai chiesto: "Quante sono le agonie del Getsemani che mi dai?". 
   Oh! tante! Non per piacere di tormentarti. Unicamente per bontà di Maestro e Sposo. Non potrei su te, piccola sposa, abbattere tutto insieme il cumulo di desolazione che mi accasciò quella sera e che nessuno intuì, che nessuno comprese fuorché mia Madre e il mio Angelo. Ne morresti pazza. E allora ti dò adesso un briciolo, domani un altro, di modo da farti gustare tutto il mio cibo e di ottenere dal tuo soffrire il massimo di amore di compassione per il tuo dolente Sposo e di redenzione per i tuoi fratelli. 
   Ecco perché ti dò tante ore di Getsemani. Uniscile e, come il mosaicista unendo le tessere piano piano vede formarsi il quadro completo, tu, riunendo nel tuo pensiero il ricordo delle diverse ore, vedrai l'Agonia vera del tuo Signore. 
   Rifletti come ti amo. La prima volta ti ho dato soltanto la vista della mia smania fisica. E tu, soltanto per vedermi col Volto stravolto, andare e venire, alzare le braccia, torcermi le mani, piangere e abbattermi, ne hai avuta tanta pena che per poco non mi moristi. 
   Ti ho presentato quella tortura visibile più e più volte sinché l'hai conosciuta e l'hai potuta sopportare. Poi, volta per volta, ti ho svelato le mie tristezze. Le mie tristezze. Di uomo. Tutte le passioni dell'uomo si sono drizzate come serpi irritate, fischiando i loro diritti d'essere, ed Io le ho dovute strozzare una per una per esser libero di salire il mio Calvario. 
   Non tutte le passioni sono malvagie. Te l'ho già spiegato. Io dò a questo nome il senso filosofico, non quello che voi gli date scambiando il senso col sentimento. E le passioni buone il tuo GesùUomo le aveva come tutti gli uomini giusti. Ma anche le passioni buone possono divenire nemiche in certe ore, quando con la loro voce fanno catena, e catena di durissimo, fortissimo, annodatissimo acciaio, per impedirci di compiere la volontà di Dio. 
   Amare la vita, dono di Dio, è dovere, tanto che chi si uccide è colpevole come e più di chi uccide, poiché colui che uccide manca alla carità di prossimo ma può avere l'attenuante di una provocazione che lo dissenna, mentre chi si uccide manca contro sé stesso e contro Dio, che gli ha dato la vita perché egli la viva sino al suo richiamo. Uccidersi è strapparsi di dosso il dono di Dio e gettarlo con urlo di maledizione sul Volto di Dio. Chi si uccide dispera di avere un Padre, un Amico, un Buono. Chi si uccide nega ogni dogma di fede e ogni asserzione di fede. Chi si uccide nega Dio. Dunque occorre aver cara la vita. 
   Ma come: cara? Facendosi schiavi di essa? No. Amica buona la vita. Amica dell'altra. Della Vita vera. Questa è la grande Vita. Quella è lapiccola vita. Ma come un'ancella serve e procura cibo alla sua signora, così la piccola vita serve e nutre la grande Vita, la quale raggiunge l'età perfetta attraverso le cure che la piccola vita le da. 
   È proprio questa piccola vita che vi procura la veste ornata da indossare quando divenite le Signore del Regno di Vita. È proprio questa piccola vita che vi fortifica col pane amaro, intriso di forte aceto, delle cose di ogni giorno, e vi fa adulti e perfetti per possedere la Vita che non termina. 
Ecco perché occorre chiamare "cara" questa triste esistenza d'esilio e di dolore. È la banca in cui maturano i frutti delle ricchezze eterne. È passabilmente buona? Lodarne il Signore. È cosparsa di pene? Dir "grazie" al Signore. È triste oltre misura? Non dir mai: "È troppo". Non dir mai: "Dio è cattivo". 
   L'ho detto mille volte: "Il male e le tristezze che sono se non frutto del male? il male non viene da Dio. È l'uomo il malvagio che fa soffrire"
   L'ho detto mille volte: "Dio sa finché potete soffrire e, se vede che è troppo ciò che il prossimo vi procura, interviene non soltanto aumentando la vostra forza di sopportazione, ma con conforti celesti; e quando è l'ora con spezzare i malvagi, perché non è lecito torturare oltre misura il prossimo migliore". 
   La vita è cara per le oneste soddisfazioni che procura. Dio non le biasima. Il lavoro Egli l'ha messo. Per punizione, ma anche per svago all'uomo colpevole1. Guai se aveste dovuto vivere nell'ozio. Da secoli la Terra sarebbe un enorme manicomio di furenti che si sbranerebbero l'un coll'altro. Lo fate già, perché ancor troppo oziate. L'onesta fatica rasserena e da gioia e riposo sereno. 
   La vita è ancor più cara per gli affetti santi di cui si infiora. Dio non li biasima. Potrebbe Dio, che è Amore, biasimare un amore onesto? O gioia d'esser figli! e gioia d'esser padri! O gioia di trovare una compagna che genera figli al proprio nome e figli a Dio! O gioia di avere una dolce sorella, un buon fratello, e amici sinceri! No, che queste oneste dolcezze Dio non le biasima. 
   L'amore lo ha messo Lui, e non sulla Terra, come il lavoro, per punizione e svago del colpevole. Ma nel Terrestre Paradiso per base alla grande gioia di esser figli di Dio. "Non è bene che l'uomo sia solo2" ha detto. Re del creato, l'uomo sarebbe stato in un deserto senza una compagna. 
   Buoni gli animali tutti col loro re, ma troppo, sempre troppo inferiori al figlio di Dio. Buono, infinitamente buono Dio col suo figlio, ma sempre troppo superiore ad esso. L'uomo avrebbe patito la solitudine di essere ugualmente distante dal divino e dall'animale. E Dio gli diede la compagna. Non solo. Ma dal casto amore con la stessa gli avrebbe concesso i dolci figli, perché l'uomo e la donna potessero dire la parola più dolce dopo il Nome di Dio: "Figlio mio!"; e i figli potessero dire la parola più santa dopo il Nome di Dio: "Mamma!"
   Mamma! Chi dice "mamma" prega già. 
   Dire "mamma" vuoi dire ringraziare Dio della sua Provvidenza, che da una madre ai figli dell'uomo e fino ai piccoli figli delle fiere e dei domestici animali e dei volanti uccelli e fin dei muti pesci, perché l'uomo non conoscesse l'orrore di crescere solo e non cadesse per mancanza di sostegno quando ancora è troppo debole per conoscere il Bene e il Male. 
   Dire "mamma" vuol dire benedire Iddio che ci fa conoscere cosa sia l'amore attraverso il bacio di una madre e le parole delle sue labbra. 
   Dire "mamma" vuoi dire conoscere Iddio che ci da un riflesso del suo principale attributo, la Bontà, attraverso l'indulgenza di una madre. E conoscere Iddio vuoi dire Sperare, credere e amare. Vuoi dire salvarsi. 
   Avere un fratello non è come avere, per una pianta, la pianta gemella che sostiene nelle ore di burrasca, intrecciando i rami, e che nelle ore di gioia aumenta la fioritura di essa col polline del suo amore? Per questo ho voluto che i cristiani si chiamassero l'un l'altro "fratelli",perché è giusto, dato che venite tutti da un Dio e da un sangue d'uomo, e perché è santo, perché è confortevole per coloro che non hanno fratelli di carne poter dire al vicino: "Fratello, io ti amo. Amami". 
   Avere un amico sincero non è come avere un compagno nel cammino? Andare soli è troppo triste. Quando Dio elegge alla solitudine di vittima un'anima, allora gli si fa compagno perché soli non si può stare senza flettere. La vita è una strada scoscesa, sassosa, spesso interrotta da crepacci e correnti vorticose.Aspidi e spine lacerano e mordono sull'irto sentiero. 
   Esser soli sarebbe perire. Dio ha creato l'amicizia per questo. In due cresce la forza e il coraggio. Anche un eroe ha attimi di debolezza. Se è solo dove si appoggia? Ai rovi? Dove si afferra? Agli aspidi? Dove si adagia? Nel torrente vorticoso o nell'orrido oscuro? Ovunque troverebbe nuova ferita e nuovo pericolo. Ma ecco l'amico. Il suo petto è appoggio, il suo braccio sostegno, il suo affetto riposo. E l'eroe riprende forza. Il camminatore cammina di nuovo sicuro. 
   Per valorizzare l'amicizia Io ho voluto chiamare "amici"3 i miei apostoli, e tanto ho apprezzato questo affetto che nell'ora del dolore ho voluto i tre più cari con Me nel Getsemani4. Li ho pregati di vegliare e pregare con Me, per Me... e di vederli incapaci di farlo ne ho tanto sofferto da uscirne indebolito, e perciò più suscettibile alle seduzioni sataniche. Una parola, avessi potuto scambiare una parola con degli amici desti e comprensivi del mio stato, non sarei giunto a svenarmi, prima della Tortura, nella lotta per respingere Satana.
   Ma vita e affezioni non devono divenire nemiche. Mai. Se tali divengono, occorre spezzarle. 
   Le ho spezzate. Una per una. 
   Avevo già spezzato l'umano fermento di sdegno verso il Traditore. E un nervo del mio Cuore s'era lacerato nello sforzo. 
   Ora ecco che sorgeva la paura di perdere la vita. La vita! Avevo trentatré anni. Ero uomo in quell'ora. Ero l'Uomo. Avevo perciò l'amore vergine della vita come lo aveva Adamo nel Paradiso Terrestre. Una gioia d'esser vivo, d'esser sano, d'esser forte, bello, intelligente, amato, rispettato. Una gioia di vedere, di intendere, di poter esprimere. Una gioia di respirare l'aria pura e profumata, di udire l'arpa del vento fra gli ulivi e del rio fra i sassi, e il flauto di un usignolo innamorato; di vedere splendere le stelle in cielo, tanti occhi di fuoco che guardavano Me con amore; di vedere farsi d'argento la terra per la luna così bianca e lucente che riverginizza ogni sera il mondo, e pare impossibile che sotto la sua onda di candida pace possa agire il Delitto. 
   E tutto questo lo dovevo perdere. Non più vedere, non più udire, non più muovermi, non più esser sano, non più esser rispettato. Divenire l'aborto marcioso che si scansa col piede torcendo il capo con disgusto, l'aborto espulso dalla società che mi condannava per esser libera di darsi ai suoi sozzi amori. 
   Gli amici!... Uno mi aveva tradito. E mentre Io attendevo la morte, egli si affrettava a portarmela. Credeva di darsi gioia con la mia morte... Gli altri dormivano. Eppure li amavo. Avrei potuto destarli, fuggire con loro, altrove, lontano, e salvare vita e amicizia. E invece dovevo tacere e restare. Restare voleva dire perdere amici e vita. Esser un reietto, voleva dire. 
   La Mamma! O amore della Mamma! Invocato amore curvo sul mio dolore! Respinto amore per non farti morire del mio dolore! Amore della mia Mamma! 
   Sì, lo so. Ogni mio singhiozzo ti giungeva, o Santa. Ogni mio chiamarti valicava lo spazio e penetrava come spirito nella chiusa stanza dove tu, come sempre, passavi la tua notte orando, e in quella notte orando non con estasi ma con tortura d'anima. Lo so. E mi interdivo di chiamarti per non farti giungere il lamento del tuo Figlio, o Madre martire che iniziavi la tua Passione, solitaria come Io solitario, nella notte del Giovedì pasquale! 
Il figlio che muore fra le braccia di sua madre non muore: si addormenta cullato da una ninna nanna di baci, che continuano gli angeli sino al momento che la visione di Dio smemora il figlio del desiderio di suamadre. Ma Io dovevo morire fra le braccia dei carnefici e di un patibolo, e chiudere vista e udito su schiamazzi di maledizione e gesti di minaccia. 
   Come ti ho amata, Madre, in quell'ora del Getsemani! 
   Tutto l'amore che ti avevo dato e che mi avevi dato in trentatré anni di vita erano davanti a Me e peroravano la loro causa e mi imploravano di aver pietà di essi, ricordando ogni bacio tuo, ogni tua cura, le stille di latte che mi avevi dato, il cavo tiepido delle tue mani per i miei piedini freddi d'infante povero, le canzoni della tua bocca, la leggerezza delle tue dita sui miei riccioli fitti, e il tuo sorriso e il tuo sguardo e le tue parole e i tuoi silenzi e il tuo passo di colomba che posa i piedi rosei al suolo ma tiene le ali già socchiuse al volo, e non piega stelo tanto il suo andare è leggero, poiché tu eri sulla Terra per mia gioia, o Madre, ma tu avevi l'ali sempre trepide di Cielo, o santa, santa, santa e innamorata!
   Tutte le lacrime che già ti ero costato, e tutte quelle che ora cadevano dal tuo ciglio e quelle che sarebbero cadute nei tre giorni avvenire, ecco che le udivo cadere come pioggia di lamento. O lacrime di mia Mamma! 
   Ma chi può vedere piangere, udire piangere sua mamma e non avere poi, finché vita gli dura, lo strazio presente di quel pianto? Io ho dovuto sperdere, strozzare l'amore umano per te, Mamma, e calpestare il tuo e il mio amore per camminare sulla via della Volontà di Dio. 
   Ed ero solo. Solo! Solo! Terra e Cielo non avevano più abitanti per Me. 
   Ero l'Uomo carico dei peccati del mondo. Odiato perciò da Dio. Dovevo pagare per redimermi ed essere di nuovo amato. 
   Ero l'Uomo carico della Bontà del Cielo. Odiato perciò dagli uomini a cui la Bontà è ripugnante. Dovevo essere ucciso per punizione d'esser buono. 
   E anche voi, oneste gioie del lavoro compiuto per dare il pane quotidiano a Me stesso prima, per dare il pane spirituale poi agli uomini, mi siete venute avanti a dirmi: "Per che ci lasci?". 
   Nostalgia della quieta casa fatta santa da tante orazioni di giusti, fatta Tempio per aver accolto gli sponsali di Dio, fatta Cielo per aver ospitato fra le sue mura la Trinità chiusa nell'anima del Cristo di Dio! 
   Nostalgia delle folle umili e schiette alle quali davo luce e grazie, e dalle quali mi veniva amore! Voci di bambini che mi chiamavano con un sorriso, voci di madri che mi chiamavano con un singhiozzo, voci di malati che mi chiamavano con un gemito, voci di peccatori che mi chiamavano con un tremito!   Tutte le udivo e mi dicevano: 
   "Perché ci abbandoni? Non ci vuoi più accarezzare? Chi ci darà carezze, sui ricci biondi o bruni, simili alle tue?". 
   "Non vuoi più renderci le creature estinte, guarirci le morenti? Chi avrà pietà delle madri come Tu, Figlio santo?". 
   "Non vuoi più sanarci? Chi ci guarirà se Tu scompari?". 
   "Non vuoi più redimerci? Non ci sei che Tu che sei Redenzione. Ogni tua parola è forza che schianta una corda di peccato nel nostro buio cuore. Noi siamo più malati dei lebbrosi, perché per loro la malattia cessa con la morte, per noi si accresce. E Tu te ne vai? Chi ci capirà? Chi sarà giusto e pietoso? Chi ci rialzerà? Resta, Signore! ". 
   "Resta! Resta! Rimani!", urlava la folla buona. "Figlio!", urlava mia Madre. 
   "Salvati! ", urlava la vita. 
   Ho dovuto spezzare queste gole che urlavano, strozzarle per non farle più urlare, per aver forza di spezzarmi il cuore, strappando uno per uno i suoi nervi per compiere la Volontà di Dio. 
   Ed ero solo. Cioè: ero con Satana. 
   La prima parte dell'orazione era stata penosa, ma ancora potevo sentire lo sguardo di Dio e sperare nell'amore degli amici. 
   La seconda fu più penosa perché Dio si ritirava e gli amici dormivano. Riconfermavano il sibilo di Satana e la voce della vita: "Ti sacrifichi per nulla. Gli uomini non ti ameranno per il tuo sacrificio. Gli uomini non comprendono". 
   La terza... la terza fu la demenza, fu la disperazione, fu l'agonia, fu la morte. La morte dell'anima mia. Non è risorto soltanto il corpo mio. Anche la mia anima ha dovuto risorgere. Poiché conobbe la Morte. 
   Non vi paia eresia. Cosa è la morte dello spirito? La separazione eterna da Dio. Ebbene: Io ero separato da Dio. Il mio spirito era morto. È la vera ora di eternità che Io concedo ai miei prediletti. Quella che tu, piccola sposa, ti sei chiesta che fosse da quando ti hanno detto che tu hai sorte simile a Veronica Giuliani, che al termine della esistenza conobbe questo strazio superiore a tutti gli strazi sovrumani. 
   Noi conosciamo la morte dello spirito, senza averla meritata, per comprendere l'orrore della dannazione che è tormento dei peccatori impenitenti. La conosciamo per ottenere di salvarli. Lo so. Il cuore si spezza. Lo so. La ragione vacilla. So tutto, anima diletta. L'ho provato prima di te. È l'orrore infernale. Siamo in balìa del Demonio poiché siamo separati da Dio. 
   Credi tu che Marta, che vinse il dragone, abbia tremato più di noi? No. La sofferenza è più grande in noi. La belva vinta da Marta era una spaventosa belva, ma sempre una belva della Terra. Noi vinciamo la Belva-Lucifero. Oh! non c'è confronto! E la Belva-Lucifero viene sempre più vicino quanto più tutto, in Cielo e in Terra, da noi si allontana. 
   Ero già stato tentato nel deserto5. Una fola di tentazione, poiché allora avevo soltanto la debolezza del cibo materiale. Ora ero affamato di cibo spirituale e affamato di cibo morale, e non c'era pane per il mio spirito e pane per il mio cuore. Non più Dio per lo spirito mio. Non più affetti per il cuore mio. 
   Ecco, allora, esile come lama di vento, penetrante come pungiglione d'ape, irritante come veleno di colubro, la voce di Lucifero. Un flauto che suona in sordina, così piano, così piano che non desta la nostra vigile attenzione. Penetra con la seduzione della sua magica armonia, ci fa sonnecchiare, sembra un conforto, ha aspetto di conforto soprannaturale. 
   Oh! Ingannatore eterno, come sei sottile! L'io non chiede che di essere aiutato. E pare che quel suono aiuti. Parole di compassione e di comprensione, dolci come carezze su una fronte febbrile, calmanti come unguento su una bruciatura, stordenti come vino generoso versato a chi è digiuno. L'anima stanca si addormenta. 
   Se non fosse più che vigile col suo subcosciente, il quale è vigile soltanto in coloro che nutrono sé stessi di costante unione all'Amore,finirebbe col cadere in un letargo che la darebbe in balìa totale di Satana, inun ipnotico sonno durante il quale Lucifero le farebbe compiere qualsiasi azione. Ma l'anima che ha nutrito sé stessa costantemente di Amore non perde l'integrità del suo subcosciente, neppure nelle ore che uomini e Dio pare si uniscano per fare di lei una demente. E il subcosciente sveglia l'anima. Le grida: "Agisci. Sorgi. Satana ti è alle spalle". 
   La lotta tremenda ha inizio. Il veleno è già in noi. Occorre perciò lottare coi suoi effetti e contro le ondate accelerate, sempre più veementi e accelerate, del nuovo veleno della parola satanica che si versa su noi. 
   Il frastuono cresce. Non è più suono di flauto in sordina, non è più carezza e unguento. È clangore di strumenti pieni, è percossa, è ferita di gladio, è fiamma che soffoca e arde. E nella fiamma ecco la vita che passa davanti allo Sguardo spirituale. Già c'era passata col suo rassegnato aspetto di cosa sacrificata. Ora torna con veste di prepotente regina e dice: "Adorami! Io son che regno! Questi sono i miei doni. I doni che ti ho dato e più belli ti darò se tu mi sarai fedele". 
   E nel suono degli strumenti tornano le voci delle cose e delle persone. Non pregano più. Comandano, imprecano, insultano, maledicono, perché le abbandoniamo. Tutto torna per tormentarci. Tutto. E l'anima sbalordita lotta sempre più debolmente. 
   Quando vacilla come guerriero svenato e cerca un appoggio in Cielo o in Terra per non procombere, ecco che Lucifero le da la sua spalla. Non c'è che lui... Si chiama al soccorso... Non risponde che lui... Si cerca uno sguardo di pietà... Non si trova che il suo... 
   Guai a illudersi sulla sua sincerità! Col resto di energia che sopravvive bisogna scostarsi da quell'appoggio, rientrare nella solitudine, chiudere gli occhi e contemplare l'orrore del nostro destino piuttosto che il suo subdolo aspetto, alzare le mani che tremano e stringerle sulle orecchie per fare ostacolo alla voce che inganna. 
   Cade ogni arma nel fare così. Non si è più che una povera cosa morente e sola. Non si riesce neppur più a pregare con la parola, perché l'acre del fiato di Satana ci strozza le fauci. Solo il subcosciente prega. Prega. Prega. Come batter convulso di farfalla trafitta esso agita le sue ali nell'agonia, ed ogni colpo d'ala dice: "Credo, spero, amo. Credo ugualmente, spero ugualmente, ti amo ugualmente". 
   Non dice: "Dio". Non osa più pronunciare il suo Nome. Si sente troppo insozzato dalla vicinanza di Satana. Ma quel Nome lo tracciano le lacrime di sangue del cuore sulle ali angeliche dello spirito, che voi chiamate subcosciente mentre in realtà è il super cosciente, e ad ogni colpo d'ala quel Nome sfavilla come rubino percosso dal sole, e Dio lo vede, e le lacrime di pietà di Dio circondano di perle il rubino del vostro sangue che goccia in pianto eroico... 
   Oh! anime che salite a Dio con quel Nome scritto così in rubini e perle!... Fiori del mio Paradiso!    Satana mi diceva, poiché la voce entrava nonostante ogni mio riparo: 
   "Tu vedi. Ancora non sei morto e già sei abbandonato. Tu vedi. Hai beneficato e sei odiato. Tu vedi. Lo stesso Dio non ti soccorre. Se non ti ama Dio, di cui sei Figlio, puoi mai sperare ti siano grati gli uomini del tuo sacrificio? 
   Sai cosa occorre per loro? La Vendetta, non l'Amore come Tu credi. Vendicati, o Cristo, di tutti questi stolti, di tutti questi crudeli. Vendicati. Colpiscili con un miracolo che li fulmini. Appari quale sei: Dio. Il Dio terribile del Sinai. Il Dio terribile che mi ha fulminato e che ha cacciato Adamo dal Paradiso. 
   Fino ad ora hai detto parole di bontà. I tuoi rari rimproveri erano sempre troppo dolci per queste belve dalla pelle spessa più del cuoio dell'ippopotamo. Il tuo sguardo medicava le tue parole. Non sai che amare. Odia. E regnerai. L'odio tiene curve le schiene sotto la sua sferza e passa trionfante su queste schiene servili. Le schiaccia. E sono felici d'esserlo. Non sono che dei sadici, e la tortura è l'unica carezza che apprezzano e che ricordano. 
   È tardi? No, che non è tardi. Già gli armati vengono a questa volta? Non importa. Lo so che Tu ti appresti ad esser mite. Sei in errore. Una volta ti avevo insegnato a trionfare nella vita. Non hai voluto ascoltarmi e Tu vedi che sei un vinto. Ora ascoltami. Ora che ti insegno a trionfare dalla Morte. 
   Sii Re e Dio. Non hai armi? Non milizie? Non ricchezze? Te l'ho detto già una volta che un resto di amore, quel poco che può essermi rimasto dal tesoro d'amore che era la mia vita angelica, è in me per Te che sei buono. Ti amo, mio Signore, e ti voglio servire. 
   Sei il Redentore degli uomini. Perché non vuoi esserlo del tuo angelo decaduto? Ero il tuo prediletto perché ero il più luminoso e Tu sei la Luce. Ora sono la Tenebra. Ma le lacrime del mio tormento hanno empito l'Inferno di liquido fuoco tanto sono numerose. Lascia che io mi redima. Un poco soltanto. Che da demone divenga uomo. L'uomo è sempre tanto inferiore agli angeli. Ma quanto è superiore a me, demonio! 
   Fa' che io divenga uomo. Dammi una vita d'uomo tribolata, torturata, angosciosa quanto ti pare. Sarà sempre un paradiso rispetto al mio tormento demonico. E potrò viverla in modo da meritare di espiare per dei millenni e giungere infine di nuovo alla Luce: a Te. 
   Lascia che io ti serva in cambio di questo che ti chiedo. Nessun'arma vince le mie. Nessun esercito è più numeroso del mio. Le ricchezze di cui dispongo non hanno misura, perché ti farò re del mondo se Tu accetti il mio aiuto, e tutti i ricchi saranno gli schiavi tuoi. Guarda: i tuoi angeli, gli angeli del Padre tuo sono assenti. Ma i miei sono pronti a vestirsi di angelici aspetti per farti corona e stupire la plebe ignorante e malvagia. 
   Non sai dire parole di imperio? Io te le suggerirò. Sono qui per questo. Tuona e minaccia. Ascoltami. Di' parole di menzogna. Ma trionfa. Di' parole di maledizione. Di' che te le suggerisce il Padre. 
   Vuoi che simuli la voce dell'Eterno? Lo farò. Tutto posso fare. Sono il Re del mondo e dell'Inferno. Tu non sei che il Re del Cielo. Io sono più grande perciò di Te. Ma metto tutto ai tuoi piedi se Tu lo vuoi. 
   La Volontà del Padre tuo? Ma come puoi pensare che Egli voglia la morte del suo Figlio? Pensi che possa illudersi sull'utilità della stessa? Tu fai torto all'Intelligenza di Dio. 
   Già hai redento coloro che sono suscettibili di redenzione con la tua santa Parola. Non occorre di più. Credi che chi non muta per la Parola non muta per il tuo Sacrificio. Credi che il Padre ti ha voluto provare. Ma gli basta la tua ubbidienza. Non vuole di più. 
   Quanto lo servirai di più vivendo! Puoi percorrere il mondo. Evangelizzare. Guarire. Elevare. O sorte felice! La Terra abitata da Dio! Ecco la vera redenzione. Rifare della Terra il Paradiso terrestre dove l'uomo torna a vivere in santa amicizia con Dio e ne ode la voce e ne vede l'aspetto. Più ancora felice della sorte dei due Primi. Poiché vedrebbero Te: vero Dio, vero Uomo. 
   La Morte! La tua Morte! Lo strazio di tua Madre! Lo scherno del mondo! Perché? Vuoi essere fedele a Dio? Perché? Ti è fedele Lui? No. Dove sono i suoi angeli? Dove è il suo sorriso? Cosa hai per anima, adesso? Un cencio lacero, afflosciato, abbandonato. 
   Deciditi. Dimmi: 'Sì'. 
   Senti? Escono dal Tempio i sicari. Deciditi. Liberati. Sii degno della tua Natura. 
   Tu sei un sacrilego, perché permetti che mani sozze di sangue e libidine tocchino Te: Santo dei santi. Sei il primo sacrilego del mondo. Dai la Parola di Dio in mano ai porci, in bocca ai porci. 
   Deciditi. Sai che morte ti attende. Io ti offro la vita, la gioia. 
   La Madre ti riporto. Povera Madre! Non ha che Te! Guardala come agonizza... e Tu ti appresti a farla agonizzare più ancora. 
   Che figlio sei? Che rispetto porti alla Legge? Non rispetti Dio-Te. Non rispetti la Genitrice. Tua Madre... 
   Tua Madre... Tua Madre...". 
   Ho risposto... Maria, ho risposto radunando le forze, bevendo pianto e sangue che colavano dagli occhi e dai pori, ho risposto: 
   "Non ho più madre. Non ho più vita. Non ho più divinità. Non ho più missione. Nulla ho più. Fuorché fare la Volontà del Signore mio Dio. Va' indietro, Satana! L'ho detto la prima e la seconda volta. Lo ridico perla terza: 'Padre, se è possibile passi da Me questo calice. Ma però non la mia: la tua Volontà sia fatta'. Va' indietro, Satana. Io son di Dio!". 
   Maria, ho risposto così... E il Cuore si è franto nello sforzo. Il sudore è divenuto non più stille, ma rivoli di sangue. Non importa. Ho vinto. 
   Io ho vinto la Morte. Io. Non Satana. La Morte si vince accettando la morte. 
   Ti avevo promesso un grande regalo. Come a pochi l'ho concesso. Te l'ho dato. 
   Hai conosciuto l'estrema tentazione del tuo Gesù. Te l'avevo già svelata. Ma eri ancora immatura per conoscerla in pieno. Ora lo puoi fare. 
   Vedi che ho ragione di dire che non sarebbe compresa e ammessa da quei piccoli cristiani che sono larve di cristiani e non cristiani formati?
   Va' in pace, che Io sono con te». 
   [Il presente "dettato" sull'Ora del Getsemani, scritto su un fascicoletto a sé stante, è senza data; ma da I quaderni del 1944 si apprende che fu promesso, come "grande regalo", il 5 luglio e dato il giorno seguente]
  
   1 Gen 3, 17-19
   2 Gen 2, 18
   3 Gv 15, 15
   4 Mt 26, 36-46
   5 Mt 4, 1-11

lunedì 11 novembre 2019

Dovrebbero conoscerlo TUTTI san Luigi Maria Grignion de Montfort


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21 aprile 2004
Sant'Anselmo, dottore della Chiesa


Carissimo Amico dell’Abbazia di San Giuseppe,


Inaugurando il venticinquesimo anno di pontificato, il 16 ottobre 2002, Papa Giovanni Paolo II proclamava un «Anno del Rosario» e firmava la Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariæ (RV). «Il Rosario della Vergine Maria è una preghiera che numerosi santi hanno amato e che il Magistero incoraggia. Nella sua semplicità e profondità, rimane, anche nel terzo millennio or ora iniziato, una preghiera di grande significato, destinata a portare frutti di santità... Sarebbe impossibile citare il nugolo innumerevole di santi che hanno trovato nel Rosario un'autentica via di santificazione. Basterà ricordare san Luigi Maria Grignion de Montfort, autore di una preziosa opera sul Rosario...» (Giovanni Paolo II, RV, n. 1, 8).

Luigi Grignion nasce a Montfort-la-Cane, in Bretagna, il 31 gennaio 1673. L'indomani, riceve il battesimo. Nel giorno della cresima, aggiungerà al suo nome quello di Maria. Messo a balia presso una fattoressa dei dintorni, il bambino conserverà l'amore per la natura e la solitudine. Suo padre, avvocato, dimostra un carattere forte e talvolta violento. Luigi Maria è un ragazzo zelante, che studia con grande ardore e manifesta molta intelligenza. Fin dalla più tenera età, si proietta come naturalmente verso la Santissima Vergine. La chiama la sua «buona madre», le chiede con semplicità infantile tutto quello di cui ha bisogno e spinge i fratelli e le sorelle ad onorarla. Quando Luisa Guyonne, la sorellina che predilige, esita a lasciare i giochi per andar a recitare la corona con lui, le dice con un tono convincente: «Cara sorellina, sarai bellissima e tutti ti ameranno, se amerai molto il Buon Dio».


L'arte di configurarci a Cristo


Luigi Maria porta i suoi verso Maria, per condurli più facilmente a Gesù. «Non si tratta soltanto di imparare quel che Cristo ci ha insegnato, ma di imparare a conoscerLo, ricorda il Papa. E quale maestro, in questo campo, sarebbe più esperto di Maria?... San Luigi Maria Grignion de Montfort spiegava così la funzione di Maria nei riguardi di ciascuno di noi, per configurarci a Cristo: «Poichè tutta la nostra perfezione consiste nell'essere conformi, uniti e consacrati a Gesù Cristo, la più perfetta di tutte le devozioni è sicuramente quella che ci conforma, unisce e consacra più perfettamente a Gesù Cristo. Ora, essendo Maria la più conforme a Gesù Cristo di tutte le creature, ne consegue che, fra tutte le devozioni, quella che consacra e conforma maggiormente un'anima a Nostro Signore, è la devozione alla Santissima Vergine, la sua santa Madre, e che, più un'anima sarà consacrata a Maria, più essa lo sarà a Gesù Cristo». Mai come nel Rosario, la strada di Cristo e quella di Maria appaiono unite tanto strettamente. Maria vive soltanto in Cristo ed in funzione di Cristo!... Se la ripetizione dell'Avemaria si rivolge direttamente a Maria, in fin dei conti, con essa e attraverso essa, è a Gesù che si rivolge l'atto d'amore» (RV, 14, 15, 26).

A dodici anni, Luigi Maria entra nel collegio dei Gesuiti a Rennes. Ben presto, il ragazzo diventa il primo della classe. Dimostra un gusto ed un talento speciale per la pittura. Guidato da un pio sacerdote, va, con altri alunni, a visitare gli ammalati, portando loro la parte migliore del suo cuore; legge e commenta loro un brano del Vangelo, poi li intrattiene sulla Santa Vergine. Nel collegio di Rennes, avrà due veri amici: Giambattista Blain, che scriverà più tardi la sua vita, e Claudio Poullard des Places, futuro fondatore della Congregazione dei Padri dello Spirito Santo.

Luigi Maria desidera farsi prete. Subisce talvolta scene violente da parte del padre che ha altri progetti per lui, ma la sua dolcezza finisce coll'averla vinta, e, a vent'anni, si incammina a piedi verso il seminario San Sulpicio a Parigi. Lungo la strada, dà a degli infelici tutto quel che ha, poi fa voto di non possedere mai nulla. A Parigi, viene accolto inizialmente in un seminario destinato ai seminaristi poveri. Ottiene risultati eccellenti. Durante le ricreazioni, partecipa alla gioia di tutti, e si applica a rallegrare i confratelli con una conversazione allegra e divertente. Con l'autorizzazione del Superiore, si dedica ad ogni specie di penitenza, ma la sua salute non resiste ed egli è stroncato da una grave malattia. Ristabilitosi, continua gli studi presso il seminario San Sulpicio e fonda una modesta associazione i cui membri si consacrano particolarmente a Nostra Signora. In occasione di un pellegrinaggio a Chartres, Luigi Maria passa un'intera giornata in preghiera davanti alla statua di Nostra Signora sotto Terra.

È alla scuola della Santa Vergine, e particolarmente recitando il Rosario, che il nostro Santo ha imparato a pregare ed a contemplare. «Il Rosario si situa nella migliore e più pura tradizione della contemplazione cristiana, scrive Papa Giovanni Paolo II... È a partire dall'esperienza di Maria che il Rosario è una preghiera nettamente contemplativa. Privo di tale dimensione, ne sarebbe snaturato, come sottolineava Paolo VI: «Senza la contemplazione, il Rosario è un corpo senz'anima, e la sua recita corre il rischio di diventare una ripetizione meccanica di formule... Per natura, la recita del Rosario esige che il ritmo sia calmo e che le si conceda tutto il tempo necessario, affinchè la persona che vi si dedica possa meditare meglio i misteri della vita del Signore, visti attraverso il cuore di Colei che fu più vicina al Signore»» (RV, 5, 12).


Una luce per il mondo


Attraverso la contemplazione dei misteri del Rosario, Luigi Maria acquisisce una familiarità molto semplice con Gesù e Maria. «Come due amici che si ritrovano spesso insieme finiscono con l'assomigliarsi fin nel loro modo di vita, così, anche noi, parlando familiarmente con Gesù e la Vergine, attraverso la meditazione dei Misteri del Rosario, e formando insieme una stessa vita attraverso la Comunione, possiamo diventare, per quanto lo permette la nostra bassezza, simili ad essi ed imparare dai loro esempi sublimi a vivere in modo umile, povero, nascosto, paziente e perfetto» (Beato Bartolo Longo. Ved. RV, 15). Perchè il Rosario favorisca una conoscenza più completa della vita di Cristo, il Santo Padre suggerisce di inserirvi, in più dei quindici misteri abituali, una serie di misteri relativi alla vita pubblica di Gesù, misteri chiamati «luminosi», perchè Cristo è la luce del mondo (Giov. 9, 5). Essi sono: il Battesimo nel Giordano, le nozze di Cana, l'annuncio del Regno di Dio con l'appello alla conversione, la Trasfigurazione, l'istituzione della Santa Eucaristia.

Ordinato sacerdote all'età di 27 anni, il 5 giugno 1700, Luigi Maria celebra la prima Messa nella Chiesa di San Sulpicio, sull'altare della Santa Vergine. Poi, parte con un sacerdote di Nantes che ha riunito alcuni confratelli in vista della predicazione delle Missioni di paese in paese. Dopo aver operato con essi per un certo tempo, si mette a disposizione del vescovo di Poitiers. Accolto inizialmente nell'ospedale della città, al servizio dei poveri, stupisce gli infelici con la sua profonda devozione. Vedendo la sua carità nei loro riguardi, essi chiedono al vescovo di nominare cappellano dell'ospedale il loro nuovo benefattore.

Luigi Maria scrive: «L'ospedale al quale mi si destina è una casa di scompiglio, in cui la pace non regna affatto, ed una casa di povertà in cui mancano il bene spirituale e temporale.» Nel giro di pochi mesi di dedizione a tutta prova e malgrado la vivace opposizione di persone influenti e di alcuni poveri dell'ospedale che rifiutano le riforme, Luigi Maria rimette in ordine la casa. La sua attività va dai bisogni materiali dei suoi protetti, per i quali organizza questue in città, al loro bene spirituale: «Da quando sono qui, scrive, sono stato in una Missione continua; confessando quasi sempre dalla mattina alla sera e dando consigli ad un'infinità di persone... Il gran Dio, mio Padre, che servo anche se con infedeltà, mi ha infuso nello spirito luci che non avevo, una grande facilità per formulare e parlare su due piedi, senza preparazione, una salute perfetta ed una grande apertura di cuore verso tutti».
Raggruppa parecchie donne di buona volontà, malate, dà loro una regola di vita improntata all'umiltà e alla penitenza, e le affida al Figlio di Dio, la Sapienza eterna. Poco tempo dopo, una ragazza di famiglia borghese, Maria Luisa Trichet, va a confessarsi da lui. Desidera farsi suora e Luigi Maria la associa alle povere donne che ha raggruppato. Il 2 febbraio 1703, le dà un abito religioso che la renderà lo zimbello di tutti. Ma essa lo porterà coraggiosamente per dieci anni, prima di diventare la prima Superiora delle Figlie della Sapienza, Congregazione che si consacra all'assistenza degli ammalati, dei poveri e dei fanciulli e che conta oggi quasi 2400 suore ripartite in più di 300 case.


Una lettera di quattrocento poveri


Poco prima della Pasqua del 1703, Luigi Maria parte per Parigi. Per parecchi mesi, si occupa dei malati dell'ospedale della Salpêtrière. Poi, destituito dall'amministrazione dell'ospedale, rimane nella capitale, approfittando della solitudine per intensificare la sua unione con Dio; lascia traboccare il cuore in pagine ardenti che saranno intitolate: L'amore dell'eterna Sapienza. Nel 1704, arriva da Poitiers, al Superiore del seminario San Sulpicio di Parigi, una lettera stupefacente che comincia così: «I sottoscritti quattrocento poveri supplicano umilissimamente S.E., per il massimo amore e la massima gloria di Dio, di restituire loro quel venerabile pastore, colui che ama tanto i poveri, don Grignion...». Due lettere del vescovo di Poitiers, dirette a Luigi Maria, lo chiamano anch'esse e lo decidono a tornare in quella città, dove riprenderà le funzioni di cappellano dell'ospedale.

Tuttavia, il suo zelo e l'ordine che ripristina non piacciono a tutti: un anno dopo esser tornato, lascia nuovamente l'ospedale e si propone al vescovo per evangelizzare Poitiers e i dintorni. Dandosi tutto a tutti, percorre le stradette della perifieria di Montbernage, entra nelle case, si interessa alla salute della gente, benedice i bambini. La dolcezza, la povertà e l'umiltà gli aprono ben presto i cuori, permettendogli di iniziare una Missione.
Trasforma in cappella un fienile, in mezzo al quale viene sistemato un grande crocifisso. I muri sono ornati con quindici stendardi che rappresentano i misteri del Rosario. Processioni, cantici composti da lui stesso, corone recitate in comune, a poco a poco trasformano i cuori. Terminata la Missione, Luigi Maria completa l'opera piantando una croce. Poi, nel fienile diventato cappella «Nostra Signora dei Cuori», sistema una statua della Santissima Vergine, chiedendo che qualcuno s'impegni ad andare a recitare la corona davanti ad essa tutte le domeniche e i giorni festivi. Subito, un operaio del quartiere si offre di farlo; terrà la sua promessa per quarant'anni.

Una tale fedeltà suppone un grande amore per la Santissima Vergine, che si manifesta con la ripetizione delle Avemarie del Rosario: «Se ci si attenesse a questa ripetizione in modo superficiale, si potrebbe esser tentati di vedere nel Rosario soltanto una pratica arida e noiosa. Al contrario, si può considerare la corona in tutt'altro modo, stimandola l'espressione di un amore che non si stanca di rivolgersi alla persona amata con effusioni che, anche se sono sempre simili nella loro manifestazione, sono sempre nuove per via del sentimento che le anima» (RV, 26).


Un campo assai vasto


Un giorno in cui confessa in una chiesa, Luigi Maria scorge un giovane che prega a lungo. Mosso da un'ispirazione, lo invita ad aiutarlo nella sua opera apostolica. Con il nome di Fra Mathurin, il giovane consacrerà la propria vita ad insegnare ai bambini il catechismo e alle folle i cantici del Padre, nel corso delle Missioni.

Calunniato da coloro che non sopportano il suo apostolato, Luigi Maria perde la fiducia del vescovo, che finisce col togliergli la missione di predicatore. Il colpo è duro, ma Padre de Montfort lo accetta umilmente e vede in esso un disegno della Provvidenza.

Decide allora di recarsi a Roma, per chieder consiglio al Papa stesso. Ricevuto in udienza da Clemente XI, nella primavera del 1706, Luigi Maria espone le sue difficoltà ed il desiderio di Missioni lontane. «Avete in Francia un campo di apostolato assai vasto per esercitare il vostro zelo, risponde il Papa. Nelle vostre Missioni, insegnate con vigore la dottrina al popolo ed ai fanciulli; fate rinnovare le promesse del Battesimo».

Poi, il Santo Padre gli conferisce il titolo di «Missionario apostolico». Luigi Maria fissa in cima al bastone di pellegrino un crocifisso benedetto dal Papa e parte alla volta dell'Abbazia San Martino di Ligugé, nella diocesi di Poitiers, dove ritiene di potersi riposare un po'. Ma i suoi vecchi nemici vegliano, e non vi può rimanere.

Verso la fine del 1706, si associa con don Leuduger, sacerdote che organizza Missioni parrocchiali in Bretagna. Luigi Maria eccelle nell'insegnamento del catechismo. Secondo lui, questo lavoro è «il più grande della Missione», e «trovare un catechista molto esperto è più difficile che trovare un predicatore perfetto». Il catechista «prova a farsi amare e temere insieme, in modo, tuttavia, che l'olio dell'amore superi l'aceto del timore»; allieta il catechismo «che in sè e per sè è arido, con brevi storielle piacevoli, per esser così gradito ai bambini e rinfocolare la loro attenzione». Per far imparare meglio la dottrina cristiana, Luigi Maria la valorizza mettendola in versi e facendola cantare su arie note. Ma il Rosario rimane la sua preghiera preferita. «È bello e fecondo anche affidare a tale preghiera la via della crescita dei fanciulli, scrive Papa Giovanni Paolo II... Recitare il Rosario per i figli, ed ancor meglio con i figli... costituisce un aiuto spirituale da non sottovalutare» (RV, 42).


Troppo facile


Nella predicazione, Luigi Maria insegna le grandi verità della fede (la morte, il giudizio universale, il cielo, l'inferno), denuncia vizi e peccati, poi esorta alla contrizione ed alla fiducia nella misericordia divina. Fa rinnovare le promesse del Battesimo e conferisce i sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia. La Provvidenza divina sostiene il suo servo con il dono dei miracoli (guarigioni, moltiplicazione del cibo, ecc.). Ma, a seguito di divergenze di opinioni con don Leuduger, Padre de Montfort s'insedia in un piccolo eremo non lontano dalla sua città natale. Due anni più tardi, va a Nantes, dove lo chiama un amico sacerdote, don Barrin, Vicario generale. In quella diocesi, predica numerose Missioni, si avvicina ai poveri che conforta ed incoraggia a vivere santamente e laboriosamente. Convinto del valore della sofferenza che ingenera anime, dice ad uno dei suoi collaboratori, in occasione di una Missione senza problemi: «qui, tutto è troppo facile; non va affatto, la nostra Missione non porterà frutti, perchè non è fondata nè appoggiata sulla Croce; qui, siamo troppo amati, ecco quel che mi fa soffrire; niente croci, quale accoramento per me!»

La fede di Padre de Montfort nel mistero della Croce gli ispira l'idea di costruire un calvario monumentale presso Pont-Château. Si tratta di erigere una vera collina, circondata da un fossato, su cui saranno piantate tre croci, come sul Golgota. Il lavoro inizia immediatamente, con numerosi operai volontari. Luigi Maria chiede in elemosina nelle fattorie di che cibare il suo piccolo popolo. Ma, una volta terminata l'opera, la benedizione del Calvario è vietata dal vescovo di Nantes. Infatti, con il pretesto che la nuova collina potrebbe diventare una pericolosa fortezza in mano a invasori nemici, il Re Luigi XIV, mal informato, ha dato l'ordine di raderla al suolo. Luigi Maria sospira: «Il Signore ha permesso che abbia fatto costruire questo Calvario, permette oggi che esso sia demolito: che il suo santo nome sia benedetto!» Ritrovando la pace dell'anima, continua l'opera apostolica. Dopo la sua morte, il Calvario sarà ricostruito.

Nel 1711, Padre de Montfort viene chiamato dal vescovo di La Rochelle. In tale diocesi, fa numerose Missioni. La Rochelle è un feudo calvinista. Non volendo lasciare ai protestanti l'idea che essi sono i soli a rispettare la Bibbia, organizza una processione in cui, sotto il baldacchino, un sacerdote porta rispettosamenta il Libro Sacro. Luigi Maria fa anche recitare il Rosario nella parrocchia e in famiglia. Infatti, dopo la canonizzazione, nel 1710, di san Pio V, grande promotore di questa devozione, è aumentato il fervore per il Rosario. Ai giorni nostri, Giovanni Paolo II ricorda che la preghiera del Rosario rimane molto potente, specialmente per la pace e per la famiglia: «Il Rosario è una preghiera orientata per natura verso la pace, per il fatto stesso che è contemplazione di Cristo, Principe della pace e nostra pace (Ef. 2, 14). Colui che assimila il mistero di Cristo – ed il Rosario tende appunto a ciò – apprende il segreto della pace e ne fa un progetto di vita. Inoltre, in virtù del suo carattere meditativo, nella tranquilla successione delle «Avemarie», il Rosario esercita su chi prega un'azione pacificatrice...

«Preghiera per la pace, il Rosario è anche, da sempre, la preghiera della famiglia e per la famiglia. Un tempo, questa preghiera era particolarmente cara alla famiglie cristiane, e favoriva certamente la loro unione spirituale... Numerosi problemi delle famiglie attuali, in particolare nelle società economicamente evolute, dipendono dal fatto che la comunicazione diventa sempre più difficile. Non si riesce a rimanere insieme, ed i rari istanti passati in famiglia vengono assorbiti dalle immagini della televisione. Ricominciare a recitare il Rosario in famiglia significa introdurre nella vita quotidiana immagini ben diverse, quelle del mistero che salva: l'immagine del Redentore, l'immagine della di lui santissima Madre» (RV, 40, 41).

Nel 1712, Luigi Maria redige il Trattato della vera devozione alla Santa Vergine. «Ho preso la penna per mettere nero su bianco quel che ho insegnato fruttuosamente in pubblico e particolarmente durante le mie Missioni per anni ed anni», scrive. In tali pagine, il Santo mostra che la grazia del Battesimo richiede una consacrazione totale a Gesù Cristo, che non potrebbe essere perfetta senza una consacrazione totale a Maria. L'opposizione giansenistica impedisce che Padre de Montfort pubblichi il trattato, che uscirà soltanto nel 1843, vale a dire più di un secolo dopo la sua morte.


«Andiamo in paradiso!»


Luigi Maria si preoccupa dell'istruzione dei fanciulli e fonda nei villaggi piccole scuole gratuite. Nel 1715, mette a punto le Regole delle Figlie della Sapienza. Per quanto concerne le Missioni, è coadiuvato da quattro Frati, ma nessun sacerdote si è associato con lui in modo stabile. Un giorno, incontrando un giovane sacerdote mezzo paralizzato, Renato Mulat, lo guarda fisso negli occhi e gli dice: «Seguimi!» Stupito, ma conquistato, don Mulot lo segue. Dopo la morte di Padre de Montfort, diventerà il primo Superiore generale delle di lui famiglie religiose. All'inizio dell'aprile 1716, Luigi Maria si reca a Saint-Laurent-sur-Sèvre per predicarvi una Missione. Come sempre si prodiga, ma le sue forze declinano ed è ben presto spossato. 

Dopo un'ultima predica in cui parla della dolcezza di Gesù, con accenti tali che turbano l'uditorio, deve mettersi a letto. Gli viene amministrata l'estrema unzione. Riunendo le ultime forze che gli rimangono, canta: «Andiamo, amici cari, andiamo in paradiso! Qualunque cosa si conquisti quaggiù, il paradiso vale di più!» Tiene fra le mani un crocifisso ed una statuetta della Santa Vergine. Il 28 aprile, a quarantatré anni, esala l'ultimo respiro.

Assieme a san Luigi Maria, rivolgiamoci con fiducia a Maria, recitando il Rosario. «Una preghiera così facile, e nello stesso tempo così ricca, merita veramente di essere riscoperta dalla comunità cristiana, afferma il Papa... Mi rivolgo a voi, fratelli e sorelle di qualsiasi condizione, a voi, famiglie cristiane, a voi, ammalati ed anziani, a voi, giovani: riprendete fiduciosamente in mano la corona, riscoprendola alla luce della Sacra Scrittura, in armonia con la liturgia, nell'ambito della vostra vita quotidiana» (RV, 43).
Preghiamo per Lei, e secondo tutte le Sue intenzioni, la Regina del Santissimo Rosario ed il di lei sposo, san Giuseppe.
Dom Antoine Marie osb


San Martino, vescovo e confessore

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Martino, nacque a Szombathely, in Ungheria. 

A dieci anni fuggì in una chiesa, nonostante l'opposizione dei genitori, e si fece iscrivere tra i catecumeni. 

A quindici anni, arruolatosi nell'esercito, militò prima sotto Costanzo e poi sotto Giuliano. 

A diciotto anni, avendo regalato parte del suo mantello ad un certo povero chiamato Ambiano, fu consolato dall'apparizione di Gesù Cristo; quindi con lieto animo ricevette il battesimo. 

Abbandonata poi la vita militare, da Ilario, vescovo di Poitiers, fu accolto fra gli accoliti. 

Eletto in seguito vescovo di Tours, fondò un monastero, dove visse santissimamente per qualche tempo con ottanta monaci. 

Assalito poi da gran febbre a Candes, borgo della sua diocesi, avendo compassione dei suoi discepoli, pregava Iddio così: «Signore, se al tuo popolo sono ancora necessario, non ricuso la fatica»

Appressandosi poi la morte, visto il nemico del genere umano, gli disse: «Che fai qui, bestia crudele? Tu in me non troverai nulla per te». Con queste parole rese l'anima a Dio ad 81 anni di età e celebre per i molti miracoli compiuti.

Preghiamo
O Dio, che vedi non poter noi mantenerci colle nostre forze: concedi benigno, che, per intercessione del tuo beato Confessore e Pontefice Martino, siamo fortificati contro ogni avversità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.


AMDG et DVM

Avvenimento del tutto unico e straordinario

DE  - EN  - ES  - FR  - IT  - PT ]

SULL’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Parrocchia di San Tommaso da Villanova, Castel Gandolfo
Venerdì, 15 agosto 200
8

Cari fratelli e sorelle,
torna ogni anno, nel cuore dell’estate, la Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, la più antica festa mariana. È un’occasione per ascendere con Maria alle altezze dello spirito, dove si respira l’aria pura della vita soprannaturale e si contempla la bellezza più autentica, quella della santità. Il clima della celebrazione odierna è tutto pervaso di gioia pasquale. "Oggi – così canta l’antifona del Magnificat – Maria è salita al cielo: rallegratevi, con Cristo regna per sempre. Alleluia". 

Questo annuncio ci parla di un avvenimento del tutto unico e straordinario, ma che è destinato a colmare di speranza e di felicità il cuore di ogni essere umano. Maria è infatti la primizia dell’umanità nuova, la creatura nella quale il mistero di Cristo – incarnazione, morte, risurrezione, ascensione al Cielo – ha già avuto pieno effetto, riscattandola dalla morte e trasferendola in anima e corpo nel regno della vita immortale. 
Per questo la Vergine Maria, come ricorda il Concilio Vaticano II, costituisce per noi un segno di sicura speranza e di consolazione (cfr Lumen gentium68). L’odierna festa ci spinge a sollevare lo sguardo verso il Cielo. Non un cielo fatto di idee astratte, nemmeno un cielo immaginario creato dall’arte, ma il cielo della vera realtà, che è Dio stesso: Dio è il cielo. E Lui è la nostra meta, la meta e la dimora eterna, da cui proveniamo e alla quale tendiamo.

San Germano, Vescovo di Costantinopoli nel secolo VIII, in un discorso tenuto nella festa dell’Assunta, rivolgendosi alla celeste Madre di Dio, così si esprimeva: "Tu sei Colei, che per mezzo della tua carne immacolata ricongiungesti a Cristo il popolo cristiano… Come ogni assetato corre alla fonte, così ogni anima corre a Te, fonte di amore, e come ogni uomo aspira a vivere, a vedere la luce che non tramonta, così ogni cristiano sospira ad entrare nella luce della Santissima Trinità, dove Tu sei già entrata". 
Sono questi stessi sentimenti ad animarci quest’oggi mentre contempliamo Maria nella gloria di Dio. Quando Lei si è addormentata a questo mondo per risvegliarsi in cielo, in effetti ha semplicemente seguito per l’ultima volta il Figlio Gesù nel suo viaggio più lungo e decisivo, nel suo passaggio "da questo mondo al Padre" (cfr Gv 13,1).

Come Lui, insieme con Lui, è partita da questo mondo per tornare "alla casa del Padre"(cfr Gv 14-2). E tutto questo non è lontano da noi, come potrebbe forse apparire in un primo momento, perché tutti noi siamo figli del Padre, Dio, tutti noi siamo fratelli di Gesù e tutti noi siamo anche figli di Maria, Madre nostra. 

E tutti siamo protesi verso la felicità. E la felicità alla quale tutti noi tendiamo è Dio, così tutti noi siamo in cammino verso questa felicità, che chiamiamo Cielo, che in realtà è Dio. E Maria ci aiuti, ci incoraggi a far sì che ogni momento della nostra esistenza sia un passo in questo esodo, in questo cammino verso Dio. 
Ci aiuti a rendere così presente anche la realtà del cielo, la grandezza di Dio, nella vita del nostro mondo. Non è in fondo questo il dinamismo pasquale dell’uomo, di ogni uomo, che vuol diventare celeste, totalmente felice, in forza della Risurrezione di Cristo? E non è forse, questo, l’inizio e l’anticipo di un movimento che riguarda ogni essere umano e il cosmo intero? 

Colei da cui Dio aveva preso la sua carne e la cui anima era stata trafitta da una spada sul Calvario si è trovata associata per prima e in modo singolare al mistero di questa trasformazione, alla quale tendiamo tutti, trafitti spesso anche noi dalla spada della sofferenza in questo mondo.

La nuova Eva ha seguito il nuovo Adamo nella sofferenza, nella Passione, e così anche nella gioia definitiva. Cristo è la primizia, ma la sua carne risorta è inseparabile da quella della sua Madre terrena, Maria, e in Lei tutta l’umanità è coinvolta nell’Assunzione verso Dio, e con Lei tutta la creazione, i cui gemiti, le cui sofferenze, sono – come ci dice San Paolo – il travaglio del parto dell’umanità nuova. Nascono così i nuovi cieli e la terra nuova, in cui non vi sarà più né pianto, né lamento, perché non vi sarà più la morte (cfr Ap 21,1-4).

Quale grande mistero d’amore viene oggi riproposto alla nostra contemplazione! Cristo ha vinto la morte con l’onnipotenza del suo amore. Solo l’amore è onnipotente. Questo amore ha spinto Cristo a morire per noi e così a vincere la morte. Sì, solo l’amore fa entrare nel regno della vita! E Maria vi è entrata dietro il Figlio, associata alla sua gloria, dopo essere stata associata alla sua passione. Vi è entrata con un impeto incontenibile, mantenendo aperta dopo di sé la via per tutti noi. E per questo oggi la invochiamo: "Porta del cielo", "Regina degli angeli" e "Rifugio dei peccatori". 
     Non sono certo i ragionamenti a farci capire queste realtà così sublimi, ma la fede semplice, schietta, ed il silenzio della preghiera che ci mette in contatto col Mistero che infinitamente ci supera. La preghiera ci aiuta a parlare con Dio e a sentire come il Signore parla al nostro cuore.

Chiediamo a Maria di farci quest’oggi dono della sua fede, quella fede che ci fa vivere già in questa dimensione tra finito e infinito, quella fede che trasforma anche il sentimento del tempo e del trascorrere della nostra esistenza, quella fede nella quale sentiamo intimamente che la nostra vita non è risucchiata dal passato, ma attratta verso il futuro, verso Dio, là dove Cristo ci ha preceduto e dietro a Lui, Maria.

Guardando l’Assunta in cielo comprendiamo meglio che la nostra vita di ogni giorno, pur segnata da prove e difficoltà, scorre come un fiume verso l’oceano divino, verso la pienezza della gioia e della pace. Comprendiamo che il nostro morire non è la fine, ma l’ingresso nella vita che non conosce la morte. Il nostro tramontare all’orizzonte di questo mondo è un risorgere all’aurora del mondo nuovo, del giorno eterno.
"Maria, mentre ci accompagni nella fatica del nostro vivere e morire quotidiano, mantienici costantemente orientati verso la vera patria della beatitudine. Aiutaci a fare come tu hai fatto".

Cari fratelli e sorelle, cari amici che questa mattina prendete parte a questa celebrazione, facciamo insieme questa preghiera a Maria. Davanti al triste spettacolo di tanta falsa gioia e contemporaneamente di tanto angosciato dolore che dilaga nel mondo, dobbiamo imparare da Lei a diventare noi segni di speranza e di consolazione, dobbiamo annunciare con la vita nostra la risurrezione di Cristo.
"Aiutaci tu, Madre, fulgida Porta del cielo, Madre della Misericordia, sorgente attraverso la quale è scaturita la nostra vita e la nostra gioia, Gesù Cristo. Amen".
  
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venerdì 8 novembre 2019

Storia di una conversione

Alessandra Borghese convertita dalla Messa

“Lei cade molto spesso in tentazione. Per vincere le sue debolezze, dovrebbe andare a Messa tutti i giorni e chiedere così aiuto al Signore”: è il consiglio che il confessore dà ad Alessandra Borghese, al termine della “confessione generale” che segna la sua conversione. E Alessandra – simpatica collega vaticanista del settimanale Panorama, 41 anni – così commenta quel consiglio: “Ho iniziato a partecipare alla Messa, quasi ogni giorno”.

Alessandra è una donna estroversa, decisa. La diresti una collega rampante. Nel libro che ha appena pubblicato dall’editore Piemme, Con occhi nuovi. La storia della mia conversione (174 pagine, 9,50 euro) si descrive come “carattere forte e scontroso”, un poco “prepotente”, “sicura” di sé, “di grande vitalità”, “un po’ altera e un po’ viziata”.
Questa è l’Alessandra di prima, che poi ha vissuto un grande cambiamento. Ma l’indole forte e combattiva è restata. E anche un “pizzico di monelleria”, che si manifesta quando corre in motorino per Roma.

Prima di leggere il libro – a me piacciono le storie delle vite convertite – io non sapevo nulla delle convinzioni e dei sentimenti di questa bella collega, discendente della nobile famiglia Borghese, che ha dato un Papa alla Chiesa. Avevo avuto con lei due conversazioni personali: una mentre facevamo la fila in un aeroporto, durante un viaggio papale; un’altra per via Condotti, a Roma e cioè come a dire sottocasa, dal momento che la sede del Corriere della Sera, dove lavoro io e il palazzo Borghese, dove vive lei, si trovano lì a due passi.

Nel colloquio all’aeroporto le avevo chiesto “che si prova a essere ‘proprietari’ della Cappella Borghese di Santa Maria Maggiore, dove vado a pregare quando sono libero”. Restò colpitissima da queste mie parole e continuava a domandare: tu conosci quella cappella, davvero ti piace, io ne ho una vera passione, pensa che una volta mi sono trovata lì con il Papa, un 8 dicembre, quando viene a pregare davanti all’icona della Vergine Salus populi romani (Salvezza del popolo romano).

Non diedi peso alle sue parole, ma ora vedo che di quella cappella e dell’incontro che ebbe lì con il Papa parla con commozione nel libro. Proprio come aveva fatto quel giorno, quando invece pensai che fossero parole di circostanza, anche se ben dette: “Come sanno essere convincenti le donne!”
Lo stesso pensiero avevo fatto per via Condotti, quando mi aveva chiesto che cosa pensassi della salute del Papa e io avevo risposto che probabilmente soffriva meno di quanto noi pensassimo e lei aveva esclamato: “Meno male, perché io gli voglio bene davvero”. Anche su questo torna il libro: “Dichiaro subito che sono entusiasta di Giovanni Paolo II. E’ l’unico uomo al mondo che ammiro incondizionatamente”.

In che cosa è consistita la conversione di “Donna Alessandra Romana dei Principi Borghese”, come la collega è chiamata sui cartoncini degli inviti ufficiali? “Ho ritrovato – lei dice – con pienezza una fede cristiana-cattolica mai estinta del tutto, ma certo compressa e soffocata in un angolo remoto del cuore”.
Alessandra confessa di aver vissuto – nella prima giovinezza – “anni superficiali e inquieti” e di essere stata – in essi – “molto distratta”. Benché non le siano mancate esperienze tragiche.

Dopo il liceo linguistico dalle suore del Sacro Cuore, studia “marketing e management” in un’Università americana che ha anche una succursale romana. Poi il salto a New York, dove lavora per l’American Express, avendo l’ufficio al 104° piano di una delle Torri Gemelle. Torna a Roma e fonda il “Centro culturale Alessandra Borghese”, che organizza mostre d’arte. Intreccia rapporti di amicizia e di lavoro con Giovannino Agnelli, Leonardo Mondadori, Isabella Rizzoli. Fa il Consigliere speciale per la cultura con il sindaco di Roma Francesco Rutelli. Oggi – come già detto – è la vaticanista del settimanale Panorama.

La prima esperienza terribile la fa per una via di Roma, dove un ragazzo di cui è innamorata si uccide a due passi da lei: “Si mise la pistola in bocca e si sparò”.
Si riprende a fatica da quello choc, si reinnamora e sposa un uomo che usa cocaina e che lei sogna di riscattare. Ma la droga sarà più forte della sposa e a due anni dal matrimonio arriva il divorzio e infine anche quel giovane – che “è stato l’uomo della mia vita” – si uccide.

Ma la conversione non arriva dall’esperienza del dolore. Arriva piuttosto dall’attrazione di un’amica di sangue blù come lei e – come lei – già mondana e “un po’ pazza”: Gloria Thurn und Taxis.
Lei continuava a vivere la sua vita spericolata, “come se Dio non ci fosse”, quando – siamo a metà agosto del 1998 – Gloria , di cui è ospite nel castello di Tuzing, l’invita “ad andare a messa con lei e la sua famiglia”. Un invito che si ripete e che si fa coinvolgente quando Gloria passa un periodo a Roma.
Alessandra avverte “un sentimento nuovo e irrefrenabile: quello di imitarla e di seguirla”. Seguendo l’esempio della “principessa punk” – come Gloria era detta prima della sua scoperta della fede – Alessandra arriva a una “profonda e liberante confessione” di due ore e al proposito di cambiare vita.

Questa è la descrizione del cambiamento: “Provai un sollievo enorme. Mi sentii rinata. Avevo scoperto, con una gioia che non riesco neanche pienamente a descrivere, che Dio era lì per me, per accogliermi e offrirmi il suo aiuto”.
Finalmente “respira a pieni polmoni”. Vede il mondo “con occhi nuovi”: e così intitola il libro. Scopre che “non è affatto vero che i cristiani non amino la vita”. Il suo è un cristianesimo felice: “E’ stata per me una fonte di grande gioia capire che per chi crede non ci sono punti morti, momenti privi di significato”.
La conversione le fa scoprire “numerosissimi amici” tra i santi: Caterina da Siena, Escrivà de Balaguer, Teresa di Calcutta, Francesco di Sales. Le chiedo al telefono se tra i suoi amici vi sia anche Padre Pio e reagisce così: “Lo considero importante per la risposta che dava alle persone che gli confidavano di fare difficoltà a credere in Dio: ‘Non ti preoccupare, Dio crede in te’. Quella frase di Padre Pio mi ha aiutato nella mia vicenda e mi aiuta ogni volta che parlo con qualcuno che fa l’agnostico”.
Luigi Accattoli
Da La Voce di Padre Pio 1/2005