giovedì 23 novembre 2017

SAN CLEMENTE I, Papa e Martire


Lettura 

Clemente nacque a Roma. Fu discepolo di san Pietro. 

Assegnò a sette scrivani ciascuno dei sette quartieri di Roma, affinché annotassero il martirio e la vita dei martiri, dopo averne compiuto ricerche accurate. 

Anche lui scrisse parecchie opere, con diligenza e allo scopo di aiutare gli altri nella propria salvezza, spiegando la religione cristiana. 

Convertì alla fede di Cristo molte persone, sia con l'istruzione che con una vita santa. 

L'imperatore Traiano lo confinò oltre il mar Nero, nella città di Chersona, dove incontrò due migliaia di cristiani, anch'essi condannati da Traiano. 

Convertì molti infedeli alla fede in Cristo: perciò lo stesso imperatore comandò che gli si appendesse un'àncora al collo, e lo si gettasse in mare, dove morì. 

Il suo cadavere, al tempo di Nicolò I, fu portato a Roma, e fu tumulato con grandi onori, nella chiesa che già prima gli era stata dedicata.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Preghiamo
O Signore, Pastore eterno, mostrati misericordioso verso di noi che siamo il tuo gregge e per intercessione di San Clemente, tuo martire e Sommo Pontefice, che hai voluto porre a capo di tutta la Chiesa, aiutaci sempre con la tua protezione. 
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.
AMDG et BVM

martedì 21 novembre 2017

"Si è giunti ad esaltare la libertà al punto da farne un assoluto, che sarebbe la sorgente dei valori. In questa direzione si muovono le dottrine che perdono il senso della trascendenza o quelle che sono esplicitamente atee" (Lettera Enciclica "VERITATIS SPLENDOR" del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II )


Lettera Enciclica 


del Sommo Pontefice

Giovanni Paolo II

Capitolo 32

In alcune correnti del pensiero moderno si è giunti ad esaltare la libertà al punto da farne un assoluto, che sarebbe la sorgente dei valori. In questa direzione si muovono le dottrine che perdono il senso della trascendenza o quelle che sono esplicitamente atee. Si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un'istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente del bene e del male.

All'affermazione del dovere di seguire la propria coscienza si è indebitamente aggiunta l'affermazione che il giudizio morale è vero per il fatto stesso che proviene dalla coscienza. Ma, in tal modo, l'imprescindibile esigenza di verità è scomparsa, in favore di un criterio di sincerità, di autenticità, di «accordo con se stessi», tanto che si è giunti ad una concezione radicalmente soggettivista del giudizio morale. Come si può immediatamente comprendere, non è estranea a questa evoluzione la crisi intorno alla verità. 


Persa l'idea di una verità universale sul bene, conoscibile dalla ragione umana, è inevitabilmente cambiata anche la concezione della coscienza: questa non è più considerata nella sua realtà originaria, ossia un atto dell'intelligenza della persona, cui spetta di applicare la conoscenza universale del bene in una determinata situazione e di esprimere così un giudizio sulla condotta giusta da scegliere qui e ora; ci si è orientati a concedere alla coscienza dell'individuo il privilegio di fissare, in modo autonomo, i criteri del bene e del male e agire di conseguenza. 

Tale visione fa tutt'uno con un'etica individualista, per la quale ciascuno si trova confrontato con la sua verità, differente dalla verità degli altri. Spinto alle estreme conseguenze, l'individualismo sfocia nella negazione dell'idea stessa di natura umana.


Questa enciclica ha meritato il nome:
<<LA PIU' GRANDE DI TUTTI I TEMPI!>>



Ave DIVINA BAMBINA, 
SPES NOSTRA, SALVE!

«Cosa vuoi che io faccia, o Signore?»



RIVESTE UN CAVALIERE POVERO, 
ED ANCORA SECOLARE
HA UNA VISIONE RELATIVA ALLA SUA VOCAZIONE


5. Fu liberato dalla prigione poco tempo dopo e divenne più compassionevole con i bisognosi. Propose anzi di non respingere nessun povero, chiunque fosse e gli chiedesse per amor di Dio.

Un giorno incontrò un cavaliere povero e quasi nudo: mosso a compassione, gli cedette generosamente, per amor di Cristo, le proprie vesti ben curate, che indossava.

È stato, forse, da meno il suo gesto di quello del santissimo Martino? Eguali sono stati il fatto e la generosità, solo il modo è diverso: Francesco dona le vesti prima del resto quello invece le dà alla fine, dopo aver rinunciato a tutto. 
Ambedue sono vissuti poveri ed umili in questo mondo e sono entrati ricchi in cielo. 
Quello, cavaliere ma povero, rivestì un povero con parte della sua veste, questi, non cavaliere ma ricco, rivestì un cavaliere povero con la sua veste intera. 
Ambedue, per aver adempiuto il comando di Cristo, hanno meritato di essere, in visione, visitati da Cristo, che lodò l’uno per la perfezione raggiunta e invitò l’altro, con grandissima bontà, a compiere in se stesso quanto ancora gli mancava.


6. Infatti, subito dopo, gli appare in visione uno splendido palazzo, in cui scorge armi di ogni specie ed una bellissima sposa. Nel sonno, Francesco si sente chiamare per nome e lusingare con la promessa di tutti quei beni. Allora, tenta di arruolarsi per la Puglia e fa ricchi preparativi nella speranza di essere presto insignito del grado di cavaliere. Il suo spirito mondano gli suggeriva una interpretazione mondana della visione, mentre ben più nobile era quella nascosta nei tesori della sapienza di Dio.

E infatti un’altra notte, mentre dorme, sente di nuovo una voce, che gli chiede premurosa dove intenda recarsi. Francesco espone il suo proposito, e dice di volersi recare in Puglia per combattere. Ma la voce insiste e gli domanda chi ritiene possa essergli più utile, il servo o il padrone.
«Il padrone», risponde Francesco.
«E allora – riprende la voce – perché cerchi il servo in luogo del padrone?».
E Francesco: «Cosa vuoi che io faccia, o Signore.
«Ritorna – gli risponde il Signore – alla tua terra natale, perché per opera mia si adempirà spiritualmente la tua visione». 

Ritornò senza indugio, fatto ormai modello di obbedienza e trasformato col rinnegamento della sua volontà da Saulo in Paolo. 

Quello venne gettato a terra e sotto i duri colpi disse parole soavi, Francesco invece mutò le armi mondane in quelle spirituali, ed in luogo della gloria militare ricevette una investitura divina. Così a quanti – ed erano molti – si stupivano della sua letizia inconsueta, rispondeva che sarebbe divenuto un gran principe.

AMDG et BVM

Orgogliosi DI VOI



Questa è la Nazionale di cui andiamo fieri


AMDG et BVM

Ma chi era Bruno Cornacchiola?

Nostra Signora delle Tre Fontane
LA BELLA SIGNORA DELLE TRE FONTANE

(Storia della Vergine della Rivelazione)


1. QUEL TRENO PERSO
Bruno Cornacchiola
C'è sempre una preparazione, un qualcosa che preannuncia la visita di Maria santissima in forma visibile su questa terra. Anche se questa preparazione non viene percepita tutte le volte immediatamente, la si riscontra poi con l'andare del tempo. Non sempre è un angelo, come avvenne a Fatima; molto spesso si tratta di avvenimenti, grandi o piccoli. E' sempre un qualcosa che, come un aratro, smuove il terreno. Pensiamo che un qualcosa del genere sia avvenuto anche a Roma, prima che la Madonna si presentasse ai bambini e poi allo stesso Bruno Cornacchiola, alle Tre Fontane. 
Niente di sensazionale, ma nei disegni divini il sensazionale e il normale hanno lo stesso valore. Anzi, la preferenza va a ciò che si innesta meglio sull'ordinarietà, perché l'opera di Dio non è ingigantita o sminuita dall'entità delle circostanze. Ecco una di queste circostanze. Roma, 17 marzo 1947. Poco dopo le 14, padre Bonaventura Mariani dei frati minori viene chiamato dalla portineria del Collegio S. Antonio in via Merulana 124. C'è una signora che con tono concitato lo sollecita a recarsi nel suo appartamento di via Merulana, perché dice che «c'è il diavolo», più concretamente, ci sono alcuni protestanti che lo stanno aspettando. Il frate scende e la signora Linda Mancini gli spiega che era riuscita a organizzare un dibattito con loro sulla religione. Infatti quelli da un po' di tempo stavano svolgendo una intensa propaganda nel suo palazzo, specialmente ad opera di uno di essi, un certo Bruno Cornacchiola, ottenendo la conversione di alcuni coinquilini che avevano già deciso di non fare battezzare i loro bambini. Amareggiata per quanto stava accadendo e non riuscendo a tenere testa alle loro argomentazioni, la signora Mancini si era rivolta ai francescani del Collegio S. Antonio. «Venga subito», scongiurava la donna, «altrimenti i protestanti diranno che voi avete paura di battervi con loro...» 
Per la verità, la cosa non era stata combinata all'ultimo minuto. Era già stato preavvisato un altro francescano, che però all'ultimo momento, per ragioni personali, aveva declinato l'invito e aveva suggerito di rivolgersi a padre Bonaventura. Naturalmente questi obietta che, preso così alla sprovvista, non si sente preparato per quel dibattito e, per di più, è stanco per le lezioni tenute in mattinata alla Facoltà di Propaganda Fide. Ma di fronte alle accorate insistenze della signora, si rassegna ad accettare l'invito. 
Giunto nella stanza del dibattito, padre Bonaventura si trova di fronte a un pastore protestante della setta degli «Avventisti del settimo giorno», circondato da un gruppetto della stessa religione, fra cui Bruno Cornacchiola. Dopo una preghiera silenziosa, comincia il dibattito. Si sa che, di solito, questi incontri diventano subito «scontri» e si esauriscono in uno scambio di accuse e controaccuse, senza che una parte riesca a convincere l'altra, datro che ognuno parte dall'assoluta certezza di trovarsi nel giusto. Cornacchiola si distingue subito per interventi aggressivi, basati più sugli insulti che sulle argomentazioni, come questo: «Voi siete artisti ed astuti; studiate per ingannare gli ignoranti, ma con noi che conosciamo la Parola di Dio non potete fare nulla. Avete inventato tante stupide idolatrie e interpretate la Bibbia a modo vostro!». E direttamente al frate: «Caro furbacchione, sei svelto a trovare le scappatoie!...». E così il dibattito si protrae per quasi quattro ore, finché viene deciso che è tempo di separarsi. 
Mentre tutti si alzano per andarsene, le signore presenti al dibattito dicono a Cornacchiola: «Tu non sei tranquillo! Si vede dallo sguardo». E lui di rimando: «Sì invece: io sono felice da quando ho abbandonato la Chiesa cattolica!». Ma le signore insistono: «Rivolgiti alla Madonna. Lei ti salverà! », e gli mostrano il rosario. «Questo ti salverà! Ed ecco che ventun giorni dopo Cornacchiola sta sì pensando alla Madonna, ma non tanto per «rivolgersi a lei», quanto per combatterla e cercare di sminuirla il più possibile, cercando addirittura nella stessa Bibbia le argomentazioni per farlo. 
Ma chi era questo Bruno Cornacchiola? E soprattutto qual era la storia della sua vita e perché era diventato così accanito contro la Madonna? 
Pensiamo sia molto utile conoscere tutto questo per comprendere meglio l'ambito e i retroscena su cui si innesta il messaggio dell'apparizione. Sappiamo che la Madonna non sceglie mai a caso: né il veggente, né il luogo, né il momento. Tutto fa parte del mosaico dell'avvenimento. E' lo stesso Bruno che racconta. Noi riassumiamo. 
Nasce nel 1913 sulla Cassia Vecchia, in una stalla, a causa della grande povertà in cui versano i suoi genitori. Alla sua nascita il padre è in prigione a Regina Coeli e quando esce con la moglie porta il bambino a battezzare nella chiesa di S. Agnese. Alla rituale domanda del sacerdote: «Che nome gli volete mettere?», il papà, ubriaco, risponde: «Giordano Bruno, come quello che avete ammazzato voi a Campo dei Fiori!». La risposta del sacerdote è prevedibile: «No, con questo spirito non è possibile!>> Si accordano allora che il bambino si chiamerà soltanto Bruno. I genitori sono analfabeti e vivono in miseria. 
Vanno ad abitare in una casa vicino all'agglomerato di baracche dove si ritrovavano tutti quelli che uscivano dalle carceri e le donne di strada. Bruno cresce in questa «schiuma di Roma», senza religione, perché Dio, Cristo, la Madonna erano conosciuti soltanto come bestemmie e i bambini crescevano pensando che questi nomi indicassero porci, cani o asini. In casa Cornacchiola la vita era piena di liti, bastonate e bestemmie. I bambini più grandi, per poter dormire la notte, uscivano di casa. Bruno andava a dormire sulle scale della Basilica di S. Giovanni in Laterano. Una mattina, quando aveva quattordici anni, viene avvicinato da una signora che, dopo averlo invitato a entrare con lei in chiesa, gli parla di messa, di comunione, di cresima, e gli promette la pizza. Il ragazzo la guarda stralunato. Alle domande della signora, meravigliato, risponde: «Beh, a casa, quando papà non è ubriaco si mangia tutti assieme, qualche volta pastasciutta, qualche volta minestra, il brodo, risotto o la zuppa, ma questa cresima e comunione, mamma non l'ha mai cucinata... E poi, cos'è quest'Ave Maria? Cos'è 'sto Padre nostro?». E così, Bruno, scalzo, malvestito, pieno di pidocchi, infreddolito, viene accompagnato da un frate che cercherà di insegnargli un po' di catechismo. 

Dopo una quarantina di giorni la solita signora lo porta in un istituto di suore dove Bruno riceve per la prima volta la comunione. Per la cresima occorreva il padrino: il vescovo chiama il suo servitore e gli fa fare da padrino. Come ricordo gli danno il libretto nero delle Massime eterne e una bella corona del rosario, grossa e nera anch'essa. Bruno ritorna a casa con questi oggetti e con l'incombenza di chiedere perdono alla mamma per i sassi che le aveva tirato e un morso alla mano: «Mamma, il prete mi ha detto alla cresima e comunione che ti dovevo chiedere perdono...». «Ma che cresima e comunione, che perdono!», e dicendo queste parole gli dà uno spintone, facendolo cadere per le scale. Bruno allora lancia alla mamma il libretto e la corona del rosario e se ne va di casa, a Rieti. Qui rimane per un anno e mezzo con un suo zio, facendo tutti quei lavoretti che gli offrivano. Poi lo zio lo riporta dai genitori che nel frattempo si erano traslocati al Quadraro. 
Due anni dopo, Bruno riceve la cartolina precetto per il servizio militare. Ha ormai vent'anni, è senza istruzione, senza lavoro e per presentarsi in caserma si procura un paio di scarpe negli scarichi delle immondizie. Per legacci un filo di ferro. Viene mandato a Ravenna. Non aveva mai avuto tanto da mangiare e da vestire come da militare, e lui si dava da fare per farsi strada, accettando di compiere tutto ciò che gli veniva richiesto e partecipando a tutte le gare. Eccelle soprattutto nel «tiro a segno», per cui viene mandato a Roma per una gara nazionale: vince la medaglia d'argento. Al termine del servizio militare nel 1936, Bruno si sposa con una ragazza che aveva già conosciuto quando era ancora bambina. 
Conflitto per le nozze: lui vuole sposarsi solo civilmente. Era infatti diventato comunista e non voleva avere a che fare con la Chiesa. Lei invece voleva celebrare il matrimonio religioso. Giungono a un compromesso: «Va bene, vuol dire che domandiamo al parroco se ci vuole sposare in sacrestia, però non mi deve chiedere né confessione, né comunione, né messa». Questa è la condizione posta da Bruno. E così avviene. Dopo il matrimonio caricano le loro poche cose in una carriola e vanno ad abitare in una baracca. Bruno ora è deciso a cambiare vita. Stringe rapporti con i compagni comunisti del Partito d'Azione che lo convincono ad arruolarsi come radiotelegrafista volontario all'OMS, sigla usata per indicare l'Operazione Militare in Spagna. Siamo nel 1936. Viene accettato e in dicembre parte per la Spagna dove infierisce la guerra civile. 
Naturalmente le truppe italiane si schierano dalla parte di Franco e i suoi alleati. Bruno, infiltrato comunista, ha ricevuto dal partito il compito di sabotare motori e altro materiale in dotazione alle truppe italiane. A Saragozza è incuriosito da un tedesco che aveva sempre un libro sotto il braccio. In spagnolo gli chiede: «Perché porti sempre questo libro sotto il braccio?». «Ma non è un libro, è la sacra Scrittura, è la Bibbia», fu la risposta. Così, discorrendo, i due giungono vicino alla piazza antistante il santuario della Vergine del Pilar. Bruno invita il tedesco a entrare con lui. Quegli rifiuta energicamente: «Guarda che io in quella sinagoga di Satana non ci sono mai andato. Io non sono cattolico. A Roma c'è il nostro nemico». «Il nemico a Roma?», domanda incuriosito Bruno. «E dimmi chi è, così se io lo incontro, lo ammazzo». «è il papa che sta a Roma». Si lasciano, ma in Bruno, che già era avverso alla Chiesa cattolica, era aumentato l'odio contro di essa e contro tutto ciò che la riguardava. Così, nel 1938, mentre si trova a Toledo, compra un pugnale e sulla lama incide: «A morte il papa!». 

Nel 1939, terminata la guerra, Bruno ritorna a Roma e trova lavoro come uomo delle pulizie all'ATAC, la società che gestisce i mezzi di trasporto pubblici di Roma. In seguito, dopo un concorso, diventa bigliettaio. Risale a questo periodo il suo incontro prima con i protestanti «Battisti», e poi con gli «Avventisti del settimo giorno». Questi lo istruiscono per bene e Bruno viene fatto direttore della gioventù missionaria avventista di Roma e del Lazio. Ma Bruno continua a lavorare anche con i compagni del Partito d'Azione e in seguito nella lotta clandestina contro i tedeschi durante l'occupazione. Si adopera anche per salvare gli ebrei braccati. Con l'arrivo degli americani comincia la libertà politica e religiosa. Bruno si distingue per il suo impegno e fervore contro la Chiesa, la Vergine, il papa. Non perde occasione di fare tutti i possibili dispetti ai preti, facendoli cadere sui mezzi pubblici e rubando loro la borsa. 
Il 12 aprile 1947, come direttore della gioventù missionaria, dalla sua setta riceve l'incarico di prepararsi per parlare in Piazza della Croce Rossa. Il tema è a sua scelta, basta che sia contro la Chiesa, l'Eucaristia, la Madonna e contro il papa, ovviamente. Per questo discorso molto impegnativo da tenersi in luogo pubblico occorreva prepararsi bene, per cui occorreva un luogo tranquillo e la sua casa era il luogo meno indicato. Allora Bruno propone alla moglie: «Andiamo a Ostia tutti quanti e lì possiamo stare tranquilli; io mi preparo il discorso per la festa della Croce Rossa e voi vi divertirete». Ma la moglie non si sente bene: «No, io non posso venire... Portaci i bambini»; è un sabato quel 12 aprile 1947. Pranzano in fretta e verso le 14 papà Bruno parte con i suoi tre bambini: Isola, di undici anni, Carlo di sette e Gianfranco di quattro. Giungono alla stazione Ostiense: proprio in quel momento stava partendo il treno per Ostia. La delusione è grande. Attendere il prossimo treno significa perdere tempo prezioso e le giornate non sono ancora lunghe. «Beh, pazienza», cerca di rimediare Bruno per superare il momento di sconforto suo e dei bambini, «è andato via il treno. Io vi avevo promesso di andare a Ostia... Vorrà dire che adesso... andremo in un altro posto. Prendiamo il tram, andiamo a S. Paolo e lì prendiamo il 223 per andare fuori Roma». Non potevano infatti aspettare un altro treno, perché a quei tempi, essendo stata bombardata la linea, c'era un treno solo che faceva la spola tra Roma e Ostia. Il che voleva dire dover aspettare più di un'ora... Prima di uscire dalla stazione, papà Bruno compra un giornalino per i bambini: si trattava del Pupazzetto. 
Quando giungono vicino alle Tre Fontane, Bruno dice ai bambini: «Scendiamo qua perché anche qui ci sono gli alberi e andiamo su dove ci sono i padri trappisti che danno il cioccolato». «Sì, sì», esclama Carlo, «allora andiamo a mangiare il cioccolato!». «Pure a me 'a sottolata», ripete il piccolino Gianfranco, che per la sua età smozzica ancora le parole. Così i bambini corrono felici lungo il viale che conduce all'abbazia dei padri trappisti. Giunti al vetusto arco medievale, detto di Carlo Magno, si fermano davanti al negozietto dove si vendono libri religiosi, guide storiche, corone, immagini, medaglie... e soprattutto l'ottimo «Cioccolato di Roma», prodotto dai padri trappisti delle Frattocchie e il liquore di eucalipto distillato nella stessa abbazia delle Tre Fontane. Bruno acquista tre piccole tavolette di cioccolato per i piccoli, che generosamente ne conservano un pezzettino, avvolto nella carta stagnola, per la mamma rimasta a casa. Dopo di che i quattro riprendono il cammino su un viottolo ripido che li porta al boschetto di eucalipti che sorge proprio davanti al monastero. 
Papà Bruno non era nuovo di quel luogo. Lo aveva frequentato da ragazzo quando, mezzo vagabondo e mezzo abbandonato dai suoi, vi si rifugiava qualche volta per passarvi la notte in qualche grotta scavata nella pozzolana di quel terreno vulcanico. Si fermano alla prima graziosa radura che incontrano, un centinaio di metri dalla strada. «Come è bello qui!», esclamano i bambini, che vivono in uno scantinato. Hanno portato la palla con la quale avrebbero dovuto giocare sulla spiaggia di Ostia. Va benissimo anche qui. C'è anche una piccola grotta e i bambini cercano di entrare subito all'interno, ma il papà lo proibisce loro energicamente. Da ciò che aveva visto per terra si era infatti reso subito conto che anche quell'anfratto era divenuto luogo di convegno delle truppe alleate... 
Bruno consegna la palla ai bambini perché giochino mentre lui si siede sopra un masso con la Bibbia, quella famosa Bibbia su cui aveva scritto di suo pugno: «Questa sarà la morte della Chiesa cattolica, con il papa in testa!». Con la Bibbia aveva portato anche un taccuino e una matita per prendere appunti. Comincia la ricerca dei versetti che gli sembrano più appropriati per confutare i dogmi della Chiesa, specialmente quelli mariani dell'Immacolata, dell'Assunzione e della Maternità divina. Mentre inizia a scrivere, giungono i bambini trafelati: «Papà, abbiamo perso la palla». «Dove l'avete tirata?». «Dentro i cespugli». «Andate a cercarla!». I bambini vanno e ritornano: «Papà, eccola la palla, l'abbiamo trovata». Allora Bruno, prevedendo di essere interrotto in continuazione nella sua ricerca, dice ai figli: «Beh, sentite, vi insegno io un gioco, però non mi disturbate più, perché devo prepararmi questo discorso». Così dicendo, prende la palla e la tira in direzione di Isola che aveva le spalle rivolte verso la scarpata da dove erano saliti. Ma la palla, invece di raggiungere Isola, come se avesse un paio di ali, vola sopra gli alberi e scende verso la strada dove passa l'autobus. «Stavolta l'ho persa io», dice il papà; «andate a cercarla». Tutti e tre i bambini scendono alla ricerca. Bruno riprende anche lui la sua «ricerca», con passione e acredine. Di carattere violento, inclinato alla controversia perché litigioso per natura e forgiato così dalle vicende della sua giovinezza, aveva riversato questi atteggiamenti nell'attività della sua setta, cercando di procurare il maggior numero di proseliti alla sua «nuova fede». Amante delle disquisizioni, di parola abbastanza facile, autodidatta, non cessava di predicare, di confutare e di convincere, scagliandosi con particolare ferocia contro la Chiesa di Roma, contro la Madonna e il papa, a tal punto che riuscì ad attirare alla sua setta non pochi suoi colleghi tranvieri. Per la sua puntigliosa serietà, Bruno si preparava sempre prima di ogni discorso in pubblico. Da qui anche il suo successo. Al mattino di quel giorno aveva assistito regolarmente al culto «avventista» nel tempio protestante, dove era uno dei fedeli più assidui. Alla lettura-commento del sabato, si era particolarmente caricato per attaccare la «Grande Babilonia», come era chiamata la Chiesa di Roma che, secondo loro, osava insegnare errori madornali e assurdità su Maria, ritenendola Immacolata, sempre Vergine e perfino Madre di Dio. Tutte cose che, secondo loro, la Rivelazione non dice.
AMDG et BVM