martedì 9 gennaio 2018

Chiare e provvidenziali LE PAROLE DI GESU'. UNA AD UNA.

Riflessioni e affermazioni provvidenziali fatte da Gesù  
l’8 maggio 1948
"Beati qui audiunt Verbum Dei"


L'immortale mistica italiana Maria Valtorta
invidiataci da tutto il mondo

8 Maggio 1948

Dice Gesù:



«Hanno paura della fine del mondo. L'hanno anche molti di quelli che crollano derisori il capo davanti ai miracoli della misericordia mariana. 


L'hanno perché non sanno il tempo. Ma è detto che la mia ultima venuta sarà improvvisa e rapida come lampo che trascorre il cielo. 

Prima però devono venire i segni che ho detto. E i segni non saranno rapidi come la mia venuta, anzi saranno lunghi a compirsi, rallentati dalle preghiere delle anime dei giusti e delle anime vittime, alle quali si piega favorevole la mia misericordia per concedere tempo a tutti di ravvedersi.




Molti segni sono già in atto. Ma il loro giorno non è di 24 ore per voi, anche se è per Me più breve di un battito di ciglio. Io ho per misura l'eternità.



Un segno, non meditato, è la predicazione del vangelo del Regno a tutto il mondo, di tutta la mia Vita del Vangelo.



Ecco, nel Vangelo canonico è l'essenziale per credere e salvarsi; ma non è la completa conoscenza di Me. Dopo Me il Consolatore, Colui che dice tutto quello che ha udito e mi glorifica, continuò a completare il Vangelo perché ha ricevuto del mio e ve lo annunzia.
Nei secoli continua la predicazione della Rivelazione e c'è ancora tanto da dire. E più si avvicina la fine e grandi sono i bisogni, più il Vangelo si completa.



La tua fatica rientra in questo programma divino. Perché il tuo lavoro di piccolo Giovanni ha molto completato il "tutto il Vangelo" che deve essere conosciuto prima della fine, acciò le anime si riaccendano nella carità e si salvino, ed Io trovi ancora la fede nel mondo fra i perseveranti sino alla fine.



Per questo ho dolore e sdegno che sia posto ritardo alla divulgazione dell'opera che Io voglio sia data alle turbe come Pane di Sapienza e Vita.


Riguardo allo Stato d'Israele ti dico "No". Finché non mi riconosceranno per vero Messia non avranno vera pace. Più facile è che il fuoco nelle terre dell'Asia Minore prepari la strada alla venuta di Gog e Magog, o dell'Anticristo che in essi è già adombrato, che non venga la pace ad Israele, pervicace nel non volermi riconoscere come il vero Messia, Re del Regno di Dio e Figlio dell'Altissimo».

«Preparerà subito la strada all'Anticristo?».


«Non mettete mai il vostro tempo nelle profezie di Chi è eterno. Non dirvi l'ora è pietà. Vi spinge ad agire come fosse domani il giudizio.

Sta' in pace».

Da "I Quadernetti" di Maria Valtorta

<< Gesù... Perdono. >>

PREGHIERA DEL PAPA BENEDETTO XVI AL VOLTO SANTO

Signore Gesù,
come già i primi apostoli,
ai quali dicesti: “Che cercate ?”,
ed accolsero il tuo invito: “Venite e vedrete”,
riconoscendoti come il Figlio di Dio,
l’atteso e promesso Messia per la redenzione del mondo,
anche noi, discepoli tuoi di questo difficile tempo
vogliamo seguirti ed esserti amici,
attratti dal fulgore del tuo volto desiderato e nascosto.
Mostraci, ti preghiamo, il tuo volto sempre nuovo,
misterioso specchio dell’infinita misericordia di Dio.
Lascia che lo contempliamo
Con gli occhi della mente e del cuore:
volto del Figlio, irradiazione della gloria del Padre
e impronta della sua sostanza (cf. Eb 1, 3),
volto umano di Dio entrato nella storia
per svelare gli orizzonti dell’eternità.

Volto silenzioso di Gesù sofferente e risorto,
che amato ed accolto cambia il cuore e la vita.
“Il tuo volto, Signore, io cerco,
Non nascondermi il tuo volto” (Sal 27, 8s).
Nel corso di secoli e millenni quante volte è risuonata
Tra i credenti questa struggente invocazione del Salmista !
Signore, anche noi la ripetiamo con fede:
“Uomo dei dolori, davanti a cui si copre la faccia” (Is. 53,3),
non nasconderci il tuo volto !
Vogliamo attingere dai tuoi occhi,
che ci guardano con tenerezza e compassione.
La forza di amore e di pace che ci indichi la strada della vita,
ed il coraggio di seguirti senza timori e compromessi,
per diventare testimoni del tuo Vangelo,
con gesti concreti di accoglienza, di amore e di perdono.

Volto Santo di Cristo,
luce che rischiara le tenebre del dubbio e della tristezza,
cita che ha sconfitto per sempre il potere del male e della morte,
sguardo misterioso
che non cessa di posarsi sugli uomini e i popoli,
volto celato nei segni eucaristici
e negli sguardi di coloro che ci vivono accanto,
rendici pellegrini di Dio in questo mondo,
assetati d’infinito e pronti all’incontro dell’ultimo giorno.
Quando ti vedremo, Signore, “faccia a faccia (1Cor, 13,12),
e potremo contemplarti in eterno nella gloria del Cielo.

Maria, Madre del Volto Santo,
aiutaci ad avere “mani innocenti e cuore puro”,
mani illuminate dalla verità dell’amore
e cuori rapiti dalla bellezza divina,
perché, trasformati dall’incontro con Cristo,
ci doniamo ai poveri e ai sofferenti,
nei cui volti riluce l’arcana presenza
del tuo Figlio Gesù,
che vive e regna nei secoli dei secoli.
Amen !
(Manoppello, 1 settembre 2007)
AMDG et DVM

Una sorgente di Gioia che non cessa di zampillare nella santa Chiesa di Cristo

A.D. 18 - Terzo Millennio d. C.
Gaudete in Domino

Magnificat Anima Mea Dominum

San Francesco d'Assisi

Santa Teresa di Lisieux



San Massimiliano Maria Kolbe


LA GIOIA NEL CUORE DEI SANTI

...
Questa, Fratelli e Figli amatissimi, è la gioiosa speranza, attinta alle sorgenti stesse della Parola di Dio. Dopo venti secoli, questa sorgente di gioia non ha cessato di zampillare nella Chiesa, e specialmente nel cuore dei santi. È necessario che noi, ora, facciamo sentire qualche eco di tale esperienza spirituale, che, secondo la diversità dei carismi delle vocazioni particolari, illumina il mistero della gioia cristiana.

Al primo posto ecco la Vergine Maria, piena di grazia, la Madre del Salvatore. Disponibile all'annuncio venuto dall'alto, essa, la serva del Signore, la Sposa dello Spirito Santo, la Madre dell'eterno Figlio, fa esplodere la sua gioia dinanzi alla cugina Elisabetta, che ne esalta la fede: «L'anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore . . . D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (47). 

Essa, meglio di ogni altra creatura, ha compreso che Dio compie azioni meravigliose: santo è il suo Nome, egli mostra la sua misericordia, egli innalza gli umili, egli è fedele alle sue promesse. Non che l'apparente corso della vita di Maria esca dalla trama ordinaria: ma essa riflette sui più piccoli segni di Dio, meditandoli nel suo cuore. Non che le sofferenze le siano state risparmiate: essa sta in piedi accanto alla croce, associata in modo eminente al sacrificio del Servo innocente, Lei ch'è madre dei dolori.

Ma essa è anche aperta senza alcun limite alla gioia della Risurrezione; ed essa è anche elevata, corpo e anima, alla gloria del Cielo. ....  «Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto col manto della giustizia, come uno sposo che si cinge di diadema e come una sposa che si adorna di gioielli» (48). 
Vicina al Cristo, essa ricapitola in sé tutte le gioie, essa vive la gioia perfetta promessa alla Chiesa: Mater plena sanctae laetitiae; e giustamente i suoi figli qui in terra, volgendosi verso colei che è Madre della Speranza e Madre della Grazia, la invocano come la Causa della loro gioia: Causa nostrae laetitiae.

Dopo Maria, noi incontriamo l'espressione della gioia più pura, più ardente, là dove la Croce di Gesù viene abbracciata con l'amore più fedele: presso i martiri, ai quali lo Spirito Santo ispira, al culmine stesso della prova, un'attesa appassionata della venuta dello Sposo. Santo Stefano, che muore vedendo il cielo aperto, non è che il primo di questi testimoni innumerevoli del Cristo. Quanti ve ne sono, ancora ai nostri giorni e in vari Paesi, che, rischiando tutto per il Cristo, potrebbero affermare come il martire Sant'Ignazio di Antiochia: «Vi scrivo mentre sono ancora vivo, ma desidero di morire. Il mio desiderio terreno è stato crocifisso, e in me non c'è più fuoco alcuno per amare la materia, ma in me c'è un'acqua viva che mormora e dice nel mio intimo: "Vieni al Padre" » (49).

In realtà, la forza della Chiesa, la certezza della sua vittoria, la sua allegrezza quando si celebra il combattimento dei martiri, provengono dal fatto ch'essa contempla in loro la fecondità gloriosa della Croce. Per questo motivo il nostro Predecessore san Leone Magno, esaltando da questa cattedra romana il martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo, esclama: «È preziosa davanti allo sguardo di Dio la morte dei suoi santi, e nessuna specie di efferatezza può distruggere una religione fondata sul mistero della Croce di Cristo. La Chiesa non diminuisce, bensì cresce con le persecuzioni; e il campo del Signore si riveste incessantemente d'una messe più ricca quando i grani di frumento, caduti singolarmente, rinascono moltiplicati» (50).

Nella casa del Padre, peraltro, vi sono molte dimore, e, per coloro cui lo Spirito Santo consuma il cuore, vi sono diverse maniere di morire a se stessi e di accedere alla gioia santa della risurrezione. L'effusione del sangue non è l'unica via. Ma la lotta per il Regno include necessariamente il passaggio attraverso una passione d'amore; i maestri di spirito ne hanno parlato egregiamente. 
E, qui, le loro esperienze interiori s'incontrano, pur nella diversità delle tradizioni mistiche, in Oriente come in Occidente. Queste attestano un medesimo itinerario dell'anima, per crucem ad lucem, e da questo mondo al Padre, nel soffio vivificante dello Spirito.
Ciascuno di questi maestri di spirito ci ha lasciato un messaggio sulla gioia. 

I Padri orientali abbondano di testimonianze su questa gioia nello Spirito Santo. Origene, ad esempio, ha descritto spesso la gioia di colui che entra nella conoscenza intima di Gesù: l'anima è allora inondata di allegrezza come quella del vecchio Simeone. Nel tempio che è la Chiesa, egli stringe Gesù fra le braccia. Egli gode pienamente della salvezza tenendo fra le mani colui nel quale Dio riconcilia a sé il mondo (51). Nel Medioevo, fra molti altri, un maestro spirituale d'Oriente, Nicola Cabasilas, vuol dimostrare come l'amore di Dio per lui procuri il massimo della gjoia (52). 

In Occidente, basti citare qualche nome fra quelli che hanno fatto scuola sul cammino della santità e della gioia: sant'Agostino, san Bernardo, san Domenico, Sant'Ignazio di Loyola, san Giovanni della Croce, santa Teresa d'Avila, san Francesco di Sales, san Giovanni Bosco. 

Ma noi vogliamo ricordare in modo più marcato tre figure, che ancora oggi attirano moltissimo l'insieme del popolo cristiano. 

E anzitutto il Poverello d'Assisi, sulle cui tracce si sforzano di mettersi numerosi pellegrini dell'Anno Santo. Avendo abbandonato tutto per il Signore, egli, grazie a madonna povertà, ricupera qualcosa, si può dire, della beatitudine primordiale, quando il mondo uscì, intatto, dalle mani del Creatore. Nella spogliazione estrema, ormai quasi cieco, egli poté cantare l'indimenticabile Cantico delle creature, la lode di frate sole, della natura intera, divenuta per lui come trasparente, specchio immacolato della gloria divina, e perfino la gioia davanti alla venuta di «sora nostra morte corporale»: «Beati quilli ke se trovarà ne le tue sanctissime voluntati». 

In tempi più vicini a noi, santa Teresa di Lisieux ci mostra la via coraggiosa dell'abbandono nelle mani di Dio, al quale essa affida la propria piccolezza. Ma non per questo essa ignora il sentimento dell'assenza di Dio, cosa di cui il nostro secolo, a suo modo, fa la dura esperienza: «Talvolta all'uccellino (a cui essa si paragona) sembra di credere che non esista altra cosa all'infuori delle nuvole che l'avvolgono . . . È quello il momento della gioia perfetta per il povero debole esserino . . . Che gioia per lui restarsene là malgrado tutto, fissare la luce invisibile che si nasconde alla sua fede» (53).

Infine come non ricordare, immagine luminosa per la nostra generazione, l'esempio del beato Massimiliano Maria Kolbe, genuino discepolo di san Francesco? Durante le prove più tragiche, che insanguinarono la nostra epoca, egli si offrì spontaneamente alla morte per salvare un fratello sconosciuto; e i testimoni ci riferiscono che il luogo di sofferenze, ch'era di solito come un'immagine dell'inferno, fu in qualche modo cambiato, per i suoi infelici compagni come per lui stesso, nell'anticamera della vita eterna dalla sua pace interiore, dalla sua serenità e dalla sua gioia.

Nella vita dei figli della Chiesa, questa partecipazione alla gioia del Signore non si può dissociare dalla celebrazione del mistero eucaristico, ov'essi sono nutriti e dissetati dal suo Corpo e dal suo Sangue. Di fatto, in tal modo sostenuti, come dei viandanti sulla strada dell'eternità, essi già ricevono sacramentalmente le primizie della gioia escatologica.
Collocata in una prospettiva simile, la gioia ampia e profonda, che fin da quaggiù si diffonde nel cuore dei veri fedeli, non può che apparire «diffusiva di sé», proprio come la vita e l'amore, di cui essa è un sintomo felice. Essa risulta da una comunione umano-divina, e aspira a una comunione sempre più universale. In nessun modo potrebbe indurre colui che la gusta ad una qualche attitudine di ripiegamento su di sé, Essa dà al cuore un'apertura cattolica sul mondo degli uomini, mentre gli fa sentire, come una ferita, la nostalgia dei beni eterni. 

Nei fervorosi, essa approfondisce la consapevolezza della loro condizione di esiliati, ma li salva altresì dalla tentazione di disertare il proprio posto di combattimento per l'avvento del Regno. Essa fa loro attivamente affrettare il passo verso la consumazione celeste delle Nozze dell'Agnello. Essa è in serena tensione tra l'istante della fatica terrena e la pace della Dimora eterna, conforme alla legge di gravità propria dello Spirito: 

«Se dunque, già fin d'ora, noi gridiamo "Abba, Padre!" perché abbiamo ricevuto questi pegni (dello Spirito di figli), che cosa sarà mai, quando, risuscitati, noi lo vedremo a faccia a faccia? Quando tutte le membra, a ondate riversantisi, faranno sgorgare un inno di esultanza, glorificando Colui che le avrà risuscitate dai morti e gratificate dell'eterna vita? Di fatto, se semplici pegni, avvolgono in se stessi l'uomo da tutte le parti, Io fanno esclamare: "Abba, Padre!", che cosa non farà mai la grazia completa dello Spirito, quando sarà data definitivamente da Dio agli uomini? Essa ci renderà simili a lui e compirà la volontà del Padre, perché renderà l'uomo a immagine e somiglianza di Dio» (54. S. IRENAEI Adversus haereses, V, 8, 1: PG 7, 1142). Fin da quaggiù, i santi ci danno un pregustamento di questa somiglianza.

AMDG et DVM

lunedì 8 gennaio 2018

BATTESIMO DI N. S. GESU' CRISTO

Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu eius et potéstas et impérium
Malach 3:1; 3:1; Par 29:12

Andrea Vaccaro – Gesù e San Giovanni il Battista: il Battesimo






Preghiamo.
O Dio, il cui Unigenito è apparso nella realtà della nostra umanità, fa’ che siamo interiormente rinnovati per mezzo di Colui che esteriormente abbiamo conosciuto simile a noi:
Lui che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.

AMDG et DVM

Una vergogna senza fine – Giù le mani dall’Erboristeria. -UNA VERGOGNA SENZA FINE!

Mentre da una parte si includono nuove figure sanitarie dall’altra si cancella la figura professionale dell’Erborista con l’abrogazione in toto della Legge del ’31: un atto che può avere gravi conseguenze sulla salute pubblica privando della preparazione e competenze necessarie la manipolazione delle piante officinali e gettando alle ortiche quel patrimonio di sapere unico che gli erboristi italiani da sempre rappresentano.
ERBORISTI,  è solo questione di pochissimi giorni e la nostra professione potrebbe non esistere più!
In questi giorni di festa e in silenzio si sta compiendo lo scempio del settore erboristico italiano, arrivano oggi al pettine le drastiche e non condivise decisioni prese durante i lavori del Tavolo di filiera delle Piante Officinali istituito  presso il ministero delle Politiche Agricole, su sollecitazione di FIPPO – ASSOERBE e SISTE.
Il Governo sta per approvare, su proposta del Ministro delle politiche agricole Martina, un decreto legislativo, sulla “disciplina della coltivazione, della raccolta e della prima trasformazione delle piante officinali”.
Eravamo riusciti a disinnescare la proposta di legge di pari titolo n. 3864 portando motivate ed analitiche osservazioni durante l’audizione del 26 ottobre scorso, ma ecco che ciò che è uscito dalla porta rientra dalla finestra e con maggior virulenza.
All’articolo 8 di questo decreto si ABROGA, totalmente e senza mezzi termini la Legge n. 99 del 1931, in pratica l’Erborista NON ESISTE PIU’.
Una cattiveria ed un’ostinazione senza fine, ingiustificata ed inutile, in un provvedimento volto a dichiarare la coltivazione delle piante officinali una pratica agricola comune che autorizza l’agricoltore alla prima trasformazione e alla distillazione delle piante officinali, con buona pace della tanto decantata qualità e con i conseguenti rischi per la salute del consumatore.
Il Tavolo di filiera delle piante officinali, che ha prodotto il Piano di Settore che la F.E.I. ha sempre ampiamente criticato con i fatti perché da subito capimmo che quello che in realtà si voleva ottenere era l’abrogazione della Legge del 1931, di fatto estromette l’Erborista dalla filiera delle Piante Officinali decretandone la FINE senza appello.
Inutile ormai laurearsi in Scienze e Tecniche Erboristiche, inutili i corsi universitari. Ringraziamo queste associazioni e il Governo per aver fatto spendere soldi inutilmente alle tante famiglie italiane i cui ragazzi aspiravano a diventare erboristi e ad avere un ruolo nella filiera delle piante officinali. Questo è il risultato di un lavoro disastroso volto ad accontentare associazioni agricole potenti dietro le quali FIPPO ed altre si sono riparate.
Ringraziamo il Dott. Primavera, Presidente della FIPPO – Federazione Italiana Produttori Piante Officinali – che fino al giorno dell’audizione alla Camera dei Deputati insisteva a dire che la  sua associazione non intendeva abrogare la legge sull’erboristeria. Questo è il risultato ottenuto. Ne terremo sicuramente conto nell’acquisto di piante officinali dai loro associati.
Questo il risultato della politica del NON ASCOLTO, non sono stati ascoltati gli erboristi né le Università, la contrapposizione con i funzionari del Ministero delle politiche agricole e con le associazioni di categoria agricole fu subito fortissima, perché l’imperativo era di eliminare l’erborista italiano affinché l’agricoltore potesse liberamente prendere il suo posto.
A rischio ovviamente la libera miscelazione delle piante officinali e dei laboratori erboristici, senza più l’ombrello protettivo della Legge del 1931, del suo regolamento e di tutta la giurisprudenza successiva conquistata a forza di lacrime e sangue dagli erboristi in più di quarant’anni di battaglie.
Nessuno, neanche il settore farmaceutico aveva osato tanto!
In un mondo in cui impazzano consigli non qualificati sulla salute da parte dei Social Network, in cui i venditori porta a porta delle grandi multinazionali degli integratori fanno continuo abuso di professione medica introitando enormi guadagni, senza essere perseguiti per le loro azioni,
l’Erborista italiano potrebbe non esistere più.
La F.E.I. ha già contattato ed avvertito l’Università e le altre Associazioni di settore, Unerbe Confesercenti – Federimpresa Erbe CNA – Confartigianato contrarie all’abrogazione della legge sull’erboristeria nel tentativo di porre un rimedio estremo alla questione.
In un ultimo estremo tentativo di salvare la nostra professione in qualità di Presidente della Federazione Erboristi Italiani mi rivolgo a tutti i colleghi, alle aziende di settore, ai laureati e agli studenti in Scienze e Tecniche Erboristiche, al corpo docente e ai cittadini vicini all’erboristeria per invitarli ad inviare una MAIL di protesta e di cui inviamo un fac-simile agli organi di Governo interessati in prima persona, in particolare al  Presidente del Consiglio dei Ministri, Paolo Gentiloni, al Ministro delle politiche agricole Maurizio Martina, alla Ministra della salute Beatrice Lorenzin.
“ GIU’ LE MANI DALL’ERBORISTERIA!
Le erbe officinali agli Erboristi! No al decreto legislativo del Governo che prevede l’abrogazione dell’Erborista unico e vero esperto di piante officinali, del loro riconoscimento e utilizzo. No ad un’ingiustizia senza alcuno scopo. No all’abrogazione della Legge n. 99 del 1931”. 
Ovviamente sulla base di questo esempio ognuno potrà inviare le proprie considerazioni, ma senza mai oltrepassare i limiti della buona educazione.
Invito inoltre i laureati e gli studenti dei Corsi di laurea a rispondere in modo massiccio a questo invito e a coordinarsi con la FEI per ogni ulteriore iniziativa da intraprendere.
MAI come questa volta la nostra professione, il nostro lavoro, le vostre speranze, in pratica l’ERBORISTERIA italiana è nelle nostre mani.
Diamo una risposta compatta e forte contro questa ingiustizia ai danni degli Erboristi italiani e dei cittadini che usano le piante officinali per la propria salute.  Diamo un messaggio forte e deciso al Governo:
questo provvedimento non deve essere approvato.
Federazione Erboristi Italiani – F.E.I.
Confcommercio Imprese per l’Italia
Mail di riferimento:

domenica 7 gennaio 2018

Il Cavaliere dell'Immacolata, immagine luminosa per la nostra generazione

A.D. 18 - Terzo Millennio d. C.









Le due corone

Raimondo Kolbe, il futuro San Massimiliano Maria (canonizzato dal Papa Beato Giovanni Paolo II, il 10 ottobre 1982), è figlio della nevosa ma ardente Polonia nato a Sudunzska-Wola (Lodz) all'una di notte dell'8 gennaio 1894, da modesti tessitori. Suo padre Giulio è molto dolce, un laborioso taciturno, ma praticante molto fervente. La mamma, Maria, è energica e molto religiosa. La famiglia conta tre ragazzi, Francesco, Raimondo e Giuseppe, seguiti da Valentino e Antonio che morirono bambini. 

Il nostro Raimondo è indipendente, intraprendente e un po’ testardo. Di indole vivace e impulsiva, mette spesso a dura prova la pazienza di sua madre, che un giorno gli grida: «Che ne sarà di te?». Il rimprovero provoca nel piccolo una vera e propria conversione. Diventa bravo ed ubbidiente. La mamma si accorge che scompare spesso dietro l’armadio, dove c’è un altarino di Nostra Signora di Czestochowa. Lì, egli prega e piange. «Andiamo, Raimondo, gli dice sua madre, perché piangi? – Quando tu mi hai detto: “Raimondo, che ne sarà di te?” ho provato un grosso dispiacere e sono andato a domandare alla Santa Vergine che fine avrei fatto… La Santa Vergine mi è apparsa, tenendo due corone, una bianca e l’altra rossa. Mi ha guardato con amore e mi ha chiesto quale scegliessi; quella bianca significa che sarò sempre puro e quella rossa che morirò martire. Ho risposto: “Le scelgo tutte e due!”».
A partire da quell’incontro, l’anima del fanciullo conserverà un amore indefettibile per la Santa Vergine. Attirato da Maria, Raimondo Kolbe abbraccia la vita religiosa. Il 4 settembre 1910, indossa l’abito francescano, e assume il nome di “fra Massimiliano Maria”. Nell’autunno del 1912, i superiori lo mandano all’Università Gregoriana di Roma. 

Gli studi non lo distolgono dal suo ideale di santità: vuol procurare a Dio la più grande gloria possibile. «La gloria di Dio consiste nella salvezza delle anime. La salvezza delle anime e la santificazione perfetta di esse, già riscattate ad un prezzo molto elevato dalla morte in croce di Gesù, cominciando naturalmente dalla propria anima, è dunque il nostro nobile ideale». Ma la via della salvezza si trova nel compimento della volontà di Dio. Così il giovane frate scrive a sua madre: «Non ti augurerò né la salute, né la prosperità. Perché? Perché vorrei augurarti qualcosa di meglio, qualcosa di talmente buono che Dio stesso non saprebbe augurarti di più: che in tutte le cose sia fatta in te, mamma, la volontà di questo ottimo Padre, che tu sappia in tutte le cose compiere la volontà di Dio! È tutto quel che posso augurarti di meglio».

Sotto i piedi di Lucifero

È a Roma che la Santa Vergine gli ispira di fondare la Milizia dell’Immacolata. All’epoca, la massoneria spadroneggiava nella città eterna. «Quando i massoni cominciarono a darsi da fare sempre più sfrontatamente, spiega fra Massimiliano, ed ebbero spiegato il blasfemo stendardo sotto le finestre del Vaticano, quello stendardo in cui, su sfondo nero, Lucifero calpestava l’arcangelo San Michele, quando si misero a distribuire manifestini che inveivano contro il Santo Padre, nacque in me l’idea di fondare un’associazione che avesse come scopo quello di combattere i massoni e gli altri tizzoni d’inferno». 

Un giorno del 1915, a Roma, un uomo maturo vocifera davanti a fra Massimiliano Kolbe, contro il Papa e la Chiesa. Il giovane francescano intavola la discussione. «Me ne intendo, giovincello! Sono dottore in filosofia», esclama lo sconosciuto. «E anch’io», replica il fraticello di ventuno anni, che ne dimostra sedici. Stupefatto, l’uomo cambia tono. Allora, pazientemente, con una logica inesorabile, il frate riprende uno per uno gli argomenti del suo interlocutore e li ritorce contro di lui. «Verso la fine della discussione, racconta un testimone, il miscredente tacque. Sembrava riflettere profondamente». 

Chi è mai questo apostolo ardente, descritto da Papa Paolo VI come un «tipo d’uomo cui possiamo conformare la nostra arte di vivere, riconoscendogli il privilegio dell’apostolo Paolo, quello cioè di poter dire al popolo cristiano: Siate miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo (1 Cor. 11, 1)»? La massoneria è una società segreta dalle mille ramificazioni, che si sforza di dirigere il mondo secondo principi che escludono l’autorità di Dio e la Rivelazione. Ma la massoneria distrugge pure la società civile, poiché i suoi principi contraddicono la legge naturale e minano «i fondamenti della giustizia e dell’onestà»

Minacce programmate scientificamente

In presenza delle stesse forze del male, già operanti alla sua epoca, San Massimiliano Maria offre alla nostra vista un bell’esempio di zelo apostolico. Come San Paolo, si applica a vincere il male con il bene (Rom. 12, 21). Forte della sua fede e di una teologia molto sicura, si rivolge alla Vergine Maria ed al Suo Divin Figlio. Per venire a salvarci, il Verbo di Dio ubbidendo al Padre si è fatto uomo, e ha scelto per Madre una vergine promessa ad un uomo di nome Giuseppe, della casa di Davide, e il nome della vergine era Maria (Luca 1, 26-27). 
La Madre del Salvatore, Maria della stirpe regale di Davide, fu ab initio creata da Dio e dotata  di doni all’altezza di una tanto infinita responsabilità per cooperare con il Figlio Suo Divino alla Redenzione dell'Umanità. L’arcangelo Gabriele, all’atto dell’Annunciazione, la saluta "Piena di Grazia" (Luca 1, 28). Esplicitando quest’espressione, il santo Papa Pio IX proclamò finalmente -dopo quasi 18 secoli di nostra Redenzione-, l'8 dicembre 1854, il dogma dell’Immacolata Concezione: «La beata Vergine Maria, nel primo istante della sua Concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio Onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia di peccato originale». Essendo finalmente MARIA 'Divina Concezione Immacolata' ha un potere immenso contro qualsiasi male per il trionfo totale del Bene. Maria è quindi La Madre della Grazia : "Mater Divinae Gratiae", prima di essere  «Madre di tutte le Grazie», ed è altresì la nostra Misericordiosa Divina Redentrice insieme al Divino Redentore Gesù. [Un saggio dell'altezza teologica del Kolbe alla pagina 70 del link: - http://inox.altervista.org/larivelazione/conchiglia/pdf/09.193_MARIA_E_DIVINA_08.12.09.pdf ]

Salvare tutte le anime

Potente contro il male, Nostra Signora trionfa sul demonio. Così, fra Massimiliano fonda la Milizia dell’Immacolata - M.I. -, sulla base della parola di Dio al serpente (il diavolo): Ella (la Santa Vergine) ti schiaccerà il capo (Gen. 3, 15). Il santo collega la divina profezia con l’affermazione  liturgica: «Da te sola, o Maria, sono state vinte tutte le eresie». E lo scopo della sua opera è quello di ottenere «la conversione dei peccatori, degli eretici, degli scismatici, ecc., ed, in particolare, dei massoni; e la santificazione di tutti gli uomini sotto la direzione e per il tramite della Beata Vergine Maria Immacolata». Nel suo ardore, egli desidera la conversione di tutti i peccatori, poiché il santo non dirà mai «salvare anime», ma «tutte le anime». La schiera apostolica della “Milizia” farà l’offerta totale di se stessi alla Beata Vergine Maria Immacolata, come docili strumenti nelle sue mani materne, e quale scudo avranno la Medaglia Miracolosa. Reciteranno, almeno una volta al giorno, la seguente giaculatoria: «O Maria, Concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a Te e per tutti coloro che non ricorrono a Te, in particolare per i massoni e per quanti Ti sono raccomandati».

Cristianizzare la cultura

La salute di fra Massimiliano non è vigorosa. Malgrado ciò, egli si applica con coraggio allo studio, supera brillantemente gli esami, e diventa, nel 1915, dottore in filosofia. Quattro anni più tardi, ottiene, con pari successo, un dottorato di teologia. Nel frattempo, è stato ordinato sacerdote, il 28 aprile 1918. Progetta la propria formazione intellettuale con lo scopo di istruire il prossimo e di contribuire in questo modo alla salvezza delle anime. Il suo desiderio è quello di «far servire qualsiasi progresso per la gloria di Dio», vale a dire cristianizzare la cultura moderna. Ma il santo deve sperimentare che il bene non si fa senza la croce. Infatti, come ricorda Santa Teresa di Gesù Bambino, «solo la sofferenza genera le anime». Verso la fine del 1919, viene inviato a Zakopane (Polonia), in sanatorio, in cui mancano i soccorsi religiosi. Benché ammalato, intraprende un difficile apostolato presso gli altri degenti, aiutandosi con medaglie miracolose. Conquista i cuori e le menti ad uno ad uno, e il suo successo è tale, che lo si invita a tenere conferenze. L’apostolo di Maria non aspettava che quello. Molti increduli si convertono.

Il veleno dell’indifferenza

Poi, Padre Massimiliano inaugura una serie di “incontri apologetici”, sull’esistenza di Dio e la divinità di Cristo. L’amore che manifesta per la verità traspare in una lettera scritta al fratello Giuseppe: «Ai giorni nostri, il veleno peggiore è l’indifferenza, che trova le sue vittime non solo fra la borghesia, ma anche fra i monaci, a gradi diversi, naturalmente». Nel 1927, Padre Massimiliano fonda la città mariano/francescana di Niepokalanow (letteralmente: la città dell’Immacolata). Tutto ivi è dedicato a Maria. Numerosi sono coloro che chiedono di essere ammessi al noviziato, a tal punto che il convento conterà fino a mille frati. «A Niepokalanow, dice Padre Massimiliano, viviamo con un’idea fissa, se ci si può esprimere così, scelta volontariamente ed amata: l’Immacolata!» La stampa, la cui influenza non cessa di crescere, gli sembra un terreno di apostolato privilegiato. Lancia, in vista dell’evangelizzazione, la rivista “Il Cavaliere dell’Immacolata”, che diventerà ben presto la più importante pubblicazione della Polonia. Nel 1939, la tiratura raggiungerà il milione di esemplari.
Gaude, Maria Virgo:
cunctas haereses sola interemisti in universo mundo. Alleluia.

Conosce il giapponese?

Lungi dall’essere l’unico obiettivo di Padre Massimiliano, la Polonia è soltanto un trampolino. Appena tre anni dopo la fondazione di Niepokalanow, incontra, in un treno, degli studenti giapponesi. La conversazione si avvia, e il monaco offre delle medaglie miracolose. In cambio, gli studenti gli danno degli elefantini di legno che servono loro da feticci. Da allora, il santo non cessa di pensare alla grande pena di quelle anime senza Dio. Perciò, un bel giorno, si presenta al suo provinciale e gli chiede il permesso di andare in Giappone per fondarvi una Niepokalanow giapponese.
«Ha denaro?» domanda il Padre Provinciale.
«No» risponde Kolbe.
«Conosce il giapponese?»
«No» disse.
«Ha almeno amici laggiù, qualche appoggio?»
«Non ancora, ma ne troverò, con l’aiuto di Dio e dell’Immacolata».


Una volta ottenute tutte le autorizzazioni, Padre Massimiliano parte per il Giappone, nel 1930, con quattro fratelli. A forza di lavoro, di audacia, di preghiere e di fiducia nell’Immacolata, essi riescono a creare la “Mugenzai no Sono”, testualmente: il giardino dell’Immacolata. Due anni dopo la fondazione in Giappone, Padre Massimiliano s’imbarca, per andare a fondare una città in India. Alle prese con grosse difficoltà, prega Santa Teresa di Lisieux: non aveva convenuto con lei, un tempo, a Roma, che avrebbe pregato tutti i giorni per la sua canonizzazione, ma che, in cambio, essa sarebbe stata la patrona delle sue opere? Santa Teresa onora il contratto. Tutti gli ostacoli spariscono come per incanto. Ma, spossato e consunto dalla febbre, l’apostolo di Maria Immacolata deve rientrare in Polonia, nel 1936.

L’amore o il peccato

Settembre 1939: la guerra si abbatte sul paese. San Massimiliano si dedica all’apostolato con più ardore che mai. «Se il bene consiste nell’amore di Dio ed in tutto ciò che scaturisce dall’amore, il male, nella sua essenza, è una negazione dell’amore», si legge nell’ultimo articolo da lui pubblicato. Ecco il vero conflitto. In fondo ad ogni anima, vi sono questi due avversari: il bene ed il male, l’amore ed il peccato. Il 17 febbraio 1941, poliziotti della Gestapo catturano Padre Massimiliano e quattro altri frati e li conducono, inizialmente, nella prigione di Pawiak, a Varsavia. Padre Massimiliano viene picchiato violentemente, in quanto religioso e prete. Scrive ai suoi discepoli rimasti a Niepokalanow: «L’Immacolata, Madre tanto amante, ci ha sempre circondati di tenerezza e veglierà sempre… Lasciamoci guidare da Lei, in modo sempre più perfetto, dove Essa vorrà portarci, e qualunque sia la sua volontà, affinché, compiendo fino in fondo il nostro dovere, possiamo, per amore, salvare tutte le anime». Qualche giorno più tardi, Padre Kolbe viene trasferito al campo di concentramento di Auschwitz. Ben presto ricoverato all’ospedale, a causa delle sevizie subite, passa tutte le notti a confessare, malgrado il divieto e la minaccia di rappresaglie. Sa convertire in bene il male stesso, e spiega un giorno ad un malato: «L’odio non è una forza creatrice. Solo l’amore è creatore. Questi dolori non ci faranno cedere, ma devono aiutarci, sempre di più, ad esser forti. Sono necessari, con altri sacrifici, perché coloro che rimarranno dopo di noi siano felici». Fa condividere ai suoi compagni l’esperienza del mistero pasquale, in cui la sofferenza vissuta nella fede, si trasforma in gaudio.

Lavorare con tutte e due le mani

Alla fine di luglio del 1941, un prigioniero del blocco 14, quello di Padre Massimiliano, è evaso. Il capo del campo di concentramento aveva avvertito che, per ogni evaso, dieci uomini sarebbero stati condannati a morire di fame e di sete. Uno degli infelici designati per morire, grida: «Oh! povera moglie mia, figli miei, non vi rivedrò più!» Allora, in mezzo ai compagni interdetti, Padre Massimiliano si fa strada ed esce dalle file. «Vorrei morire al posto di uno di questi condannati», e designa quello che si era lamentato. «Chi sei?» chiede il capo. «Un prete cattolico», risponde Padre Massimiliano. Poiché è come prete cattolico che vuol dare la propria vita, l’ufficiale, stupefatto, rimane in silenzio per un istante, poi accetta l’eroica proposta. I carcerieri si rendono subito conto che, nel blocco della morte, succede qualcosa di nuovo. Invece delle grida abituali di disperazione, sentono alzarsi canti. La presenza di Padre Massimiliano ha cambiato l’atmosfera dell’orribile cella. La disperazione ha lasciato il posto ad un’aspirazione verso il cielo, verso la Madre della Misericordia, un’aspirazione piena di speranza, di accettazione e di amore. Alla vigilia dell’Assunzione, solo Padre Massimiliano è pienamente cosciente. Quando le guardie entrano per dargli il colpo di grazia, è in preghiera. Vedendo la siringa, tende da se il braccio scarno all’iniezione mortale. In vita, San Massimiliano Kolbe amava ripetere:

«Su questa terra, non possiamo lavorare che con una sola mano, perché con l’altra dobbiamo aggrapparci, per non cadere. Ma in Cielo, sarà diverso! Nessun pericolo di scivolare, di cadere! Allora, lavoreremo ancora di più, con tutte e due le mani!» E fece sue le due corone di gloria offertegli dalla Mamma Immacolata nella prima fanciullezza. 
"Gioite nel Signore, scrisse Paolo VI, come seppero gioire i santi  Francesco d'Assisi, Teresa di Lisieux e Massimiliano Maria Kolbe, immagine luminosa di pace serenità e gioia per la nostra generazione 

*Un saggio dell'altezza teologica del Kolbe alla pagina 70 - http://inox.altervista.org/larivelazione/conchiglia/pdf/09.193_MARIA_E_DIVINA_08.12.09.pdf

AMDG et DVM