martedì 24 luglio 2018

LORETO MI RAPI'!



<<166 - Dopo Venezia andammo a Padova, venerammo la lingua di sant'Antonio, poi a Bologna, e vedemmo santa Caterina che conserva l'impronta del bacio di Gesù Bambino. Quanti particolari interessanti potrei dare su ciascuna città e riguardo a mille circostanze minute del nostro viaggio! Ma non finirei più, e perciò scriverò soltanto i punti salienti. 

Con gioia lasciai Bologna, la quale mi era diventata insopportabile a causa degli studenti di cui è piena e che formavano siepe quando avevamo la sventura di uscire a piedi; e a causa soprattutto del piccolo incidente avuto con uno di essi, fui felice di prendere la via di Loreto. 

Non sono sorpresa che la Vergine Santa abbia scelto quel luogo per trapiantarvi la sua casa benedetta; la pace, la gioia, la povertà vi regnano sovrane; tutto è semplice e primitivo, le donne hanno conservato il loro garbato costume italiano e non hanno, come quelle di altre città, adottato la moda di Parigi; insomma, Loreto mi rapì! 



167 - Che dirò della santa Casa? La mia emozione era profonda mentre mi trovavo sotto il tetto medesimo della sacra Famiglia, contemplando i muri sui quali Gesù aveva posati i suoi sguardi divini, mentre camminavo sulla terra che san Giuseppe aveva bagnato col suo sudore, ove Maria aveva portato Gesù tra le braccia dopo averlo portato nel suo seno virginale. Ho visto la cameretta ove l'angelo discese presso la Vergine Santa... Ho deposto il mio rosario nella scodella di Gesù Bambino... 
Come sono incantevoli questi ricordi! 
Ma la nostra consolazione più grande fu ricevere Gesù stesso nella sua casa ed essere il tempio vivo di lui nel luogo che egli aveva onorato con la sua presenza. Secondo un'usanza italiana, il ciborio si conserva in ciascuna chiesa sopra un altare solo, e li soltanto si può ricevere la Comunione; quell'altare era nella basilica stessa ove si trova la santa Casa, racchiusa come un diamante prezioso in uno scrigno di marmo bianco. Ciò non bastò per la nostra felicità. Noi volevamo ricevere la Comunione nel diamante stesso e non già nello scrigno.. Papà, con la sua consueta dolcezza fece come gli altri, ma Celina e io andammo a trovare un sacerdote che ci accompagnava dovunque e che proprio allora si preparava a celebrare la Messa nella Santa Casa, per un privilegio speciale. 
Chiese due piccole ostie che depose sulla patena con la sua grande ostia, e lei capisce, Madre mia cara, quale fu il nostro rapimento di far tutte e due la santa Comunione in quella Casa benedetta! Fu una felicità celestiale che le parole non possono tradurre. Che sarà dunque quando riceveremo la Comunione nella dimora eterna del Re dei Cieli? 

Allora non vedremo più finire la gioia nostra, non ci sarà più la tristezza della partenza, e per portare via un ricordo non sarà necessario grattare furtivamente i muri santificati dalla presenza divina, poiché la casa sua sarà nostra per l'eternità. Egli non vuole darci la casa terrena, si contenta di mostrarcela per farci amare la povertà e la vita nascosta; quella che ci riserva è il suo Palazzo di gloria ove non lo vedremo più nascosto sotto l'apparenza di un bambino o di una ostia bianca, ma tale quale è, nel suo splendore infinito >>

Una essenziale pagina storica da molti sconosciuta

Tacito, Historiae, Libro V – 

1. Al principio di quel medesimo anno [era l'anno 70 dopo Cristo], Cesare Tito, incaricato dal padre di stroncare la rivolta in Giudea, potendo contare su un prestigio militare risalente a quando entrambi erano solo privati cittadini, operava col peso di un'influenza ben più rilevante, ora che province ed eserciti gli testimoniavano a gara il loro attaccamento. E per affermarsi come ancora più grande della sua condizione, si presentava maestoso e audace nelle armi, conquistandosi simpatie col suo tono affabile e con la presenza pressoché continua fra le truppe, nel lavoro e nelle marce, pur senza mai intaccare la sua dignità di comandante. Lo accolsero in Giudea tre legioni, la Quinta, la Decima e la Quindicesima, tutti veterani di Vespasiano. Vi aggiunse la Dodicesima dalla Siria e, da Alessandria, uomini della Ventiduesima e della Terza; lo accompagnavano venti coorti alleate, otto squadroni di cavalleria, i re Agrippa e Soemo, rinforzi del re Antioco e un consistente gruppo di Arabi, animati da sentimenti ostili contro i Giudei, per il solito odio tra popoli vicini, e poi molti altri venuti da Roma e dall'Italia, richiamati ciascuno dalla speranza di accaparrarsi l'animo, ancora libero, del principe. Con queste forze entrò, in buon ordine, nel territorio nemico, esplorando ogni zona e pronto a dare battaglia. Il campo lo pose non lontano da Gerusalemme. 

2. Ma poiché mi accingo a raccontare gli ultimi momenti di quella famigerata città, sembra pertinente richiamarne qui le origini. La tradizione vuole che i Giudei, profughi dall'isola di Creta, si siano insediati nelle ultime estremità della Libia, nel tempo in cui Saturno, cacciato a forza da Giove, abbandonò il suo regno. La prova di ciò si evince dal nome: a Creta esiste il celebre monte Ida, i cui abitanti, detti Idei, furono comunemente chiamati Giudei per un barbarico ampliamento del nome. Secondo alcuni, sotto il regno di Iside, la strabocchevole popolazione dell'Egitto si sarebbe riversata, seguendo la guida di Ierosolimo e di Giuda, nelle terre vicine; non pochi, invece, li ritengono di stirpe etiope, spinti a mutar sedi sotto il re Cefeo, dalla paura e dall'odio. Stando al racconto di altri, sarebbero profughi assiri, gente bisognosa di terra che, impadronitasi di una parte dell'Egitto, ha poi avuto proprie città, coltivando le terre ebraiche e le zone più vicine alla Siria. Per altri ancora i Giudei vanterebbero origini illustri: i Solomi, popolo cantato nelle opere di Omero, avrebbero dato a una città da loro fondata, derivandolo dal proprio, il nome di Ierosolima. 

3. Su un punto concorda la maggior parte degli storici: abbattutasi sull'Egitto una pestilenza che deturpava i corpi e recatosi il re Boccori a consultare l'oracolo di Ammone per chiedere un rimedio, ricevette l'ordine di purificare il regno, trasferendo in altro paese gli uomini di quella razza, invisa agli dèi. E così tutta quella gente venne ricercata, raccolta insieme e abbandonata nel deserto. E mentre gli altri, incapaci di agire, piangevano, uno degli esuli, Mosè, li ammonì a non aspettarsi aiuti né di dèi né di uomini, poiché entrambi li avevano abbandonati, ma di affidarsi a lui come a guida venuta dal cielo, perché lui per primo li aveva aiutati a superare le difficoltà presenti. Lo ascoltarono e, ignari di tutto, iniziarono un avventuroso cammino. Ma niente li tormentava quanto la scarsità d'acqua e, ormai vicini a morire, s'accasciavano a terra su tutto il piano, quando una mandria d'asini selvaggi, di ritorno dalla pastura, si ritirò sotto una roccia ombreggiata da alberi. Li seguì Mosè e dal terreno erboso intuì e scoperse una ricca vena d'acqua. Si ripresero. E dopo un cammino ininterrotto di sei giorni, nel settimo, cacciati gli abitanti, occuparono quelle terre in cui fondarono la città e dedicarono il tempio. 

4. Mosè, al fine di consolidare per l'avvenire il suo potere su quel popolo, introdusse nuovi riti contrastanti con quelli degli altri mortali. Là sono empie le cose presso di noi sacre e, viceversa, lecito quanto per noi aborrito. Consacrarono in un santuario, immolando un ariete, quasi in spregio ad Ammone, l'immagine dell'animale da cui avevano tratto indicazioni per trovare il cammino e scacciare la sete. Fu sacrificato anche un bue, poiché gli Egiziani adorano Api. Si astengono dalla carne di maiale, a ricordo del flagello, perché li aveva colpiti un tempo la lebbra, a cui quell'animale è soggetto. Commemorano ancor oggi la lunga fame di un tempo con frequenti digiuni e, a testimonianza delle messi frettolosamente raccolte, si mantiene l'uso del pane giudaico senza lievito. Hanno voluto, si dice, come giorno di riposo il settimo, perché esso segnò la fine delle loro fatiche; poi, lusingati dalla pigrizia, dedicarono all'ozio un anno ogni sette. Alcuni ritengono che lo facciano in onore di Saturno, sia per aver ricevuto il fondamento del culto dagli Idei, che sappiamo cacciati insieme a Saturno e fondatori della gente giudaica, sia perché dei sette astri, che regolano il destino dei mortali, quello di Saturno descrive un'orbita più ampia ed esercita un influsso più determinante, e perché la maggior parte dei corpi celesti tracciano il loro cammino e il loro corso in multipli di sette. 

5. Di questi riti, comunque siano stati introdotti, si giustificano con l'antichità. Le altre usanze, sinistre e laide, s'imposero con la depravazione. Infatti tutti i delinquenti, rinnegata la religione dei padri, là portavano contributi di denaro e offerte, per cui s'accrebbe la potenza dei Giudei, ma anche perché fra di loro sono di un'onestà tetragona e immediatamente disposti alla compassione, mentre covano un odio fazioso contro tutti gli altri. Mangiano separati, dormono divisi; benché sfrenatamente libidinosi, si astengono dall'accoppiarsi con donne straniere, ma fra loro l'illecito non esiste. Hanno istituito la circoncisione per riconoscersi con questo segno particolare e diverso. Chi adotta i loro costumi, segue la medesima pratica, e la prima cosa che imparano è disprezzare gli dèi, rinnegare la patria, spregiare genitori, figli, fratelli. Sta loro a cuore la crescita della popolazione; è infatti proibito sopprimere uno dei figli dopo il primogenito e ritengono eterne le anime dei caduti in battaglia o vittime di supplizi: da qui la loro disponibilità alla procreazione e il disprezzo della morte. Seppelliscono, non cremano i cadaveri, secondo l'uso e con le stesse cerimonie apprese dagli Egizi; riservano la stessa cura ai defunti e condividono la stessa credenza sul mondo degli inferi, e ne hanno una contraria sulla realtà celeste. Gli Egizi adorano moltissimi animali e le loro raffigurazioni in forma composita; i Giudei concepiscono un unico dio e solo col pensiero; profanazione è per loro costruire con materia caduca immagini divine in sembianza umana, perché l'essere supremo ed eterno non può subire una rappresentazione ed è senza fine. Per questo non pongono simulacri di dèi nelle loro città e tanto meno nei loro templi; né riservano tale forma di adorazione per i loro re, né di onore ai Cesari. Ma poiché i loro sacerdoti cantavano accompagnandosi a flauti e timpani, poiché si cingevano le tempie di edera e nel loro tempio venne rinvenuta una vite d'oro, taluni hanno pensato che venerassero il padre Libero, conquistatore dell'Oriente, ma con riti totalmente diversi: in effetti, Libero ha istituito riti all'insegna della festa e della gioia, mentre le pratiche giudaiche sono assurde e cupe. 

6. Il loro territorio confina a oriente con l'Arabia, a mezzogiorno si stende l'Egitto, a occidente i Fenici e il mare, verso settentrione s'affacciano per lungo tratto su un lato della Siria. Gli uomini hanno corpi sani e resistenti alla fatica. Rare le piogge, fertile il suolo; hanno messi come le nostre e in più il balsamo e le palme. Nei palmeti s'innalzano alberi slanciati e imponenti; il balsamo è arbusto piccolo e quando la linfa gonfia i suoi rami, se vi accosti il coltello, le vene dell'arbusto ne risentono per la paura: si aprono con una scheggia di pietra o con un coccio e il liquido è impiegato per usi medicinali. La più alta montagna che si eleva è il Libano: cosa straordinaria a dirsi, fra terre tanto calde, è ombroso e coperto di nevi perenni; è lui che alimenta e ingrossa il fiume Giordano. Ma il Giordano non sfocia nel mare, bensì attraversando, senza perdersi, un primo e un secondo lago, nel terzo finisce. Quest'ultimo, di dimensioni enormi e simile a un mare, ma di sapore più digustoso e dalle esalazioni pestilenziali per i rivieraschi, non è mosso dal vento né consente la vita a pesci o uccelli acquatici. Le sue onde inerti sostengono, come fossero solide, quanto vi si getti sopra, e quindi restano a galla tutti, capaci o no che siano di nuotare. In una certa stagione dell'anno getta fuori bitume, raccolto con una tecnica insegnata, come le altre attività, dall'esperienza. È un liquido nero allo stato naturale che, sparso d'aceto, si rapprende e galleggia. Chi è addetto alla raccolta lo prende con le mani e lo issa sul ponte del natante; qui lo si lascia colare da sé e quando il battello è pieno, si interrompe il flusso. Ma non lo si può scindere tagliandolo col bronzo o col ferro; fugge davanti al sangue o a un panno impregnato di quel sangue, di cui le donne ogni mese si liberano. Così secondo gli autori antichi; ma i conoscitori dei posti riferiscono che le masse galleggianti di bitume sono spinte o trascinate a braccia sulla riva e poi, disseccatesi col calore della terra e la calura del sole, le fanno a pezzi con scuri e cunei, come fossero travi o pietre. 

7. Non lontano è la pianura, che dicono fertile un tempo, abitata da grandi città, bruciate poi dal fulmine; parlano di tracce residue e che la terra stessa, nel suo aspetto disseccato, non abbia più la forza di produrre. La vegetazione spontanea, infatti, o quella seminata dall'uomo, sia erba o fiore, appena normalmente sviluppata, annerisce, si atrofizza e si dissolve come in cenere. Da parte mia, come potrei ammettere che città un tempo stupende siano bruciate per il fuoco celeste, così credo che la terra s'infetti per le esalazioni del lago, che l'aria sovrastante si corrompa e quindi imputridiscano messi e frutta, perché egualmente malsani il suolo e il cielo. Il fiume Belio svanisce anch'esso nel mare di Giudea e attorno alla sua foce si raccoglie una sabbia che, cotta con l'aggiunta di nitro, diventa vetro. Poco estesa è quella spiaggia ma, per chi cava la sabbia, essa è inesauribile. 

8. Gran parte della Giudea è disseminata di borgate; hanno però anche città. La capitale è Gerusalemme, col suo tempio immensamente ricco. Una prima cerchia di mura chiude la città, una seconda la reggia; infine il tempio, cinto da una più interna. I Giudei potevano accedere fino alle porte; la soglia era vietata a tutti, eccetto ai sacerdoti. Finché l'Oriente fu soggetto agli Assiri, ai Medi, ai Persiani, i Giudei furono la parte più spregiata dei loro sudditi; quando prevalsero i Macedoni, il re Antioco tentò di estirpare il loro fanatismo, introducendo i costumi greci, ma la guerra contro i Parti gli impedì di incivilire quella gente sconcia; infatti, proprio allora si era ribellato Arsace. Allora i Giudei, profittando del declino dei Macedoni e della potenza non ancora affermata dei Parti - e i Romani erano lontani - si diedero propri re. Questi, cacciati dalla volubilità del popolo, ripresero il dominio con le armi, non indietreggiando di fronte a fughe di cittadini, a distruzioni di città, a uccisioni di fratelli, di spose, di genitori e di fronte agli altri misfatti propri dei re, e tennero viva quella superstizione, perché assegnavano alla dignità sacerdotale il ruolo di sostenere la propria potenza. 

9. Primo fra i Romani, Gneo Pompeo domò i Giudei e, per diritto di vittoria, entrò nel tempio. Si seppe, allora, che non vi era alcuna immagine di divinità, che il luogo era vuoto e che il santuario tanto segreto non nascondeva nulla. Le mura di Gerusalemme furono abbattute, ma il tempio rimase. Più tardi, al tempo delle guerre civili fra noi Romani, dopo che quelle province finirono sotto il controllo di Marco Antonio, il re dei Parti Pacoro si impadronì della Giudea, ma venne ucciso da Publio Ventidio e i Parti furono ricacciati oltre l'Eufrate; Gaio Sosio allora assoggettò i Giudei. Il regno, affidato da Antonio a Erode, subì ingrandimenti per merito di Augusto, dopo la sua vittoria. Morto Erode, un certo Simone usurpò, senza attendere la volontà dell'imperatore, il nome di re. Costui venne giustiziato da Quintilio Varo, allora governatore della Siria; il popolo fu ridotto all'obbedienza e il regno tripartito fra i figli di Erode. Sotto Tiberio ci fu pace; ma, in seguito all'ordine di Caligola di collocare nel tempio una sua statua, preferirono prendere le armi e solo la sua morte troncò la rivolta. Morti i re o ridotti a un potere limitato, Claudio affidò la provincia di Giudea a cavalieri romani o a liberti. Uno di questi, Antonio Felice, esercitò i poteri regali con animo da servo, fra violenze e arbitrii di ogni tipo; sposò Drusilla, nipote di Cleopatra e Antonio, sicché era progenero di quell'Antonio di cui Claudio era nipote. 

10. Tuttavia i Giudei pazientarono fino al procuratore Gessio Floro: con lui scoppiò la guerra. Nei suoi tentativi di soffocarla, il legato di Siria Cestio Gallo li affrontò in diversi scontri con alterna, ma più spesso avversa, fortuna. Come questi ebbe a morire, o per destino o per i crucci patiti, Vespasiano, inviato da Nerone, grazie alla sua fortuna, alla fama e a ottimi collaboratori, nel giro di due estati, occupava col suo esercito vincitore tutto il piano e tutte le città, tranne Gerusalemme. L'anno seguente, tutto occupato dalla guerra civile, passò tranquillo per i Giudei. Garantita la pace in Italia, ripresero anche i problemi di politica estera. Il risentimento cresceva per il fatto che solo i Giudei non avevano ceduto; ma nel contempo sembrava utile che alla testa degli eserciti rimanesse Tito, per poter far fronte a tutte le evenienze del nuovo principato. 

11. Posto dunque il campo, come s'è detto, davanti alle mura di Gerusalemme, Tito presentò le sue legioni pronte alla battaglia. I Giudei si schierarono proprio a ridosso delle mura, decisi ad avanzare in caso di successo, ma sicuri della ritirata, se respinti. Li affrontò la cavalleria, col sostegno di truppe leggere, in un combattimento d'esito incerto; poi il nemico ripiegò e, nei giorni successivi, s'accendevano di frequente scontri davanti alle porte, finché le continue perdite li ricacciarono dentro le mura. I Romani si accinsero all'assalto, parendo indegno attendere la resa dei nemici per fame e volevano sfidare il pericolo, alcuni per coraggio, molti per fierezza e brama di ricompense. A Tito, poi, s'affacciava alla mente Roma con tutte le sue ricchezze e i suoi piaceri; e gli pareva di tardare a goderli, se Gerusalemme non fosse caduta al più presto. Ma la città, già in posizione ostica, era difesa da un sistema di solide fortificazioni, bastevole a proteggerla tranquillamente anche in pianura. Infatti, i suoi due colli alti e scoscesi erano chiusi da mura volutamente oblique e ad angoli rientranti, perché i fianchi degli assalitori restassero scoperti e sotto tiro. Il lato esterno della roccia era a picco e le torri, alte sessanta piedi, dove aiutava la costa del monte, salivano a centoventi nelle depressioni, sicché, viste da lontano, davano la sorprendente impressione d'essere di eguale altezza. Altre mura all'interno attorniavano la reggia e su tutte spiccava per altezza la torre Antonia, così chiamata da Erode in onore di Marco Antonio. 

12. Sorgeva il tempio a mo' di rocca, con mura particolari, che avevano richiesto maggiore fatica e abilità delle altre; il porticato avvolgente il tempio costituiva di per sé una valida difesa. Potevano disporre di una fonte d'acqua perenne, di sotterranei nella montagna, di piscine e cisterne per l'acqua piovana. L'atipicità dei costumi aveva fatto prevedere ai fondatori guerre frequenti e, quindi, tutto era attrezzato per un assedio anche lunghissimo; e molto avevano suggerito la paura e l'esperienza dopo l'espugnazione operata da Pompeo. Profittando dell'avidità del regime claudiano, acquistarono il diritto di costruire fortezze e così innalzarono, in tempo di pace, mura come per una guerra. E la popolazione s'era ingrossata, per il riversarsi di una massa di gente dalle altre città distrutte; là avevano, infatti, trovato rifugio i più irriducibili avversari di Roma e lo spirito ribelle vi era più diffuso. Tre i capi, altrettanti gli eserciti: Simone presidiava la cinta esterna, la più ampia; Giovanni [chiamato anche Bargiora] il centro della città ed Eleazaro il tempio. Giovanni e Simone traevano la loro forza dal gran numero di armati, Eleazaro dalla posizione: ma non si contavano, fra loro, scontri, tradimenti, incendi, e le fiamme s'erano divorate una gran scorta di frumento. Più tardi Giovanni, fingendo di offrire un sacrificio, manda uomini a massacrare Eleazaro e i suoi, impadronendosi così del tempio. La città si divise allora in due fazioni, finché, con l'avvicinarsi dei Romani, la guerra esterna riportò la concordia. 

13. S'eran verificati dei prodigi; prodigi che quel popolo, schiavo della superstizione ma avverso alle pratiche religiose, non ha il potere di scongiurare, con sacrifici e preghiere. Si videro in cielo scontri di eserciti e sfolgorio di armi e, per improvviso ardere di nubi, illuminarsi il tempio. S'aprirono di colpo le porte del santuario e fu udita una voce sovrumana annunciare: «Gli dèi se ne vanno!» e intanto s'avvertì un gran movimento, come di esseri che partono. Ma pochi ricavavano motivi di paura; valeva per i più la convinzione profonda di quanto contenuto negli antichi scritti dei sacerdoti, che proprio in quel tempo l'Oriente avrebbe mostrato la sua forza e uomini venuti dalla Giudea si sarebbero impadroniti del mondo. Questa oscura profezia annunciava Vespasiano e Tito, ma il volgo, come sempre sollecitato dalla propria attesa, incapace di fare i conti con la realtà anche nei momenti più difficili, interpretava a suo favore un destino così glorioso. La massa degli assediati, d'ogni età e dei due sessi, maschi e femmine, ascendeva, come ci hanno confermato, a seicentomila. Chiunque poteva imbracciare armi; e ad affrontare i rischi eran pronti più di quanto il numero comportasse. Eguale determinazione vivevano uomini e donne e, nella prospettiva d'esser costretti a mutar sede, la vita li spaventava più della morte. Contro questa città e questa gente, poiché la posizione non consentiva un assalto o improvvisi colpi di mano, Cesare Tito decise di combattere impiegando terrapieni e tettoie. Ripartisce i compiti fra le legioni e gli scontri furono sospesi, finché non vennero affrontati con tutti i mezzi escogitati dagli antichi e dai moderni, per espugnare la città.
 

Ad te.



Ad te
"Ad te clamamus miseri, multum desolati.
Nobis aures aperi pectoris sacrati:
Ut a fauce inferi per te liberati,
Consequamur liberi viam tui nati."

Chi è il vero san Francesco?

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 IL PERDONO DI ASSISI
L’INDULGENZA RIGUARDA LA PENA NON L’ASSOLUZIONE DEI PECCATI… specialmente se non confessati e non intenzionati a rigettarli.

Chi è il vero san Francesco? in cosa è l’immagine per antonomasia dell’ortodossia portata allo zelo estremo?
Il vero san Francesco, oggi, a mio parere, lo ritroviamo nel “Perdono di Assisi” dove ritengo sia racchiuso tutto il suo essere e il suo pensiero.
Illuminante, in tal senso, è l’opuscolo che nel 2005 Benedetto XVI ha dedicato proprio a questo “Perdono d’ Assisi”, riproponendo, per altro, la sua stessa esperienza.
Voglio mandarvi tutti in Paradiso”: in questa affermazione si trova il vero san Francesco, con tutto quello che, naturalmente, comporta perché in Paradiso non si va se non per la via stretta dell’ortodossia dei Comandamenti – tutti: nessuno è escluso – che è la via “ordinaria”. Non ci si va senza penitenza, non ci si va se non si è “poveri” bisognosi del Perdono, della misericordia di Dio…
Possiamo citare brevemente il passo dalle Fonti:
(FF 3391-3397): «Insieme ai vescovi dell’Umbria, al popolo convenuto alla Porziuncola, Francesco disse tra le lacrime: “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in paradiso!”». Poco prima, il santo si era recato dal papa Onorio III, che in quei giorni si trovava a Perugia, per chiedergli il privilegio dell’indulgenza plenaria per tutti coloro che in stato di grazia, nel giorno del 2 agosto, avrebbero visitato questa chiesetta, dove egli viveva in povertà, aveva accolto s. Chiara, fondato l’Ordine dei Minori per poi inviarli nel mondo come messaggeri di pace. Alla domanda del Papa: «Francesco, per quanti anni vuoi questa indulgenza?», il santo rispose: «Padre Santo, non domando anni, ma anime». E felice si avviò verso la porta, ma il Pontefice lo chiamò: «Come, non vuoi nessun documento?». E Francesco: «Santo Padre, a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, egli penserà a manifestare l’opera sua; io non ho bisogno di alcun documento; questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni».
Per lucrare l’indulgenza occorre essere in “stato di grazia”: più chiaro di così non si può! Nessuno sconto al peccato. L’indulgenza riguarda infatti la pena, non l’assoluzione dei peccati senza essersi confessati e senza essersi convertiti.
BENEDETTO XVI: QUELLA PREGHIERA CHE SAPEVO CERTAMENTE ESAUDITA
Arrivando ad Assisi da sud, nella piana si incontra la maestosa Basilica di Santa Maria degli Angeli, ma quel che cerchiamo, lo troviamo al centro della Basilica: una cappella medievale in cui degli antichi affreschi ci raccontano episodi della storia della salvezza e della vita di san Francesco, che proprio in questo luogo visse importanti esperienze. In quello spazio basso e poco illuminato possiamo percepire qualcosa del raccoglimento e della commozione che vengono dalla fede dei secoli, che qui ha trovato un luogo di riparo e di orientamento. Al tempo di san Francesco il territorio circostante era coperto di boschi, paludoso e disabitato.
Nel terzo anno dalla sua conversione Francesco si imbatté in questa piccola chiesa, ormai del tutto cadente, la chiesetta della Porziuncola dedicata a Santa Maria degli Angeli, in cui egli venerava la Madre di ogni bontà. Lo stato di abbandono in cui si trovava dovette parergli un triste segno della condizione della Chiesa stessa; egli ancora non sapeva che, restaurando quegli edifici, si stava preparando a rinnovare la Chiesa vivente. Ma proprio in questa cappella gli si fece incontro la chiamata definitiva, che diede alla sua missione la sua vera forma e permise la nascita dell’Ordine dei Frati Minori, all’inizio pensato come un movimento di evangelizzazione che doveva raccogliere di nuovo il popolo di Dio per il ritorno del Signore.
La Porziuncola era divenuta per Francesco il luogo dove finalmente aveva compreso il Vangelo. Si era infatti accorto che non si trattava di parole del passato, ma di un appello che si rivolgeva direttamente ed esplicitamente a lui come persona.
La Porziuncola – lo abbiamo visto – è anzitutto un luogo, ma grazie a Francesco d’Assisi è divenuto una realtà dello spirito e della fede, che proprio qui si fa sensibile e diventa un luogo concreto in cui possiamo entrare, ma grazie al quale possiamo anche accedere alla storia della fede e alla sua forza sempre efficace. Che poi la Porziuncola non ci ricordi solo grandi storie di conversione del passato, non rappresenti solo una semplice idea, ma riesca ancora ad accostarci al legame vivente di penitenza e di grazia, ciò dipende dal cosiddetto “Perdono d’Assisi”, che più propriamente dovremmo chiamare “Perdono della Porziuncola”. Qual è il suo vero significato? Secondo una tradizione che sicuramente risale almeno alla fine del secolo XIII, Francesco nel luglio del 1216 avrebbe fatto visita nella vicina Perugia al papa Onorio III, subito dopo la sua elezione, e gli avrebbe sottoposto una richiesta inusuale: chiese al pontefice di concedere l’Indulgenza plenaria per tutta la loro vita precedente a tutti coloro che si fossero recati nella chiesetta della Porziuncola, confessandosi e facendo penitenza dei propri peccati.
Il cristiano di oggi si chiederà che cosa possa significare un tale Perdono.
Al tempo di san Francesco come forma principale di penitenza imposta dalla Chiesa, in stretto rapporto con il Perdono dei peccati, era invalso l’uso di intraprendere un grande pellegrinaggio, a Santiago, a Roma e, soprattutto a Gerusalemme. Il lungo, pericoloso e difficile viaggio a Gerusalemme poteva davvero diventare per molti pellegrini un viaggio interiore; tuttavia un aspetto molto concreto era anche il fatto che in Terra Santa le offerte che esso portava con sé erano divenute la fonte più importante per il mantenimento della Chiesa locale. In proposito non si dovrebbe storcere troppo facilmente il naso: in tal modo la penitenza acquistava anche una valenza sociale.
Se dunque – come vuole la tradizione – Francesco aveva avanzato la richiesta che tutto questo potesse essere ottenuto con la visita orante al santo luogo della Porziuncola, ciò era legato davvero a qualcosa di nuovo: una Indulgenza, che doveva cambiare l’intera prassi penitenziale. Si può senz’altro comprendere che i cardinali fossero scontenti della concessione di questo privilegio da parte del papa e temessero per il sostentamento economico della Terra Santa, tanto che il Perdono della Porziuncola fu inizialmente ridotto a un solo giorno all’anno, quello della dedicazione della Chiesa, il 2 agosto.
A questo punto, però, ci si domanda se il papa potesse far questo così semplicemente. Può un papa dispensare da un processo esistenziale, quale era quello previsto dalla grande prassi penitenziale della Chiesa? Ovviamente, no. Quel che è un’esigenza interiore dell’esistenza umana, non può essere reso superfluo mediante un atto giuridico. Ma non si trattava affatto di questo. Francesco, che aveva scoperto i poveri e la povertà, nella sua richiesta era spinto dalla sollecitudine per quelle persone a cui mancavano i mezzi o le forze per un pellegrinaggio in Terra Santa; coloro che non potevano dare nulla, se non la loro fede, la loro preghiera, la loro disponibilità a vivere secondo il Vangelo la propria condizione di povertà. In questo senso l’Indulgenza della Porziuncola e la penitenza di coloro che sono tribolati, che la vita stessa carica già di una penitenza sufficiente. Senza dubbio a ciò si legava anche un’interiorizzazione del concetto stesso di penitenza, sebbene non mancasse certamente la necessaria espressione sensibile dal momento che implicava comunque il pellegrinaggio al semplice e umile luogo della Porziuncola, che allo stesso tempo doveva essere un incontro con la radicalità del Vangelo, come Francesco l’aveva appresa proprio in quel posto.
Dopo la concessione di questa particolare Indulgenza si arrivò ben presto a un passo ulteriore. Proprio le persone umili e di fede semplice finirono per chiedersi: perché solo per me stesso? Non posso forse comunicare anche ad altri quel che mi è stato dato in ambito spirituale, come avviene in ambito materiale? Il pensiero si rivolgeva soprattutto alle povere anime, a coloro che nella vita erano stati loro vicini, che li avevano preceduti nell’altro mondo e il cui destino non poteva essere loro indifferente. Si sapeva degli errori e delle debolezze delle persone che erano state care o dalle quali si erano forse ricevuti anche dei dispiaceri. Perché non ci si poteva preoccupare di loro? Perché non cercare di fare loro del bene anche al di là della tomba, di accorrere in loro aiuto, laddove possibile, nel difficile viaggio delle anime? “Se viviamo, viviamo per il Signore; se moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, noi siamo del Signore”, dice Paolo (Rm 14,8). Questo significa: il vero limite non è più la morte, ma l’appartenere o il non appartenere al Signore. Se gli apparteniamo, allora siamo vicini gli uni agli altri per mezzo di lui e in lui. Per questo – era la conseguenza logica – c’è un amore che va al di là dei limiti della morte.
Nei ricordi della mia giovinezza il giorno del Perdono d’Assisi è rimasto come un giorno di grande interiorità, come un giorno in cui si ricevevano i sacramenti in un clima di raccoglimento personale, come un giorno di preghiera. Nella piazza antistante la nostra chiesa parrocchiale in quel giorno regnava un silenzio particolarmente solenne. Entravano e uscivano in continuazione persone dalla chiesa. Si sentiva che il cristianesimo è grazia e che questa si dischiude nella preghiera. Indipendentemente da ogni teoria sull’Indulgenza, era quello un giorno di fede e di silenziosa speranza, di una preghiera che si sapeva certamente esaudita e che valeva soprattutto per i defunti.
Nel corso del tempo, tuttavia, a tutto questo si aggiunse un’altra idea: nell’ambito spirituale tutto appartiene a tutti. Non c’è nessuna proprietà privata. Il bene di un altro diventa il mio e il mio diventa suo. Tutto viene da Cristo, ma poiché noi gli apparteniamo, anche ciò che è nostro diventa suo ed è investito di forza salvifica. È questo ciò che si intende con le espressioni “tesoro della Chiesa” o “meriti” dei santi.
Chiedere l’Indulgenza significa entrare in questa comunione di beni spirituali e mettersi a propria volta a sua disposizione. La svolta nell’idea di penitenza, che ha avuto inizio alla Porziuncola, ha conseguentemente portato a questo punto: anche spiritualmente nessuno vive per se stesso. E solo allora la preoccupazione per la salvezza della propria anima si libera dall’ansia e dall’egoismo, proprio perché diventa preoccupazione per la salvezza degli altri.
Così la Porziuncola e l’Indulgenza che da lì ha avuto origine diventa un compito, un invito a mettere la salvezza degli altri al di sopra della mia e, proprio in questo modo, a trovare anche me stesso. Si tratta di non chiedere più: sarò salvato? Ma: che cosa vuole Dio da me perché altri siano salvati?
L’Indulgenza rinvia alla comunione dei santi, al mistero della sostituzione vicaria, alla preghiera come via per diventare una cosa sola con Cristo e con il suo volere. Egli ci invita a partecipare alla tessitura dell’abito bianco della nuova umanità, che proprio nella sua semplicità è la vera bellezza.
L’Indulgenza in fondo è un po’ come la chiesa della Porziuncola: come bisogna percorrere gli spazi piuttosto freddi ed estranei del grande edificio per trovare al suo centro l’umile chiesetta che tocca il nostro cuore, così occorre attraversare il complesso intreccio della storia e delle idee teologiche per giungere a ciò che è davvero semplice: alla preghiera, con cui ci lasciamo cadere nella comunione dei santi, per cooperare con essi alla vittoria del bene sull’apparente onnipotenza del male, sapendo che alla fine tutto e grazia.
 
Racconta il papa Benedetto XVI, in un passo molto significativo perchè parla anche di se stesso:
Qui devo aggiungere che nel corso del tempo l’indulgenza, in un primo momento riservata solo al luogo della Porziuncola, fu poi estesa prima a tutte le chiese francescane e, infine, a tutte le chiese parrocchiali per il 2 agosto. Nei ricordi della mia giovinezza il giorno del perdono d’Assisi è rimasto come un giorno di grande interiorità, come un giorno in cui si ricevevano i sacramenti in un clima di raccoglimento personale, come un giorno di preghiera. 
Nella piazza antistante la nostra chiesa parrocchiale in quel giorno regnava un silenzio particolarmente solenne. Entravano e uscivano in continuazione persone dalla chiesa. Si sentiva che il cristianesimo è grazia e che questa si dischiude nella preghiera. Indipendentemente da ogni teoria sull’indulgenza (qui vi suggeriamo di leggere il testo integralmente perché spiega altre cose interessanti), era quello un giorno di fede e di silenziosa speranza, di una preghiera che si sapeva certamente esaudita e che valeva soprattutto per i defunti
…”

e ancora:
Nell’ambito spirituale tutto appartiene a tutti. Non c’è nessuna proprietà privata. Il bene di un altro diventa il mio e il mio diventa suo. Tutto viene da Cristo, ma poiché noi gli apparteniamo, anche ciò che è nostro diventa suo ed è investito di forza salvifica. 
È questo ciò che si intende con le espressioni «tesoro della Chiesa» o «meriti» dei santi. 
Chiedere l’indulgenza significa entrare in questa comunione di beni spirituali e mettersi a propria volta a sua disposizione. 
La svolta nell’idea di penitenza, che ha avuto inizio alla Porziuncola, ha conseguentemente portato a questo punto: anche spiritualmente nessuno vive per se stesso. E solo allora la preoccupazione per la salvezza della propria anima si libera dall’ansia e dall’egoismo, proprio perché diventa preoccupazione per la salvezza degli altri. 
Così la Porziuncola e l’indulgenza che da lì ha avuto origine diventa un compito, un invito a mettere la salvezza degli altri al di sopra della mia e, proprio in questo modo, a trovare anche me stesso. Si tratta di non chiedere più: sarò salvato? ma: che cosa vuole Dio da me perché altri siano salvati? 
L’indulgenza rinvia alla comunione dei santi, al mistero della sostituzione vicaria, alla preghiera come via per diventare una cosa sola con Cristo e con il suo volere. Egli ci invita a partecipare alla tessitura dell’abito bianco della nuova umanità, che proprio nella sua semplicità è la vera bellezza. L’indulgenza in fondo è un po’ come la chiesa della Porziuncola: come bisogna percorrere gli spazi piuttosto freddi ed estranei del grande edificio per trovare al suo centro l’umile chiesetta che tocca il nostro cuore, così occorre attraversare il complesso intreccio della storia e delle idee teologiche per giungere a ciò che è davvero semplice: alla preghiera, con cui ci lasciamo cadere nella comunione dei santi, per cooperare con essi alla vittoria del bene sull’apparente onnipotenza del male, sapendo che alla fine tutto è grazia”.

Da: Joseph Ratzinger “Il Perdono di Assisi” Ed. Porziuncola 2005
tratto da

COOPERATORES VERITATIS 28 LUGLIO 2017

La flagelación de Mi Cuerpo Místico

La flagelación de Mi Cuerpo Místico

Alma de la Trinidad, alma consoladora y reparadora de la Trinidad, Dios Padre, Dios Hijo y Dios Espíritu Santo.
Almas consoladoras, reparadoras y fieles a la verdad, necesito para salvar almas en esta generación perversa, que ha sido entregada al dominio del mal, y pronto caerá en manos del anticristo, el que vendrá por su propia cuenta, y Mi Pueblo y muchos más reconocerán como su mesías, siendo el impostor, el hombre de perdición, el demonio encarnado para este final de los tiempos.
Almas reparadoras de todos los pecados, mencionados y cometidos a diario por la gran mayoría de esta humanidad, la cual parece regocijarse en el pecado, pues sin luz han quedado cegados por Satanás, y ya nada ven y nada comprenden de la Verdad, se han extraviado del camino de Salvación, y van camino al abismo eterno, por no querer cambiar ni mostrar ningún dolor de ofenderte ni arrepentimiento a sus malas obras.
Ya va cayendo mayor obscuridad sobre el mundo entero, por la apostasía de la Iglesia que está en Roma, y es ya la sede del anticristo, levantada por el falso profeta; por la rebeldía de las naciones y la soberbia de sus gobernantes, consagrados a Satanás y su obra.
Mi Cuerpo Místico ya lleva tiempo en la noche obscura, con el encarcelamiento de Mi Vicario, Benedicto XVI.
Él, como Yo en aquella noche obscura de Getsemaní, en la Pasión Dolorosa, y ahora mi Cuerpo Místico, está sufriendo estos tiempos, ahora se vivirá la FLAGELACION del Hijo del Hombre en Mi Iglesia, en cada uno y todo Mi Cuerpo Místico, que ya comenzó la FLAGELACION para todos los que están unidos a Mí, su Redentor y Señor.
Mi Iglesia debe vivir Mi Pasión, siguiendo Mis Huellas al martirio, al verdadero amor que se da por amor y Voluntad Divina.
Tiene prisa ya, el maligno, por manifestarse y proclamarse rey y señor.
La persecución, a todo Mi Cuerpo Místico, se da por acción del enemigo, pero para Gloria de Mi Padre y triunfo de la Iglesia, y con ello la derrota del mal, el encadenamiento por mil años de Satanás.
Sabe que, al igual que en el Calvario, será derrotado y lanzado al abismo de fuego, lugar de su morada; sabe que, después del Calvario de Mi Iglesia, Yo la coronaré de Gloria, y vendrá sobre esta tierra, Cielos Nuevos y Tierra Nueva para Mis Fieles; pero él desea llevarse con él al mayor número de almas; por eso, desata ya su furia contra Mi Cuerpo Místico.
Vosotros, que con Mi gracia habéis sido llamados a ser Mi Resto Fiel y perseverar hasta el final dando la vida por el Evangelio y amor a las almas, estáis llamados, en este tiempo, a sufrir Conmigo, a abrazar con amor la Cruz, a ser redentores, pues estáis unidos a Mí, sois miembros de Mi Cuerpo. Estáis llamados a pedir perdón, perdón por tantos pecados, perdón por negar al Hijo del Hombre y rechazar la Cruz de amor, que salva y da Vida Eterna.
Es el tiempo de dar testimonio, de ser otros Cristos en la tierra; sois llamados a interceder en medio del dolor y el sufrimiento en la cruz de cada día, por vuestros hermanos pecadores, duros de corazón y de dura cerviz. Estáis llamados a ser reparadores, consoladores, intercediendo por tantas almas que no están unidas a Mi Cuerpo, sino a Satanás el príncipe de este mundo.
Seréis perseguidos y llevados a la Cruz, muchos serán mártires, y con ello se purificarán para no perderse, y a muchos les conservaré la vida para permanecer hasta el fin, los que aceptaron ser miembros de Mi Cuerpo Crucificado, para después ser coronados y llevados a la Gloria eterna; y otros a formar esos Cielos Nuevos y Tierra Nueva prometidos, después de esta gran tribulación de este final de los tiempos.
Yo clamé perdón en la Cruz a Mi Padre Eterno, perdón por vuestros pecados y del mundo entero, aún por aquellos pecadores que no se arrepentirán, que negarían la Cruz y al Hijo del Hombre, ofrenda de amor, pan bendito del cielo; lo mismo os toca hacer a vosotros unidos a Mí, implorad perdón por los pecados de vuestros hermanos, y Mi Padre tendrá misericordia para los de corazón sincero.
La obscuridad, que ya viven muchos países, se extenderá por todas las naciones, pues todas estarán bajo las tinieblas del maligno y su acción.
A vosotros, Mis fieles os daré Mi Luz y el consuelo del Cielo, que Yo tuve en la Cruz, para perseverar hasta el fin y cumplir vuestra misión, en Mi Pasión Dolorosa, la Pasión de la Iglesia.
Haced caso de Mi Voz que clama en Mis profetas, que son luz en esta hora de tinieblas, pues Yo, que soy Luz, Camino Verdad y Vida, estoy en ellos.
Quién recibe y escucha la voz del profeta y enviado Mío es a Mí, el Hijo del Hombre Dios Verdadero, Paráclito, a quien reciben y escuchan.
Orad el Santo Rosario, unidos en espíritu a Mi Vicario Benedicto XVI, y recibid de Él, vuestro pastor, Mi Santa Bendición. Esto hará una muralla contra el mal y será protección para Mí Resto Fiel, hasta la muerte, ya pronta, de Mi Vicario, y después bajo la guía de Pedro, el Romano, manteniendo vuestro espíritu en uno solo, y firmes y fieles a la Verdad.
Vayamos al Calvario a dar cumplimiento de todo cuanto ha sido escrito desde tiempos antiguos y reafirmado por Mis verdaderos profetas de hoy.
Os amo, almas reparadoras y consoladoras de la Trinidad.