- quam districte judicet Deus et quam severe puniat.
"...offero tibi Deo vivo et vero... et pro omnibus
fidélibus christianis vivis atque defunctis:
ut mihi et illis proficiat ad salutem in vitam aeternam. Amen"
FIAMME DEL PURGATORIO
Abbandoniamo ora questa terra e spingiamo lo sguardo oltre la tomba, per contemplare i castighi terribili con cui Dio punisce il peccato veniale. Vi è un carcere creato appositamente a ciò dalla giustizia divina, carcere pieno di fuoco e di tutti i tormenti: il purgatorio. Che cos'è il purgatorio? E' un inferno temporaneo; e le stesse fiamme che bruciano il dannato purificano pure l'eletto. Eodem igne, dice S. Tommaso, torquetur damnatus et purgatur electus.
Tra l'inferno ed il purgatorio non passa, altra differenza che quella della durata: il primo non finisce mai, mentre il secondo ha un termine, che varia a seconda della gravità e del numero delle colpe. La più piccola pena del purgatorio è di gran lunga superiore alla più grande di questo mondo. Il fuoco nostro è freddo, dice un Santo, a paragone di quello che brucia. quelle povere anime. Tra le fiamme del purgatorio e le nostre v'è la differenza, che passa tra il fuoco reale ed il dipinto.
S. Caterina da Genova scrive: « Le anime purganti provano un tal tormento, che lingua umana non può riferire, né alcuna intelligenza darne la più piccola nozione, eccetto che Dio non lo facesse conoscere per grazia speciale ».
Vi è nel purgatorio come nell'inferno doppia pena, quella del danno, che consiste nella privazione di Dio, e quella del senso. La pena del danno è senza paragone più grande: ed è tanto più intensa, perché quelle anime, vivendo nell'amicizia di Dio, sentono più forte il bisogno di unirsi a Lui, come l'ago calamitato si volge al polo, la freccia vola al centro ed il fuoco tende ad elevarsi.
Un religioso di S. Francesco, morto in concetto di molta virtù, comparve dopo lungo tempo ad un suo amico, lamentandosi d'essere stato abbandonato. Ciò era vero, perché il confratello, stimando il defunto già pervenuto alla gloria eterna, non pregava più per lui, e su questa supposizione faceva a quell'anima le sue scuse. Diede allora un lamentevole grido l'anima abbandonata; e disse tre volte: Nemo credit, nemo credit, nemo credit, quam districte judicet Deus et quam severe puniat. Nessuno può credere, nessuno può credere, nessuno può credere quanto laggiù si è giudicati severamente. Il Divin Redentore stesso ci ha avvertito, che non ne usciremo, senza prima aver pagato tutti i nostri debiti fino all'ultimo centesimo: Donec reddas novissimum quadrantem (Matth. V. 26).
Verso la metà del nostro secolo, il Signore nella; sua bontà permise un'apparizione di oltre tomba per confermarci nella fede del purgatorio e dimostrarci l'intensità dei patimenti che laggiù si soffrono. Nel monastero delle Francescane di Foligno una Suora, morta, da poco tempo in concetto di santità, apparve alla sorella che l'aveva sostituita nel suo ufficio, per impetrare suffragi. « Ahi! quanto soffro » disse; e per darne una prova, toccò con la palma della mano la porta e vi lasciò l'impronta carbonizzata, riempiendo la camera di fumo denso e di odor di legno bruciato. Quel terribile segno si conserva ancora; e chi non credesse può recarsi nel convento per osservarlo da vicino e leggere la cronaca del fatto.
A Zamora, città della Spagna, viveva in un convento di Domenicani un buon religioso, legato in santa amicizia con un Francescano, uomo come lui di grande virtù. Un giorno in cui s'intrattenevano di cose spirituali,, si promisero, scambievolmente che il primo a morire sarebbe apparso all'altro, se così a Dio fosse piaciuto, per informarlo della. sorte toccatagli nell'altro mondo. Morì il Francescano e, fedele alla sua promessa, apparve al religioso Domenicano, mentre stava preparando il refettorio. Dopo averlo salutato con straordinaria benevolenza, gli disse di essere salvo, ma che gli restava ancor molto a soffrire per alcuni piccoli falli dei quali non s'era abbastanza pentito in vita. Indi soggiunse: «Niente c'è sulla terra che possa dare un'idea delle mie pene». E perchè il Domenicano ne avesse una prova,. stese la destra sulla tavola del refettorio. All'istante il legno andò in fumo ed in fiamme, e vi restò la impronta, come se la mano fosse stata un ferro rovente. Immagini ognuno la commozione del Domenicano a quello spettacolo! Corse a chiamare ì confratelli, mostrò loro quel segno ferale e tutti si ritirarono subito in Chiesa a pregare per l'infelice defunto. Questa rivelazione è narrata nella vita di S. Domenico, scritta da Ferdinando di Castiglia (28 parte, libro I, capo 23). La tavola si conservò a Zamora religiosamente fino al termine del secolo passato, quando le rivoluzioni politiche la fecero sparire, insieme con tanti altri ricordi di pietà, di cui abbondava l'Europa.
Nella Storia del Padre Stanislao Choscoa, domenicano polacco, si legge che un giorno, mentre pregava per i defunti, vide un'anima tutta divorata dalle fiamme, come un carbone nel mezzo di una fornace ardente. Il pio religioso la interrogò, se quel fuoco era più penetrante del terreno.
Ahimè! rispose gemendo la misera tutto il fuoco della terra, paragonato a quello del purgatorio, è come un soffio d'aria freschissima.
E come mai è possibile? soggiunse Stanislao: Bramerei pur farne la prova, a condizione che ciò giovasse a farmi scontare una parte delle pene che dovrò un giorno soffrire nel purgatorio.
Nessun mortale replicò allora quell'anima potrebbe sopportarne la minima parte, senza morirne all'istante, se Dio non lo sostiene. Se vuoi convincertene stendi la mano.
Stanislao, lungi dallo sgomentarsi, porse la mano; ed il defunto vi lasciò cadere sopra una goccia del suo sudore. All'istante stramazzò al suolo, emettendo grida acute. Quella stilla gli aveva passata la carne, lasciandovi una piaga profonda.
Accorsero i confratelli atterriti e con pronte cure lo fecero ritornare in sé. Allora raccontò, pieno di spavento l'accaduto: e concluse dicendo: « Ah! fratelli miei, se ognun di noi conoscesse il rigore dei divini castighi, non peccherebbe giammai. Facciamo penitenza in questa vita per non doverla, poi fare nell'altra, perchè terribili sono quelle pene; combattiamo i nostri difetti e specialmente le colpe veniali avvertite. La Maestà divina è cosa santa, che non può soffrire la minima macchia nei suoi eletti ». Dopo di che si pose a letto e vi stette un anno, sempre tormentato da orribili spasimi, prodotti dalla piaga della mano.
Alla fine dell'anno, dopo di aver nuovamente esortato i suoi confratelli a temere i rigori della giustizia divina ed a fuggire qualunque peccato, benché leggero, spirò nel bacio del Signore. Lo storico aggiunge che questo fatto rianimò il fervore in tutti i monasteri e che i religiosi s'eccitavano a vicenda nel servizio di Dio, al fine di essere salvi da sì atroci supplizi.
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Il venerabile Bernardino da Busto, non men dotto che santo religioso, racconta che un suo fratellino, di nome Bartolomeo, morto ancor puro ed innocente nell'età di otto anni, fu condannato al purgatorio, perchè talora aveva recitato distratto le preghiere del mattino e della sera.
Nella storia dell'ordine Cistercense si legge di una monaca di molta virtù, che andò al purgatorio, perchè disse, senza necessità, qualche parolina sottovoce in coro al tempo dell'ufficio divino; e di un altro religioso per non aver chinato la testa al Gloria Patri, come prescriveva la regola. Essi comparvero cinti di fiamme ad implorare aiuto e ad ammonire il convento dei rigori della Giustizia divina.
Nella vita di S. Martino si legge che morì una vergine chiamata Vitalina. Era in tal concetto di santità, che non solo la città ma tutta la diocesi di Tours andò alle sue esequie, non già per suffragare l'anima, ma per impetrare grazie dalla sua intercessione, persuasi tutti che fosse in cielo. Lo stesso S. Martino non disse requiem o de profundis; e solo si congratulava con lei della sua sorte beata e ringraziava Dio dei favori fattile. Allora la defunta gli si fece vedere in abito bruno, l'occhio mesto, il volto bianco come un cencio, e con voce lamentevole: « Non mi è ancora concesso, disse, di vedere il volto del mio Signore ». Oh! Dio, e perchè mai?
«Perché un giorno di venerdì violai la regola, che ordina di non acconciare i capelli in segno di lutto per la morte del Divin Redentore».
Un Domenicano di gran pietà fu punito atrocemente solo per soverchio affetto che aveva ai suoi scritti; ed un Cappuccino di santa vita comparve in veste di fuoco, solo perchè, essendo cuoco del convento, consumò un poco di legna più del bisogno, contro il voto di povertà.
Gli stessi Santi canonizzati poi dalla Chiesa non sempre andarono esenti da quelle terribili fiamme espiatrici... Si legge nelle opere di S. Pietro Damiani che San Severino, Arcivescovo di Colonia, quantunque fosse stato in vita pieno di zelo apostolico e adorno di straordinarie virtù, dovette tuttavia rimanere per qualche tempo in quel luogo di espiazione, per avere senza bisogno anticipate le ore canoniche.
S. Gregorio Magno riferisce nei suoi dialoghi, (Libro IV, capo 40) che il santo diacono Pascasio fu condannato ad una lunga espiazione, come il defunto stesso rivelò a S. Germano di Capua. Eppure la sua dalmatica, stesa sul feretro, aveva operato portentosi miracoli.
S. Pellegrino e S. Valerio, vescovi di Augusta, passarono pure per quel fuoco. Quest'ultimo essendo vecchio cadente, cercò di lasciare l'arcivescovado ad un suo nipote, ecclesiastico meritevole per la scienza e per la virtù di cui era adorno. Ma siccome oltre al merito, guardò anche alla persona del nipote, così ebbe, per quell'affetto carnale, due terribili castighi. Dio gli tolse subito il nipote con morte prematura, e condannò lui ad un severo purgatorio, dove fu udito gridare pietà e misericordia, mentre il popolo lo invocava come santo.
Al leggere questi esempi viene spontanea sul labbro la preghiera del santo profeta: Confige timore tuo carnes meas, a judiciis enim tuis timui: Inchioda col tuo timore le mie carni, perchè ho temuto i tuoi giudizi (Ps. CXVIII, 120).
AMDG et BVM