sabato 18 maggio 2019

ET ASCENDIT IN COELUM

«Andate! Andate in mio Nome ad evangelizzare le genti sino agli estremi confini della Terra. Dio sia con voi. Il suo amore vi conforti, la sua luce vi guidi, la sua pace dimori in voi sino alla vita eterna».

CAPITOLO 638

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Ultimi ammaestramenti nel Getsemani e commiato. 

Ascensione di Gesù al Padre. 

   24 aprile 1947.
 
 1 Gesù — è appena un rosare di aurora ad oriente — passeggia con sua Madre per le balze del Getsemani. Non vi sono parole, solo sguardi d'indicibile amore. Forse le parole sono già state dette. Forse non sono mai state dette. Hanno parlato le due anime: quella del Cristo, quella della Madre del Cristo. Ora è contemplazione d'amore, reciproca contemplazione. La conosce la natura rugiadosa, la pura luce del mattino, la conoscono le gentili creature di Dio che sono le erbe, i fiori, gli uccelli, le farfalle. Gli uomini sono assenti.

 2 Io mi sento persino a disagio ad esser presente a questo addio. «Signore, io non ne sono degna!», esclamo fra le lacrime che mi cadono, mirando l'ultima ora di unione terrena fra la Madre e il Figlio e pensando che siamo giunti al termine della amorosa fatica, tanto Gesù, che Maria, che il povero, piccolo, indegno fanciullo che Gesù ha voluto testimone di tutto il tempo messianico e che ha nome Maria, ma che Gesù ama chiamare «il piccolo Giovanni», o anche la «violetta della Croce».
   Sì. Piccolo Giovanni. Piccolo, perché sono un niente. Giovanni, perché sono proprio quella a cui Dio ha fatto grandi grazie, e perché, in misura infinitesimale — ma è tutto ciò che possiedo, e dando tutto ciò che possiedo so di dare in misura perfetta che accontenta Gesù, perché è il «tutto» del mio niente — e perché, in misura infinitesimale, io, come il grande Giovanni diletto, ho dato tutto il mio amore a Gesù e a Maria, condividendo con loro lacrime e sorrisi, seguendoli angosciata di vederli afflitti e di non poterli difendere dal livore del mondo a costo della mia stessa vita, ed ora palpitante del palpito del loro cuore per ciò che finisce per sempre…
   Violetta, sì. Una violetta che ha cercato di stare nascosta fra l'erbe perché Gesù non la schivasse, Egli che amava tutte le cose create perché opera del Padre suo, ma mi premesse sotto il suo piede divino, ed io potessi morire esalando il mio tenue profumo nello sforzo di addolcirgli il contatto con la terra scabra e dura. Violetta della Croce, sì. E il suo Sangue ha empito il mio calice sino a farlo piegare al suolo…
   Oh! mio Diletto che, prima, del tuo Sangue mi hai colmata, facendomi contemplare i tuoi Piedi feriti, inchiodati al legno, «… e ai piedi della croce era una pianticina di mammole in fiore, e gocciavano le stille del Sangue divino sulla pianticina di mammole in fiore…». Ricordo lontano e così sempre vicino e presente! Preparazione a ciò che poi fui: il tuo portavoce che ora è tutto asperso del tuo Sangue, dei tuoi sudori e lacrime, del pianto di Maria tua Madre, ma che anche conosce le tue parole, i tuoi sorrisi, tutto, tutto di Te, e non più di mammole odora ma di Te solo, Amore mio unico e solo, di quel profumo divino che cullò ieri sera il mio dolore e che viene su me, dolce come un bacio, consolatore come il Cielo stesso, e mi fa dimenticare tutto per vivere di Te solo…

 3 La tua promessa è in me. So che non ti perderò. Me lo hai promesso e la tua promessa è sincera: è di Dio. Ti avrò ancora, sempre. Solo se io peccassi di superbia, menzogna, disubbidienza, ti perderei, Tu lo hai detto, ma Tu lo sai che, con la tua Grazia a sostegno della mia volontà, io non voglio peccare, e spero di non peccare perché Tu mi sosterrai. Non sono una quercia, lo so. Sono una violetta. Uno stelo fragile che può piegare per il piede di un uccellino e anche per il peso di uno scarabeo. Ma Tu sei la mia forza, o Signore. E l'amore per Te è la mia ala.
   Non ti perderò. Me lo hai promesso. Verrai tutto per me, per dare gioia alla tua morente violetta. Ma non sono egoista, Signore. Tu lo sai. Tu sai che vorrei non vederti più io, ma che ti vedessero molti altri e credessero in Te. A me già tanto hai dato, e io non ne son degna. Veramente mi hai amata come Tu solo sai amare i tuoi figli diletti.

 4 Io penso come era dolce vederti «vivere», Uomo fra gli uomini. E penso che non ti vedrò più così. Tutto è stato visto e detto. So anche che Tu non ti cancellerai dal mio pensiero nelle tue azioni di Uomo fra gli uomini, e che non avrò bisogno di libri per ricordarti quale realmente fosti: basterà che io guardi dentro di me, dove tutta la tua vita è fissata a caratteri indelebili. Ma era dolce, dolce…
   Ora Tu ascendi… La Terra ti perde. Maria della Croce ti perde, Maestro Salvatore. Resterai a lei come Dio dolcissimo, e non più Sangue ma miele celeste verserai nel calice violaceo della tua violetta… Io piango… Sono stata tua discepola insieme alle altre per le vie montane, selvose, o aride, polverose della pianura, sul lago e presso il bel fiume, della tua Patria. Ora Tu te ne vai e non vedrò più altro che nel ricordo Betlem e Nazaret sui loro colli verdi d'ulivi, e Gerico ardente di sole e frusciante di palme, e Betania amica, e Engaddi perla smarrita nei deserti, e la Samaria bella, e le pianure opime di Saron e Esdrelon, e il bizzarro altopiano d'Oltre Giordano, e l'incubo del mar Morto, e le città solari della sponda mediterranea, e Gerusalemme, la città del tuo dolore, i suoi sali e scendi, gli archivolti, le piazze, i sobborghi, i pozzi e cisterne, i colli e persino la triste valle dei lebbrosi dove tanta tua misericordia si è effusa… E la casa del Cenacolo… la fontanella che piange lì presso… il ponticello sul Cedron, il luogo del tuo sudor sanguigno… il cortile del Pretorio…
   Ah, no! quel che è tuo dolore è qui. Resterà sempre… Dovrò ricercare tutti i ricordi per trovarli, ma la tua orazione nel Getsemani, la tua flagellazione, la tua ascesa al Golgota, la tua agonia e morte, e il dolore di tua Madre, no, non avrò da cercarli: sono presenti sempre. Forse li dimenticherò in Paradiso… e mi pare impossibile poterli dimenticare persino là… Tutto ricordo di quelle atroci ore. Persino la forma della pietra sulla quale sei caduto. Persino il boccio di rosa rossa che batteva, e pareva una goccia di sangue, sul granito, contro la chiusura del tuo sepolcro…
 Amore mio divinissimo, la tua Passione vive nel mio pensiero… e me se ne frange il cuore…
 

 5 L'aurora è sorta completamente. Già il sole è alto e gli apostoli fanno sentire le loro voci. È un segnale per Gesù e Maria. Si fermano. Si guardano, l'Uno di fronte all'Altra, e poi Gesù apre le braccia e accoglie sul petto sua Madre… Oh! era ben un Uomo, un Figlio di Donna! Per crederlo basta guardare questo addio! L'amore trabocca in pioggia di baci sulla Madre amatissima. L'amore copre di baci il Figlio amatissimo. Sembra non si possano più separare. Quando pare che stiano per farlo, un altro abbraccio li unisce ancora, e fra i baci parole di reciproca benedizione… Oh! è proprio il Figlio dell'uomo che lascia Colei che lo ha generato! È proprio la Madre che congeda, per renderla al Padre, la sua Creatura, il Pegno dell'Amore alla Purissima… Dio che bacia la Madre di Dio!…
   Infine la Donna, come creatura, si inginocchia ai piedi del suo Dio, che è pur suo Figlio, e il Figlio, che è Dio, impone le mani sul capo della Madre Vergine, dell'eterna Amata, e la benedice nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e poi si china e la rialza, deponendole un ultimo bacio sulla fronte bianca come petalo di giglio sotto l'oro dei capelli così giovanili ancora…
   Vanno di nuovo verso casa, e nessuno, vedendo con quale pacatezza procedono l'Uno a fianco dell'Altra, penserebbe a quell'onda di amore che li ha soverchiati poco prima. Ma quale differenza anche, in questo addio, dalla mestizia di altri addii ormai superati e dallo strazio dell'addio della Madre al Figlio ucciso che doveva essere lasciato solo nel Sepolcro!… In questo, se pure gli occhi sono lucidi del naturale pianto di chi si sta per separare dall'Amato, le labbra sorridono nella gioia di sapere che questo Amato va nella Dimora che alla sua Gloria si conviene…

 6 «Signore! Là fuori sono, fra il monte e Betania, tutti quelli che Tu avevi detto a tua Madre di voler benedire oggi», dice Pietro.
   «Va bene. Ora andremo da loro. Ma prima venite. Voglio dividere ancora con voi il pane».
   Entrano nella stanza dove dieci giorni prima erano le donne per la cena del quattordicesimo giorno del secondo mese. Maria accompagna Gesù sino là, poi si ritira. Restano Gesù e gli undici.
   Sulla tavola vi è della carne arrostita, formaggelli e ulive piccole e nere, una piccola anfora di vino e una più grande d'acqua e dei larghi pani. Tavola semplice, non apparecchiata per una cerimonia di lusso, ma solo per necessità di cibo.
   Gesù offre e fa le parti. È al centro fra Pietro e Giacomo d'Al­feo. Li ha chiamati Lui a quei posti. Giovanni, Giuda d'Alfeo e Giacomo gli sono di fronte, e Tommaso, Filippo, Matteo a un lato, Andrea, Bartolomeo e lo Zelote sull'altro. Così tutti possono vedere il loro Gesù… Pasto breve, silenzioso. Gli apostoli, giunti all'ultimo giorno di vicinanza con Gesù, e nonostante le successive apparizioni, collettive o singole, dalla Risurrezione in poi, tutte amore, non hanno mai più perduto quel venerabondo ritegno che ha caratterizzato i loro incontri con Gesù Risorto.
   Il pasto è finito. 
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 7 Gesù apre le mani al di sopra della tavola, col suo atto abituale davanti ad un fatto ineluttabile, e dice:
   «Ecco. È venuta l'ora che Io debbo lasciarvi per tornare al Padre mio. Ascoltate le ultime parole del vostro Maestro.
   Non allontanatevi da Gerusalemme in questi giorni. Lazzaro, al quale ho parlato, ha provveduto una volta ancora a fare realtà i desideri del suo Maestro e cede a voi la casa dell'ultima Cena, perché abbiate una dimora nella quale raccogliere l'adunanza e raccogliervi in preghiera. State là dentro in questi giorni e pregate assiduamente per prepararvi alla venuta dello Spirito Santo, che vi completerà per la vostra missione. Ricordatevi che Io, che pure ero Dio, mi sono preparato con una severa penitenza al mio ministero di Evangelizzatore. Sempre più facile e sempre più breve sarà la vostra preparazione. Ma non esigo altro da voi. Mi basta solo che preghiate assiduamente, in unione coi settantadue e sotto la guida di mia Madre, che vi raccomando con premura di Figlio. Ella vi sarà Madre e Maestra di amore e sapienza perfetta.
   Avrei potuto mandarvi altrove per prepararvi a ricevere lo Spirito Santo, ma voglio invece che qui rimaniate, perché è Gerusalemme negatrice che deve stupire per la continuazione dei prodigi divini, dati a risposta delle sue negazioni. Dopo, lo Spirito Santo vi farà comprendere la necessità che la Chiesa sorga proprio in questa città che, giudicando umanamente, è la più indegna di averla. Ma Gerusalemme è sempre Gerusalemme, anche se il peccato la colma e se qui si è compiuto il deicidio. Nulla gioverà per essa.-È condannata. Ma, se condannata essa è, non tutti condannati sono i suoi cittadini. State qui per i pochi giusti che essa ha nel suo seno, e state qui perché questa è la città regale e la città del Tempio, e perché, come è predetto dai profeti, qui, dove è stato unto e acclamato e innalzato il Re Messia, qui deve avere inizio il suo regno sul mondo, e qui ancora, dove da Dio ha libello di ripudio la sinagoga per i suoi troppo orrendi delitti, deve sorgere il Tempio nuovo al quale accorreranno genti d'ogni nazione.
   Leggete i profeti. In essi tutto è predetto. Mia Madre prima, poscia lo Spirito Paraclito, vi faranno comprendere le parole dei profeti per questo tempo.

 8 Rimanete qui sino a quando Gerusalemme ripudierà voi come mi ha ripudiato e odierà la mia Chiesa come ha odiato Me, covando disegni per sterminarla. Allora portatela altrove, la sede di questa mia Chiesa diletta, perché essa non deve perire. Io ve lo dico: neppur l'inferno prevarrà su essa. Ma, se Dio vi assicura la sua protezione, non tentate il Cielo esigendo tutto dal Cielo. Andate in Efraim come vi andò il vostro Maestro perché non era l'ora di esser preso dai nemici. Vi dico Efraim per dirvi terra di idoli e pagani. Ma non sarà Efraim di Palestina che dovete eleggere a sede della Chiesa mia. Ricordatevi quante volte, a voi uniti o a un di voi singolarmente, ho parlato di questo, predicendovi che avreste dovuto calcare le vie della Terra per giungere al cuore di essa e là fissare la mia Chiesa. È dal cuore dell'uomo che il sangue si propaga per tutte le membra. È dal cuore del mondo che il Cristianesimo si deve propagare a tutta la Terra.
   Per ora la mia Chiesa è simile a creatura già concepita ma che ancora si forma nella matrice. Gerusalemme è la sua matrice, e nel suo interno il cuore ancor piccolo, intorno al quale si radunano le poche membra della Chiesa nascente, dà le sue piccole onde di sangue a queste membra. Ma, giunta l'ora che Dio ha segnata, la matrice matrigna espellerà la creatura formatasi nel suo seno, ed essa andrà in una terra nuova, e là crescerà divenendo grande Corpo, esteso a tutta la Terra, e i battiti del forte cuore della Chiesa si propagheranno a tutto il gran Corpo. I battiti del cuor della Chiesa, affrancatasi da ogni legame col Tempio, eterna e vittoriosa sulle rovine del Tempio perito e distrutto, vivente nel cuore del mondo, a dire ad ebrei e gentili che Dio solo trionfa e vuole ciò che vuole, e che né livore di uomini né schiere di idoli arrestano il suo volere.
   Ma questo verrà poi, e in quel tempo voi saprete cosa fare. Lo Spirito di Dio vi condurrà. Non temete. Per ora raccogliete in Gerusalemme la prima adunanza dei fedeli. Poi altre adunanze si formeranno più il numero di essi crescerà. In verità vi dico che i cittadini del mio Regno aumenteranno rapidamente come semi gettati in ottima terra. Il mio popolo si propagherà per tutta la Terra. Il Signore dice al Signore: "Siccome Tu hai fatto questo e per Me non ti sei risparmiato, Io ti benedirò e moltiplicherò la tua stirpe come le stelle del cielo e come le arene che sono sul lido del mare. La tua progenie possederà la porta dei suoi nemici e nella tua progenie saranno benedette tutte le nazioni della Terra"Benedizione è il mio Nome, il mio Segno e la mia Legge, là dove sono conosciuti sovrani.
 9 Sta per venire lo Spirito Santo, il Santificatore, e voi ne sarete ripieni. Fate d'esser puri come tutto quello che deve avvicinare il Signore. Ero Signore Io pure come Esso. Ma avevo indossato sulla mia Divinità una veste per potere stare fra voi, e non solo per ammaestrarvi e redimervi con gli organi e il sangue di essa veste, ma anche per portare il Santo dei santi fra gli uomini, senza la sconvenienza che ogni uomo, anche impuro, potesse posare gli occhi su Colui che temono di mirare i Serafini. Ma lo Spirito Santo verrà senza velo di carne e si poserà su voi e scenderà in voi coi suoi sette doni e vi consiglierà. Ora, il consiglio di Dio è cosa così sublime che occorre prepararsi ad esso con una volontà eroica di una perfezione che vi faccia somiglianti al Padre vostro e al vostro Gesù, e al vostro Gesù nei suoi rapporti col Padre e con lo Spirito Santo. Quindi, carità perfetta e purezza perfetta, per poter comprendere l'Amore e riceverlo sul trono del cuore.

 10Perdetevi nel gorgo della contemplazione. Sforzatevi di dimenticare che siete uomini e sforzatevi a mutarvi in serafini. Lanciatevi nella fornace, nelle fiamme della contemplazione. La contemplazione di Dio è simile a scintilla che scocca dall'urto della selce contro l'acciarino e suscita fuoco e luce. È purificazione il fuoco che consuma la materia opaca e sempre impura e la trasmuta in fiamma luminosa e pura.
   Non avrete il Regno di Dio in voi se non avrete l'amore. Perché il Regno di Dio è l'amore, e appare con l'Amore, e per l'Amore si instaura nei vostri cuori in mezzo ai fulgori di una luce immensa che penetra e feconda, leva le ignoranze, dà le sapienze, divora l'uomo e crea il dio, il figlio di Dio, il mio fratello, il re del trono che Dio ha preparato per coloro che si dànno a Dio per avere Dio, Dio, Dio, Dio solo. Siate dunque puri e santi per l'orazione ardente che santifica l'uomo, perché lo immerge nel fuoco di Dio che è la carità.
   Voi dovete essere santi. Non nel senso relativo che questa parola aveva sinora, ma nel senso assoluto che Io ho dato alla stessa proponendovi la santità del Signore per esempio e limite, ossia la santità perfetta. Fra noi è chiamato santo il Tempio, santo il luogo dove è l'altare, Santo dei santi il luogo velato dove è l'arca e il propiziatorio. Ma in verità vi dico che coloro che possiedono la Grazia e vivono in santità per amor del Signore sono più santi del Santo dei santi, perché Dio non si posa soltanto su essi, come sul propiziatorio che è nel Tempio per dare i suoi ordini, ma abita in essi per dare ad essi i suoi amori.

 11Ricordate le mie parole dell'ultima Cena? Vi avevo promesso allora lo Spirito Santo. Ecco, Egli sta per venire a battezzarvi non già con l'acqua, come ha fatto con voi Giovanni preparandovi a Me, ma col fuoco per prepararvi a servire il Signore così come Egli vuole da voi. Ecco, Egli sarà qui, di qui a non molti giorni. E dopo la sua venuta le vostre capacità aumenteranno senza misura, e voi sarete capaci di comprendere le parole del vostro Re e fare le opere che Egli vi ha detto di fare per estendere il suo Regno sulla Terra».
   «Ricostruirai allora, dopo la venuta dello Spirito Santo, il Regno d'Israele?», gli chiedono interrompendolo.
   «Non ci sarà più Regno d'Israele. Ma il mio Regno. Ed esso sarà compiuto quando il Padre ha detto. Non sta a voi di sapere i tempi e i momenti che il Padre si è riservato in suo potere. Ma voi, intanto, riceverete la virtù dello Spirito Santo che verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, in Giudea, e in Samaria, e sino ai confini della Terra, fondando le adunanze là dove siano uomini riuniti nel mio Nome; battezzando le genti nel Nome Ss. del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, così come vi ho detto, perché abbiano la Grazia e vivanonel Signore; predicando il Vangelo a tutte le creature, insegnando ciò che vi ho insegnato, facendo ciò che vi ho comandato di fare. Ed Io sarò con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo.

 12E questo voglio ancora. Che a presiedere l'adunanza di Gerusalemme sia Giacomo, fratello mio. Pietro, come capo di tutta la Chiesa, dovrà sovente intraprendere viaggi apostolici, perché tutti i neofiti desidereranno conoscere il Pontefice capo supremo della Chiesa. Ma grande sarà l'ascendente che sui fedeli di questa prima Chiesa avrà il fratello mio. Gli uomini sono sempre uomini e vedono da uomini. Parrà loro che Giacomo sia una continuazione di Me, solo perché mi è fratello. In verità Io dico che più grande, e somigliante al Cristo, egli è per sapienza che per parentela. Ma così è. Gli uomini, che non mi cercavano mentre ero fra loro, ora cercheranno Me in colui che mi è parente. Tu, poi, Simon Pietro, sei destinato ad altri onori…».
   «Che non merito, Signore. Te lo dissi quando mi apparisti e ancor te lo dico alla presenza di tutti. Tu sei buono, divinamente buono, oltreché sapiente, e giustamente hai giudicato me, che ti ho rinnegato in questa città, non adatto ad esserne il capo spirituale. Tu mi vuoi risparmiare da tanti giusti scherni…».
   «Tutti fummo uguali meno due, Simone. Io pure sono fuggito. Non per questo, ma per le ragioni che ha detto, il Signore ha destinato me a questo posto; ma tu sei il mio Capo, Simone di Giona, ed io tale ti riconosco, e alla presenza del Signore e di tutti i compagni ti professo ubbidienza. Ti darò ciò che posso per aiutarti nel tuo ministero, ma, te ne prego, dammi i tuoi ordini, perché tu sei il Capo ed io il suddito. Quando il Signore mi ha ricordato un discorso lontano, io ho chinato il capo dicendo: "Sia fatto ciò che Tu vuoi". Così lo dirò a te dal momento che, avendoci lasciati il Signore, tu ne sarai il Rappresentante in Terra. E ci ameremo aiutandoci nel ministero sacerdotale», dice Giacomo inchinandosi dal suo posto per rendere omaggio a Pietro.
   «Sì. Amatevi fra voi, aiutandovi scambievolmente, perché questo è il comandamento nuovo e il segno che voi siete veramente di Cristo.

 13Non turbatevi per nessuna ragione. Dio è con voi. Voi potete fare ciò che Io voglio da voi. Non vi imporrei delle cose che non potreste fare, perché non voglio la vostra rovina, ma anzi la vostra gloria. Ecco. Io vado a preparare il vostro posto a fianco del mio trono. State uniti a Me e al Padre nell'amore. Perdonate al mondo che vi odia. Chiamate figli e fratelli quelli che vengono a voi, o già sono con voi per amor mio.
   State nella quiete di sapermi sempre pronto ad aiutarvi a portare la vostra croce. Io sarò con voi nelle fatiche del vostro ministero e nell'ora delle persecuzioni, e non perirete, non soccomberete, anche se ciò sembrerà a quelli che vedono con gli occhi del mondo. Sarete gravati, addolorati, stanchi, torturati, ma il mio gaudio sarà in voi, perché Io vi aiuterò in ogni cosa. In verità vi dico che, quando avrete ad Amico l'Amore, capirete che ogni cosa subìta e vissuta per amor mio diviene leggera, anche se è tortura pesante del mondo. Perché a colui che riveste ogni sua azione, volontaria o impostagli, di amore, muta il giogo della vita e del mondo in giogo a lui dato da Dio, da Me. Ed Io vi ripeto che il mio carico è sempre proporzionato alle vostre forze e il mio giogo è leggero perché Io vi aiuto a portarlo.

 14Voi lo sapete che il mondo non sa amare. Ma voi d'ora in poi amate il mondo di amor soprannaturale, per insegnargli ad amare. E se vi diranno, vedendovi perseguitati: "Così vi ama Dio? Facendovi soffrire, dandovi dolore? Allora non merita conto esser di Dio", rispondete: "Il dolore non viene da Dio. Ma Dio lo permette, e noi ne sappiamo la ragione e ci gloriamo di avere la parte che ebbe Gesù Salvatore, Figlio di Dio". Rispondete: "Noi ci gloriamo di esser confitti alla croce e di continuare la Passione del nostro Gesù". Rispondete con le parole della Sapienza: "La morte e il dolore sono entrati nel mondo per invidia del demonio, ma Dio non è autore della morte e del dolore e non gode del dolore dei viventi. Tutte le cose di Lui sono vita e tutte sono salutari". Rispondete: "Al presente noi sembriamo perseguitati e vinti, ma nel giorno di Dio, cambiate le sorti, noi giusti, perseguitati sulla Terra, staremo gloriosi davanti a coloro che ci vessarono e disprezzarono". Però anche dite loro: "Venite a noi! Venite alla Vita e alla Pace. Il nostro Signore non vuole la vostra rovina, ma la salute vostra. Per questo ha dato il suo Figlio diletto, acciò voi tutti foste salvati".
 15E rallegratevi di partecipare ai patimenti miei per poter poi essere con Me nella gloria. "Io sarò la vostra ricompensa oltremodo grande", promette in Abramo il Signore a tutti i suoi servi fedeli. Voi sapete come si conquista il Regno dei Cieli: con la forza, e vi si giunge attraverso a molte tribolazioni. Ma colui che persevera come Io ho perseverato sarà dove Io sono.
   Io ve l'ho detto quale è la via e la porta che conducono nel Regno dei Cieli, e Io per primo ho camminato per quella e sono tornato al Padre per quella. Se ve ne fosse un'altra ve l'avrei insegnata, perché ho pietà della vostra debolezza d'uomini. Ma non ve ne è un'altra… Indicandovela come unica via e unica porta, anche vi dico, vi ripeto quale è la medicina che dà forza per percorrerla ed entrare. È l'amore. Sempre l'amore. Tutto diviene possibile quando in noi è l'amore. E tutto l'amore vi darà l'Amore che vi ama, se voi chiederete in Nome mio tanto amore da divenire atleti nella santità.

 16Ora diamoci il bacio d'addio, o amici miei dilettissimi».
   Si alza per abbracciarli. Tutti lo imitano. Ma, mentre Gesù ha un sorriso pacifico, di una bellezza veramente divina, essi piangono, tutti turbati, e Giovanni, abbandonandosi sul petto di Gesù, scuotendosi tutto nei singhiozzi che gli rompono il petto tanto sono laceranti, chiede, per tutti, intuendo il desiderio di tutti: «Dacci almeno il tuo Pane, che ci fortifichi in quest'ora!».
   «Così sia!», gli risponde Gesù. E preso un pane lo spezza dopo averlo offerto e benedetto, ripetendo le parole rituali. E lo stesso fa col vino, ripetendo poi: «Fate questo in memoria di Me», aggiungendo: «che vi ho lasciato questo pegno del mio amore per essere ancora e sempre con voi sinché voi sarete con Me in Cielo».
   Li benedice e dice: «Ed ora andiamo».

 17Escono dalla stanza, dalla casa…
   Giona, Maria e Marco sono lì fuori, e si inginocchiano adorando Gesù.
   «La pace resti con voi. E vi compensi il Signore di quanto mi avete dato», dice Gesù benedicendoli nel passare.
   Marco si alza dicendo: «Signore, gli uliveti lungo la via di Betania sono pieni di discepoli che ti attendono».
   «Va' a dire loro che si dirigano al campo dei Galilei».
   Marco sfreccia via con tutta la velocità delle sue giovani gambe.
   «Sono venuti tutti, allora», dicono gli apostoli fra loro.

 18Più là, seduta fra Marziam e Maria Cleofe, è la Madre del Signore. E si alza vedendolo venire, adorandolo con tutto il palpito del suo cuore di Madre e di fedele.
   «Vieni, Madre, anche tu, Maria…», invita Gesù vedendole ferme, inchiodate dalla sua maestà che sfolgora come nel mattino della Risurrezione. Ma Gesù non vuole opprimere con questa sua maestà, e domanda, affabilmente, a Maria d'Alfeo: «Sei tu sola?».
   «Le altre… le altre sono avanti… Coi pastori e… con Lazzaro e tutta la sua famiglia… Ma ci hanno lasciate qui noi, perché… Oh! Gesù! Gesù! Gesù!… Come farò a non vederti più, Gesù benedetto, Dio mio, io che ti ho amato prima ancor che fossi nato, io che ho tanto pianto per Te quando non sapevo dove eri dopo la strage… io che ho avuto il mio sole nel tuo sorriso da quando sei tornato, e tutto, tutto il mio bene?… Quanto bene! Quanto bene mi hai dato!… Ora sì che divento veramente povera, vedova, sola!… Finché c'eri Tu, c'era tutto!… Credevo di aver conosciuto tutto il dolore quella sera… Ma il dolore stesso, tutto quel dolore di quel giorno mi aveva inebetita e… sì, era meno forte di ora… E poi… c'era che risorgevi. Mi pareva di non crederlo, ma mi accorgo adesso che lo credevo, perché non sentivo questo che sento ora…», piange e ansima, tanto il pianto la soffoca.
   «Maria buona, ti affliggi proprio come un bambino che crede che la madre non lo ami e l'abbia abbandonato, perché è andata in città a comperargli doni che lo faranno felice, e che presto sarà a lui di ritorno per coprirlo di carezze e di regali. E non faccio così Io con te? Non vado per prepararti la gioia? Non vado per tornare a dirti: "Vieni, parente e discepola diletta, madre dei miei diletti discepoli"? Non ti lascio il mio amore? Te lo dono il mio amore, Maria! Tu lo sai se ti amo! Non piangere così, ma giubila, perché non mi vedrai più vilipeso e affaticato, non più inseguito e ricco solo dell'amore di pochi. E col mio amore ti lascio mia Madre. Giovanni le sarà figlio, ma tu siile buona sorella come sempre. Vedi? Ella non piange, la Madre mia. Ella sa che, se la nostalgia di Me sarà la lima che consumerà il suo cuore, l'attesa sarà sempre breve rispetto alla grande gioia di una eternità di unione, e sa anche che non sarà questa separazione nostra così assoluta da farle dire: "Non ho più Figlio". Quello era il grido di dolore del giorno del dolore. Ora nel suo cuore canta la speranza: "Io so che mio Figlio sale al Padre, ma non mi lascerà senza i suoi spirituali amori". Così credi tu, e tutti… 

 19Ecco gli altri e le altre. Ecco i miei pastori».
   I volti di Lazzaro e delle sorelle framezzo a tutti i servi di Betania, il volto di Giovanna simile a rosa sotto un velo di pioggia, e quello di Elisa e di Niche, già segnati dall'età — e ora le rughe si approfondiscono per la pena, sempre pena per la creatura anche se l'anima giubila per il trionfo del Signore — e quello di Anastasica, e i volti liliali delle prime vergini, e l'ascetico volto di Isacco, e quello ispirato di Mattia, e il volto virile di Mannaen, e quelli austeri di Giuseppe e Nicodemo… Volti, volti, volti…
   Gesù chiama a Sé i pastori, Lazzaro, Giuseppe, Nicodemo, Mannaen, Massimino e gli altri dei settantadue discepoli. Ma tiene vicino specialmente i pastori dicendo loro:

 «Qui. Voi vicini al Signore che era venuto dal Cielo, curvi sul suo annichilimento, voi vicini al Signore che al Cielo ritorna, con gli spiriti gioenti della sua glorificazione. Avete meritato questo posto, perché avete saputo credere contro ogni circostanza in sfavore e avete saputo soffrire per la vostra fede. Io vi ringrazio del vostro amore fedele.
   Tutti vi ringrazio. Tu, Lazzaro amico. Tu Giuseppe e tu Nicodemo, pietosi al Cristo quando esserlo poteva essere grande pericolo. 
Tu Mannaen, che hai saputo disprezzare i sozzi favori di un immondo per camminare nella mia via. 
Tu, Stefano, fiorita corona di giustizia, che hai lasciato l'imperfetto per il perfetto e sarai coronato di un serto che ancor non conosci ma che ti annunceranno gli angeli. 
Tu Giovanni, per breve tempo fratello al seno purissimo e venuto alla Luce più che alla vista. Tu Nicolai, che proselite hai saputo consolarmi del dolore dei figli di questa nazione. 
E voi discepole buone e forti, nella vostra dolcezza, più di Giuditta.

 20E tu Marziam, mio fanciullo, e d'ora in poi prendi il nome di Marziale, a ricordo del fanciullo romano ucciso per via e deposto al cancello di Lazzaro col cartiglio di sfida: "E ora di' al Galileo che ti resusciti, se è il Cristo e se è risorto", ultimo degli innocenti che in Palestina persero la vita per servire Me anche incoscientemente, e primo degli innocenti di ogni nazione che, venuti al Cristo, saranno per questo odiati e spenti anzitempo, come bocci di fiori strappati allo stelo prima che s'aprano in fiore. E questo nome, o Marziale, ti indichi il tuo destino futuro: sii apostolo in barbare terre e conquistale al tuo Signore come il mio amore conquistò il fanciullo romano al Cielo.

 21Tutti, tutti benedetti da Me in questo addio, invocandovi dal Padre la ricompensa di coloro che hanno consolato il doloroso cammino del Figlio dell'uomo.

   Benedetta l'Umanità nella sua porzione eletta che è nei giudei come nei gentili, e che si è manifestata nell'amore che ebbe per Me.

   Benedetta la Terra con le sue erbe e i suoi fiori, i suoi frutti che mi hanno dato diletto e ristoro tante volte. Benedetta la Terra con le sue acque e i suoi tepori, per gli uccelli e gli animali che molte volte superarono l'uomo nel dare conforto al Figlio dell'uomo. Benedetto tu, sole, e tu mare, e voi monti, colline, pianure. Benedette voi, stelle che mi siete state compagne nella notturna preghiera e nel dolore. E tu, luna, che mi hai fatto lume all'andare nel mio pellegrinaggio di Evangelizzatore.

  Tutte, tutte benedette, voi, creature, opere del Padre mio, mie compagne in quest'ora mortale, amiche a Colui che aveva lasciato il Cielo per togliere alla tribolata Umanità i triboli della Colpa che separa da Dio.

   E benedetti anche voi, strumenti innocenti della mia tortura: spine, metalli, legno, canape ritorte, perché mi avete aiutato a compiere la Volontà del Padre mio!».

   Che voce tonante ha Gesù! Si spande nell'aria tepida e cheta come voce di un bronzo percosso, si propaga in onde sul mare di volti che lo guardano da ogni direzione.

 22Io dico che sono delle centinaia di persone quelle che circondano Gesù che ascende, coi più diletti, verso la cima del­l'Uli­veto. Ma Gesù, giunto vicino al campo dei Galilei, vuoto di tende in questo periodo fra l'una e l'altra festa, ordina ai discepoli: «Fate fermare la gente dove è, e poi seguitemi».
   Sale ancora, sino alla cima più alta del monte, quella che è già più prossima a Betania, che domina dall'alto, che non a Gerusalemme. Stretti a Lui la Madre, gli apostoli, Lazzaro, i pastori e Marziam. Più in là, a semicerchio a tenere indietro la folla dei fedeli, gli altri discepoli.

 23Gesù è in piedi su una larga pietra un poco sporgente, biancheggiante fra l'erba verde di una radura. Il sole lo investe facendo biancheggiare come neve la sua veste e rilucere come oro i suoi capelli. Gli occhi sfavillano di una luce divina.
   Apre le braccia in un gesto di abbraccio. Pare voglia stringersi al seno tutte le moltitudini   della Terra che il suo spirito vede rappresentate in quella turba.
   La sua indimenticabile, inimitabile voce dà l'ultimo comando: «Andate! Andate in mio Nome ad evangelizzare le genti sino agli estremi confini della Terra. Dio sia con voi. Il suo amore vi conforti, la sua luce vi guidi, la sua pace dimori in voi sino alla vita eterna».


   Si trasfigura in bellezza. Bello! Bello come e più che sul Tabor. Cadono tutti in ginocchio adorando. Egli, mentre già si solleva dalla pietra su cui posa, cerca ancora una volta il volto di sua Madre, e il suo sorriso raggiunge una potenza che nessuno potrà mai rendere… È il suo ultimo addio alla Madre.
   Sale, sale… Il sole, ancor più libero di baciarlo, ora che nessuna fronda anche lieve intercetta il cammino ai suoi raggi, colpisce dei suoi fulgori il Dio-Uomo che ascende col suo Corpo Ss. al Cielo, e ne svela le Piaghe gloriose che splendono come rubini vivi. Il resto è un perlaceo ridere di luce. È veramente la Luce che si manifesta per ciò che è, in quest'ultimo istante come nella notte natalizia. Sfavilla il Creato della luce del Cristo che ascende. Luce che supera quella del sole. Luce sovrumana e beatissima. Luce che scende dal Cielo incontro alla Luce che sale… E Gesù Cristo, il Verbo di Dio, dispare alla vista degli uomini in questo oceano di splendori…
   In terra due unici rumori nel silenzio profondo della folla estatica: il grido di Maria quando Egli scompare: «Gesù!», e il pianto di Isacco. Gli altri sono ammutoliti di religioso stupore, e restano là, come in attesa, finché due luci angeliche candidissime, in forma mortale, appaiono dicendo le parole riportate nel capo primo degli Atti Apostolici.


Sprofondata nell'inferno

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S. Teresa d'Avila


Inferno
I Novissimi - Paradiso - Purgatorio

Santa Teresa, al secolo Teresa Sánchez de Cepeda Dávila y Ahumada, è stata una religiosa carmelitana e mistica spagnola.

Da: Libro di Vita di Santa Teresa d'Avila
Ci ha lasciato delle opere che rappresentano la sua dottrina mistico-spirituale: "il Castello interiore" dove narra l'itinerario dell'anima alla ricerca di Dio, il "Cammino di perfezione", le "Fondazioni" e molte preghiere.
*
"Passato gran tempo da quando il Signore mi aveva fatto già molte delle grazie suddette e anche altre, assai notevoli, mentre un giorno ero in orazione, mi sembrò di trovarmi ad un tratto sprofondata nell'inferno, senza saper come. Capii che il Signore voleva farmi vedere il luogo che lì i demoni mi avevano preparato e che io avevo meritato per i miei peccati.

Tale visione durò un brevissimo spazio di tempo, ma anche se vivessi molti anni, mi sembra che non potrei mai dimenticarla. L'entrata mi pareva come un vicolo assai lungo e stretto, come un forno molto basso, scuro e angusto; il suolo, una melma piena di sudiciume e di un odore pestilenziale in cui si muoveva una quantità di rettili schifosi. Nella parete di fondo vi era una cavità come di un armadietto incassato nel muro, dove mi sentii rinchiudere in un spazio assai ristretto.

Ma tutto questo era uno spettacolo persino piacevole in confronto a quello che qui ebbi a soffrire.

Ciò che ho detto, comunque, è mal descritto. Quello che sto per dire, però, mi pare che non si possa neanche tentare di descriverlo né si possa intendere: sentivo nell'anima un fuoco di tale violenza che io non so come poterlo riferire; il corpo era tormentato da così intollerabili dolori che, pur avendone sofferti in questa vita di assai gravi, anzi, a quanto dicono i medici, dei più gravi che in terra si possano soffrire - perché i miei nervi si erano tutti rattrappiti quando rimasi paralizzata, senza dire di molti altri di vario genere che ho avuto, alcuni dei quali, come ho detto, causati dal demonio - tutto è nulla in paragone di quello che ho sofferto lì allora, tanto più al pensiero che sarebbero stati tormenti senza fine e senza tregua.

Eppure anche questo non era nulla in confronto al tormento dell'anima: un'oppressione, un'angoscia, una tristezza così profonda, un così accorato e disperato dolore, che non so come esprimerlo. Dire che è come un sentirsi continuamente strappare l'anima è poco, perché morendo, sembra che altri ponga fine alla nostra vita, ma qui è la stessa anima a farsi a pezzi.

Non so proprio come descrivere quel fuoco interno e quella disperazione che esasperava così orribili tormenti e così gravi sofferenze. Non vedevo chi me li procurasse, ma mi pareva di sentirmi bruciare e dilacerare; ripeto, però, che il peggior supplizio era dato da quel fuoco e da quella disperazione interiore. Stavo in un luogo pestilenziale, senza alcuna speranza di conforto, senza la possibilità di sedermi e stendere le membra, chiusa com'ero in quella specie di buco nel muro. Le stesse pareti, orribili a vedersi, mi gravavano addosso dandomi un senso di soffocamento. Non c'era luce, ma tenebre fittissime. Io non capivo come potesse avvenire questo: che, pur non essendoci luce, si vedesse ugualmente ciò che poteva dar pena alla vista.

Il Signore allora non volle mostrarmi altro dell'inferno; inseguito, però, ho avuto una visione di cose spaventose, tra cui il castigo di alcuni vizi. Al vederli, mi sembravano ben più terribili, ma siccome non ne provavo la sofferenza, non mi facevano tanta paura, mentre in questa prima visione il Signore volle che io sentissi davvero nello spirito quelle angosce e afflizioni, come se le patissi nel corpo. Non so come questo sia avvenuto, ma mi resi ben conto che era per effetto di una grande grazia e che il Signore volle farmi vedere con i miei occhi da dove la sua misericordia mi aveva liberato.

Sentir parlare dell'inferno è niente, com'è niente il fatto che abbia alcune volte meditato sui diversi tormenti che procura (anche se poche volte, perché la via del timore non è fatta per la mia anima) e con cui i demoni torturano i dannati e su altri ancora che ho letto nei libri; non è niente, ripeto, di fronte a questa pena, che è ben altra cosa. C'è la stessa differenza che passa tra un ritratto e la realtà; bruciarsi al nostro fuoco è ben poca cosa in confronto al tormento del fuoco infernale.

Rimasi spaventata e lo sono tuttora mentre scrivo benché siano passati quasi sei anni tanto da sentirmi agghiacciare dal terrore qui stesso, dove sono. Così non c'è una volta in cui io sia afflitta da qualche sofferenza o dolore che non mi sembri una sciocchezza tutto quello che si può soffrire quaggiù, convinta che, in parte, ci lamentiamo senza motivo. Torno pertanto a dire che questa è una delle maggiori grazie che il Signore mi ha fatto, perché mi ha aiutato moltissimo, sia per non temere più le tribolazioni e le contraddizioni di questa vita, sia per sforzarmi a sopportarle e ringraziare il Signore di avermi liberato, come ora mi pare, da mali così terribili ed eterni.

D'allora in poi, ripeto, tutto mi sembra facile in paragone di un attimo di quella sofferenza ch'io ebbi lì a patire".

https://digilander.libero.it/monast/inferno/realta.htm

AMDG et DVM

La chiamò "Rosario", cioè corona di rose.


ROSA SETTIMA

[24] Da quando il beato Alano della Rupe rinnovò questa devozione, la
voce del popolo, che è voce di Dio, la chiamò "Rosario", cioè corona di
rose; e ciò per significare che ogni qual volta si recita devotamente il 
Rosario si pone in capo a Gesù e a Maria una corona di 153 rose
bianche e di 16 rosse del paradiso, che non perderanno mai la loro
bellezza e il loro splendore.

La Vergine approvò e confermò questo nome di Rosario rivelando a
parecchi che con le Ave Maria recitate in suo onore, le si fa dono di
altrettante gradite rose; e di tante corone di rose quanti sono i Rosari
recitati.

[25] Il fratello Alfonso Rodriguez della Compagnia di Gesù, recitava il
Rosario con tale ardore che vedeva non di rado uscire dalla sua bocca
ad ogni Pater una rosa vermiglia e ad ogni Ave Maria una rosa bianca,
uguale in bellezza e fragranza, diversa solo nel colore.

Le cronache di S. Francesco raccontano che un giovane religioso aveva
la lodevole abitudine di recitare ogni giorno prima del pasto la corona
della Vergine santa.

Un giorno, non si sa per qual motivo, la omise. Quando suonò l'ora del
pranzo, egli pregò il superiore di permettergli di recitarla prima di
sedersi a tavola e col suo permesso si ritirò in cella. Tardando di molto
a ripresentarsi, il superiore mandò un religioso a chiamarlo. Il
confratello lo trovò risplendente di luce celeste; la Vergine e due angeli
erano accanto a lui. Ad ogni Ave Maria usciva dalla sua bocca una bella
rosa: gli, Angeli raccoglievano le rose, una dopo l'altra e le ponevano
sul capo della Madonna che se ne dimostrava visibilmente soddisfatta.
Altri due religiosi, mandati a vedere quale fosse la causa di tanto
ritardo, poterono anch'essi ammirare il sorprendente spettacolo,
poiché la Vergine disparve solo quando la recita dell'intera corona
ebbe termine.

Il Rosario è dunque. una grande corona di rose; una parte del Rosario
é come un piccolo serto di piccoli fiori o piccola corona di rose celesti
che si mette in capo a Gesù e a Maria.
Come la rosa è la regina dei fiori, così il Rosario è la rosa e la prima

fra, le devozioni.

AMDG et DVM

Ascendit Deus in jubilatione


18 maggio 2019 – Ascensione (Solennità)
PADRI MONASTICI

Dal secondo Sermone per l’Ascensione di San Bernardo (2.3)

Pensate, fratelli quanto dolore e quanto timore abbia invasi i cuori degli apostoli quando
videro che (il Signore) veniva loro strappato, e portato in cielo, non servendosi di scale,
non sollevato con funi, ma accompagnato dall’omaggio della schiera degli angeli, non
sostenuto dal loro aiuto ma innalzandosi solo per la grandezza della sua propria forza. 

Si compì ciò che aveva loro detto: Dove vado io, voi non potete venire. Ovunque fosse
andato sulla terra lo avrebbero seguito, senza dividersi da lui, o avrebbero seguito sul
mare, immergendosi con lui, come fece una volta Pietro. Ma qui non potevano seguirlo
perché un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla grava la mente dai
molti pensieri. Era un dolore davvero troppo grande il vedere sottratto ai loro sensi e ai
loro sguardi colui per il quale avevano lasciato tutto. 

I figli dello Sposo non potevano non
piangere, poiché era stato sottratto loro lo Sposo; erano anche timorosi, perché venivano
lasciati orfani in mezzo ai giudei, non ancora confermati di potenza dall’alto. Mentre
dunque li benediceva veniva portato in cielo, e forse le sue viscere erano commosse da
uno speciale sentimento di misericordia poiché lasciava abbandonati i suoi, e povera la
sua comunità; ma andava a preparare un posto per loro, ed era necessario che fosse loro
sottratta la sua presenza corporale.

Resp Ascendens Christum in altum,


Dalle Meditazioni di Guglielmo di St. Thierry (VI)

Quando vediamo due o tre di questa sulla terra, riuniti nel tuo nome, e Tu che stai in
mezzo a loro, se vediamo il loro stare insieme così buono e lieto, così pieno dell’unzione
dello Spirito Santo, così che è chiaro per tutti che tu là mandi la tua benedizione, quanto
più perfettamente questo è vero là dove hai radunato i tuoi santi, che hanno custodito la
tua alleanza offrendo un sacrificio, e sono divenuti come i cieli che annunziano la tua
giustizia? Non è solo il tuo discepolo amato ad aver trovato la strada per salire lassù, e non
solo a lui è stata mostrata la porta aperta nel cielo. 

Pubblicamente l’hai dichiarata a tutti,
non attraverso un banditore o un qualsiasi profeta, ma tu stesso, dicendo: Io sono la porta,
se qualcuno entrerà per me sarà salvo. Tu dunque sei la porta. E quando dici: Se qualcuno
entrerà per me, ti si vede aperto a tutti coloro che vogliono entrare.

Ma se anche vediamo la grande porta aperta nel cielo, noi che siamo sulla terra, a cosa ci
giova, se là non possiamo salire? Paolo risponde: Colui che ascende è lo stesso che anche
discende. E chi è? L’Amore. E davvero Signore l’Amore che è in noi sale verso di te là in 
alto, perché l’Amore che è in te è disceso qui fino a noi. Poiché ci hai amato sei disceso fino
a noi; amandoti saliremo lassù, dove sei.

Resp. Non turbetur,


Dal sermone per l’Ascensione del Beato Guerrico

Ma cosa pensiamo, fratelli: come potrà in quel momento levarsi subito in volo dalla terra
ai cieli colui che non avrà imparato sin d'ora a svolazzare col quotidiano esercizio e uso?

Se ti chiedi con quale maestro e con quale guida, forse che oggi Cristo non incitava come
aquila i suoi aquilotti a volare, quando volava intorno sopra di loro, ovvero quando si
elevava davanti ai loro sguardi, e quelli lo seguivano continuamente con gli occhi, mentre
se ne andava in cielo? 

Poteva senz'altro venir subito rapito in un batter d'occhio lontano
dai loro occhi e trovarsi ovunque volesse. Ma apertamente, come aquila che incita i suoi
aquilotti a volare e vola intorno su di loro, si sforzava di sollevare in alto dietro a sé i loro
cuori con l'amore per lui e prometteva con l'esempio del proprio corpo che i loro corpi
potevano similmente sollevarsi; come dice anche l'Apostolo che conosce i misteri eterni:
anche noi saremo rapiti sulle nubi incontro a Cristo che ritorna.

Resp. Cumque intuerentur


Dai Sermoni del Beato Elredo, Abate (XIII,34-36)

E bene sono chiamati Galilei, cioè “coloro che passano oltre”, cioè coloro che passano dalle
osservanze carnali della legge a quelle spirituali. 

Coloro che prima della Passione del
Signore avevano ascoltato: «Non andrete nella via delle genti e non entrerete nelle città dei
samaritani (ma andate piuttosto alle pecore perdute della casa di Israele)» a loro stessi
viene comandato un passaggio ulteriore, poiché il Signore dice loro: «Andate in tutto il
mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura». 

E gli angeli a loro «Uomini di Galilea,
perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo,
tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo». Grande
consolazione. Così verrà. Come? Con la medesima carne, con la medesima forma, le stesse
cicatrici, le stesse ferite che porterà in cielo. 

Lo vedranno, e vedendolo saranno presi da
compunzione. I Giudei vedranno quel volto che avevano velato. Vedranno colui che
disprezzavano e guardandolo scuotevano il capo.


IN ASCENSIONE DOMINI SERMO

Sermones de la Ascencion del Señor

San Bernardo

De evangelica lectione

Quomodo ascendit super omnes caelos, ut adimpleret omnia

De intellectu et affectu

De diversis ascensionibus

De magnanimitate et longanimitate et unanimitate

De intellectu et affectu



AMDG et DVM

giovedì 16 maggio 2019

Fiducia Accompagnamento Scoperta e stupore Lentezza e presenza Dubbio ed errore ...

Le parole della genitorialità

Annalisa Valsasina
Come mamma e come psicoterapeuta spesso mi interrogo su cosa significhi essere genitore e su quali siano gli “ingredienti” di questo delicato e difficile ruolo. E’ sicuramente riduttivo, oltre che illusorio, pensare di definire tutti i fattori in gioco in una relazione così profonda e complessa, ma mi piace pensare che esistano alcune “parole della genitorialità” che possono rappresentare una traccia e un orientamento di ampio respiro per rendere l’avventura di crescere un figlio anche un viaggio di evoluzione personale.
Provo ad elencarle, non necessariamente in ordine di importanza e naturalmente senza alcuna pretesa di esaustività.
Fiducia – Donald Winnicott, celebre psicoanalista del secolo scorso, sosteneva che “la qualità più importante di una buona madre è una naturale fiducia nelle proprie capacità.” Fiducia, nella genitorialità, per me significa confidare nelle proprie risorse, magari ri – scoprendole proprio grazie al rapporto con il proprio figlio – e credere nella propria capacità di risolvere i problemi che l’essere genitori comunque comporta. Implica uno sguardo benevole su di sé così come la capacità di chiedere aiuto se necessario. Significa anche avere fiducia delle risorse e possibilità del proprio figlio, che se accompagnato e accolto saprà trovare la sua strada. Ricordo al proposito quanto angosciata fossi nel periodo dell’inserimento alla scuola materna di mio figlio e quanto mi avesse aiutato la frase di un amico che mi disse “abbi fiducia, tuo figlio ha tutte le risorse per farcela e scoprirlo farà bene ad entrambi”.
Accompagnamento – la genitorialità per me è un viaggio, ancora in corso. Accompagniamo, più o meno agevolmente, i nostri figli nel loro sviluppo, nella costruzione del loro modo di vedere il mondo, nella possibilità di cogliere il bello della vita e di affrontare le problematiche che si presenteranno. Accompagnare significa per me “dare dei confini sicuri”, stare a fianco, non davanti né dietro, senza sostituirsi alle necessarie esperienze dei figli ma tenendo il contatto con loro. Faranno cose che non ci piacciono (i miei parecchie!) e prenderanno scelte che magari non condividiamo, ma possiamo esserci comunque e percorrere insieme la strada che porterà al loroobiettivo. Mi piace pensare in questo senso a me come genitore come ad un “contenitore” che protegge un seme in crescita. Un seme che appartiene alla vita, non a me.
Scoperta e stupore – ho letto un bellissimo libro di C. L’Ecuyer, Educare allo stupore. Ricorda quanto sia importante per un’educazione attenta e vicina al bambino (anche il nostro…) coltivare il suo stupore e la sua meraviglia nella scoperta del mondo che lo circonda. La cosa bella è che con i figli puoi lasciarti contagiare. Uno stupore che passa attraverso il silenzio, il contatto con la Natura e la Bellezza, il senso del mistero (quanto fanno bene queste cosa anche a noi adulti!). Guardare un bambino che cresce, nelle sue scoperte ed esplorazioni, ci porta a ri- conoscere il mondo accompagnati da occhi differenti e bambini, a ricordarci i nostri di allora. Questa estate i miei figli ed io abbiamo guardato meravigliati un incredibile cielo stellato, completamenti immersi nel buio. Ve lo consiglio, a proposito di stupore!
Lentezza e presenza – non possono mancare queste parole, per rendere possibili molti aspetti della genitorialità. Entrare in contatto con l’altro richiede pazienza, ascolto, attenzione, rispetto dei tempi, una presenza “di qualità” e “sintonizzazione” che poco ha a che fare con i ritmi frenetici in cui spesso viviamo e facciamo crescere i nostri figli. Se i nostri figli iniziano a disegnarci o a raccontarci intenti a parlare al cellulare, il messaggio è chiaro!
Dubbio ed errore – l’essere genitori comporta molte scelte e sicuramente, mettiamoci l’animo in pace, degli errori. Ma possiamo non condannarci per questo, sapendo, come sempre Winnicott sostiene, che “si può soltanto dire che non è pensabile fare di meglio, ma solo così o peggio”. Ciò che muove è il desiderio di far bene per i nostri figli, ma non siamo infallibili e c’è sempre una possibilità di recupero. Si torna alla parola Fiducia e benevolenza verso di sé.
Ambivalenza – per me è stata da subito una compagna e lo è ancora oggi. Per fortuna ho avuto modo sin dall’inizio di esprimerla con chi ha saputo comprendermi e rassicurarmi, così che oggi ne parlo a me e alle mie pazienti con estrema tranquillità. La genitorialità ci sfida e ci chiede nuovi equilibri interni ed esterni, più o meno semplici a seconda del nostro copione di vita. Come ogni sfida porta con sé sentimenti contrapposti: ci piace essere genitori E ci piacerebbe restare adulti/bambini, desideriamo i nostri figli E li “subiamo”, li amiamo come sono E li vorremmo diversi, li vogliamo lasciare andare E ci piacerebbe trattenerli. ...[ Superiamola l'ambivalenza con molta preghiera, ora et labora.]
Confronto e supporto – un proverbio africano dice che per crescere un bambino occorre un intero villaggio. [E se educhiamo una figlia stiamo educando un villaggio] La genitorialità diventa più semplice se la rete di confronto tra adulti/genitori come noi è estesa, se i dubbi e le fragilità sono condivise, se il supporto è non giudicante e rispettoso delle scelte educative altrui, così come se al bambino sono offerti più modelli e supporti. Nella mia esperienza, molto spesso mamme-amiche mi hanno proposto significati diversi rispetto al comportamento dei miei figli e questo ha generato nuove opportunità di risposta anche per me.
Scelta – forse la prima e la più importante è quella relativa alla domanda “che genitore sono/ che genitore voglio essere”. Stern afferma che già nel corso della gravidanza la donna inizia a interrogarsi su “se stessa come madre” e “su stessa in quanto figlia nel rapporto con la propria madre”. Diventare genitori ci porta a confrontarci e a rivivere la nostra esperienza come figli e, cosa fantastica, a poter scegliere di cambiare rispetto alle aspettative e ai modelli di chi ci ha cresciuto. Forse questo è uno dei regali più importanti in termini di evoluzione personale che i nostri figli possono farci e che sta a noi sfruttare.
Possibilità – sono tante quelle che la genitorialità “consapevole” offre: quella di guardarsi con occhi nuovi, di scoprire parti di noi che non pensavamo di avere, di modificare e arricchire la nostra identità con nuove opzioni di comportamento e vita. Io non mi sarei mai immaginata così paziente o così pronta a fare scelte lavorative anche molto diverse da quelle che avevo pensato per me. Vivere il ruolo con fluidità, curiosità e accettazione può aprirci nuove possibilità. [Il Matrimonio deve davvero essere vissuto nella Grazia e Luce- Divina tutti i santi giorni della nostra esperienza terrestre].
Benessere – mi piace concludere con quest’ultima parola, così spesso lontana dalla realtà di fatica, stanchezza, responsabilità che tutti i genitori sperimentano. La genitorialità si nutre e non può prescindere dall’attenzione a sé: richiede centratura, attenzione a quanto ci succede per poi rivolgerla verso l’altro. Ci richiama a saperci guardare nelle nostre caratteristiche con uno sguardo benevolo, accogliente e non giudicante. Ci stimola a saperci accettare, magari inserendo i noi stessi di oggi in una storia più ampia che parte dalla nostra infanzia, per poterne capire le origini e gli incidenti di percorso. 
Riconoscendoci con i nostri pregi e difetti, con le nostre ombre e nell’insieme delle nostre sfaccettature, saremo in grado di farlo anche con i nostri figli, generando ben-essere reciproco. [Ma come ottenere tutto questo - cari genitori - se non impariamo con  sante Confessioni a dare i nostri peccati e passi falsi  a Chi ha creato la Famiglia e ne ha voluto fare anch'Egli l'esperienza?]
Queste sono le parole che mi guidano. E voi quale aggiungereste?
AVE MARIA!