venerdì 10 febbraio 2017

Liturgia ‘orientata’

Papa Benedetto XVI 

si dichiara a favore della celebrazione "ad orientem" 


La notizia è clamorosa ed è stata rilanciata da diverse agenzie come Riposte Catholique Boulevard Voltaire: Papa Benedetto XVI, intervenuto lo scorso 12 ottobre su L’Osservatore Romano mentre infuria la battaglia liturgica, non ha esitato a sposare in pieno la linea del card. Sarah, smarcandosi apertamente da quella di F. E lo ha fatto sul suo terreno più congeniale, quello teologico, dichiarandosi a favore della celebrazione ad orientem
«Nell’orientare la liturgia verso Oriente, noi vediamo che i Cristiani, insieme col Signore, desiderano progredire verso la redenzione della Creazione tutta intera», ha detto. Non è dunque il celebrante a dover fare la vedette, sotto gli sguardi di tutti. Anche perché, ha aggiunto sempre Papa Benedetto XVI, «un pastore del gregge di Gesù Cristo non è mai orientato semplicemente verso la cerchia dei propri fedeli».
C’è già chi attende la replica di FP, replica che, ad oggi (una ventina di giorni dopo l’uscita pubblica del suo predecessore), non è giunta e che probabilmente non giungerà mai.
Siamo di fronte ad una situazione davvero imbarazzante. Per inquadrarla al meglio, mette conto ricordare come nel giugno dell’anno scorso, il card. Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e per la Disciplina dei Sacramenti, avesse proposto a «tutti, preti e fedeli», in aperto contrasto con quanto stabilito dal Concilio Vaticano II, di volgersi «insieme verso Oriente» almeno nelle parti della S. Messa, in cui ci si rivolga direttamente a Dio: KyrieGloria, specifiche orazioni e S. Eucarestia. Proposta, che trovò subito il pieno consenso del card. Raymond Burke e, contemporaneamente, una secca battuta d’arresto nelle parole del portavoce della Santa Sede, Padre Lombardi, precipitatosi a precisare: «Non è prevista alcuna nuova direttiva liturgica», tanto perché il messaggio fosse forte e chiaro.
Sarà un caso, ma da allora il card. Sarah non è più stato invitato a numerosi eventi svoltisi in Vaticano. L’ultimo sgarbo clamoroso, in ordine di tempo, è giunto in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno accademico presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli Studi sul Matrimonio e la Famiglia, quando, all’ultimo minuto, FP decise di sostituirsi a lui, pur essendo stato egli da molto tempo invitato a tenere la prolusione.
Ma ora, a rilanciare la questione con autorevolezza, è stato Papa Benedetto XVI ovvero qualcuno cui, per grado e per competenze teologiche, anche il FP è difficile che possa alcunché obiettare. Da qui meglio si possono comprendere ed inquadrare le ragioni del perdurante silenzio… (M. F.)
AMDG et BVM

Nessuna pena senza colpa

Nulla poena sine culpa (il caso Manelli)


(di Giovanni Turco) Un classico brocardo esprime uno dei principi elementari di giustizia: nessuna pena senza colpa. La pena presuppone la colpa. E quella è giusta solo se è proporzionata a questa. Si tratta di un criterio basilare della sapienza giuridica. Vi si attualizza l’istanza del giusto, la quale è perenne e vincolante per tutti e nei confronti di chiunque. Perciò intramontabile ed inconfutabile. La giustizia, infatti, trova compimento quando si dà a ciascuno il suo. Non quando si infliggono sanzioni per asservire altri al proprio volere.
Non quando si esercita un potere che rimuove i criteri del retto operare,alla stregua di ostacoli o di ingombri. Nessuna pena è intrinsecamente legittima senza che essa si riferisca ad una colpa. Solo in presenza della colpa la pena è giustificata. Altrimenti è arbitraria. Ovvio che debba trattarsi di una colpa reale, non ipotetica. Accertata, non presunta. Ma affinché la colpa sia riconosciuta come tale e (posta che sia stata compiuta) sia valutata nella sua obiettiva gravità, occorre che l’imputato abbia la possibilità di difendersi. Che possa esporre le proprie ragioni. Che abbia la possibilità di fare emergere fatti e situazioni. Giacché, come è noto, contra factum non valet argumentum. A tal fine esiste il processo. Breve o lungo, che sia. Essenziale o complesso, che sia.
L’incolpato ha diritto al processo. Tanto civile, quanto canonico. Proprio perché ne sia verificata la colpa, se colpa vi è. Perché vi sia agio per capire, quindi per ascoltare, per confrontare, per discutere. Difatti senza capire non è possibile giudicare. E senza giudicare è arbitrario sanzionare. La ricerca del giusto è anzitutto questione di razionalità. E se la sanzione è priva di razionalità (cioè di autentica giustificazione), essa assume il carattere della sopraffazione. D’altra parte, se la colpa non è accertata, oltre ogni ragionevole dubbio, come può qualcuno essere considerato meritevole di sanzioni?
La presunzione di innocenza è questione di giustizia. Ciascuno ha diritto all’onorabilità, fino a prova contraria. Si tratta di un diritto, richiesto dal primato del giusto. Non da quello (inesistente) del desiderio. Ed altro è la colpa, altro è il sospetto. La storia delle tirannie e delle rivoluzioni è costellata di esecuzioni penali contro i sospetti. Non quella della civiltà giuridica, laica o ecclesiastica che sia. Ogni atto umano, come tale è imputabile, proprio in quanto consapevole e libero. Ma altro è, per chicchessia, essere imputabile, altro è essere imputato. Ed, eventualmente, altro è essere imputato, altro è essere condannato. Tra tali termini non vi è continuità. Vi è un abisso. L’autorità autentica è sottomessa alla giustizia. Non è arbitra della giustizia. Presuppone la giustizia.
 Non la “inventa”, ad libitum. Senza intrinseca finalizzazione di giustizia, all’autorità non resterebbe se non il potere. Tale da presumere di essere criterio a se medesimo, così da identificare libito e lecito. Insomma, tale da assumere il proprio volere come regola a se stesso, escludendo ogni principio superiore, che, come tale, va al di là del volere e del potere. Di chiunque. Dal supremo all’infimo dei poteri. Non altrimenti si esprime il Diritto canonico. Si pensi, esemplarmente, a quanto stabiliscono alcuni canoni, in tema di connessione tra pena e colpa: «I fedeli hanno il diritto di non essere colpiti da pene canoniche, se non a norma di legge» (can. 221); «Per pronunciare una sentenza qualsiasi si richiede nell’animo del giudice la certezza morale su quanto deve decidere con essa. Il giudice deve attingere questa certezza dagli atti e da quanto è stato dimostrato» (can. 1608); «Nessuno è punito, se la violazione esterna della legge o del precetto da lui commessa non sia gravemente imputabile per dolo o per colpa» (can. 1321).
A sua volta il Diritto canonico stesso presuppone il diritto naturale, ovvero il giusto in quanto tale. E nessuna procedura legale può surrogarlo. Infatti, come ha ricordato Benedetto XVI, «il vero diritto è inseparabile dalla giustizia. Il principio vale ovviamente anche per la legge canonica, nel senso che essa non può essere rinchiusa in un sistema normativo meramente umano, ma deve essere collegata a un ordine giusto della Chiesa, in cui vige una legge superiore» (Discorso in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale della Rota romana, 21/1/2012).
Ora, se tali considerazioni non fanno che profilare quanto l’intelligenza del giusto richiede per se stessa, finiscono per apparire – almeno a chi scrive – ingiustificabili quelle restrizioni della libertà imposte al Fondatore dei Francescani dell’Immacolata, padre Stefano M. Manelli. Come quella che si esprime nel divieto di partecipare ad incontri, di apparire comunque in pubblico, di rilasciare dichiarazioni, o di incontrare i Frati dello stesso Istituto (ad eccezione dei frati che ne abitassero al momento il medesimo convento). È innegabile che tali limitazioni della libertà di comunicare, di incontrare, di partecipare – quindi di esercitare anche in tal modo il proprio ministero – giungano ad avere un carattere obiettivamente afflittivo (indipendentemente dalle intenzioni o delle finalità soggettive di chi le ha comminate), non solo quanto agli atti impediti ma anche quanto al soggetto cui sono destinate.
Per se stesse, altresì, gettano un’ombra sulla reputazione (se pure non la feriscono esplicitamente) dell’uomo, del sacerdote e del religioso, a cui sono dirette. Senza che ad esse sia preceduta alcuna incriminazione, alcun accertamento, alcun giudizio, alcuna condanna. A quali colpe corrispondono tali restrizioni della libertà? Quali leggi ha violato chi ne è destinatario? Quali reati ha commesso? Quando sono stati accertati? Quando è stata data la possibilità di difendersi al destinatario della restrizione? C’è mai stato un regolare dibattimento ed una regolare sentenza, che abbiano concluso per una qualche colpevolezza in qualsivoglia materia? Perché tali provvedimenti restrittivi precedono, anziché seguire, un rigoroso accertamento giudiziale? Si tratta di domande sostanziali, che valgono per se stesse, indipendentemente da chi le ponga.
Ad esigere una risposta è la natura stessa della giustizia, a cui nessuno è, o può dirsi, superiore. La quale trascende ogni preferenza, e non è il risultato di qualsivoglia appartenenza. La giustizia è quella che Antigone invocò di fronte al tiranno Creonte. Ed è quella stessa che Gesù oppose al servo che lo percuoteva: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv 18,23). (Giovanni Turco)

giovedì 9 febbraio 2017

Quien se mantiene en la Verdad posee el verdadero Sacerdocio ...

SACERDOCIO 
SEGÚN EL RITO DE MELQUISEDEC 
 18-1-2017, 7 am 

Aprended, Hijos míos, vosotros que amáis la Verdad, aprended de la predicación de Mi predilecto Joseph, para que sepáis reconocer quien es sacerdote de mi agrado, aquel que lleva en el Mi Santo Espíritu, y en el Espíritu de la Verdad que lo habita da verdadero testimonio de la Única Verdad, la que proviene de quien es Sacerdote Eterno, Sacerdote según el rito de Melquisedec, Sacerdocio Real del mismo Dios, el Sacerdocio del mismo Cristo. 

Quien se mantiene en la Verdad posee el verdadero Sacerdocio, aquel ministerio y Santo Sacramento que viene del Cielo, pues Cristo es Sacerdote Real, Sacerdote Eterno según el rito de Melquisedec, sacerdocio sin mancha, del cual muy pocos sacerdotes hay hoy en día que se mantengan bajo esa Santa herencia sacerdotal o ministerial. 

Juan de Dios ha recibido así, pues, este sacerdocio que da el Espíritu Santo, un sacerdocio no de manos de hombres sino de Mi Mano Divina, que da una unción especial y verdadera, porque he sido Yo mismo, Dios Omnipotente, que lo he elegido para una misión muy grande en este final de los tiempos, en que habría de aparecer Pedro el Romano para guiar a la Verdadera y Única Iglesia, la que perseveró en la Fidelidad y la Verdad. 

Sabed vosotros, Hijitos Míos, que el padre Joseph, Mi predilecto, también lleva en él la herencia de este Sacerdocio Real, que procede según el Rito de Melquisedec, porque habiendo sido ungido por manos de hombres recibiendo el orden sacerdotal, buscó ser ungido por Mi, Su Dios, para mantenerse libre de toda corrupción sacerdotal que proviene de la misma jerarquía que está en la Iglesia. 

Cuando os probé y quise medir vuestra fidelidad, os hallé digno de recibir la unción de Mi Mano Divina, porque vuestro celo apostólico y amor a la Verdad os merecieron esta gracia, que marca ahora vuestro sacerdocio, como parte de la herencia que muy pocos sacerdotes ministeriales reciben, y pocos son los hombres escogidos como sacerdotes de orden Divina y no humana, como lo es para Juan de Dios, André, mi pequeño niño, y unos cuantos sacerdotes fieles que están adheridos a la Verdadera Doctrina, bajo la guía y obediencia de Mi Vicario Benedicto XVI. 

Este Sacerdocio marcado por Mi Mano Divina lleva en si una misión específica: preservar y custodiar Mi Iglesia, con un Resto Fiel, donde el sello Divino del mismo Dios Altísimo impide a Satanás de llevar su obra maligna. 

El sacerdote terrenal perecerá y no habrá en la próxima generación herencia en la tierra de ese sacerdocio, que es corruptible, en cambio del sacerdocio según el Rito de Melquisedec permanecerá, pues en Cristo, Sacerdote Real, Sacerdote para siempre, he dejado el Verdadero Sacerdocio, y éste será preservado en tiempos de la gran tribulación, porque en este sacerdocio santo prevalecerá Mi Iglesia. La obra del demonio destruye la Iglesia que se prostituyó con sus obras malas, pero la Verdadera Iglesia nunca será destruida porque es la obra del Espíritu. 

Oh, Santas palabras pronunciadas esta mañana por este siervo Mío, Joseph, sacerdote ungido y sellado con mano Divina, ya no sólo consagrado por mano de hombres. Este es el premio de los que aman la Verdad, la recompensa de los que Me son Fieles y se negaron a sí mismos para servirme. 

Orad por todos los sacerdotes que han quedado bajo el engaño de satanás, todos aquellos que por su tibieza se desviaron del verdadero Camino, dejando el camino estrecho para ir por el camino ancho que conduce a la perdición. 

Orad por esos sacerdotes que no quisieron recibir esta doble unción Divina que preservaría su sacerdocio ministerial al recibir el sello Divino, pues muchos son los que caerán al infierno, y gran cantidad de ellos conocerán grandes sufrimientos antes de poder alcanzar el cielo, el cielo que los esperaba con las más bellas moradas destinadas para su gozo y descanso eterno. 

Muchas cosas no podéis comprender de estos designios Divinos, pero os digo que era necesario que a esta hora viniese a vosotros un hombre elegido no por hombres sino por el Mismo Dios para ser Sacerdote Ungido, sacerdote por herencia de quien recibió el Sacerdocio Real, el Mismo Hijo de Hombre, Jesucristo, SACEROTE PARA SIEMPRE, pues Jesucristo, habiendo vencido la muerte y el pecado, es ejemplo del Verdadero sacerdocio Santo y de Orden Divino. Él mismo preparó a su Elegido, Juan de Dios, para estos tiempos, para luchar contra el demonio y sostener a la Verdadera Iglesia. 

Os Bendigo pequeño Resto Fiel, os Bendigo en Benedicto, mi Vicario, os Bendigo en Mi Ungido Juan de Dios, Pedro el romano, os Bendigo en Mi Predilecto Joseph. 

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Padre Santo y Eterno Dios, gracias te doy por estos tres elegidos Tuyos, sacerdotes santos elegidos por Ti para esta hora. Gracias por dar a La Iglesia de Cristo, santos sacerdotes que nos guían y nos conducen hacia la santidad. 

Salva en su Fidelidad y amor a la Verdad, a muchos sacerdotes infieles, confundidos para que en la última hora muchos de ellos reciban la unción de Tu Espíritu y obren la verdad. 

Bendice a cada instante a estos tres siervos tuyos y a todo sacerdote Fiel, que dócilmente es movido y guiado por El Espíritu de la Verdad. 

Gracias Padre Mío, Gracias por El Sacerdocio Eterno de Jesús, Gracias por la herencia que nos dejaste a tu Iglesia, danos la gracia de perseverar hasta el fin. Amen, Amen, Amen.

Abraham y Melquisedec
AMDG et BVM

...en qué hora se encuentra vuestro Pastor y la Pasión dolorosa de Mi Iglesia.

BENEDICTO XVI 
SE MANIFIESTA EN MI ALMA 
 3-2-2017 

Mi amado Jesús, apenas si termina la Santa Misa y me dispongo a escribir la revelación que me has dado en este Santo Sacrificio del Altar, y visión con Tu Vicario y Pastor de Tu Iglesia, Benedicto XVI. 

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Escribe con Mi Mano Santa lo que os revelo y os doy en visión para Mi Iglesia, a fin para que se prepare para lo que está por acontecer en el Vaticano. 

Habéis visto a Mi Vicario, dócil y humilde, pasivo, pero con firmeza y autoridad, la que le viene de lo alto; habéis visto tener un enfrentamiento con Francisco, el falso profeta, que tomó la Silla de Pedro. 
Ese enfrentamiento verbal que habéis visto, al mismo tiempo en que Me veíais a Mí, vuestro Salvador, enfrentado ante los ancianos de la ley la misma noche en que fui aprendido, tras la traición de Judas, así también como poco antes de ir al Calvario fui enfrentado ante Pilato, quien preguntaba ante la multitud….¿cuál es la Verdad? 

Esta visión donde Yo, dócil y humilde, pasivo, pero con autoridad, la que Mi Padre me había dado y Me venía de lo Alto, es lo mismo que habéis visto a Benedicto, quien sigue Mis huellas e imita Mis obras; esta visión os indica en qué hora se encuentra vuestro Pastor y la Pasión dolorosa de Mi Iglesia. 

Benedicto anda ya entre los distintos tribunales, acusado, buscando hacerlo culpable, enjuiciado por que dice y habla con la Verdad. 

Mi Vicario ya alza, dentro del Vaticano, la voz y protesta contra todas las herejías que salen de la boca del lobo vestido con piel de oveja, que blasfema contra Mí, que Soy la Verdad. 

Bien habéis sentido la aflicción y la agonía de Mi Vicario por amar la Verdad. Este pastor, Benedicto, como Yo, Su Maestro, su Pastor Eterno, lo habéis podido ver como el manso cordero colocado para el holocausto, indefenso cordero, va al matadero como Yo, Su Salvador, como una ofrenda de amor para el Eterno, por amor a quien lo llamó a ser Pastor y Vicario de Mi Iglesia, y por amor a las almas, las ovejas de su rebaño. 

En mayor número son los que están y siguen al falso profeta, como sucedió conmigo en aquel Monte Calvario: la multitud estaba contra Mí, porque la multitud estaba poseída por el mismo espíritu que entró en Judas, porque son pocos los que se han mantenido en la Verdad, pocos son los que están Conmigo, que Soy Camino, Verdad y Vida. 

Él, Benedicto, está en Mí, así como Yo estoy en él, en una misma ofrenda y holocausto al Padre Eterno, quien nos llamó a servirle, como el Buen Pastor que da la vida por sus ovejas. 

Estad preparados para los grandes acontecimientos que ya llegan para Mi Iglesia. 
Es ya la hora en que las ovejas del rebaño, que guía, cuida y custodia Benedicto XVI, permanezcan unidas, permaneciendo en la Verdad, sosteniendo al Pastor que ya da la vida por sus ovejas. 

Orad para perseverar, orad para no desfallecer, orad para no ser confundidos en esta hora. 

Unid vuestra ofenda junto a la ofrenda de Mi Benedicto XVI, buscando el bien para Mi Iglesia, la purificación y la Salvación de las amas. 

Atended el llamado de Mi Benedicto a sostenerlo en su calvario, que ya le llega la cruz. 
Os hago una conmigo, una con el Pastor universal, el pastor Eterno de las almas que permanece por los siglos de los siglos. 

Oración, Oración, Oración, meditando Mi Santa Pasión, el vía crucis y los misterios del Rosario, que son una alabanza a Mi Santísima Madre. 

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Mi Señor que se haga Tu Santa Voluntad en nosotros, haznos unos contigo, un solo rebaño bajo un mismo Pastor. 

Con Tu Santa Bendición todo nos será posible, abrazar la cruz e ir al calvario, en donde viviendo Tu Santa Voluntad en nosotros, Te daremos Gloria, muriendo contigo y en Ti, por amor al Padre Eterno y por amor a las almas para que no se pierdan. 

Bendito Dios por Tu benevolencia para con nosotros, porque nos guías en medio de esta obscuridad. En Ti confiamos y en Ti Esperamos. 
Gracias por esta unión mística con Nuestro papa Benedicto XVI quien va a la cruz y muere por nosotros. 
AMEN, AMEN, AMEN. 6.25 am

AVE MARIA PURISSIMA!

“Liturgiam authenticam” Quinta Istruzione per la retta Applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II



Liturgiam authenticam
Quinta Istruzione per la retta Applicazione 
della Costituzione sulla Sacra Liturgia
del  Concilio Vaticano II

(Sacrosanctum Concilium, art. 36)
Breve riassunto
ANTECEDENTI
Le Grandi Istruzioni Postconciliari
Il 4 dicembre 1963 i Padri del Concilio Vaticano II hanno approvato la Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium. Per facilitare l’applicazione del rinnovamento liturgico auspicato dai Padri conciliari, la Santa Sede ha successivamente pubblicato cinque documenti di speciale importanza, ciascuno dei quali numerati in un’unica serie come delle “Istruzioni per la retta Applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia del Concilio Vaticano II”.
La prima, Inter Oecumenici, fu emanata dalla Sacra Congregazione dei Riti e dal “Consilium” per l’applicazione della Costituzione Liturgica, il 26 settembre 1964, e conteneva i principi generali di base per l’ordinata applicazione del rinnovamento liturgico. Tre anni dopo, il 4 maggio 1967, è stata pubblicata una seconda Istruzione, Tres abhinc annos. Questa stabiliva ulteriori adattamenti all’Ordine della Messa. La terza Istruzione, Liturgicae instaurationes, del 5 settembre 1970, che fu preparata dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino, organismo che  successe alla Sacra Congregazione dei Riti e al “Consilium”. Questa Istruzione forniva innanzitutto direttive sul ruolo centrale del Vescovo nel rinnovamento della liturgia in tutta la diocesi.
 In seguito il rinnovamento liturgico si incentrava sull’intensa attività della revisione delle edizioni in lingua latina dei libri liturgici e della loro traduzione nelle varie lingue moderne. Terminata generalmente questa fase, c’è stato un periodo di esperienza pratica, la quale necessariamente richiedeva un notevole spazio di tempo. Con la Lettera Apostolica Vicesimus quintus annus del 4 dicembre 1988 di Giovanni Paolo II, che commemorava il 25° anniversario della Costituzione Conciliare, si è iniziata una nuova fase di una graduale rivalutazione, di completamento e  consolidamento. Il 25 gennaio 1994, la Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti ha fatto avanzare ancora tale processo con l’emanazione della quarta “Istruzione per la retta Applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia del Concilio Vaticano II”, la Varietates legitimae, che tratta delle questioni difficili circa la Liturgia romana e l’inculturazione.
Una Quinta Istruzione
Nel febbraio del 1997 il Santo Padre ha chiesto alla Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti di fare ancora un passo in avanti con la codificazione delle conclusioni del suo lavoro intrapreso in collaborazione con i Vescovi lungo gli anni riguardante la questione delle traduzioni liturgiche, argomento all’ordine del giorno, come si è già detto, dal 1988.
Di conseguenza, il 20 marzo 2001 la quinta postconciliare “Istruzione per la retta Applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia del Concilio Vaticano II”, Liturgiam authenticamfu approvata dal Santo Padre nell’udienza concessa al Cardinale Segretario di Stato e il 28 marzo fu emanata dalla  Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti. Entrerà in vigore il 25 aprile 2001.
L’Istruzione Liturgiam authenticam serve da commentario intorno alle traduzioni nel vernacolare dei testi della Liturgia romana, come stabilito dall’articolo 36 della Costituzione liturgica:
§ 1.   L’uso della lingua latina, salvo un diritto particolare, sia conservato nei Riti latini.
§ 2.   Dato però che, sia nella messa sia nell’amministrazione dei Sacramenti, sia in altre parti della Liturgia, non di rado l’uso della lingua volgare può riuscire assai utile per il popolo, si possa concedere ad essa una parte più ampia, e specialmente nelle letture e nelle monizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme che vengono fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti.
§3.    In base a queste norme, spetta alla competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all’art. 22 § 2, consultati anche, se è il caso, i Vescovi delle regioni limitrofe della stessa lingua, decidere circa l’uso e l’estensione della lingua volgare. Tali decisioni devono essere approvate ossia confermate dalla Sede Apostolica.
§ 4.   La traduzione del testo latino in lingua volgare da usarsi nella Liturgia, deve essere approvata dalla competente autorità ecclesiastica territoriale di cui sopra.
Si deve accennare che nel frattempo ci sono stati alcuni sviluppi sul piano giuridico e altro, tra cui alcune misure che hanno precisato il riferimento della Costituzione alle “competenti autorità ecclesiastiche territoriali”. In pratica queste sono diventate ciò che si chiamano oggi le Conferenze dei Vescovi.
VISIONE D’INSIEME
La quinta Istruzione inizia facendo accenno all’iniziativa del Concilio e agli sforzi compiuti dai Sommi Pontefici e dai Vescovi in tutto il mondo, costatando il successo del rinnovamento liturgico e notando allo stesso tempo la necessità di una continuata vigilanza per garantire l’identità del Rito romano sul piano mondiale. A questo proposito, l’Istruzione riprende le osservazioni fatte nel 1988 dal Papa Giovanni Paolo II, cioè il suo auspicio che si passi oltre la fase iniziale per entrare in un periodo di traduzioni dei testi liturgici migliorate. Perciò la Liturgiam authenticam offre alla Chiesa Latina una nuova formulazione di principi che debbono governare le traduzioni alla luce di oltre trent’anni di esperienza nell’uso del vernacolare nelle celebrazioni liturgiche.
La Liturgiam authenticam sostituisce tutte le norme pubblicate in precedenza sulle traduzioni liturgiche, tranne le direttive della quarta Istruzione, la Varietates legitimae, e precisa che le due Istruzioni vanno lette complementariamente. Il nuovo documento più di una volta fa appello ad una nuova epoca nelle traduzioni dei testi liturgici.
Occorre notare che la presente Istruzione sostituisce tutte le norme anteriori, di cui assume molti dei contenuti, fornendo loro una disposizione più ordinata e sistematica, completandoli con alcune precisazioni e collegandoli con questioni affini che finora sono state trattate in maniera distaccata. Inoltre, il documento deve affrontare il compito di presentare in poche pagine i principi suscettibili di applicazione alle diverse centinaia di lingue attualmente usate nella celebrazione liturgica in ogni parte del mondo. L’Istruzione non fa ricorso alla terminologia tecnica della linguistica o delle scienze umane, ma limita le sue considerazioni principalmente al campo dell’esperienza pastorale.
In quanto segue, si illustra lo sviluppo generale dell’argomentazione del nuovo documento, senza seguirne ad ogni punto le espressioni precise o la sequenza dei vari punti.
La scelta delle lingue vernacole
Si dovrebbero utilizzare nella Liturgia soltanto le lingue più diffusamente parlate, evitando l’introduzione di troppe lingue, con il rischio di provocare una frammentazione del popolo in piccoli gruppi e forse dare luogo a dei dissapori. Nel fare la scelta delle lingue da introdurre nella liturgia, bisogna tener conto di fattori quali il numero di sacerdoti, diaconi e collaboratori laici che possono servirsi senza difficoltà di una determinata lingua, la disponibilità di traduttori per quella lingua, e le possibilità pratiche, compresi i problemi economici, di produrre e pubblicare traduzioni affidabili della Liturgia.
I dialetti, che non hanno l’appoggio di risorse di formazione accademica e culturale, non vanno accettate come lingue liturgiche in senso stretto, anche se possono essere utilizzate nella Preghiera dei Fedeli, per il testo dei canti, o per alcune parti dell’omelia. L’Istruzione poi dà un riassunto aggiornato della procedura da seguire da parte delle Conferenze dei Vescovi nel decidere in comunione con la Santa Sede la piena o parziale ammissione nella Liturgia di una determinata lingua.
La Traduzione dei Testi Liturgici
Il cuore dell’Istruzione è una nuova e fresca esposizione, con toni riflessivi, dei principi che devono regolare la traduzione in lingua vernacolare dei testi liturgici. Il documento sottolinea sin dall’inizio l’indole sacra della Liturgia e l’esigenza che anche le traduzioni rispecchino attentamente tale caratteristica.
Il Rito romano, come tutte le grandi famiglie liturgiche storiche della Chiesa cattolica, ha uno stile e una struttura propria che vanno rispettate in quanto possibile anche per le traduzioni. L’Istruzione ribadisce l’appello a vari documenti pontifici precedenti per un approccio alla traduzione dei testi liturgici, che risponda a un criterio non tanto di esercizio di una creatività, quanto di cura per la fedeltà e l’esattezza nella resa dei testi latini in lingua vernacolare, tenendo anche conto, ovviamente, del modo caratteristico in cui ogni lingua si esprime. Ci sono dei requisiti particolari da affrontare nella preparazione di traduzioni che sono destinate ai territori evangelizzati in tempi più recenti e l’Istruzione considera anche le condizioni in cui degli adattamenti di maggiore entità dei testi e dei riti possono realizzarsi, rinviando la soluzione di tali problemi a quanto esposto nell’Istruzione Varietates legitimae.
Il ricorso ad altri testi per facilitare la traduzione
Il vantaggio della consultazione dei testi delle antiche fonti liturgiche viene riconosciuto e incoraggiato, anche se si nota che il testo dell’editio typica, cioè l’edizione moderna latina, è sempre il punto di partenza per la traduzione. Là dove il testo latino si serve di termini provenienti da atre lingue antiche (ad es., alleluia, Amen, oppure Kyrie eleison), tali espressioni possono essere conservate nella lingua originale. Le traduzioni liturgiche sono da farsi in base all’editio typica del latino e mai in base alle altre traduzioni. La Neo-Volgata,la versione corrente della Bibbia latina, deve essere presa in considerazione come uno strumento supplementare nella preparazione delle traduzioni bibliche per l’uso liturgico.
Lessico
Il lessico prescelto per una traduzione liturgica deve essere al contempo di facile comprensione per la persona ordinaria ed espressivo della dignità e del ritmo retorico dell’originale, un linguaggio finalizzato alla lode e al culto che esprima reverenza e gratitudine per la gloria di Dio. La lingua di questi testi non va, inoltre, intesa come espressione della disposizione interna del fedele, ma piuttosto della parola di Dio rivelata.
Le traduzioni devono essere svincolate da ogni esagerata dipendenza da modi espressivi moderni e, in generale, da una lingua di tono psicologizzante. Forme di colorito arcaizzante possono talora rivelarsi appropriate a un vocabolario propriamente liturgico.
I testi liturgici non si configurano come completamente autonomi o separabili dal contesto generale della vita cristiana. Spetta all’omelia e alla catechesi contribuire a delucidarne e spiegarne il senso e a chiarificare il contenuto di alcuni testi. Non esistono nella Liturgia testi che incentivino attitudini discriminatorie o ostili verso i cristiani non cattolici, la comunità ebraica o le altre religioni, o che negano in qualche modo l’uguaglianza universale della dignità umana. L’insorgenza di una scorretta interpretazione di senso contrario può essere chiarita dalle traduzioni, ma non è questo il loro compito primario.
Genere
Molte lingue possiedono nomi e pronomi che si riferiscono tanto al genere maschile quanto al femminile. L’abbandono di questi termini, soprattutto se risultante da una tendenza iniziale dell’evoluzione semantica, non è mai prudente né necessario, poiché non costituisce un punto di passaggio obbligato dello sviluppo linguistico. L’uso dei nomi collettivi va preferito e quello di termini tradizionali mantenuto in espressioni in cui la loro abolizione possa compromettere il significato o dare luogo a una mancanza di vocaboli che esprimano l’essere umano nella sua unitarietà, come nella traduzione dell’ebraico adam, del greco anthropos o del latino homo. Allo stesso modo, un quasi meccanico cambio del numero grammaticale o dalla creazione di coppie di termini che accostano maschile e femminile non è un modo lecito di raggiungimento di uno scopo di una vera inclusività.
Il tradizionale genere grammaticale delle persone della Trinità deve essere mantenuto. Espressioni o termini come Filius hominis(Figlio  dell’uomo) e Patres (Padri) vanno resi nella traduzione con esattezza, ogni volta che si riscontrano nei testi biblici o liturgici. Il pronome femminile va mantenuto ogniqualvolta si riferisce alla Chiesa. Termini esprimenti affinità o parentela e il genere grammaticale di angeli, demoni e divinità pagane vanno tradotti e il loro genere mantenuto, tenendo presente l’uso del testo originale e quello tradizionale di una determinata lingua moderna.
La traduzione di un testo
Le traduzioni devono cercare di non estendere o restringere il significato dei termini originali, mentre vocaboli che richiamino frasi stereotipate propagandistiche di contenuto commerciale o dalle connotazioni politiche, ideologiche o simili vanno evitati. I manuali di stilistica ad uso accademico o profano per le lingue vernacolari non si possono utilizzare acriticamente, poiché la Chiesa possiede temi specifici da comunicare e uno stile espressivo ad essi appropriato.
La traduzione si caratterizza come sforzo collaborativo finalizzato a preservare la massima continuità possibile tra l’originale e il testo in lingua vernacolare. Il traduttore deve possedere non soltanto abilità specifica, ma anche fiducia nella misericordia divina e spirito di preghiera, nonché disposizione ad accettare la revisione della sua opera da altri. Quando sono necessarie modifiche sostanziali per conformare un determinato libro liturgico alla presente Istruzione, tali revisioni vanno effettuate in una sola volta, al fine di evitare ripetuti disagi e l’impressione di una continua instabilità nella preghiera liturgica.
Traduzioni bibliche
Un’attenzione particolare va riservata alla traduzione della Sacra Scrittura per uso liturgico, opera che deve alla volta badare ad una fondata esegesi, ma pure mirare a un testo adatto alla funzione liturgica. Una unica traduzione va usata universalmente nell’area di una determinata Conferenza dei Vescovi e deve essere la stessa per lo stesso passo occorrente in più parti nell’insieme dei libri liturgici. Lo scopo deve essere per ogni lingua uno stile specificamente sacro, consono al lessico fissato dall’uso cattolico popolare e, per quanto possibile, dai principali testi catechetici. Tutti i casi dubbi relativi alla canonicità e alla esatta disposizione del testo vanno risolti facendo ricorso alla Neo-Vulgata.
Le immagini concrete fornite da alcune parole, secondo uno stile linguistico propriamente figurato, come il “dito”, la “mano”, il “volto” di Dio, o il suo “camminare”, e termini come “carne” e simili, vanno tradotti letteralmente ogniqualvolta usati e non rimpiazzati da astratti. Sono queste, infatti, figure tipiche del testo biblico, che vanno in quanto tali mantenute.
Altri testi liturgici
Le norme per la traduzione della Bibbia in uso nella Liturgia si applicano, in generale, anche alle traduzioni delle preghiere liturgiche. Al tempo stesso, si deve riconoscere che, mentre la formulazione della preghiera liturgica è soggetta ad essere in qualche senso determinata dalla cultura che ne fa uso, essa entra a sua volta a far parte di un processo di formazione di quella stessa cultura, in una tipologia di relazione non meramente passiva. La lingua liturgica può, pertanto, ragionevolmente divergere dal parlato ordinario, ma rifletterne al tempo stesso gli elementi migliori. L’ideale sarà lo sviluppo in un determinato contesto culturale di un volgare dignitoso, atto ad essere destinato al culto.
Il lessico liturgico deve includere le principali caratteristiche del Rito romano, radicarsi nelle fonti patristiche e armonizzarsi con i testi biblici. Si consiglia qui di armonizzare la traduzione in lingua moderna con gli usi del Catechismo della Chiesa Cattolica e di adoperare termini distintivi, ogniqualvolta ci si riferisca a persone o ad oggetti sacri, in modo tale da evitare confusioni con quelli adottati per cose della vita quotidiana.
La sintassi, lo stile e il genere letterario sono anch’essi elementi di importanza fondamentale per l’elaborazione di una traduzione fedele. La relazione tra i periodi, soprattutto quando espressi per il tramite della subordinazione, e figure come il parallelismo vanno accuratamente ritenute. I verbi vanno tradotti con precisione, rispettando la persona, il numero, la voce. Maggiore libertà si può, invece, avere nel tradurre strutture sintattiche più complesse.
Si tenga sempre in considerazione che i testi liturgici sono rivolti alla pubblica declamazione o al canto.
Tipologie specifiche di testo
Norme specifiche vengono, inoltre, fornite per la traduzione delle Preghiere Eucaristiche, del Credo (nel quale il verbo va posto alla prima persona singolare: “credo”, e non “crediamo”), per l’impostazione e l’ordinamento interno dei libri liturgici e per i loro decreti preliminari e i testi introduttivi. Esse sono seguite da una descrizione nella preparazione delle traduzioni da parte della Conferenza dei Vescovi e delle procedure necessarie per giungere all’approvazione e alla conferma dei testi liturgici dalla Santa Sede. Gli attuali requisiti specifici dell’approvazione pontificia per le formule sacramentali, come anche l’esigenza che ci sia una unica traduzione della Liturgia per ogni determinato gruppo linguistico, specialmente per quanto attiene all’Ordo Missae, vengono riaffermati.
L’organizzazione del lavoro di traduzione e le Commissioni
La preparazione delle traduzioni è un onere gravante anzitutto sui Vescovi, per quanto essi debbano, naturalmente, ricorrere all’aiuto di esperti. In ogni lavoro di traduzione alcuni almeno dei Vescovi devono essere direttamente coinvolti, non soltanto nel diretto e personale controllo dei testi definitivi, ma anche nel prendere parte sempre attiva alle varie fasi di preparazione. Benché non tutti i Vescovi di una Conferenza siano esperti in una determinata lingua in uso nel loro territorio, essi devono assumere una responsabilità collegiale per i testi liturgici e una strategia d’insieme per l’uso delle varie lingue nel campo pastorale.
L’Istruzione espone chiaramente le procedure (in linea di massima corrispondenti a quelle già attualmente in vigore) per l’approvazione dei testi da parte dei Vescovi e la loro successiva presentazione per la revisione e la conferma da parte della Congregazione per il Culto Divino. Il documento dedica un certo spazio a sottolineare l’importanza del rimando degli affari liturgici alla Santa Sede, parzialmente basandosi sul Motu Proprio di Sua Santità Giovanni Paolo II “Apostolos suos” del 1998, in cui si chiariva la natura e la funzione delle Conferenze dei Vescovi. La procedura di rimando, oltre che segno della comunione dei Vescovi con il Papa, ha anche un valore di consolidamento di questa relazione. Essa è garanzia della qualità dei testi e ha per fine che le celebrazioni liturgiche delle Chiese particolari (diocesi) siano in piena armonia con la tradizione della Chiesa Cattolica lungo i secoli e in tutti i luoghi del mondo.
Laddove una cooperazione tra Conferenze dei Vescovi facenti uso della stessa lingua risulti appropriata o necessaria, spetta unicamente alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti erigere commissioni congiunte o “miste”, di solito in séguito a richiesta dei Vescovi. Tali Commissioni non sono autonome e non costituiscono un canale di comunicazione tra la Santa Sede e le Conferenze dei Vescovi; non ricoprono un ruolo decisionale, ma sono semplicemente al servizio del ministero pastorale dei Vescovi; sono incaricate esclusivamente della traduzione delle editiones typicae latine, ma non della composizione di nuovi testi in volgare, né di considerazioni su questioni teoretiche, né di adattamenti culturali, e non hanno relazione con organismi analoghi di altri gruppi linguistici.
La quinta Istruzione raccomanda che almeno alcuni dei Vescovi componenti la commissione siano pure membri della commissione liturgica della Conferenza dei Vescovi a cui appartengono. Ad ogni modo, la commissione “mista” è diretta dai Vescovi membri, in accordo con gli statuti, che vanno confermati dalla Congregazione per il Culto Divino. Tali statuti devono, di solito, ricevere l’approvazione di tutte le Conferenze partecipanti dei Vescovi; se ciò non risulta possibile, la Congregazione per il Culto Divino può intervenire per redigere e approvare di sua autorità gli statuti.
Tali Commissioni – a quanto espone il documento – operano in particolare nel coordinare l’uso delle risorse disponibili per le singole Conferenze dei Vescovi, in modo che, per esempio, una determinata Conferenza possa produrre un primo abbozzo di traduzione, successivamente rifinito dalle altre Conferenze dei Vescovi, per giungere così a un testo migliorato per divenire universalmente utilizzabile.
Le commissioni “miste” non sono volte a sostituire le commissioni liturgiche nazionali e diocesane e non possono, pertanto, ricoprire alcuna delle funzioni di queste ultime.
Data l’importanza della loro opera, tutte le persone, salvo i Vescovi, coinvolte nell’attività di una commissione “mista” devono ottenere il nihil obstat da parte della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti prima di assumere il proprio incarico. Come tutti, quanti risultano collegati con la commissione collaborano con essa solo a tempo determinato e sono vincolati da contratto a svolgere le loro funzioni in assoluta segretezza e in anonimato.
Le commissioni esistenti devono conformare i propri statuti con questa Istruzione e sottoporli alla Congregazione per il Culto Divino entro due anni dalla data della sua  emanazione.
Il documento pone l’accento anche sul bisogno della stessa Santa Sede di traduzioni liturgiche, soprattutto nelle principali lingue, e sul suo desiderio di essere più strettamente coinvolta in avvenire nella loro preparazione. Esso fa accenno anche, in modo generale, ai vari tipi di organismi che la Congregazione per il Culto Divino può costituire per la soluzione dei problemi di traduzione in una o più lingue.
Nuovi testi
Una sezione sulla composizione di nuovi testi sottolinea che loro scopo è essenzialmente quello di venire incontro ai genuini bisogni culturali e pastorali. Essi, pertanto, spettano esclusivamente alle Conferenze dei Vescovi, e in nessun modo alle commissioni “miste” per le traduzioni. Essi devono rispettare stile, struttura, lessico e le altre tradizionali caratteristiche del Rito romano. Particolarmente importanti, in virtù del loro impatto sulla persona e sulla memoria, sono gli inni e i canti. Questo materiale in lingua moderna deve essere sottoposto ad una revisione generale e le Conferenze dei Vescovi sono invitate a regolare la questione in accordo con la Congregazione entro cinque anni.
L’Istruzione conclude con una serie di brevi sezioni tecniche contenenti direttive in merito alla pubblicazione delle edizioni dei libri liturgici, ivi inclusi il copyright, e alle procedure per la traduzione dei testi liturgici propri delle singole diocesi e famiglie religiose.
AMDG et BVM