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domenica 16 aprile 2023

Ascoltiamo i Santi : " … la porta per cui mi vennero tante grazie fu soltanto l’orazione. "

L’orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente intrattenimento, da solo a solo, con Colui da cui sappiamo d’essere amati. (S. Teresa d’Avila)
… la porta per cui mi vennero tante grazie fu soltanto l’orazione. Se Dio vuole entrare in un’anima per prendervi le sue delizie e ricolmarla di beni, non ha altra via che questa, perché Egli la vuole sola, pura e desiderosa di riceverlo. (S. Teresa d’Avila)
Certo bisogna imparare a pregare. E a pregare si impara pregando, come si impara a camminare camminando. (S. Teresa d’Avila)
…nel cominciare il cammino dell’orazione si deve prendere una risoluzione ferma e decisa di non fermarsi mai, né mai abbandonarla. Avvenga quel che vuole avvenire, succeda quel che vuole succede-re, mormori chi vuole mormorare, si fatichi quanto bisogna faticare, ma piuttosto di morire a mezza strada, scoraggiati per i molti ostacoli che si presentano, si tenda sempre alla méta, ne vada il mondo intero. (S. Teresa d’Avila)
Pensate di trovarvi innanzi a Gesù Cristo, conversate con Lui e cercate di innamorarvi di Lui, tenendolo sempre presente. (S. Teresa d’Avila)
La continua conversazione con Cristo aumenta l’amore e la fiducia. (S. Teresa d’Avila)
Buon mezzo per mantenersi alla presenza di Dio è di procurarvi una sua immagine o pittura che vi faccia devozione, non già per portarla sul petto senza mai guardarla, ma per servirsene ad intrattenervi spesso con Lui ed Egli vi suggerirà quello che gli dovete dire. (S. Teresa d’Avila)
Se parlando con le creature le parole non vi mancano mai, perché vi devono esse mancare parlando con il Creatore? Non temetene: io almeno non lo credo! (S. Teresa d’Avila)
Non siate così semplici da non domandargli nulla! (S. Teresa d’Avila)
Chiedetegli aiuto nel bisogno, sfogatevi con Lui e non lo dimenticate quando siete nella gioia, parlandogli non con formule complicate ma con spontaneità e secondo il bisogno. (S. Teresa d’Avila)
Cercate di comprendere quali siano le risposte di Dio alle vostre domande.Credete forse che Egli non parli perché non ne udiamo la voce? Quando è il cuore che prega, Egli risponde. (S. Teresa d’Avila)
A chi batte il cammino della preghiera giova molto un buon libro. (S. Teresa d’Avila)
Per me bastava anche la vista dei campi, dell’acqua, dei fiori: cose che mi ricordavano il Creatore, mi scuotevano, mi raccoglievano, mi servivano da libri. (S. Teresa d’Avila)
Per molti anni, a meno che non fosse dopo la Comunione, io non osavo cominciare a pregare senza libro. (S. Teresa d’Avila)

domenica 11 ottobre 2020

Ars celebrandi – Preghiera



 Ars celebrandi – Preghiera


Benedetto XVI, 

Omelia IV Domenica di Pasqua, Basilica Vaticana, 

7 maggio 2006


Guardiamo ora più da vicino le tre affermazioni fondamentali di Gesù sul buon pastore. La prima, che con grande forza pervade tutto il discorso sui pastori, dice: il pastore dà la sua vita per le pecore. Il mistero della Croce sta al centro del servizio di Gesù quale pastore: è il grande servizio che Egli rende a tutti noi. Egli dona se stesso, e non solo in un passato lontano. Nella sacra Eucaristia ogni giorno realizza questo, dona se stesso mediante le nostre mani, dona sé a noi. Per questo, a buona ragione, al centro della vita sacerdotale sta la sacra Eucaristia, nella quale il sacrificio di Gesù sulla croce rimane continuamente presente, realmente tra di noi. E a partire da ciò impariamo anche che cosa significa celebrare l'Eucaristia in modo adeguato: è un incontrare il Signore che per noi si spoglia della sua gloria divina, si lascia umiliare fino alla morte in croce e così si dona a ognuno di noi. È molto importante per il sacerdote l'Eucaristia quotidiana, nella quale si espone sempre di nuovo a questo mistero; sempre di nuovo pone se stesso nelle mani di Dio sperimentando al contempo la gioia di sapere che Egli è presente, mi accoglie, sempre di nuovo mi solleva e mi porta, mi dà la mano, se stesso. L'Eucaristia deve diventare per noi una scuola di vita, nella quale impariamo a donare la nostra vita. La vita non la si dona solo nel momento della morte e non soltanto nel modo del martirio. Noi dobbiamo donarla giorno per giorno. Occorre imparare giorno per giorno che io non possiedo la mia vita per me stesso. Giorno per giorno devo imparare ad abbandonare me stesso; a tenermi a disposizione per quella cosa per la quale Egli, il Signore, sul momento ha bisogno di me, anche se altre cose mi sembrano più belle e più importanti. Donare la vita, non prenderla. È proprio così che facciamo l'esperienza della libertà. La libertà da noi stessi, la vastità dell'essere. Proprio così, nell'essere utile, nell'essere una persona di cui c'è bisogno nel mondo, la nostra vita diventa importante e bella. Solo chi dona la propria vita, la trova.

AMDG et DVM

giovedì 16 maggio 2019

Fiducia Accompagnamento Scoperta e stupore Lentezza e presenza Dubbio ed errore ...

Le parole della genitorialità

Annalisa Valsasina
Come mamma e come psicoterapeuta spesso mi interrogo su cosa significhi essere genitore e su quali siano gli “ingredienti” di questo delicato e difficile ruolo. E’ sicuramente riduttivo, oltre che illusorio, pensare di definire tutti i fattori in gioco in una relazione così profonda e complessa, ma mi piace pensare che esistano alcune “parole della genitorialità” che possono rappresentare una traccia e un orientamento di ampio respiro per rendere l’avventura di crescere un figlio anche un viaggio di evoluzione personale.
Provo ad elencarle, non necessariamente in ordine di importanza e naturalmente senza alcuna pretesa di esaustività.
Fiducia – Donald Winnicott, celebre psicoanalista del secolo scorso, sosteneva che “la qualità più importante di una buona madre è una naturale fiducia nelle proprie capacità.” Fiducia, nella genitorialità, per me significa confidare nelle proprie risorse, magari ri – scoprendole proprio grazie al rapporto con il proprio figlio – e credere nella propria capacità di risolvere i problemi che l’essere genitori comunque comporta. Implica uno sguardo benevole su di sé così come la capacità di chiedere aiuto se necessario. Significa anche avere fiducia delle risorse e possibilità del proprio figlio, che se accompagnato e accolto saprà trovare la sua strada. Ricordo al proposito quanto angosciata fossi nel periodo dell’inserimento alla scuola materna di mio figlio e quanto mi avesse aiutato la frase di un amico che mi disse “abbi fiducia, tuo figlio ha tutte le risorse per farcela e scoprirlo farà bene ad entrambi”.
Accompagnamento – la genitorialità per me è un viaggio, ancora in corso. Accompagniamo, più o meno agevolmente, i nostri figli nel loro sviluppo, nella costruzione del loro modo di vedere il mondo, nella possibilità di cogliere il bello della vita e di affrontare le problematiche che si presenteranno. Accompagnare significa per me “dare dei confini sicuri”, stare a fianco, non davanti né dietro, senza sostituirsi alle necessarie esperienze dei figli ma tenendo il contatto con loro. Faranno cose che non ci piacciono (i miei parecchie!) e prenderanno scelte che magari non condividiamo, ma possiamo esserci comunque e percorrere insieme la strada che porterà al loroobiettivo. Mi piace pensare in questo senso a me come genitore come ad un “contenitore” che protegge un seme in crescita. Un seme che appartiene alla vita, non a me.
Scoperta e stupore – ho letto un bellissimo libro di C. L’Ecuyer, Educare allo stupore. Ricorda quanto sia importante per un’educazione attenta e vicina al bambino (anche il nostro…) coltivare il suo stupore e la sua meraviglia nella scoperta del mondo che lo circonda. La cosa bella è che con i figli puoi lasciarti contagiare. Uno stupore che passa attraverso il silenzio, il contatto con la Natura e la Bellezza, il senso del mistero (quanto fanno bene queste cosa anche a noi adulti!). Guardare un bambino che cresce, nelle sue scoperte ed esplorazioni, ci porta a ri- conoscere il mondo accompagnati da occhi differenti e bambini, a ricordarci i nostri di allora. Questa estate i miei figli ed io abbiamo guardato meravigliati un incredibile cielo stellato, completamenti immersi nel buio. Ve lo consiglio, a proposito di stupore!
Lentezza e presenza – non possono mancare queste parole, per rendere possibili molti aspetti della genitorialità. Entrare in contatto con l’altro richiede pazienza, ascolto, attenzione, rispetto dei tempi, una presenza “di qualità” e “sintonizzazione” che poco ha a che fare con i ritmi frenetici in cui spesso viviamo e facciamo crescere i nostri figli. Se i nostri figli iniziano a disegnarci o a raccontarci intenti a parlare al cellulare, il messaggio è chiaro!
Dubbio ed errore – l’essere genitori comporta molte scelte e sicuramente, mettiamoci l’animo in pace, degli errori. Ma possiamo non condannarci per questo, sapendo, come sempre Winnicott sostiene, che “si può soltanto dire che non è pensabile fare di meglio, ma solo così o peggio”. Ciò che muove è il desiderio di far bene per i nostri figli, ma non siamo infallibili e c’è sempre una possibilità di recupero. Si torna alla parola Fiducia e benevolenza verso di sé.
Ambivalenza – per me è stata da subito una compagna e lo è ancora oggi. Per fortuna ho avuto modo sin dall’inizio di esprimerla con chi ha saputo comprendermi e rassicurarmi, così che oggi ne parlo a me e alle mie pazienti con estrema tranquillità. La genitorialità ci sfida e ci chiede nuovi equilibri interni ed esterni, più o meno semplici a seconda del nostro copione di vita. Come ogni sfida porta con sé sentimenti contrapposti: ci piace essere genitori E ci piacerebbe restare adulti/bambini, desideriamo i nostri figli E li “subiamo”, li amiamo come sono E li vorremmo diversi, li vogliamo lasciare andare E ci piacerebbe trattenerli. ...[ Superiamola l'ambivalenza con molta preghiera, ora et labora.]
Confronto e supporto – un proverbio africano dice che per crescere un bambino occorre un intero villaggio. [E se educhiamo una figlia stiamo educando un villaggio] La genitorialità diventa più semplice se la rete di confronto tra adulti/genitori come noi è estesa, se i dubbi e le fragilità sono condivise, se il supporto è non giudicante e rispettoso delle scelte educative altrui, così come se al bambino sono offerti più modelli e supporti. Nella mia esperienza, molto spesso mamme-amiche mi hanno proposto significati diversi rispetto al comportamento dei miei figli e questo ha generato nuove opportunità di risposta anche per me.
Scelta – forse la prima e la più importante è quella relativa alla domanda “che genitore sono/ che genitore voglio essere”. Stern afferma che già nel corso della gravidanza la donna inizia a interrogarsi su “se stessa come madre” e “su stessa in quanto figlia nel rapporto con la propria madre”. Diventare genitori ci porta a confrontarci e a rivivere la nostra esperienza come figli e, cosa fantastica, a poter scegliere di cambiare rispetto alle aspettative e ai modelli di chi ci ha cresciuto. Forse questo è uno dei regali più importanti in termini di evoluzione personale che i nostri figli possono farci e che sta a noi sfruttare.
Possibilità – sono tante quelle che la genitorialità “consapevole” offre: quella di guardarsi con occhi nuovi, di scoprire parti di noi che non pensavamo di avere, di modificare e arricchire la nostra identità con nuove opzioni di comportamento e vita. Io non mi sarei mai immaginata così paziente o così pronta a fare scelte lavorative anche molto diverse da quelle che avevo pensato per me. Vivere il ruolo con fluidità, curiosità e accettazione può aprirci nuove possibilità. [Il Matrimonio deve davvero essere vissuto nella Grazia e Luce- Divina tutti i santi giorni della nostra esperienza terrestre].
Benessere – mi piace concludere con quest’ultima parola, così spesso lontana dalla realtà di fatica, stanchezza, responsabilità che tutti i genitori sperimentano. La genitorialità si nutre e non può prescindere dall’attenzione a sé: richiede centratura, attenzione a quanto ci succede per poi rivolgerla verso l’altro. Ci richiama a saperci guardare nelle nostre caratteristiche con uno sguardo benevolo, accogliente e non giudicante. Ci stimola a saperci accettare, magari inserendo i noi stessi di oggi in una storia più ampia che parte dalla nostra infanzia, per poterne capire le origini e gli incidenti di percorso. 
Riconoscendoci con i nostri pregi e difetti, con le nostre ombre e nell’insieme delle nostre sfaccettature, saremo in grado di farlo anche con i nostri figli, generando ben-essere reciproco. [Ma come ottenere tutto questo - cari genitori - se non impariamo con  sante Confessioni a dare i nostri peccati e passi falsi  a Chi ha creato la Famiglia e ne ha voluto fare anch'Egli l'esperienza?]
Queste sono le parole che mi guidano. E voi quale aggiungereste?
AVE MARIA!

giovedì 10 maggio 2018

Prega!


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Ognuno viva di preghiere nella propria condizione: PG 1137D-1140C

193. Osserviamo che il nostro Re, Iddio sommamente buono, si comporta come i re della terra che sono soliti elargire ai loro soldati i loro benefici direttamente e talora indirettamente, attraverso persone fidate o attraverso i loro domestici. Dio lo fa elargendo i suoi doni secondo l'abito di umiltà di cui siamo rivestiti. 

Inoltre Egli ha in abominazione chi prega accettando i pensieri impuri che gli passano per la mente, voltandogli le spalle come un cortigiano che stando alla presenza del re terreno si rigirasse per parlare con i nemici del suo signore. Hai un'arma per scacciare da te il cane che ti si avvicina sfrontatamente, dagli addosso ogni volta che ti tenta, non cedergli mai. Domanda con animo compunto, cerca il Signore nell'ubbidienza, picchia alla porta senza mai perderti d'animo, perché sta scritto: «Chi domanda riceve, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto».
Guardati dal pregare troppo per una donna, come talora si dà il caso; correresti il rischio di essere depredato dagli astuti tuoi avversari. Non passare in rassegna i consuntivi della tua attività pertinente al corpo per non diventare insidiatore di te stesso. In tempo di preghiera non è davvero il caso di esaminare come vanno condotte le attività pur necessarie e anche spirituali, che ti sottrarrebbero quel che più vale. 
Non cadrà mai chi si sia appoggiato sempre al bastone dell'orazione. Seppure dovesse inciampare non cadrebbe, o non resterebbe a terra; poiché la preghiera ha un potere pio ma assoluto sul cuore di Dio. E di tale utilità per noi, che i demoni ce la vogliono impedire al momento della sinassi [=santa Messa].
Segno di tale utilità è anche il frutto che matura in noi con la sconfitta del nostro avversario, come canta il Salmista: «Io conobbi davvero quanto bene mi volessi dal fatto che in tempo di guerra non permettesti che il nemico ridesse alle mie spalle; perciò gridai a Te con tutto il cuore, corpo-anima-spirito, perché dove si trovano uniti due di questi minimi elementi là c'è Dio in mezzo ad essi».

Non tutti hanno le medesime doti, né secondo il corpo né secondo lo spirito. Per alcuni va bene la preghiera più breve, per altri è buona quella più lunga della salmodia. C'è chi confessa d'essere ancora prigioniero del suo corpo, e c'è chi dice di lottare nell'ignoranza dello spirito; ma se tu invocherai comunque il nostro Re contro i suoi nemici che ti assalgono da ogni parte, abbi fiducia; non dovrai poi far gran fatica nel respingerli, perché essi stessi spontaneamente si allontaneranno ben presto: gli empi infatti non vorranno assistere alla vittoria che su di essi sicuramente riporterai per via della preghiera; anzi se la daranno a gambe come fustigati dalla sferza della tua fervorosa orazione. Tu raccogli tutte le tue forze, e Dio penserà a insegnarti come pregare.

Non possiamo imparare a ben pregare in altra scuola che in quella della stessa orazione che ha per maestro lo Stesso Dio [...] Dio, che «insegna all'uomo la scienza», è il solo che possa insegnare la preghiera; ed elargendola a chi prega, benedice gli anni del giusto.

Estratto dal libro: GIOVANNI CLIMACO, La scala del Paradiso, ED. CITTA' NUOVA.

AMDG et DVM

lunedì 31 ottobre 2016

Non voglio andare all'inferno! GESU' MIO PERDONA LE NOSTRE COLPE ! PRESERVACI DAL FUOCO DELL'INFERNO !


ANNA E CLARA 
(Lettera dall'Inferno)

IMPRIMATUR

E Vicariatu Urbis, die 9 aprilis 1952 

+ ALOYSIUS TRAGLIA
 Archie.us Caesarien. Vicesgerens

INVITO

Il fatto qui esposto ha un'importanza eccezionale. L'originale è in lingua tedesca; delle edizioni sono state eseguite in altre lingue.
Il Vicariato di Roma ha dato il permesso di pubblicare lo scritto. L'«Imprimatur» dell'Urbe è garanzia della traduzione dal tedesco e della serietà del tremendo episodio.
Sono pagine svelte e terribili e raccontano un tenore di vita in cui vivono molte persone dell'odierna società. La misericordia di Dio, permettendo il fatto qui narrato, solleva il velo del più spaventoso mistero che ci attende al termine della vita.
Ne sapranno approfittare le anime?...

PREMESSA

Clara e Annetta, giovanissime, lavoravano in una: Ditta commerciale a*** (Germania).
Non erano legate da profonda amicizia, ma da semplice cortesia. Lavoravano. ogni giorno l'una accanto all'altra e non poteva mancare uno scambio di idee: Clara si dichiarava apertamente religiosa e sentiva il dovere di istruire e richiamare Annetta, quando questa si dimostrava leggera e superficiale in fatto di religione.
Trascorsero qualche tempo assieme; poi Annetta contrasse matrimonio e si allontanò dalla Ditta. Nell'autunno di quell'anno, 1937, Clara trascorreva le vacanze in riva al lago di Garda. Verso la metà di settembre la mamma le mandò dal paese natio una lettera: «E' morta Annetta N... E' rimasta vittima di un incidente automobilistico. L'hanno sepolta ieri nel "Waldfriedhof"».
La notizia spaventò la buona signorina, sapendo che l'amica non era stata tanto religiosi. Era preparàta a presentarsi davanti a Dio?... Morendo all'improvviso, come si sarà trovata?...
L'indomani ascoltò la S. Messa e fece anche la Comunione in sud suffragio, pregando fervorosamente. La notte seguente, 10 minuti dopo la mezzanotte, ebbe luogo la visione...

«Clara, non pregare per me! Sono dannata. Se te lo comunico e te ne riferisco piuttosto lungamente non credere che ciò avvenga a titolo di amicizia. Noi qui non amiamo più nessuno. Lo faccio come costretta. Lo faccio come « parte di quella potenza che sempre vuole il male e opera il bene ».
In verità vorrei vedere anche te approdare a questo stato, dove io ormai ho gettato l'àncora per sempre!
Non stizzirti di questa intenzione. Qui noi pensiamo tutti così. La nostra volontà è impietrita nel male in ciò che voi appunto chiamate « male ». Anche quando noi facciamo qualche cosa di «bene», come io ora, spalancandoti gli occhi sull'inferno, questo non avviene con buona intenzione.

Ti ricordi ancora che quattro anni fa ci siamo conosciute a * * *? Contavi allora 23 anni e ti trovavi colà da mezz'anno quando ci arrivai io.
Tu mi hai levata da qualche impiccio; come a principiante, mi hai dato dei buoni indirizzi. Ma che vuol dire «buono»?
Io lodavo allora il tuo « amore del prossimo». Ridicolo! Il tuo soccorso derivava da pura civetteria, come, del resto, lo sospettavo già fin d'allora. Noi non riconosciamo qui nulla di buono. In nessuno.
Il tempo della mia giovinezza lo conosci. Certe lacune le riempio qui. 

Secondo il piano dei miei genitori, a dire il vero, non sarei neanche dovuta esistere. « Capitò loro appunto una disgrazia». Le mie due sorelle contavano già 14 e 15 anni, quando io tendevo alla luce.
Non fossi mai esistita! Potessi ora annientarmi e sfuggire a questi tormenti! Nessuna voluttà uguaglierebbe quella con cui lascerei la mia esistenza, come un vestito di cenere, che si perde nel nulla.
Ma io devo esistere. Devo esistere così come mi son fatta io: con una esistenza fallita.

Quando papà e mamma, ancora giovani, si trasferirono dalla campagna in città ambedue avevano perduto il contatto con la Chiesa. E fu meglio così.
Simpatizzarono con gente non legata alla chiesa. Si erano conosciuti in un ritrovo danzante e mezz'anno dopo « dovettero » sposarsi.
Nella cerimonia nuziale rimase attaccata a loro tant'acqua santa, che la mamma si recava in chiesa alla Messa domenicale un paio di volte l'anno. [!!!] Non mi ha mai insegnato a pregare davvero. Si esauriva nella cura quotidiana della vita, benché la nostra situazione non fosse disagiata.
Parole come: pregare, Messa, istruzione religiosa, chiesa...  le dico con una ripugnanza intera senza pari. Aborrisco tutto, come odio chi frequenta la chiesa e in genere tutti gli uomini e tutte le cose.
Da tutto, infatti, ci deriva tormento. Ogni cognizione ricevuta in punto di morte, ogni ricordo di cose vissute o sapute, è per noi una fiamma pungente.

E tutti i ricordi ci mostrano quel lato che in essi era grazia, e che noi sprezzammo. Quale tormento è questo! Noi non mangiamo, non dormiamo, non camminiamo coi piedi. Spiritualmente incatenati, guardiamo inebetiti « con urla e stridor di denti » la nostra vita andata in fumo:  odiando e tormentati!
Senti? Noi qui beviamo l'odio come acqua. Anche l'uno verso l'altro. Soprattutto noi odiamo Dio.
Te lo voglio... rendere comprensibile.

I Beati in cielo devono amarlo, perché essi lo vedono senza velo, nella sua bellezza abbagliante. Ciò li beatìfica talmente, da non poterlo descrivere. Noi lo sappiamo e questa cognizione ci rende furibondi. 
Gli uomini in terra che conoscono Dio dalla creazione e dalla rivelazione, possono amarlo; ma non ne sono costretti. Il credente - lo dico digrignando i denti - il quale, meditabondo, contempla Cristo in croce, con le braccia stese, finirà con l'amarlo.
Ma colui al quale Dio si avvicina solo nell'uragano come punitore, come giusto vendicatore, perché un giorno fu da lui ripudiato, come avvenne di noi, costui non può che odiarlo, con tutto l'impeto della sua malvagia volontà, eternamente, in forza della libera accettazione di esseri separati da Dio: risoluzione con la quale, morendo, abbiamo esalato l'anima nostra e che neppure ora ritiriamo e non avremo mai la volontà di ritirare.

Comprendi ora perché l'inferno dura eternamente? Perché la nostra ostinazione giammai si scioglierà da noi.

Costretta, aggiungo che Dio è misericordioso persino verso di noi. Dico « costretta ». Poiché, anche se dico queste cose volutamente, pure non mi è permesso di mentire, come volentieri vorrei. Molte cose le affermo contro la mia volontà. Anche la foga d'improperi, che vorrei vomitare la devo strozzare.
Dio fu misericordioso verso di noi col non lasciare esaurire sulla terra la nostra malvagia volontà, come noi saremmo stati pronti a fare. Ciò avrebbe aumentato le nostre colpe e le nostre pene. Egli ci fece morire anzitempo, come me, o fece intervenire altre circostanze mitiganti.
Ora egli si dimostra, misericordioso verso di noi col non costringerci ad avvicinarci a lui più di quanto lo siamo in questo remoto luogo infernale; ciò diminuisce il tormento.
Ogni passo che mi portasse più vicino a Dio, mi cagionerebbe una pena maggiore di quella che a te recherebbe un passo più vicino a un rogo ardente.

Ti sei spaventata, quando io una volta, durante il passeggio, ti raccontai che mio padre, pochi giorni avanti la mia prima Comunione, mi aveva detto: « Annettina, cerca di meritarti 
un bel vestitino; il resto è una montatura ».
Per il tuo spavento quasi mi sarei perfino vergognata. Ora ci rido sopra. L'unica cosa ragionevole in quella montatura era che ci si ammetteva alla Comunione solo a dodici anni. Io allora, ero già abbastanza presa dalla mania dei divertimenti mondani, così che senza scrupoli mettevo in un canto le cose religiose e non diedi grande importanza alla prima Comunione.
Che parecchi bambini vadano ora alla Comunione già a sette anni, ci mette in furore. Noi facciamo di tutto per dare a intendere alla gente che ai bambini manca una cognizione adeguata. Essi devono prima commettere alcuni peccati mortali.
Allora la bianca Particola non fa più in essi così gran danno, come quando nei loro cuori vivono ancora la fede, la speranza e la carità puh! questa roba ricevute nel battesimo. TI ricordi come abbia già sostenuto sulla terra questa opinione?

Ho accennato a mio padre. Egli era sovente in lite con la mamma. Te ne feci allusione solo raramente; me ne vergognavo. Cosa ridicola la vergogna del male! Per noi, qui tutto è lo stesso.
I miei genitori neanche dormivano più nella medesima camera; ma io con la mamma, e il papà nella camera attigua, dove poteva rincasare liberamente a qualsiasi ora. Beveva molto; in tal modo scialacquava il nostro patrimonio. Le mie sorelle erano ambedue impiegate e abbisognavano esse stesse, dicevano, del denaro che guadagnavano. La mamma, cominciò a lavorare per guadagnare qualche cosa.
Nell'ultimo anno di vita papà batteva spesso la mamma, quando lei non gli voleva dar nulla. Verso di me, invece. fu sempre amorevole. Un giorno te l'ho raccontato e tu, allora, ti sei urtata del mio capriccio (di che cosa non ti sei urtata nei miei riguardi?) un giorno dovette portare indietro, per ben due volte, le scarpe comprate, perché la forma e i tacchi non erano per me abbastanza moderni.

La notte, in cui mio padre fu colpito da apoplessia mortale, avvenne qualche cosa che io, per timore di una interpretazione disgustosa, non riuscii mai a confidarti. Ma ora devi saperlo. E' importante per questo: allora per la prima volta fui assalita dal mio spirito tormentatore attuale.
Dormivo in camera con mia madre. I suoi respiri regolari dicevano il suo profondo sonno.
Quand'ecco mi sento chiamare per nome. Una voce ignota mi dice: « Che sarà se muore papà? ».
Non amavo più mio padre, dacché trattava così villanamente la mamma; come, del resto, non amavo fin d'allora assolutamente nessuno, ma ero solamente affezionata ad alcune persone, che erano buone verso di me. L'amore senza speranza di contraccambio terreno, vive solo nelle anime in stato di Grazia. E io non lo ero.
Così risposi alla misteriosa domanda, senza darmi conto donde venisse: « Ma non muore mica! ».
Dopo una breve pausa di nuovo la stessa domanda chiaramente percepita. « Ma non muore mica! » mi scappò ancora di bocca, bruscamente.
Per la terza volta fui richiesta: « Che sarà se muore tuo padre? ». Mi si presentò alla mente come papà spesso veniva a casa piuttosto ubriaco, strepitava, maltrattava la mamma, e come egli ci aveva messi in una condizione umiliante dinanzi alla gente. Perciò gridai indispettita. « E gli sta bene! ».
Allora tutto tacque.
La mattina seguente, quando la mamma volle mettere in ordine la stanza del babbo, trovò la porta chiusa a chiave. Verso mezzogiorno si forzò la porta. Mio padre, mezzo vestito, giaceva cadavere sul letto. Nell'andare a prendere la birra in cantina, doveva essersi buscato qualche accidente. Era già da lungo tempo malaticcio. (*)

(*) Aveva forse Dio legato la salvezza del padre all'opera buona della figlia, verso la quale quell'uomo era stato pur buono? Quale responsabilità per ognuna, lasciar perdere l'occasione di fare del bene al prossimo!

Marta K ... e tu mi avete indotta a entrare nell' « Associazione delle Giovani ». Veramente non ho mai nascosto che trovavo abbastanza intonate con la moda parrocchiale le istruzioni delle due direttrici, le signorine X ...
I giuochi erano divertenti. Come sai vi ebbi subito una parte direttiva. Ciò mi andava a genio.
Anche le gite mi piacevano. Mi lasciai perfino indurre alcune volte ad andare alla Confessione e alla Comunione.

A dire il vero, non avevo nulla da confessare. Pensieri e discorsi per me non avevano importanza. Per azioni più grossolane, non ero ancora abbastanza corrotta.

Tu mi ammonisti una volta: « Anna, se non preghi, vai alla perdizione! ». Io pregavo davvero poco e anche questo, solo svogliatamente.
Allora tu avevi purtroppo ragione. Tutti coloro che bruciano nell'inferno non hanno pregato, o non hanno pregato abbastanza.
La preghiera è il primo passo verso Dio. E rimane il passo decisivo. Specialmente la preghiera a colei che fu la Madre di Cristo, il nome della quale noi non nominiamo mai.
La devozione a lei strappa al demonio innumerevoli anime, che il peccato gli consegnerebbe infallibilmente nelle mani.

Proseguo il racconto consumandomi d'ira e solo perché devo. Pregare è la cosa più facile che l'uomo possa fare sulla terra. E proprio a questa cosa facilissima Dio ha legato la salvezza di ognuno.
A chi prega con perseveranza egli a poco a poco dà tanta luce, lo fortifica in maniera tale, che alla fine anche il peccatore più impantanato si può definitivamente rialzare. Fosse pure ingolfato nella melma fino al collo.
Negli ultimi anni della mia vita non ho più pregato come di dovere e così mi sono privata delle grazie, senza le quali nessuno può salvarsi.

Qui non riceviamo più nessuna grazia. Anzi, quand'anche le ricevessimo, le rifiuteremmo cinicamente. Tutte le fluttuazioni dell'esistenza terrena sono cessate in quest'altra vita.
Da voi sulla terra l'uomo può salire dallo stato di peccato allo stato di Grazia e dalla Grazia cadere in peccato: spesso per debolezza, talvolta per malizia.
Con la morte questa salire e scendere finisce, perché ha la sua radice nella imperfezione dell'uomo terreno. Ormai. abbiamo raggiunto lo stato finale.
Già col crescere degli anni i cambiamenti divengono più rari. E' vero, fino alla morte si può sempre rivolgersi a Dio o voltargli le spalle. Eppure, quasi trascinato dalla corrente, l'uomo, prima del trapasso, con gli ultimi deboli resti nella volontà, si comporta come era abituato nella vita.
La consuetudine, buona o cattiva, diviene una seconda natura. Questa lo trascina con sè.

Così avvenne anche a me. Da anni vivevo lontana da Dio. Per questo nell'ultima chiamata della Grazia mi risolvetti contro Dio.
Non fu il fatto che peccassi spesso a esser fatale per me, ma che io non volli più risorgere.
Tu mi hai più volte ammonita, di ascoltare le prediche, di leggere libri di pietà. « Non ho tempo », era la mia risposta ordinaria. Non ci mancava altro per aumentare la mia incertezza interna!
Del resto devo constatare questo: dal momento che la cosa era ormai così avanzata, poco prima della mia uscita dalla « Associazione delle Giovani », mi sarebbe riuscito enormemente gravoso mettermi su un'altra via. Io mi sentivo malsicura e infelice. Ma davanti alla conversione si ergeva una muraglia.
Tu non lo devi aver sospettato. Tu te l'eri rappresentata così semplice quando un giorno mi dicesti: « Ma fa una buona Confessione, Anna, e tutto è a posto ».
Io sentivo che sarebbe stato così. Ma il mondo, il demonio, la carne mi tenevano già troppo saldamente nei loro artigli. 

All'influsso del demonio non credetti mai. E ora attesto che egli influisce gagliardamente sulle persone che si trovano nella condizione in cui mi trovavo io allora.
Soltanto molte preghiere, di altri e di me stessa, congiunte con sacrifici e sofferenze, mi avrebbero potuta strappare da lui.
E anche ciò, solo a poco a poco. Se ci sono pochi ossessi esternamente, di ossessi internamente ce n'è un formicolaio. Il demonio non può rapire la libera volontà a coloro che si dànno al suo influsso. Ma in pena della loro, per dir così, metodica apostasia da Dio, questi permette che il « maligno» si annidi in essi.
Io odio anche il demonio. Eppure egli mi piace, perchè cerca di rovinare voialtri; lui e i suoi satelliti, gli spiriti caduti con lui al principio del tempo.

Essi si contano a milioni. Girovagano per la terra, densi come uno sciame di moscerini, e voi neanche ve ne accorgete
Non tocca a noi riprovati di tentarvi; questo è, ufficio degli spiriti decaduti. Veramente ciò accresce ancor più il loro tormento ogni volta che essi trascinano quaggiù all'inferno un'anima umana. Ma che cosa non fa mai l'odio?

Benché io camminassi per sentieri lontani da Dio, Dio mi seguiva.
Preparavo la via alla Grazia con atti di carità naturale che compivo non di rado per inclinazione dei mio temperamento.
Talvolta Dio mi attirava in una chiesa. Allora sentivo come una nostalgia. Quando curavo la mamma malaticcia, nonostante il lavoro d'ufficio durante il giorno, e in certo modo mi sacrificavo davvero, questi allettamenti di Dio agivano potentemente.
Una volta, nella chiesa dell'ospedale, in cui tu mi avevi condotta durante la pausa del mezzogiorno, mi venne qualcosa addosso che sarebbe bastato un solo passo per la mia conversione: io piansi!
Ma poi la gioia del mondo passava di nuovo come un torrente sopra la Grazia.
Il grano soffocava tra le spine.
Con la dichiarazione che la religione è affare di sentimento, come si diceva sempre in ufficio, cestinai anche questo invito della Grazia, come tutti gli altri.
Una volta tu mi rimproverasti, perché invece di una genuflessione fino a terra, feci appena un informe inchino, piegando il ginocchio. Tu lo ritenesti un atto di pigrizia. Non sembrasti neppur sospettare che io fin d'allora non credevo più nella presenza di Cristo nel Sacramento.
Ora ci credo, ma solo naturalmente, come si crede in un temporale di cui si scorgono gli effetti.

Intanto mi ero accomodata io stessa una religione a mio modo.
Sostenevo l'opinione, che da noi in ufficio era comune, che l'anima dopo la morte risorga in un altro essere. In tal modo continuerebbe a pellegrinare senza fine.
Con ciò l'angosciosa questione dell'al di là era insieme messa a posto e resa a me innocua.

 Perché tu non mi hai ricordato la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro, in cui il narratore, Cristo, manda, immediatamente dopo la morte, l'uno all'inferno e l'altro in paradiso?... Del resto, che cosa avresti ottenuto? Nulla di più che con gli altri tuoi discorsi di bigottismo!
A poco a poco mi creai io stessa un Dio: sufficientemente dotato da essere chiamato Dio; lontano abbastanza da me da non dover mantenere nessuna relazione con lui; vago abbastanza da lasciarsi, secondo il bisogno, senza mutar la mia religione; rassomigliare a un Dio panteistico del mondo, oppure da lasciarsi poetizzare come un Dio solitario.
Questo Dio non aveva nessun paradiso da regalarmi e nessun inferno da infliggermi. Lo lasciavo in pace. In ciò consisteva la mia adorazione per lui.

A ciò che piace si crede volentieri. Nel corso degli anni mi tenni abbastanza convinta della mia religione. In questo modo si poteva vivere.
Una cosa soltanto mi avrebbe spezzato la cervice: un lungo, profondo dolore. E questo dolore non venne!
Comprendi ora cosa vuol dire: « Dio castiga quelli che ama »?

Era una domenica di luglio, quando l'Associazione delle giovani organizzò una gita a * * *. La gita mi sarebbe piaciuta. Ma quegli insulsi discorsi, quel fare da bigotti mi
[urtavano]
Un altro simulacro ben diverso da quello della Madonna di * * * stava da poco tempo sull'altare del mio cuore. L'aitante Max N.... del negozio attiguo. Poco tempo prima avevamo scherzato più volte.
Appunto per quella, domenica, egli mi aveva invitata a una gita. Quella con cui andava di solito, giaceva, malata all'ospedale.
Egli aveva ben capito che gli avevo messo gli occhi addosso. Sposarlo non ci pensavo ancora allora. Era bensì agiato, ma si comportava troppo gentilmente con tutte le ragazze. E io, fino a quel tempo, volevo un uomo che appartenesse unicamente a me. Non sola essere moglie, ma moglie unica. Un certo galateo naturale, infatti, l'ebbi sempre.
Nella suaccennata gita Max si profuse in gentilezze. Eh! già, non si tennero mica delle conversazioni pretesche come tra voialtre!
Il giorno seguente, in ufficio, tu mi facesti dei rimproveri, perchè non ero venuta con voi a * * *. Io ti descrissi il mio divertimento di quella domenica.
La tua prima domanda fu: « Sei stata alla Messa? » Sciocchina! Come potevo, dato che la partenza era fissata per le sei?!
Sai ancora, come io, eccitata aggiunsi: « Il buon Dio non ha una mentalità così piccina come i vostri pretacci! ».

Ora devo confessare: Dio, nonostante la sua infinita bontà, pesa le cose con maggior precisione che tutti i preti.
Dopo quella prima gita con Max, venni ancora una volta sola all'Associazione: a Natale, per la celebrazione della festa. C'era qualche cosa che mi allettava a tornare. Ma internamente mi ero già allontanata da voialtre:
Cinema, ballo, gite si avvicendevano senza tregua. Max e io bisticciammo alcune volte, ma seppi sempre incatenarlo di nuovo a me.
Molestissima mi riuscì l'altra amante, che, tornata dall'ospedale, si comportò come un'ossessa. Veramente per mia fortuna; poiché la mia nobile calma fece potente impressione su Max, che fini col decidere, che io fossi la preferita.
Avevo saputo rendergliela odiosa, parlando freddamente: all'esterno positiva, nell'interno vomitando veleno. Tali sentimenti e tale contegno preparano eccellentemente per l'inferno. Sono diabolici nel più stretto senso della parola.

Perché ti racconto ciò? Per riferire come io mi staccai definitivamente da Dio. Non già, del resto, che tra me e Max si sia arrivati molto spesso fino agli estremi della familiarità. Comprendevo che mi sarei abbassata ai suoi occhi, se mi fossi lasciata andare del tutto, prima del tempo; perciò mi seppi trattenere.
Ma in sé, ogni volta che lo ritenevo utile, ero sempre pronta a tutto. Dovevo conquistare Max. A tale scopo nulla era troppo caro. Inoltre, a poco a poco ci amavamo, possedendo ambedue non poche preziose qualità, che ci facevano stimare vicendevolmente. Io ero abile, capace, di piacevole compagnia. Così mi tenni saldamente in mano Max e riuscii, almeno negli ultimi mesi prima del matrimonio, a essere l'unica, a possederlo.
In ciò consistette la mia apostasia da Dio: elevare una creatura a mio idolo. In nessuna cosa può avvenire questo, in modo che abbracci tutto, come nell'amore di una persona dell'altro sesso, quando quest'amore rimane arenato nelle soddisfazioni terrene. E' questo che forma la sua attrattiva, il suo stimolo e il suo veleno.

L' « adorazione », che io tributavo a me stessa nella persona di Max, divenne per, me religione vissuta.

Era il tempo in cui in ufficio mi scagliavo velenosa contro i chiesaioli, i preti, le indulgenze, il biascichìo dei rosari e simili sciocchezze.
Tu hai cercato, più o meno argutamente, di prendere le difese di tali cose. Apparentemente senza sospettare che nel più intimo di me non si trattava, in verità, di queste cose, io cercavo piuttosto un sostegno contro la mia coscienza: allora avevo bisogno di un tale sostegno per giustificare anche con la ragione la mia apostasia.
In fondo in fondo, mi rivoltavo contro Dio. Tu non lo comprendesti; mi ritenevi ancora per cattolica. Volevo, anzi, essere chiamata così; pagavo perfino le tasse ecclesiastiche. Una certa « controassicurazione», pensavo, non poteva nuocere.
Le tue risposte può darsi alle volte abbiano colpito nel segno. Su di me non facevano presa, perché tu non dovevi avere ragione.
A causa di queste relazioni falsate fra noi due, fu meschino il dolore del nostro distacco, allorché ci separammo in occasione del mio matrimonio.

Prima dello sposalizio mi confessai e comunicai ancora una volta, Era prescritto. Io e mio marito su questo punto la pensavamo ugualmente. Perché non avremmo dovuto compiere questa formalità? Anche noi la compimmo, come le altre formalità.
Voi chiamate indegna una tale Comunione. Ebbene, dopo quella Comunione « indegna », io ebbi più calma nella coscienza. Del resto fu anche l'ultima.

La nostra vita coniugale trascorreva, in genere, quanto mai in grande armonia. Su tutti i punti di vista noi eravamo dello stesso parere. Anche in questo: che non volevamo addossarci il peso dei figli. Veramente mio marito ne avrebbe volentieri voluto uno; non di più, si capisce. Alla fine io seppi stornarlo anche da questo desiderio.
Vesti, mobili di lusso, ritrovi da thè, gite e viaggi in auto e simili distrazioni m'importavano di più.
Fu un anno di piacere sulla terra quello trascorso tra il mio sposalizio e la mia repentina morte.
Ogni domenica andavamo fuori in auto, oppure facevamo visite ai parenti di mio marito. Di mia madre ora mi vergognavo. Essi galleggiavano alla superficie dell'esistenza, né più né meno di noi.

Internamente, si capisce, non mi sentii mai felice, per quanto esternamente ridessi. C'era sempre dentro di me qualcosa di indeterminato, che mi rodeva. Avrei voluto che dopo la morte, la quale naturalmente doveva essere ancora molto lontana, tutto fosse finito.
Ma è proprio così, come un giorno, da bambina, sentii dire in una predica: che Dio premia ogni opera buona che uno compie, e quando non la potrà ricompensare nell'altra vita, lo fa sulla terra.
Inaspettatamente ebbi un'eredità dalla zia Lotte. A mio marito riuscì felicemente di portare il suo stipendio a una cifra notevole. Così potei ordinare la nuova abitazione in modo attraente.
La religione non mandava più che da lontano la sua luce, scialba, debole e incerta.
I caffè della città, gli alberghi, in cui andavamo durante i viaggi, non ci portavano certamente a Dio.
Tutti coloro, che frequentavano quei luoghi, vivevano, come noi, dall'esterno all'interno, non dall'interno all'esterno.
Se nei viaggi delle ferie visitammo qualche chiesa, cercavamo di ricrearci nel contenuto artistico delle opere. L'alito religioso che spiravano, specialmente quelle medioevali, sapevo neutralizzarlo col criticare qualche circostanza accessoria: un frate converso impacciato o vestito in modo non pulito, che ci faceva da cicerone; lo scandalo che dei monaci, i quali volevano passare per pii, vendessero liquori; l'eterno scampanio per le sacre funzioni, mentre non si tratta che di far soldi...
Così seppi continuamente scacciare da, me la Grazia ogni volta che bussava. Lasciavo libero sfogo al mio malumore in modo particolare su certe rappresentazioni medioevali dell'inferno nei cimiteri o altrove, nelle quali il demonio arrostisce le anime in brage rosse e incandescenti, mentre i suoi compagni, dalle lunghe code, gli trascinano nuove vittime. 
Clara! L'inferno si può sbagliare a disegnarlo, ma non si esagera mai.
Il fuoco dell'inferno l'ho sempre preso di mira in modo speciale. Tu lo sai come durante un alterco, in proposito ti tenni una volta un fiammifero sotto il naso e ti dissi con sarcasmo: «Ha questo odore?» Tu spegnesti in fretta la fiamma. Qui non la spegne nessuno.

Io ti dico: il fuoco di cui si parla nella Bibbia, non significa tormento della coscienza. Fuoco è fuoco! E' da intendersi letteralmente ciò che ha detto lui: «Via da me, maledetti, nel fuoco eterno! ». Letteralmente.
«Come può lo spirito essere toccato da fuoco materiale? », domanderai. Come può l'anima tua soffrire sulla terra quando tu metti il dito sulla fiamma? Difatti non brucia l'anima; eppure che tormento ne prova tutto l'individuo!
In modo analogo noi qui siamo spiritualmente legati al fuoco, secondo la nostra natura e secondo le nostre facoltà. L'anima nostra è priva del suo naturale battito d'ala; noi non possiamo pensare ciò che vogliamo né come vogliamo. 

Non meravigliarti di queste mie parole. Questo stato, che a voialtri non dice nulla, mi riarde senza consumarmi.

Il nostro maggior tormento consiste nel sapere con certezza che noi non vedremo mai Dio.
Come può questo tormentare tanto, dal momento che uno sulla terra rimane così indifferente?
Fintanto che il coltello giace sulla tavola, ti lascia fredda. Si vede quanto è affilato, ma non lo si prova. Immergi il coltello nella carne e ti metterai a gridare dal dolore.

Adesso noi sentiamo la perdita di Dio; prima la pensavamo soltanto.
Non tutte le anime soffrono in misura eguale.
Con quanta maggior cattiveria e quanto più sistematicamente uno ha peccato, tanto più grave pesa su di lui la perdita di Dio e tanto più lo soffoca la creatura di cui ha abusato.
I cattolici dannati soffrono di più che quelli di altre religioni, perché essi, per lo più, ricevettero e calpestarono più grazie e più luce.
Chi più seppe, soffre più duramente di chi conobbe meno.
Chi peccò per malizia, patisce più acutamente di chi cadde per debolezza.
Mai nessuno patisce più di quello che ha meritato. Oh, se non fosse vero ciò, io avrei un motivo d'odiare!
Tu mi dicesti un giorno che nessuno va all'inferno senza saperlo: ciò sarebbe stato rivelato a una santa.
Io me ne risi. Ma poi mi trincerai dietro questa dichiarazione:
« Così, in caso di necessità, rimarrà abbastanza tempo per fare una «voltata», mi dicevo segretamente.

Quel detto è giusto. Veramente, prima della mia subitanea fine, non conobbi l'inferno com'è. Nessun mortale lo conosce. Ma io ne avevo la piena coscienza: « Se muori, vai nel mondo di là dritta come una freccia contro Dio. Ne porterai le conseguenze ».
Io non feci dietrofront, come ho già detto, perché trascinata dalla corrente dell'abitudine. Spinta da quella conformità per cui gli uomini, quanto più invecchiano, tanto più agiscono in una stessa direzione.

La mia morte avvenne così.
Una settimana fa parlo secondo il vostro computo, perché rispetto al dolore, potrei dire benissimo che son già dieci anni che brucio nell'inferno! una settimana fa, dunque, mio marito e io facemmo di domenica una gita, l'ultima per me.
Il giorno era spuntato radioso. Mi sentivo bene quanto mai. M'invase un sinistro sentimento di felicità, che serpeggiò in me per tutta la giornata.
Quand'ecco all'improvviso, nel ritorno, mio marito fu abbacinato da un'auto che veniva di volata. Perdette il controllo.
« Jesses » (*), mi scappò dalle labbra con un brivido. Non come preghiera, solo come grido. 

(*) Storpiamento di Jesus, usato frequentemente fra alcune popolazioni di lingua tedesca.

Un dolore straziante mi compresse tutta. In confronto con quello presente una bagatella. Poi perdetti i sensi.
Strano! Quella mattina era sorto in me, in modo inspiegabile, questo pensiero: «Tu potresti ancora una volta andare a Messa ». Suonava come un'implorazione.
Chiaro e risoluto, il mio «no» troncò il filo dei pensieri.         «Con queste cose bisogna farla finita una volta. Mi addosso tutte le conseguenze!». Ora le porto.
Ciò che avvenne dopo la mia morte, già lo saprai. La sorte di mio marito, quella di mia madre, ciò che accadde del mio cadavere e lo svolgimento del mio funerale mi son noti nei loro particolari mediante cognizioni naturali che noi qui abbiamo.
Quello, del resto, che succede sulla terra noi lo sappiamo solo nebulosamente. Ma ciò che in qualche modo ci tocca da vicino, lo conosciamo. Così vedo anche dove tu soggiorni.
Io stessa mi risvegliai improvvisamente dal buio, nell'istante del mio trapasso. Mi vidi come inondata da una luce abbagliante.
Fu nel luogo medesimo dove giaceva il mio cadavere. 

Avvenne come in un teatro, quando nella sala d'un tratto si spengono le luci, il sipario si divide rumorosamente e si apre una scena inaspettata, orribilmente illuminata. La scena della mia vita.
Come in uno specchio l'anima mia si mostrò a me stessa. Le grazie calpestate dalla giovinezza fino all'ultimo «no» di fronte a Dio.

Io mi sentii come un assassino, al quale, durante il processo giudiziario, vien portata dinanzi la sua vittima esanime. Pentirmi? Mai! Vergognarmi? Mai!
Però non potevo neppure resistere sotto gli occhi di Dio, da me rigettato. Non mi rimaneva che una cosa: la fuga. Come Caino fuggì dal cadavere di Abele, così l'anima mia fu spinta via da quella vista di orrore.
Questo fu il giudizio particolare: l'invisibile Giudice disse:    « Via da me! ». Allora la mia anima, come un'ombra gialla di zolfo, precipitò nel luogo dell'eterno tormento.

CONCLUDE CLARA

La mattina, al suono dell'Angelus, ancora tutta tremante per la notte spaventosa, mi alzai e corsi per le scale nella cappella.
Il cuore mi pulsava fin sulla gola. Le poche ospiti, inginocchiate vicino a me, mi guardarono; ma forse pensarono che fossi così eccitata per la corsa fatta giù per le scale.
Una signora bonaria di Budapest, che mi aveva osservata, mi disse dopo sorridendo:
Signorina, il Signore vuole essere servito con calma, non di corsa!
Ma poi si accorse che qualcosa d'altro mi aveva eccitato e mi teneva ancora in agitazione. E mentre la signora mi rivolgeva altre buone parole, io pensavo: Dio solo mi basta!
Sì, egli solo mi deve bastare in questa e nell'altra vita. Voglio un giorno poterlo godere in Paradiso, per quanti sacrifici mi possa costare in terra. Non voglio andare all'inferno!

AMDG et BVM