martedì 14 febbraio 2017

Parlando di conchiglie e perle

PERLE E CONCHIGLIE



Nella preistoria e storia la conchiglia ha grande importanza. E con la conchiglia anche la perla che essa contiene.  

Secondo la simbologia cattolica, citata da  San Giovanni Damasceno nel VII secolo d.C., “il fulmine divino è penetrato dentro la conchiglia più pura, Maria, e ne è nata una perla oltremodo preziosa, il Cristo”.

La perla è importante nel nostro immaginario, sopratutto dal punto di vista spirituale: qualunque cosa rara è «una perla», preziosa proprio per le piccole quantità o dimensiomi contrapposte all’enorme preziosità. Nel Vangelo di San  Matteo (13, 45-46) leggiamo: «il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra». 
Però non va dimenticato che le perle si trovano nel fondo del mare e conquistarle costa sempre fatica e pericoli.

La perla nata dalla rugiada poi è anche un simbolo della Divina Immacolata Concezione. Essendo sferica è simbolo di perfezione, così come un rosario è il simbolo di una grande catena cosmica che lega tutto l’esistente. Non a caso nel cristianesimo il santo Rosario è stimato come la più perfetta delle preghiere e lo è.

Nel Medioevo si affermò il Cristo-perla (descritto da Friederich Ohlynel, saggio: Rugiada e perla,   Bologna 1984). L’autore ricorda che «nella Chiesa primitiva – in Clemente Alessandrino, in Origene, e, splendidamente, in Efraim il Siro – c’è una vera e propria teologia della perla-conchiglia». Tema ripreso da sant'Antonio di P.  nei suoi sermoni.

Esiste in un testo fondamentale, gli Atti di Tommaso, una pagina rivelatrice: il Canto o Inno della Perla, chiamato anche Canto dell’Anima o Canto di G. Tommaso...; protagonista del testo è il Figlio del Re, disceso in Egitto, ovvero nel basso mondo, alla ricerca di una perla custodita da un tremendo serpente. Per questa discesa, il Figlio del Re è costretto a vestire una Immonda Veste (il Corpo), che abbandonerà solo dopo aver riconquistato l’anima (la perla), quando potrà risalire al Regno del Padre.

Enrico Fulcanelli, alchimista e scrittore, segnalò che:«le conchiglie di San Giacomo sono chiamate acquasantiere; queste grandi conchiglie, un tempo, servivano a contenere l’acqua benedetta,... ancora oggi se ne trovano spesso in molte chiese  anche rurali».

Inoltre ci rivela che «le conchiglie servivano come distintivo ai pellegrini di San Giacomo. Agli inizi tutti i pellegrini sono a questo stadio. Devono compiere, con il bordone come guida e la merelle come distintivo, quel lungo e pericoloso viaggio di cui una metà è terrestre e l’altra metà marittima".
Con il termine Pellegrino s’intende il neofita che si accinge a intraprendere la Grande Opera; come guida si serve del suo bordone, il lungo bastone simbolo della via lunga e che interpreta lo spirito.

Così ìl viaggio terrestre/marittimo indica le due vie ermetiche. 
Quello terrestre è anche definito via secca, cioè priva d’illuminazione e intende la psiche prima della rivelazione che inizia a decifrare gli arcani dell’arte. 
La via marittima, detta pure via umida, si riferisce alla psiche dopo l’illuminazione che realmente inizia a compiere il Magistero. 
Il Maestro insegna che «utilizzando la via secca, rappresentata dal sentiero terrestre, seguito per primo dal nostro pellegrino, si giunge a esaltare a poco a poco, la virtù diffusa e latente, trasformando in attività ciò che era solo in potenza. L’operazione è compiuta quando appare alla superficie una stella brillante».

Lo stesso significato è dato dalla conchiglia, che se prima rappresentava la comune psiche di tutti gli uomini, ora indica la mente nobilitata. 
Fulcanelli aggiunge: «L’umile e comune conchiglia che portava sul cappello, s’è mutata in astro splendente, in aureola di luce: materia pura di cui la stella ermetica, consacra la perfezione. Adesso è il nostro compost, l’acqua benedetta di Compostella».

Questo intende il simbolico pellegrinaggio in Spagna a San Giacomo di Compostella: il lavoro filosofale che permette alla mente di aprirsi.
L’autore precisa che le «conchiglie di tipo a pettine, i Filosofi la chiamano merelles de Compostelle, dalle parole greche Mèter e elê, madre della luce». E’ interessante ricordare che i pellegrini approfittavano della grande disponibilità di questi crostacei sulle coste galiziane e se ne cibavano correntemente, mantenendo per ricordo la conchiglia. Fu a posteriori la consuetudine di arrivare a Finisterre, sull’Atlantico, distante poco meno di 100 km da Santiago.

C’è anche una leggenda. 

Teodosio e Attanasio, discepoli di Santiago, stavano portando il corpo del santo in Galizia; passato lo stretto di Gibilterra, seguirono le coste atlantiche sino a giungere in un luogo chiamato “Bouzas”. Stavano celebrando le nozze di una coppia quando il cavallo dello sposo inciampò e cadde in acqua sprofondando immediatamente. La gente già piangeva la loro morte quando sia sposo che cavallo, emersero all’improvviso accanto alla barca che trasportava il corpo del santo. Cavallo e cavaliere si ritrovarono con il corpo interamente tappezzato di conchiglie. I discepoli fecero sapere alla gente che si trattava di un miracolo e che il corpo trasportato era quello di San Giacomo, quello che aveva predicato il vangelo nelle terre di Spagna.  Riconoscendo nell’accaduto la benevolenza dell’Apostolo si assunse la conchiglia come simbolo del pellegrinaggio.

In araldica, conchiglia e perla non sono molto presenti. 
La conchiglia nelle armi familiari indica una benemerenza acquisita in pellegrinaggio o in crociata – dal momento che una conchiglia era l’emblema del pellegrinaggio a Santiago –; la spiegazione araldico-encomiastica fornita a posteriori indica, il suo uso per nobilitare dinastie. 
La perla invece è molto usata nelle corone.

Lo stemma personale di papa Benedetto XVI è formato da una conchiglia dorata. Penso abbia lo scopo di ricordare la leggenda attribuita a sant’Agostino, il quale incontrando un giovinetto sulla spiaggia, che con una conchiglia cercava di mettere tutta l’acqua del mare in una buca di sabbia, gli chiese cosa facesse. Quello gli spiegò il suo vano tentativo, ed Agostino capì il riferimento al suo inutile sforzo di tentare di far entrare l’infinità di Dio nella limitata mente umana. 
La leggenda ha un evidente simbolismo spirituale, per invitare a conoscere Dio, seppure nell’umiltà delle inadeguate capacità umane, attingendo all’inesauribilità dell’insegnamento teologico. 

C'è un ideale più bello e alto di chi vuol vivere cooperando alla conoscenza della Verità? Deus nos adiuvet cum Maria et Conchiglia Santissimae Trinitatis.

AMDG et BVM

STEMMA DI SUA SANTITA' BENEDETTO XVI

STEMMA DI SUA SANTITA' BENEDETTO XVI

STEMMA DI SUA SANTITA’ BENEDETTO XVI Fin dai tempi medioevali, gli stemmi sono diventati di uso comune per i guerrieri e per la nobiltà, e si è quindi venuto sviluppando un ben articolato linguaggio che regola e descrive l'araldica civile. Parallelamente, anche per il clero si è formata un'araldica ecclesiastica. Essa segue le regole di quella civile per la composizione e la definizione dello scudo, ma vi pone intorno simboli ed insegne di carattere ecclesiastico e religioso, secondo i gradi dell'Ordine sacro, della giurisdizione e della dignità. È tradizione, da almeno otto secoli, che anche i Papi abbiano un proprio stemma personale, oltre a simbolismi propri della Sede Apostolica. Particolarmente nel Rinascimento e nei secoli successivi, era uso decorare con lo stemma del Sommo Pontefice felicemente regnante tutte le principali opere da lui eseguite. Stemmi papali appaiono infatti in opere di architettura, in pubblicazioni, in decreti e documenti di carattere vario. Spesso i Papi adottavano lo scudo della propria famiglia, se esso esisteva, oppure componevano uno scudo con simbolismi che indicavano una propria idealità di vita, o un riferimento a fatti o esperienze passate, oppure ad elementi connessi con un proprio programma di pontificato. Talvolta apportavano qualche variante allo scudo che avevano adottato da Vescovi. Anche il Cardinale Giuseppe Ratzinger, eletto Papa ed assumendo il nome di Benedetto XVI, ha scelto uno stemma ricco di simbolismi e di significati, per affidare alla storia la sua personalità ed il suo Pontificato. Uno stemma, come si sa, si compone di uno scudo, che porta alcuni simboli significativi, ed è circondato da elementi, che indicano la dignità, il grado, il titolo, la giurisdizione, ecc. Lo scudo adottato dal Papa Benedetto XVI ha una composizione molto semplice: esso è del tipo a calice, che è la forma maggiormente usata nell'araldica ecclesiastica (un'altra forma è quella a testa di cavallo, come adottò Paolo VI). All'interno, variando la composizione nei rispetti del suo scudo cardinalizio, lo scudo di Papa Benedetto XVI è diventato: di rosso, cappato di oro. Il campo principale, infatti, che è di rosso, porta due campiture laterali negli angoli superiori a modo di "cappa", che sono di oro. La "cappa" è un simbolo di religione. Essa indica una idealità ispirata alla spiritualità monastica, e più tipicamente a quella benedettina. Vari Ordini o Congregazioni religiose hanno adottato la forma "cappata" nel loro stemma, come ad esempio i Carmelitani, ed i Domenicani, anche se questi ultimi lo portavano solo in una simbologia più primitiva della loro attuale. Benedetto XIII, Pietro Francesco Orsini (1724-1730), dell'Ordine dei Predicatori, adottò il "capo domenicano", che è di bianco cappato di nero. Lo scudo di Papa Benedetto XVI contiene dei simbolismi che egli già aveva introdotto nel suo stemma come Arcivescovo di München und Freising (Monaco e Frisinga), e poi come Cardinale. Essi però nella nuova composizione sono ora ordinati in un modo diverso. Il campo principale dello stemma è quello centrale, che è di rosso. Nel punto più nobile dello scudo, vi è una grande conchiglia di oro, la quale ha una triplice simbologia. Essa dapprima ha un significato teologico: vuole ricordare la leggenda attribuita a sant'Agostino, il quale incontrando un giovinetto sulla spiaggia, che con una conchiglia cercava di mettere tutta l'acqua del mare in una buca di sabbia, gli chiese cosa facesse. Quello gli spiegò il suo vano tentativo, ed Agostino capì il riferimento al suo inutile sforzo di tentare di far entrare l'infinità di Dio nella limitata mente umana. La leggenda ha un evidente simbolismo spirituale, per invitare a conoscere Dio, seppure nell'umiltà delle inadeguate capacità umane, attingendo alla inesauribilità dell'insegnamento teologico. La conchiglia, inoltre è da secoli usata per rappresentare il pellegrino: simbolismo che Benedetto XVI vuole mantenere vivo, calcando le orme di Giovanni Paolo II, grande pellegrino in ogni parte del mondo. La casula da Lui usata nella solenne liturgia dell'inizio del suo Pontificato, domenica 24 aprile, portava con evidenza il disegno di una grande conchiglia. Essa è anche il simbolo presente nello stemma dell'antico Monastero di Schotten, presso Regensburg (Ratisbona) in Baviera, cui Joseph Ratzinger si sente spiritualmente molto legato. Nella parte dello scudo denominata "cappa", vi sono anche due simboli venuti dalla tradizione della Baviera, che Joseph Ratzinger divenuto nel 1977 Arcivescovo di Monaco e Frisinga aveva introdotto nel suo stemma arcivescovile. Nel cantone destro dello scudo (a sinistra di chi guarda) vi è una testa di moro al naturale (ovvero di colore bruno), con labbra, corona e collare di rosso. È l'antico simbolo della Diocesi di Frisinga, nata nell'VIII secolo, diventata Arcidiocesi Metropolitana col nome di Monaco e Frisinga nel 1818, dopo il Concordato tra Pio VII ed il Re Massimiliano Giuseppe di Baviera (5 giugno 1817). La testa di Moro non è rara nell'araldica europea. Essa appare tutt'oggi in molti stemmi della Sardegna e della Corsica, oltre a vari blasoni di famiglie nobili. Anche nello stemma del Papa Pio VII, Barnaba Gregorio Chiaramonti (1800- 1823), apparivano tre teste di Moro. Ma il Moro nell'araldica italica in generale porta intorno alla testa una banda bianca, che indica lo schiavo reso libero, e non è coronato, mentre lo è nell'araldica germanica. Nella tradizione bavarese la testa di moro appare infatti molto spesso, ed è denominata caput ethiopicum, o moro di Frisinga. Nel cantone sinistro della cappa, compare un orso, di colore bruno (al naturale), che porta un fardello sul dorso. Un'antica tradizione racconta come il primo Vescovo di Frisinga, san Corbiniano (nato verso il 680 in Chartres, Francia, morto l'8 settembre 730), messosi in viaggio per recarsi a Roma a cavallo, mentre attraversava una foresta fu assalito da un orso, che gli sbranò il cavallo. Egli però riuscì non solo ad ammansire l'orso, ma a caricarlo dei suoi bagagli facendosi accompagnare da lui fino a Roma. Per cui l'orso è rappresentato con un fardello sul dorso. La facile interpretazione della simbologia vuole vedere nell'orso addomesticato dalla grazia di Dio lo stesso Vescovo di Frisinga, e suole vedere nel fardello il peso dell'episcopato da lui portato. Lo scudo dello stemma papale può quindi essere descritto ("blasonato") secondo il linguaggio araldico nel seguente modo: "Di rosso, cappato di oro, alla conchiglia dello stesso; la cappa destra, alla testa di moro al naturale, coronata e collarinata di rosso; la cappa sinistra, all'orso al naturale, lampassato e caricato di un fardello di rosso, cinghiato di nero". Lo scudo reca al suo interno - come abbiamo descritto - le simbologie legate alla persona che se ne fregia, alle sue idealità, alle sue tradizioni, ai suoi programmi di vita ed ai principi che lo ispirano e lo guidano. I vari simboli del grado, della dignità e della giurisdizione dell'individuo appaiono invece all'intorno dello scudo. È tradizione, da tempo immemorabile, che il Sommo Pontefice porti nel suo stemma, intorno allo scudo, le due chiavi "decussate" (ovvero incrociate in croce di s. Andrea), una d'oro e una d'argento: da vari autori interpretate come i simboli del potere spirituale e del potere temporale. Esse appaiono dietro allo scudo, o al di sopra di esso, affermandosi con una certa evidenza. Il Vangelo di Matteo narra che Cristo ha detto a Pietro "A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (cap. 16, v.19). Le chiavi sono quindi il tipico simbolo del potere dato da Cristo a San Pietro ed ai suoi successori. Pertanto, esse giustamente appaiono in ogni stemma papale. Nell'araldica civile vi è sempre al di sopra dello scudo un copricapo, in generale una corona. Anche nell'araldica ecclesiastica appare normalmente un copricapo, evidentemente di tipo ecclesiastico. Nel caso del Sommo Pontefice fin dai tempi antichi appare una "tiara". Essa era all'inizio un tipo di "tocco" chiuso. Nel 1130 fu accompagnato da una corona, simbolo di sovranità sugli Stati della Chiesa. Bonifacio VIII, nel 1301, aggiunse una seconda corona, al tempo del confronto col Re di Francia, Filippo il Bello, per significare la sua autorità spirituale al di sopra di quella civile. Fu Benedetto XII, nel 1342 ad aggiungere una terza corona per simbolizzare l'autorità morale del Papa su tutti i monarchi civili, e riaffermare il possesso di Avignone. Col tempo, perdendo i suoi significati di carattere temporale, la tiara d'argento con le tre corone d'oro è rimasta a rappresentare i tre poteri del Sommo Pontefice: di Ordine sacro, di Giurisdizione e di Magistero. Negli ultimi secoli, i Papi usarono la tiara nei pontificali solenni, ed in particolare nel giorno della "incoronazione", all'inizio del loro pontificato. Paolo VI usò per tale funzione una preziosa tiara regalatagli dalla diocesi di Milano, come già questa aveva fatto per Pio XI, ma poi la destinò ad opere di beneficenza ed iniziò l'uso corrente di una semplice "mitra" (o "mitria"), pur talvolta impreziosita da decorazioni o gemme. Egli però lasciò la "tiara" insieme con le chiavi decussate come simbolo della Sede Apostolica. Oggi, giustamente, la cerimonia con cui il Sommo Pontefice inaugura solennemente il suo Pontificato non si chiama più "incoronazione", come si diceva in passato. La piena giurisdizione del Papa, infatti, inizia dal momento della sua accettazione dell'elezione fatta dai Cardinali in Conclave e non da una incoronazione, come per monarchi civili. Per cui tale cerimonia si denomina semplicemente come solenne inizio del suo Ministero Petrino, come è avvenuto per Benedetto XVI, il 24 aprile corrente. Il Santo Padre Benedetto XVI ha deciso di non mettere più la tiara nel suo stemma ufficiale personale, ma di porre solo una semplice mitra, che non è quindi sormontata da una piccola sfera e da una croce come lo era la tiara. La mitra pontificia raffigurata nel suo stemma, a ricordo delle simbologie della tiara, è di argento e porta tre fasce d'oro (i tre suddetti poteri di Ordine, Giurisdizione e Magistero), collegati verticalmente fra di loro al centro per indicare la loro unità nella stessa persona. Un simbolo del tutto nuovo nello stemma del Papa Benedetto XVI è invece la presenza del "pallio". Non è tradizione, almeno recente, che i Sommi Pontefici lo rappresentino nel loro stemma. Tuttavia, il pallio è la tipica insegna liturgica del Sommo Pontefice, e compare molto spesso in antiche raffigurazioni papali. Indica l'incarico di essere il pastore del gregge a Lui affidato da Cristo. Nei primi secoli i Papi usavano una vera pelle di agnello poggiata sulla spalla. Poi entrò nell'uso un nastro di lana bianca, intessuto con pura lana di agnelli allevati per tale scopo. Il nastro portava alcune croci, che nei primi secoli erano in nero, oppure talvolta in rosso. Già nel IV secolo il pallio era una insegna liturgica propria e tipica del Papa. Il conferimento del pallio da parte del Papa agli arcivescovi metropoliti iniziò nel VI secolo. L'obbligo da parte di questi di postulare il pallio dopo la loro nomina è attestato fin dal IX secolo. Nella famosa lunga serie iconografica dei medaglioni che nella Basilica di San Paolo riportano l'effigie di tutti i Papi della storia (benché particolarmente i più antichi siano di fattezze idealizzate) moltissimi Sommi Pontefici sono raffigurati con il pallio, particolarmente tutti quelli fra il V ed il XIV secolo. Il pallio è quindi il simbolo non solo della giurisdizione papale, ma anche il segno esplicito e fraterno del compartire questa giurisdizione con gli Arcivescovi metropoliti, e mediante questi con i Vescovi loro suffraganei. Esso quindi è segno visibile della collegialità e della sussidiarietà. Anche vari Patriarchi Orientali usano una forma antichissima, molto simile al pallio, detta omophorion. Nell'araldica in generale, sia civile, sia ecclesiastica (particolarmente nei gradi inferiori) è uso mettere al di sotto dello scudo un nastro, o cartiglio, che reca un motto, o divisa. Esso riporta in una sola o in poche parole una idealità, o un programma di vita. Il Cardinale Giuseppe Ratzinger aveva nel suo stemma arcivescovile e cardinalizio il motto: "Cooperatores Veritatis". Esso rimane come sua aspirazione e programma personale, ma non compare nello stemma papale, secondo la comune tradizione degli stemmi dei Sommi Pontefici negli ultimi secoli. Tutti ricordiamo come Giovanni Paolo II citasse spesso il motto "Totus Tuus", sebbene non figurasse nel suo stemma papale. La mancanza di un motto nello stemma del Papa non vuol dire mancanza di programma, ma significa invece apertura senza esclusione a tutte le idealità che derivino dalla fede, dalla speranza e dalla carità. Mons. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo Nunzio apostolico Copyright © L'Osservatore Romano

DIVINA


“Santa Maria Vergine,
non vi è alcuna simile a te,
nata nel mondo, tra le donne,
figlia e ancella
dell’altissimo sommo Re il Padre celeste,
madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo,
sposa dello Spirito Santo;
prega per noi con san Michele arcangelo
e con tutte le potenze dei cieli
e con tutti i santi,
presso il tuo santissimo diletto

Figlio, Signore e maestro”
Patriae Lux

lunedì 13 febbraio 2017

SAN VALENTINO: GESU' VANGELO VERITA'

SAN VALENTINO lasciò tutto per seguire 
GESU', 
IL SUO VANGELO, 
LA VERITA', 
L'UNICA VERITA'.

LA SUA INTERCESSIONE E IL SUO ESEMPIO 
AIUTINO GLI AMICI DI QUESTO BLOG 
A INNAMORARSI SEMPRE PIU' 
DI GESU' DEL SUO VANGELO E DELLA VERITA' RIVELATACI. 


NELLA TEMPESTA PERFETTA CHE STIAMO GIA' VIVENDO
OFFRO A TUTTI

SPECIALMENTE A QUANTI SI PREPARANO 
AL SANTO MATRIMONIO
UNA PREGHIERA
LA PRIMA DI UNA SERIE
DETTATA DA GESU' PER NOI IN QUESTI TEMPI

ECCO LA PREGHIERA:
Carissimo Gesù,
salvaci dall’inganno del falso profeta.
Gesù, abbi Pietà di noi.
Gesù, salvaci dalla persecuzione.
Gesù, preservaci dall’anticristo.
Signore, Pietà.
Cristo, Pietà.
Carissimo Gesù,
ricoprici del Tuo Prezioso Sangue.
Carissimo Gesù,
apri i nostri occhi alle menzogne del falso profeta.
Carissimo Gesù,
riunisci la Tua Chiesa.
Gesù, proteggi i nostri Sacramenti.
Gesù, non lasciare
che il falso profeta divida la Tua Chiesa.
Carissimo Gesù,
aiutaci a respingere le menzogne
che ci vengono presentate come delle Verità.
Gesù, dacci la forza.
Gesù, dacci la speranza.
Gesù, inonda la nostra anima dello Spirito Santo.
Gesù, proteggici dalla bestia.
Gesù dacci il dono del discernimento,
affinché possiamo seguire la via della Tua Vera Chiesa
in ogni circostanza e nei secoli dei secoli.
Amen.