venerdì 1 giugno 2018

Paradiso / S. Maria Faustina Kowalska





La visione del Paradiso di Sr. Faustina Kowalska


27.XI.1936.  “Oggi in ispirito sono stata in Paradiso e ho visto l’inconcepibile bellezza e felicità che ci attende dopo la morte.
Ho visto come tutte le creature rendono incessantemente onore e gloria a Dio. Ho visto quanto è grande la felicità in Dio, che si riversa su tutte le creature, rendendole felici. Poi ogni gloria ed onore che ha reso felici le creature ritorna alla sorgente ed esse entrano nella profondità di Dio, contemplano la vita interiore di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo,  che non riusciranno mai né a capire né a sviscerare.
Questa sorgente di felicità è immutabile nella sua essenza, ma sempre nuova e scaturisce per la beatitudine di tutte le creature. Comprendo ora San Paolo che ha detto: ”Occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò nel cuore d’uomo ciò che Dio prepara per coloro che Lo amano”.
E Dio mi fece conoscere la sola ed unica cosa che ai Suoi occhi ha un valore infinito e questa è l’amore di Dio, l’amore, l’amore ed ancora una volta l’amore. E nulla è paragonabile ad un solo atto di puro amore di Dio. Oh, quali ineffabili favori concede Iddio ad un’anima che Lo ama sinceramente! Oh, felici quelle anime che già qui su questa terra godono dei Suoi particolari favori! Ed esse sono le anime piccole ed umili. Grande è la Maestà di Dio, che ho conosciuto più a fondo, che gli spiriti celesti adorano secondo il grado della loro grazia e la gerarchia in cui si dividono.
La mia anima quando ha visto la potenza e la grandezza di Dio non è stata colpita dallo spavento né dal timore; no, no, assolutamente no! La mia anima è stata colmata di serenità e d’amore e più conosco la grandezza di Dio e più gioisco per come Egli è. E gioisco immensamente per la Sua grandezza e sono lieta di essere così piccola, perché, proprio perché sono piccola, mi prende in braccio e mi tiene accanto al Suo cuore.
O mio Dio, quanta pena mi fanno gli uomini che non credono nella vita eterna! Quanto prego per loro, affinché li investa il raggio della Misericordia e Dio li stringa al Suo seno paterno. O amore, o regina della virtù!
L’Amore non conosce timore; attraversa tutti i cori degli angeli che montano la guardia davanti al Suo trono. Esso non teme nessuno, esso raggiunge Dio e s’immerge in Lui come nel suo unico tesoro. Il Cherubino con la spada di fuoco, che fa la guardia in Paradiso, non ha potere su di esso. O puro amore di Dio, quanto sei grande ed impareggiabile! Oh, se le anime conoscessero la Tua potenza!”
Fonte: La Divina Misericordia nella mia anima – Diario di Santa Maria Faustina Kowalska.
 
Cor Jesu, fragrans amore nostri ,
inflamma cor nostrum amore tui

Aspirazioni amorose a Gesù Sacramentato


II. Fasciculus myrrhae dilectus meus mihi, inter ubera mea commorabitur (Cant. I, 12). L'arboscello di mirra, dopo ch'è ferito, versa per le ferite lagrime e liquore di salute. Il nostro Gesù prima della sua Passione volle per le sue piaghe versare con tanto dolore il suo sangue divino, per donarlo poi tutto a noi per nostra salute in questo pane di vita. 

Vieni dunque, o mio caro fascetto di mirra, o mio innamorato Gesù, che sei a me soggetto di dolore e di compassione quando ti considero impiagato per me sulla croce; ma ricevendoti poi in questo dolcissimo Sacramento ti rendi a me assai più soave che non è gradito ad un sitibondo un grappolo d'uva eletta: Botrus Cypri dilectus meus mihi in vineis Engaddi (Cant. I, 14).2 

Vieni dunque all'anima mia e ristorami e saziami del tuo santo amore. Ah che dolcezza io sento nello spirito mio in pensare d'avere a ricevere dentro di me quello stesso mio Salvatore che per salvarmi volle essere dissanguato e sacrificato sulla croce per me! Inter ubera mea commorabitur. No, mio Gesù, ch'io non mai più avrò a cacciarvi, né mai più voi avrete a partirvi da me. Io voglio sempre amarvi e sempre stare unito e stretto con voi. Io sarò sempre di Gesù, Gesù sarà sempre mio; sempre, sempre, sempre inter ubera mea commorabitur.


III. Dum esset rex in accubitu suo nardus mea dedit odorem suum (Cant. I, 11). Quando Gesù viene ad alloggiare in un'anima colla santa comunione, oh come l'anima alla luce che porta seco questo Re del cielo vede e conosce la sua bassezza. E conforme la pianta di nardo si conosce la più bassa fra l'altre piante, l'anima si confessa la più vile fra tutte le creature: ed allora poi così umiliata, oh che odore soave rende all'amato suo Re; che per ciò l'invita a sempre più seco unirsi.

Anima mia dunque, se vuoi che Gesù in te riposi riguarda la tua bassezza: chi sei?3 che meriti? ed umiliati quanto devi4 cacciando da te ogni stima propria che allontana da te Gesù e l'impedisce di venire in te a riposare. Vieni a me, caro mio Redentore, vieni; e colla tua divina luce fammi vedere la mia bassezza, la mia miseria, il mio niente, acciò tu possa in me riposare con tuo piacere per non separarti più da me.

AMDG et DVM

giovedì 31 maggio 2018

Ogni mistero del Rosario distrugge l'eresia



Distrugge l'eresia.

"Nella contemplazione, il Mio Cuore si è infiammato. Oggi è il primo sabato del mese, e i Miei figli si riuniscono di nuovo nel mondo intero. Io ne ho molti, molti, ed è la gioia del mio Cuore Immacolato.
Io li vedo tutti: quelli che per la prima volta mi regalano i loro "primi saba­ti", e quelli che non lo vogliono fare; e ancora quelli che una volta lo facevano ma che ora non lo voglio­no più fare.



Di Gesù si è detto che tutto ciò che faceva, lo faceva bene. Di Sua Madre, si è detto lo stesso. Allora, se volete fare del vostro meglio, dovete imitare il Figlio di Dio e Sua Mare unendovi a loro.


Recitando il Rosario, bisogna chiedersi: 

- Di questo mistero, che posso applicare nella mia vita? 
- Come posso unirmi a Maria e a Suo Figlio? 
- Come posso scoprire ciò che mi è utile affinché il frutto sia buo­no e che tutto ciò che farò, lo faccia bene?



Satana ha inventato delle eresie per impedire il Rosario, per privare gli uomini del Rosario, perché ogni mistero del Rosario distrugge l'eresia.

AVE MARIA PURISSIMA!

INFERNO

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  • Dai Quaderni di M. Valtorta

  • L'empio sarà condotto al sepolcro, è naturale. Tutti gli aiuti può dare Lucifero ai suoi prediletti, ai suoi fedeli, ai suoi schiavi, ma non l’immunità dalla Morte perché solo Io sono Vita e solo Io ho vinto la Morte. Perciò quando la somma del Male commesso dall’empio, è compiuta, Io do ordine alla  Morte di prendere possesso di quella carne. Essa carne conosce perciò l’orrore del sepolcro e per l’empio sarà vero sepolcro. ( … )
    Le anime, scisse dai corpi, hanno tre dimore e le avranno sinché non ne rimarranno che due, dopo il Giudizio che non errerà. I beati gioiscono immediatamente dell’eterno riposo; i penanti attivamente compiono la loro espiazione pensando all’ora della liberazione in Dio, i
    dannati si agitano nel rovello del bene perduto. No, che tanto meno trovano riposo nella loro terribile tortura, quanto più empi sono stati.
    Ma l’empio, colui che con la sua empietà ha trascinato altri all’empietà e sospinto altri al peccato, sarà come una torre insonne in un mare di tempesta. Davanti a sé la folla degli uccisi (nell’anima) da lui, davanti a sé il ricordo vivo dei tanti omicidi d’anime da lui commessi e il rimorso, che non dà pace a chi uccide, dal giorno che Caino sparse il sangue del fratello, lo flagellerà ben più atrocemente dei flagelli infernali.
    Veglierà sul suo Delitto che si avventò contro Dio nelle creatura di Dio e che come belva infuriata portò strage nelle anime. Tremendo avere davanti a sé la prova del malfatto! Castigo aggiunto ai castighi! Orrore senza numero, come senza numero sono le colpe dell’empio fra i peccatori. 7.8.43
  • Gli uomini di questo tempo non credono più all’esistenza dell’inferno, si sono congegnati un al di là a loro gusto e tale da essere meno terrorizzante alla loro coscienza meritevole di molto castigo. Discepoli più o meno fedeli allo Spirito del Male, sanno che la loro coscienza arretrerebbe da certi misfatti, se realmente credesse all’Inferno, così come la fede insegna che sia; sanno che la loro coscienza, a misfatto compiuto, avrebbe dei ritorni in se stessa e nel rimorso troverebbe il pentimento, nella paura troverebbe il pentimento e col pentimento la via per tornare a Me.
    La loro malizia, istruita da Satana, al quale sono servi o schiavi (a seconda della loro aderenza ai voleri e alle suggestioni del Maligno) non vuole questi arretramenti e questi ritorni. Annulla perciò la fede nell’Inferno quale realmente è e ne fabbrica un altro, se pure se lo fabbrica, il quale non è altro che una sosta per prendere lo slancio ad altre, future elevazioni.
    Spinge questa sua opinione sino a credere sacrilegamente, che il più grande di tutti i peccatori dell’umanità, il figlio diletto di Satana, colui che era ladro, com’è detto nel Vangelo, che era concupiscente e ansioso di gloria umana, come dico Io, l’Iscariota, che per fame della triplice concupiscenza si è fatto mercante del Figlio di Dio, e per trenta monete e col segno di un bacio – un valore monetario irrisorio e un valore affettivo infinito – mi ha messo nelle mani dei carnefici, possa redimersi e giungere a Me passando per fasi successive. No. Se egli fu il sacrilego per eccellenza, Io non lo sono. Se egli fu quello che sparse con sprezzo il mio Sangue, Io non lo sono. Perdonare a Giuda sarebbe sacrilegio alla mia divinità da lui tradita, sarebbe ingiustizia verso tutti gli altri uomini, sempre meno colpevoli di lui e che pure sono puniti per i loro peccati, sarebbe sprezzo al mio Sangue, sarebbe infine venire meno alle mie leggi.
    Ho detto, Io Dio Uno e Trino, che ciò che è destinato all’Inferno dura in esso per l’eternità, perché da quella morte non si esce a nuova risurrezione. Ho detto che quel fuoco è eterno e che in esso saranno accolti tutti gli operatori di scandali e d’iniquità. Né crediate che ciò sia sino al momento della fine del mondo. No, che anzi, dopo la tremenda rassegna, più spietata si farà quella dimora di pianto e tormento, poiché ciò che ancora è concesso ai suoi ospiti d’avere per loro infernale sollazzo – il poter nuocere ai viventi e il vedere nuovi dannati precipitare nell’abisso – più non sarà e la porta del Regno nefando di Satana sarà ribattuta, inchiavardata dai miei angeli, per sempre, per sempre, per sempre, il cui numero di anni non ha numero e rispetto al quale, se anni divenissero i granelli di rena di tutti gli oceani della terra, sarebbero meno di un giorno di questa mia eternità immisurabile, fatta di luce e di gloria nell’alto per i benedetti, fatta di tenebre e orrore per i maledetti nel profondo. ( … )
    L’Inferno è luogo in cui il pensiero di Dio, il ricordo del Dio intraveduto nel particolare giudizio non è, come per i purganti, santo desiderio, nostalgia accorata ma piena di speranza, speranza piena di tranquilla attesa, di sicura pace che raggiungerà la perfezione quando diverrà conquista di Dio, ma che già dà allo spirito purgante un’ilare attività purgativa perché ogni pena, li avvicina a Dio, loro amore; ma è rimorso, è rovello, è dannazione, è odio. Odio verso Satana, odio  verso gli uomini, odio verso sé stessi. Dopo aver adorato Satana, nella vita, al posto mio, ora che lo possiedono e ne vedono il vero aspetto, non più celato sotto il maliardo sorriso della carne, sotto il lucente brillio dell’oro, sotto il potente segno della supremazia, lo odiano perché causa del loro tormento.
    Dopo avere, dimenticando la loro dignità di figli di Dio, adorato gli uomini sino a farsi degli assassini, dei ladri, dei barattieri, dei mercanti d’immondezze per loro, adesso che ritrovano i loro padroni per i quali hanno ucciso, rubato, truffato, venduto il proprio onore e l’onore di tante creature infelici, deboli, indifese, facendone strumento al vizio che le bestie non conoscono – alla lussuria, attributo dell’uomo avvelenato da Satana – adesso li odiano perché causa del loro tormento.
    Dopo avere adorato se stessi dando alla carne, al sangue, ai sette appetiti della loro carne e del loro sangue, tutte le soddisfazioni, calpestando la Legge di Dio e la legge della moralità, ora si odiano perché si vedono causa del loro tormento.
    La parola “Odio” tappezza quel regno smisurato; rugge in quelle fiamme; urla nei chiachinni dei demoni; singhiozza e latra nei lamenti dei dannati; suona, suona, suona come un’eterna campana a martello; squilla come una eterna buccina di morte; empie di sé i recessi di quella carcere; è, di suo, tormento, perché rinnovella ad ogni suono, il ricordo dell’Amore per sempre perduto, il rimorso di averlo voluto perdere, il rovello di non poterlo mai più rivedere.
    L’anima morta, fra quelle fiamme, come quei corpi gettati nei roghi o in un forno crematorio, si contorce e stride come animata di nuovo da un movimento vitale e si risveglia per comprendere il suo errore e muore e rinasce a ogni momento con sofferenze atroci, perché il rimorso la uccide in una bestemmia e l’uccisione la riporta a rivivere per un nuovo tormento. Tutto il delitto d’aver tradito Dio nel tempo, sta di fronte all’anima nell’eternità; tutto l’errore d’aver ricusato Dio nel tempo, sta per suo tormento, presente a essa per l’eternità.
    Nel fuoco le fiamme simulano le larve di ciò che adorarono in vita, le passioni si dipingono in roventi pennellate con i più appetitosi aspetti e stridono, stridono il loro memento: Hai voluto il fuoco delle passioni, ora abbiti il fuoco acceso di Dio il cui santo Fuoco hai deriso.
    Fuoco risponde a fuoco. In Paradiso è fuoco d’amore perfetto, in Purgatorio è fuoco d’amore purificatore, in Inferno è fuoco d’amore offeso. Poiché gli eletti amarono alla perfezione, l’Amore a loro si dona nella sua Perfezione. Poiché i purganti amarono tiepidamente, l’Amore si fa fiamma per portarli alla Perfezione. Poiché i maledetti arsero di tutti i fuochi, meno che del Fuoco di Dio, il fuoco dell’ira di Dio li arde in eterno e nel fuoco è gelo.
    Oh! Che sia l’Inferno non potete immaginare. Prendete tutto quanto è tormento dell’uomo sulla terra: fuoco, fiamma, gelo, acque che sommergono, fame, sonno, sete, ferite, malattie, piaghe, morte e fatene un’unica somma e moltiplicatela milioni di volte. Non avrete che una larva di quella tremenda verità.
    Nell’ardore insostenibile sarà commisto il gelo siderale. I dannati arsero di tutti i fuochi umani avendo unicamente gelo spirituale per il Signore Iddio loro. E gelo li attende per congelarli dopo che il fuoco li avrà salati come pesci messi ad arrostire su una fiamma. Tormento nel tormento questo passare dall’ardore che scioglie al gelo che condensa.(…)
    La parola “Odio” tappezza quel regno smisurato; rugge in quelle fiamme; urla nei chiachinni dei demoni; singhiozza e latra nei lamenti dei dannati; (…)
    L’oscurità sarà il terzo tormento. Oscurità materiale e oscurità spirituale. Esser per sempre nelle tenebre dopo aver visto la luce del paradiso ed essere nell’abbraccio della Tenebra dopo aver visto la Luce che è Dio!  Dibattersi in quell’orrore tenebroso in cui s’illumina solo, al riverbero dello spirito arso, il nome del peccato per cui sono in esso orrore, confitti. Non trovare appiglio, in quel rimestìo di spiriti che si odiano e si nuocciono a vicenda, altro che nella disperazione che li rende folli e sempre più maledetti. Nutrirsi di essa, appoggiarsi ad essa, uccidersi con essa. La morte nutrirà la morte, è detto. La disperazione è morte e nutrirà questi morti per l’eternità. (…)
    La vita non dura per questi pochi giorni della terra. La vita incomincia quando vi pare finisca e non ha più termine.
    Fate che per voi scorra là dove la luce e la gioia di Dio fanno bella l’eternità e non dove Satana è l’eterno Suppliziatore15.1.44
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Ma è così difficile accettare oggi il vero san Francesco d'Assisi?

Vatican Insider falsifica San Francesco d’Assisi

Siamo arrivati a questo punto di cecità. È difficile crederlo, ma è scritto nero su bianco, qui. Non è vero – secondo Gianni Valente di Vatican Insider – quello che ha scritto San Bonaventura da Bagnoregio nella Legenda Maior
San Bonaventura, cioè, sarebbe un bugiardo quando riporta quello che San Francesco disse al Sultano: «Se, tu col tuo popolo, vuoi convertirti a Cristo, io resterò molto volentieri con voi. Se, invece, esiti ad abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo, da’ ordine di accendere un fuoco il più grande possibile: io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa» (IX, 8).
Non può essere avvenuto questo – scrive Valente – perché il Poverello non era mica un integralista, un fanatico, uno che appartiene ai «circoletti clericali che funestano l’attuale stagione ecclesiale». Anzi, questi «circoletti» avrebbero l’intenzione di arruolare San Francesco nelle loro «guerricciole pseudo-dottrinali», allo scopo di falsificarne la figura. Valente si guarda bene dal citare San Bonaventura e la sua Legenda Maior
L’episodio del Sultano – si limita a scrivere – sarebbe un testo di «cronaca circolante sui siti muscolari della galassia “cristianista”», inventato da un certo «Fra Illuminato».
E rincara: «La credibilità di tale versione dell’incontro, con San Francesco votato a “dimostrare” la gloria di Dio sottoponendosi a una specie di ordalia, è sempre stata confutata dagli studiosi delle fonti francescane». Cioè, gli studiosi avrebbero confutato San Bonaventura e la Legenda Maior, scritta invece dal Dottore Serafico proprio come testo ufficiale del francescanesimo! E chi sarebbero semmai questi studiosi? Che peso avrebbero i loro studi, nel caso in cui avrebbero davvero voluto confutare uno dei più grandi Dottori della Chiesa?
Valente derubrica il lavoro di chi si permette di parlare del San Francesco storico e reale nella categoria delle «baruffe pseudo-teologiche da social media», che vedono fronteggiarsi buonisti e integralisti. Mette tutti nello stesso calderone. Eppure è proprio Valente che butta tutto in baruffa. Non dimostra niente. Bacchetta molto. Cerca d’inventare, anche se lo nega, un San Francesco che non predica, ma dialoga amabilmente. Una persona tiepida, insomma. E questo tiepidume dovrebbe convincere i musulmani alla conversione.
Valente tenta di dire che la Regola “non bollata” è a favore dei frati tiepidi, poiché non prevede che essi «facciano liti o dispute» coi saraceni. È ovvio che non lo preveda: chi non ha la santità di San Francesco, essendo mediocre, trasforma la disputa in lite, la predicazione in polemica. È proprio quello che fa Valente: azzanna chi critica i buonisti, accusati ingiustamente di «manipolazioni che trasformerebbero l’Alter Christus d’Assisi in un frate debosciato e vigliacco». E, invece, il rischio buonista sta tutto qui.


Negando il San Francesco di San Bonaventura (ma anche del Celano, ad esempio), Valente celebra il buonismo, il dialogismo, il relativismo e il tiepidismo, tanto cari ai nemici dell’evidenza.

Fonte: Vita Nuova Trieste: di Silvio Brachetta.  |