mercoledì 20 febbraio 2019

Rimproverare


Evitare gli eccessi

 In materia di educazione bisogna evitare due eccessi: il primo consiste nell’assenteismo completo; il secondo nella pignoleria. * I bambini, per definizione, mancano dì esperienza; è compito dei genitori avvisarli dei pericoli che possono incontrare. Ma le grida continue e sproporzionate di allarme finiscono con distogliere l’attenzione e la sensibilità; e quando ci sarà un vero pericolo da prevenire, l’intervento dei genitori non sarà preso sul serio.

* In materia di educazione bisogna evitare due eccessi: 
il primo consiste nell’assenteismo completo: “lasciar fare, lasciar passare“, o politica degli occhi chiusi: “fa’ ciò che vuoi, purché mi lasci in pace“, politica di rinuncia che può portare a conseguenze catastrofiche. 
Il secondo consiste nella pignoleria; essere sopra al ragazzo per ogni sciocchezza. Come sempre, il giusto sta nel mezzo: il fanciullo ha bisogno dell’aiuto dell’adulto, aiuto che a volte può anche consistere in una specie di continuo addestramento: il ricordo, per esempio, di un dolore (uno scapaccione o sgridata) in seguito ad un gesto o a un atteggiamento biasimevoli.

* I buoni esempi e gli incoraggiamenti al bene non sono sempre sufficienti nell’educazione. Il fanciullo non nasce perfetto. Ha tendenze anarchiche e, a volte, quando meno ci si pensa, può manifestare un carattere geloso, autoritario, indipendente, solitario, ecc… È dunque normale che babbo e mamma debbano incanalare e orientare nel senso giusto le giovani forze vive, con un rimprovero che, se ben proporzionato e dato a tempo e luogo, contribuirà a fargli toccare con mano i limiti del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto; in una parola, a formare il suo criterio morale.

* Perché un’ammonizione sia efficace bisogna che sia rara e breve. Se assume un atteggiamento teatrale, con strida convulse e acute, perde ogni effetto. Il bambino, dapprima impaurito, poi indifferente, lascerà passare la burrasca a scapito della vostra autorità e, ciò che è peggio, a danno della formazione della sua coscienza, poichè una coscienza non si forma da sola.

* I vostri interventi saranno più fruttuosi se avranno un carattere di pace e serenità, Allora, siatene certi, saranno uditi; e se lì per lì troveranno l’opposizione istintiva del bambino, lo aiuteranno però col tempo a padroneggiarla. 

* La maggior parte dei genitori non sospettano fino a qual punto usino della loro autorità per fare continue ed inutili osservazioni, ripetute raccomandazioni accessorie, sollecitudini esagerate contrarie al bene che si vorrebbe ottenere.
Per poco che si osservi su un treno, in un giardino o in una casa una madre col figlio, si rimane sbalorditi per la quantità di avvisi a volte contraddittori e di rimproveri spesso irragionevoli e ingiustificati che piovono sui poveri piccoli: “Enrico, non correre, ti riscalderai troppo…“, qualche istante dopo: “Non rimanere piantato come un albero, va’ a giocare… Non avvicinarti tanto all’acqua; cadrai… Attento alle scarpe; non sporcarle!.., Sarai ancora disubbidiente come sempre… Enrico, cosa ti ho detto?… È insopportabile un fanciullo così.,.! Sei un buono a nulla; non so che fare con te“. E va ancor bene quando la mamma, non considerando il valore delle parole, non aggiunge: “Mi accorgo che hai il carattere di tuo padre!“.

* La premura materna deve entrare in opera quando è veramente richiesta. Facendo rimproveri senza capo nè coda, si rischia di falsare la coscienza del bambino, che non impara a stimare nel loro giusto valore ordini e proibizioni, di impedirgli di svilupparsi nel suo stile e di fare la sua esperienza personale subendo le conseguenze delle sue sciocchezze o delle sue imprudenze. Naturalmente ciò lo dobbiamo permettere là dove il bambino non corre rischio grave.

* Tra i vantaggi che offre il sistema delle reazioni naturali, noi costatiamo che, in primo luogo, dà allo spirito, in fatto di condotta, l’esatta nozione del bene e del male che deriva dall’esperienza degli effetti buoni e cattivi, secondo, che il fanciullo, provando le conseguenze delle sue cattive azioni, deve riconoscere più o meno chiaramente la giustizia della punizione; terzo, che essendo riconosciuta la giustizia della punizione e questa punizione essendo applicata direttamente dalla natura e non da un individuo, il fanciullo non si irrita, mentre il padre, compiendo il suo dovere passivamente, e cioè lasciando che la natura compia il suo corso, conserva una calma relativa; quarto, che essendo così stornata la mutua esasperazione, tra padri e figli vengono a crearsi legami più dolci e fecondi di buone influenze.

* Quando un bambino cade o urta contro un tavolo, fa un’esperienza di dolore che lo rende più attento per l’avvenire. Se tocca la sbarra di ferro del camino, se passa con la mano sulla fiamma d’una candela o lascia cadere una goccia d’acqua bollente sulla pelle, la scottatura che ne prova è una lezione che non sarà facilmente dimenticata. Un bambino mai puntuale non lo si lascerà andare a passeggio; un bambino negligente, che trascura o rompe gli oggetti di suo uso, subisce dai genitori il rifiuto di sostituire gli oggetti perduti o rotti. Più tardi un bambino che trascura i suoi vestiti sarà privato d’una gita o duna visita agli amici con la famiglia. Infine un giovane spensierato e ozioso non ottiene un posto piacevole; questi sono i castighi delle reazioni naturali che seguono i falli commessi.

* Perchè il bambino diventi cosciente della sua responsabilità e comprenda in modo concreto il valore di ciò che ha detto o commesso, uno dei mezzi più efficaci consiste nell’indurlo a riparare – quando è possibile – materialmente o moralmente il male fatto.

* Meglio rimproverare un fanciullo a tu per tu e a voce bassa (a meno che lo sbaglio non sia stato pubblico).

* Si facciano poche parole col bambino colpevole, non si discuta. Meglio tagliar corto senza ulteriori spiegazioni, col sorriso di chi ha buone ragioni, ma non crede opportuno per il momento manifestarle. Allora il colpevole offeso si sforzerà di indovinare quanto gli nascondete. Le ragioni che ha così spontaneamente trovate gli gioveranno più delle vostre, avendole attinte dalla sua coscienza.

* Non si pretenda sempre che i bambini riconoscano immediatamente il loro torto, poiché è veramente assai difficile che riconoscano subito di aver sbagliato. È già molto quando cessano di dichiararsi innocenti; vuol dire che hanno già coscienza della loro colpevolezza e si arrenderanno alle vostre ragioni. 

* Rimproverando, bisogna evitare assolutamente di paragonare il fanciullo ad un altro: “Guarda come è delicato tuo fratello... — Ah! fossi sempre come il piccolo Giacomo !“, ecc. Ciò servirebbe solo a creare gelosie e inimicizie inconciliabili tra il fanciullo e il modello, 

* Cosa perdonata, cosa passata: non riandate per una sciocchezza da nulla a falli antichi. Ritornarci sopra vuol dire non aver dimenticato e tenere sempre in serbo un episodio umiliante, pronti a propalarlo. C’è da scoraggiare per sempre un bambino, impedendogli così ogni sforzo per correggersi.

* Una lite tra fratelli e sorelle richiama comunemente l’intervento energico dei genitori, Ordinariamente dopo quattro o cinque minuti uno dei figli cede o perché più debole, o perché più ragionevole dell’altro. Perché dunque intervenire quando la cosa si può risolvere da sé in modo soddisfacente?
Non sciupiamo l’autorità per dei nonnulla, a meno che non ci sia qualche prepotenza da parte d’un despota a cui bisogna dare una più esatta nozione della giustizia distributiva e della carità fraterna.

* Conosco due bambini che dormono nella stessa stanza. Naturalmente a volte vengono a lite e quando è ora di andare a dormire giocano. Si è loro raccomandato, ma inutilmente, che quando si va a letto bisogna far silenzio: quando la luce è spenta e la mamma è partita, incomincia la baldoria. Una sera la mamma ritorna per sgridare i disubbidienti. Mezzo conscia della necessità d’infliggere una punizione e semi-intenerita dal sorriso che legge ancora sui piccoli musini, dice: “È dunque così difficile ubbidire? Le mamme sono ben da compatire; devono fare degli uomini buoni e retti con dei fanciulli disubbidienti. Come ci riuscirò con voi? Oh! ve l’assicuro, non è bello”. Era una semplice osservazione e la mamma non prevedeva risposta; ma subito il più giovane dei futuri “uomini buoni e retti” scrolla il capo e dice in tono impacciato: “Sì, Credo che deve essere triste per te quando non siamo buoni“. E la madre si ritira contenta e riconoscente.

5 Marzo 2006 calogeroVita cattolica: Matrimonio, laicato...

AMDG et DVM

martedì 19 febbraio 2019

IL PRIMO MESSAGGIO PER IL TERZO MILLENNIO!

Giovanni Paolo II Messaggi Giornata Mondiale per le Vocazioni
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MESSAGGIO DEL 
SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
PER LA XXXVII GIORNATA MONDIALE 
DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI

Tema: "L'Eucaristia, sorgente di ogni vocazione e ministero nella Chiesa"



Venerati Fratelli nell'Episcopato,
carissimi Fratelli e Sorelle di tutto il mondo!

La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni che verrà celebrata nel clima gioioso delle feste pasquali, reso particolarmente intenso degli eventi giubilari, mi offre l'occasione per riflettere insieme con voi sul dono della divina chiamata, condividendo la vostra sollecitudine per le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata. Il tema che intendo proporvi quest'anno si pone in sintonia con lo svolgimento del Grande Giubileo. Vorrei meditare con voi su: L'Eucaristia, sorgente di ogni vocazione e ministero nella Chiesa. Non è forse l'Eucaristia il mistero di Cristo vivo e operante nella storia? Dall'Eucaristia Gesù continua a chiamare alla sua sequela e ad offrire ad ogni uomo la "pienezza del tempo".

1. "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna" (Gal 4,4).

"La pienezza del tempo si identifica con il mistero dell'Incarnazione del Verbo . . . e con il mistero della Redenzione del mondo" (Tertio millennio adveniente, 1): nel Figlio consustanziale al Padre e fattosi uomo nel grembo della Vergine prende avvio e si compie il "tempo" atteso, tempo di grazia e di misericordia, tempo di salvezza e di riconciliazione.

Cristo rivela il disegno di Dio nei riguardi di tutta la creazione e, in particolare, nei riguardi dell'uomo. Egli "svela pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione" (Gaudium et Spes, 22), nascosta nel cuore dell'Eterno. Il mistero del Verbo incarnato sarà pienamente svelato solo quando ogni uomo e ogni donna saranno in Lui realizzati, figli nel Figlio, membra del suo Corpo mistico che è la Chiesa.

Il Giubileo, e questo in particolare, celebrando i 2000 anni dell'ingresso nel tempo del Figlio di Dio ed il mistero della redenzione, esorta ogni credente a considerare la propria personale vocazione, per completare quel che manca nella sua vita alla passione del Figlio a favore del suo corpo che è la Chiesa (cfr Col 1, 24).

2. "Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: 'Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?'" (Lc 24, 30-32).

L'Eucaristia costituisce il momento culminante nel quale Gesù, nel suo Corpo donato e nel suo Sangue versato per la nostra salvezza, svela il mistero della sua identità ed indica il senso della vocazione d'ogni credente. Il significato della vita umana è, infatti, tutto in quel Corpo ed in quel Sangue, poiché da essi sono giunti a noi la vita e la salvezza. Con essi deve, in qualche modo, identificarsi l'esistenza stessa della persona, la quale realizza se stessa nella misura in cui sa farsi, a sua volta, dono per gli altri.

Nell'Eucaristia tutto questo è misteriosamente significato nel segno del pane e del vino, memoriale della Pasqua del Signore: il credente che si nutre di quel Corpo donato e di quel Sangue versato riceve la forza di trasformarsi a sua volta in dono. Come dice sant'Agostino: "Siate ciò che ricevete e ricevete ciò che siete" (Discorso 272, 1: Nella Pentecoste).

Nell'incontro con l'Eucaristia alcuni scoprono di essere chiamati a diventare ministri dell'Altare, altri a contemplare la bellezza e la profondità di questo mistero, altri a riversarne l'impeto d'amore sui poveri e i deboli, ed altri ancora a coglierne il potere trasformante nelle realtà e nei gesti della vita d'ogni giorno. Ciascun credente trova nell'Eucaristia non solo la chiave interpretativa della propria esistenza, ma il coraggio per realizzarla, sì da costruire, nella diversità dei carismi e delle vocazioni, l'unico Corpo di Cristo nella storia.

Nel racconto dei discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-35), san Luca fa intravedere quanto accade nella vita di colui che vive dell'Eucaristia. Quando "nello spezzare il pane" da parte del "forestiero" si aprono gli occhi dei discepoli, essi si rendono conto che il cuore ardeva loro nel petto mentre lo ascoltavano spiegare le Scritture. In quel cuore che arde possiamo vedere la storia e la scoperta d'ogni vocazione, che non è commozione passeggera, ma percezione sempre più certa e forte che l'Eucaristia e la Pasqua del Figlio saranno sempre più l'Eucaristia e la Pasqua dei suoi discepoli.

3. "Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno" (1 Gv 2, 14).

Il mistero dell'amore di Dio, "nascosto da secoli e da generazioni " (Col 1, 26), è ora rivelato a noi nella "parole della croce" (1 Cor 1, 18), che, dimorando in voi, carissimi giovani, sarà la vostra forza e la vostra luce, e vi svelerà il mistero della personale chiamata. Conosco i vostri dubbi e le vostre fatiche, vi vedo a volte smarriti, comprendo il timore che vi assale dinanzi al futuro. Ma ho pure nella mente e nel cuore l'immagine festosa di tanti incontri con voi nei miei Viaggi apostolici, durante i quali ho potuto costatare la ricerca sincere di verità e d'amore che dimora in ciascuno di voi.

Il Signore Gesù ha piantato la sue tenda in mezzo a noi e da questa sua dimora eucaristica ripete ad ogni uomo e ad ogni donna: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò" (Mt 11, 28).

Cari giovani, andate incontro a Gesù Salvatore! Amatelo e adoratelo nell'Eucaristia! Egli è presente nella Santa Messa, che rende sacramentalmente presente il sacrificio della Croce. Egli viene in noi nella santa comunione e rimane nei tabernacoli delle nostre chiese, perché è nostro amico, amico di tutti, particolarmente di voi giovani, così bisognosi di confidenza e di amore. Da Lui potete trarre il coraggio per essere suoi apostoli in questo particolare passaggio storico: il 2000 sarà come voi giovani lo vorrete e lo edificherete. Dopo tanta violenza e oppressione, il mondo ha bisogno di giovani capaci di "gettare ponti" per unire e riconciliare; dopo la cultura dell'uomo senza vocazione, urgono uomini e donne che credono nella vita e l'accolgono come chiamata che viene dall'Alto, da quel Dio che, poiché ama, chiama; dopo il clima del sospetto e della sfiducia, che inquina i rapporti umani, solo giovani coraggiosi, con mente e cuore aperti a ideali alti e generosi, potranno restituire bellezza e verità alla vita e ai rapporti umani. Allora questo tempo giubilare sarà per tutti davvero "anno di grazia del Signore", un Giubileo vocazionale.

4. "Scrivo a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è fin dal principio" (1 Gv 2, 13).

Ogni vocazione è dono del Padre e, come tutti i doni che vengono da Dio, giunge attraverso molte mediazioni umane: quella dei genitori o degli educatori, dei pastori della Chiesa, di chi è direttamente impegnato in un ministero di animazione vocazionale o del semplice credente. Vorrei con questo messaggio rivolgermi a tutte queste categorie di persone, cui è legata la scoperta ed il sostegno della chiamata divina. Sono consapevole che la pastorale vocazionale costituisce un ministero non facile, ma come non ricordarvi che nulla è più esaltante d'una testimonianza appassionata della propria vocazione? Chi vive con gioia questo dono e lo alimenta quotidianamente nell'incontro con l'Eucaristia saprà spargere nel cuore di tanti giovani il seme buono della fedele adesione alla chiamata divina. E' nella presenza eucaristica che Gesù ci raggiunge, ci immette nel dinamismo della comunione ecclesiale e ci rende segni profetici davanti al mondo.

Vorrei, qui, rivolgere un pensiero affettuoso e grato a tutti quegli animatori vocazionali, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, che si prodigano con entusiasmo in questo faticoso ministero. Non lasciatevi scoraggiare dalle difficoltà, abbiate fiducia! Il seme della chiamata divina, quando è piantato con generosità, darà frutti abbondanti. Di fronte alla grave crisi di vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata che interessa alcune regioni del mondo, occorre, soprattutto in questo Giubileo dell'Anno 2000, operare perché ogni presbitero, ogni consacrato è consacrata riscoprano la bellezza della propria vocazione e la testimonino agli altri. Ogni credente diventi educatore di vocazioni, senza temere di proporre scelte radicali; ogni comunità comprenda la centralità dell'Eucaristia e la necessita di ministri del Sacrificio eucaristico; tutto il popolo di Dio levi sempre più intensa e appassionata l'orazione al Padrone della messe affinché mandi operai nella sua messe. E affidi questa sua preghiera all'intercessione di Colei che è la Madre dell'eterno Sacerdote.

5. Preghiera

Vergine Maria, umile figlia dell'Altissimo,
in te s'è compiuto in modo mirabile
il mistero della divina chiamata.
Tu sei l'immagine di ciò che Dio compie
in chi a Lui si affida;
in te la libertà del Creatore
ha esaltato la libertà della creatura.
Colui che è nato nel tuo grembo
ha congiunto in un solo volere la libertà salvifica di Dio
e l'adesione obbediente dell'uomo.
Grazie a Te, la chiamata di Dio
si salda definitivamente con la risposta dell'uomo-Dio.
Tu primizia di una vita nuova,
custodisci per tutti noi il "Sì" generoso della gioia e dell'amore.
Santa Maria, Madre d'ogni chiamato,
fa che i credenti abbiano la forza
di rispondere con generoso coraggio all'appello divino,
e siano lieti testimoni dell'amore verso Dio
e verso il prossimo.
Giovane figlia di Sion, Stella del mattino
che guidi i passi dell'umanità
attraverso il Grande Giubileo verso l'avvenire,
orienta la gioventù del nuovo millennio
verso Colui che è "la luce vera, che illumina ogni uomo" (Gv 1, 9).
Amen!

Dal Vaticano, 30 Settembre 1999.

AMDG et DVM

Dominica in Quinquagesima ~ Semiduplex II. classis


Lettura del santo Vangelo secondo Luca
Luca 18:31-43
<<In quell'occasione: Gesù presi i dodici a parte, disse loro: Ecco, noi ascendiamo a Gerusalemme, e s'adempirà tutto quanto è stato scritto dai Profeti intorno al Figlio dell'uomo. Eccetera.   >>

Omelia di san Gregorio Papa

Omelia 2 sul Vangelo
I1 nostro Redentore prevedendo che gli animi dei suoi discepoli si sarebbero turbati per la sua passione, predisse loro molto prima e le sofferenze di questa stessa passione, e la gloria della sua risurrezione: affinché quando lo vedessero morire, com'egli aveva annunziato, non dubitassero che non dovesse anche risorgere. Ma perché i discepoli, ancora carnali, non potevano in alcun modo intendere le parole di questo mistero, egli ricorse a un miracolo. Dinanzi ai loro occhi un cieco riacquista la vista: affinché lo spettacolo delle opere divine rafforzasse la fede di coloro che non intendevano l'annunzio di un mistero celeste.

Ma i miracoli del Signore e Salvator nostro, fratelli carissimi, dobbiamo accoglierli così che e li crediamo avvenuti realmente, e che ci vogliono insinuare qualche verità col loro significato. Giacché le sue opere colla potenza mostrano una cosa, e col mistero che contengono ne dicono un'altra. Difatti, secondo la verità storica, noi ignoriamo chi fosse questo cieco: ma ben sappiamo cosa significa allegoricamente. Questo cieco è certamente il genere umano, che, espulso nella persona del nostro primo padre dalle gioie del paradiso, ignorando lo splendore della luce superna, soffre le tenebre della sua condanna. Ma egli è illuminato, grazie alla presenza del suo Redentore, così da vedere già col desiderio le gioie della luce interiore, e dirigere i suoi passi nella via d'una vita santificata dalle buone opere.

È però da notare che si dice che il cieco riceve la vista quando Gesù si avvicina a Gerico. Gerico infatti significa luna: ora la luna nelle sacre scritture è considerata come immagine della debolezza della carne: perché decrescendo tutti i mesi, indica la debolezza del nostro corpo mortale. Mentre dunque il nostro Creatore si avvicina a Gerico, il cieco riacquista la vista: perché allorquando la divinità assunse la debole nostra carne, il genere umano ricevé quella luce che aveva perduta. Per il fatto invero che Dio si assoggettò a ciò ch'è umano, ne venne che l'uomo fu sollevato a ciò ch'è divino. E giustamente ci vien descritto questo cieco a sedere sulla via, accattando. Perché la stessa Verità dice: «Io sono la via» Joan. 14,6.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Preghiamo
Signore, esaudisci clemente le nostre preghiere: e scioltici dai lacci dei peccati, preservaci da ogni avversità. 
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.

AMDG et DVM

Calepòn esthlòn èmmenai



SETTE SAPIENTI

A cura di Diego Fusaro 

Dei cosiddetti “Sette Sapienti” – tra cui viene annoverato lo stesso Talete di Mileto – è possibile dire ben poco di storicamente fondato. Delle sentenze che vengono loro attribuite alcune sono certamente spurie e, come se non bastasse, è arduo stabilire con esattezza quali delle autentiche appartengano all’uno e quali all’altro. Ad ogni modo, i “Sette Sapienti” rappresentano il momento dell’affiorare in primo piano dell’interesse morale prima del sorgere della filosofia morale. Nel suo scritto intitolato Protagora (343 A), Platone fornisce questo elenco:



“Tra gli antichi vi furono Talete di Mileto, Pittaco di Mitilene, Biante di Priene, il nostro Solone, Cleobulo di Lindo, Misone di Chene e settimo tra costoro si annoverava Chilone di Sparta: tutti quanti furono ammiratori, appassionati amanti e discepoli dell’educazione spirituale spartana. E che la loro sapienza fosse di tale natura lo si può capire considerando quelle sentenze concise e memorabili, che furono pronunciate da ciascuno, e che, radunatisi insieme, essi offrirono come primizie di sapienza ad Apollo, nel tempio di Delfi, facendo scolpire quelle sentenze che tutti celebrano: Conosci te stesso (Gnoti sautòn) e Nulla di troppo (Medèn agàn). Ma a che scopo io dico questo? Perché il metodo di filosofare degli antichi consisteva appunto in una concisione spartana. E, in particolare, di Pittaco era famoso questo motto, molto lodato dai sapienti: Difficile è l’essere buoni (Calepòn esthlòn èmmenai)”.


Lo stesso Platone scrive significativamente nella sua opera Carmide (164 D):


“Infatti io dico che la temperanza è proprio questo: ‘conoscere se stessi’, d’accordo in tale definizione con l’autore dell’iscrizione votiva di Delfi; [...] Infatti ‘Conosci te stesso’ e ‘Sii temperante’ sono la stessa cosa, come recita la scritta e come anch’io affermo, ma qualcuno potrebbe credere che abbiano un diverso significato, come mi sembra che sia capitato a quelli che, in seguito, consacrarono delle scritte del tipo ‘Niente di troppo’ e ‘Garanzia porta disgrazia’. Costoro, infatti, credettero che ‘Conosci te stesso’ fosse un consiglio pratico, non un saluto del dio a quanti entravano e così, per non essere da meno nel proporre suggerimenti, fecero porre queste iscrizioni”.

Sulle orme di Demetrio Falereo, Stobeo (Anthol., I, 172), anziché Misone, menziona Periandro, e ci dona la più ricca raccolta delle sentenze attribuite a questi sapienti. Dal momento che esse presentano il sunto della saggezza morale dei Greci prima del nascere della filosofia morale, è bene leggerle per intero.


*** 

Sentenze attribuite a Cleobulo

Cleobulo figlio di Evagora, di Lindo, disse:

1. La misura è la cosa migliore.

2. Si deve rispettare il proprio padre.

3. Bisogna stare bene nel corpo e nell’anima.

4. Bisogna essere desiderosi di ascoltare, e non chiacchieroni.

5. Avere molte e svariate conoscenze è come (o: è sempre meglio che) essere ignorante.

6. Mantenere la lingua pura da empietà.

7. Bisogna essere familiare della virtù, estraneo alla malvagità.

8. Odiare l’ingiustizia, custodire la pietà.

9. Consigliare le decisioni migliori ai concittadini.

10. Mantenere il controllo sul piacere.

11. Non fare nulla con la violenza.

12. Educare i figli.

13. Pregare la fortuna.

14. Risolvere le inimicizie.

15. Considerare un nemico di guerra il nemico del popolo.

16. Non litigare con la moglie e non manifestare troppo affetto verso di lei in presenza di estranei; infatti, il primo atteggiamento può comportare stoltezza, il secondo follia.

17. Non punire i servi sotto l’effetto del vino: altrimenti, sembrerai comportarti in modo sconveniente a causa dell’ubriachezza.

18. Sposarsi con una donna proveniente da una famiglia di pari condizioni: infatti, se ne sposerai una proveniente da una famiglia di condizioni superiori, acquisirai dei padroni, non dei parenti.

19. Non ridere alle battute di chi prende in giro la gente; risulterai antipatico, infatti, a coloro che vengono presi in giro.

20. Quando va bene, non essere superbo; quando va male, non avvilirsi.





Sentenze attribuite a Solone



Solone, figlio di Essecestide, ateniese, disse:

1. Nulla di troppo.

2. Non sedere come giudice, altrimenti risulterai nemico dell’accusato.

3. Fuggi il piacere che produce dolore.

4. Mantieni la virtù della condotta, più affidabile di un giuramento.

5. Poni il sigillo ai discorsi con il silenzio, e al silenzio con il momento opportuno.

6. Non mentire, bensì di’ la verità.

7. Curati delle cose oneste.

8. Non dire cose più giuste dei genitori.

9. Non acquisire amici in fretta, e quelli che hai eventualmente acquisito, non lasciarli in fretta.

10. Apprendendo a essere comandato, imparerai a comandare.

11. Se consideri giusto che gli altri rendano conto del loro operato, assoggéttati anche tu al rendiconto.

12. Consiglia ai concittadini non le cose più piacevoli, ma le migliori.

13. Non insuperbire.

14. Non metterti in compagnia di viziosi.

15. Mantieni relazioni con gli dèi.

16. Venera gli amici.

17. Non dire quello che non sai.

18. Se sai, sta’ zitto.

19. Sii mite con i tuoi.

20. Fornisci indizî evidenti per le cose invisibili.



Sentenze attribuite a Chilone


Chilone, figlio di Damageta, spartano, disse:

1. Conosci te stesso.

2. Mentre bevi, non fare molte chiacchiere: sbaglieresti.

3. Non minacciare le persone libere: non è giusto.

4. Non parlare male del tuo prossimo: altrimenti, sul tuo conto sentirai dire cose di cui dovrai addolorarti.

5. Récati lentamente ai banchetti degli amici; va’ invece incontro velocemente alle loro sventure.

6. Celebra nozze alla buona.

7. Dichiara beato solo chi è morto.

8. Onora chi è più anziano.

9. Odia chi si immischia in quello che non lo riguarda.

10. Scegli una perdita, piuttosto che un guadagno turpe: la prima, infatti, addolorerà una sola volta; l’altro, sempre.

11. Non ridere di chi è sfortunato.

12. Anche se sei impulsivo, cerca di comportarti in modo tranquillo, perché la gente di te abbia rispetto, piuttosto che paura.

13. Sovrintendi alla tua propria casa.

14. La tua lingua non corra avanti rispetto al pensiero.

15. Cerca di contenere l’ira.

16. Non desiderare cose impossibili.

17. Per strada, non affrettarti ad andare avanti.

18. E non gesticolare: denota follia.

19. Obbedisci alle leggi.

20. Se subisci un’ingiustizia, fa’ pace; se subisci un oltraggio, véndicati.



Sentenze attribuite a Talete:


Talete, figlio di Essamia, di Mileto, disse:

1. Dai garanzia, e appresso c’è sventura.

2. Ricòrdati degli amici, presenti e assenti.

3. Non adornare il tuo aspetto esteriore, ma sii bello negli atti.

4. Non arricchirti malamente.

5. Non ti comprometta il tuo discorso nei confronti di quanti ripongono in te la loro fiducia.

6. Non esitare ad adulare i genitori.

7. Non prendere dal padre quello che è vizioso.

8. Quali servigi tu abbia reso ai genitori, tali aspettati di ricevere a tua volta, in vecchiaia, dai figli.

9. È difficile conoscere se stesso.

10. Piacevole in massimo grado è ottenere quello che desideri.

11. La pigrizia è una sciagura.

12. L’intemperanza è una cosa dannosa.

13. Cosa molesta è l’ignoranza.

14. Cerca di imparare e di apprendere il meglio.

15. Non essere pigro, neppure se sei ricco.

16. I mali, nascondili in casa.

17. Fatti invidiare, piuttosto che commiserare.

18. Avvàliti della misura.

19. Non credere a tutti.

20. Incominciando, adorna te stesso.



Sentenze attribuite a Pittaco


Pittaco, figlio di Irra, di Lesbo, dice:

1. Riconosci il momento opportuno.

2. Non dire quello che hai intenzione di fare: se non avrai fortuna, sarai deriso.

3. Avvàliti di ciò che è conveniente.

4. Tutto quello che disapprovi nel tuo prossimo, non farlo tu stesso.

5. Non biasimare un indolente: su gente simile incombe già la vendetta degli dèi.

6. Rendi i depositi.

7. Sopporta, se sei danneggiato dal prossimo in piccola misura.

8. Non dire male dell’amico, e nemmeno bene del nemico: poiché un simile comportamento è illogico.

9. È tremendo conoscere il futuro, sicuro conoscere il passato.

10. La terra è una cosa affidabile, il mare è una cosa infida.

11. Insaziabile è il guadagno.

12. Impadronirsi delle cose proprie.

13. Coltiva la pietà, l’educazione, la temperanza, la saggezza, la verità, la fiducia, l’esperienza, la destrezza, l’amicizia, la sollecitudine, la gestione della casa, l’arte.



Sentenze attribuite a Biante


Biante, figlio di Teutamo, di Priene, disse:

1. La grande maggioranza degli uomini è cattiva.

2. Guardandoti allo specchio – disse –, se appari bello, devi fare cose belle; se appari brutto, devi correggere con la virtù le mancanze della natura.

3. Accìngiti con lentezza a fare qualcosa; ma, in quello che tu abbia incominciato, persévera con costanza.

4. Odia il parlare senza ponderazione, per non sbagliare; segue, infatti, il pentimento.

5. Non essere né sempliciotto, né di cattivi costumi.

6. Non accogliere la stoltezza.

7. Ama la saggezza.

8. Riguardo agli dèi, afferma che esistono.

9. Rifletti sul tuo operato.

10. Ascolta molto.

11. Cerca di parlare a proposito.

12. Se sei povero, non criticare i ricchi, a meno che tu non ne ricavi un grande giovamento.

13. Non elogiare per la sua ricchezza un uomo indegno.

14. Cerca di ottenere in forza della persuasione e non della violenza.

15. Tutto ciò che tu faccia di bello, attribuiscilo agli dèi, non a te stesso.

16. Nella giovinezza, acquisire prosperità; nella vecchiaia, invece, sapienza.

17. Avrai memoria grazie all’esercizio, circospezione grazie al riconoscimento di quanto è opportuno, nobiltà grazie ai modi, temperanza grazie alla fatica, pietà grazie al timore, amicizia grazie alla ricchezza, persuasione grazie al ragionamento, decoro grazie al silenzio, giustizia grazie all’assennatezza, valore grazie al coraggio, potenza grazie all’azione, supremazia grazie alla fama.



Sentenze attribuite a Periandro


Periandro, figlio di Cipselo, di Corinto, disse:

1. Abbi cura di tutto.

2. La tranquillità è una cosa bella.

3. La temerarietà è una cosa pericolosa.

4. Il guadagno è una cosa turpe.

5. * un’accusa della natura.

6. La democrazia è una cosa migliore della tirannide.

7. I piaceri sono mortali; la virtù, immortale.

8. Quando hai fortuna, sii moderato; quando invece hai sfortuna, sii saggio.

9. È meglio morire rispettato, piuttosto che rimanere vivo trovandosi nel bisogno.

10. Renditi degno dei genitori.

11. Cerca di essere lodato da vivo e considerato beato una volta morto.

12. Compòrtati allo stesso modo con gli amici fortunati e sfortunati.

13. Ciò su cui tu sia risultato d’accordo, osservalo; è cosa malvagia, infatti, il trasgredire.

14. Non rivelare discorsi segreti.

15. Rimprovera in maniera tale da risultare ben presto un amico.

16. Quanto alle leggi, attiéniti a quelle antiche; quanto ai cibi, invece, consuma quelli freschi.

17. Non limitarti a castigare quelli che hanno commesso una colpa, ma cerca anche di impedire quelli che stanno per commetterne una.

18. Se sei sfortunato, cerca di nasconderlo, per non fare rallegrare i nemici.

***
Come siamo venuti dicendo in precedenza, queste sentenze sono fondamentali per adombrare i caratteri e i limiti della “riflessione morale” nel suo stadio – se così si può dire – prefilosofico.  Esse sono il prodotto di una lunga e travagliata esperienza, ma sono slegate le une rispetto alle altre, non sono sorrette da un “principio” unificatore, non sono motivate con argomentazioni, e quindi non sono giustificate; stanno quindi al di qua della filosofia, la cui essenza sta – in ultima istanza – nel “rendere ragione” (logon didonai) di ogni cosa, senza lasciare alcunché di immotivato. Il fatto che Talete di Mileto sia annoverato fra i “Sette Sapienti” è, sotto questo profilo, particolarmente interessante. Egli ha fondato la filosofia come indagine fisica e cosmologica (ravvisando nell’acqua l’arché dell’intera realtà), ma non la “filosofia morale”. Del resto, non solo Talete, ma tutti i filosofi “presocratici” come moralisti non andarono oltre il piano della “sentenza” intuitivamente colta: e ciò è dovuto al fatto che essi indagarono il “principio del cosmo”, ma non la “natura dell’uomo in quanto uomo”. Perché potesse sorgere la “filosofia morale” occorreva che l’uomo come tale diventasse oggetto di riflessione della filosofia. Era cioè necessario che venissero determinati l’essenza e il significato dell’uomo in quanto uomo. Cosa che, evidentemente, non accadde con i “Sette Sapienti”. Era altresì necessario che dall’essenza dell’uomo in quanto tale si ricavasse  il concetto di “virtù” (areté). A ciò si addivenne tramite un percorso che, avviato dai Sofisti (i primi a spostare il baricentro dell’indagine filosofico dal cosmo all’uomo, dal cielo alla terra), giunse a compimento con Socrate.

AMDG et DVM