giovedì 3 novembre 2016

*-*DEO GRATIAS et MARIAE ! ECCO QUI, CARI LETTORI, IL TESORO INESTIMABILE DI QUESTE SANTE TESTIMONIANZE CHE PROFUMANO DI PARADISO. Dice Gesù: «I miei martiri hanno posseduto la Sapienza. E con essi i miei confessori. E la possiedono tutti quelli che veramente mi amano e fanno di questo amore lo scopo della loro vita. Agli occhi del mondo ciò non appare. Anzi, l'esser giusti sembra debolezza, sembra una cosa superata. ...

QUADERNO 19 di Maria Valtorta Edizioni CEV 
MARTIRII
29 ‑ 2 ‑ 1944.
Vedo un buio stanzone. Lo dico stanzone tanto per dire ambiente vasto e in muratura. Ma è un sotterraneo nel quale la luce entra a malapena da due feritoie a livello del suolo che servono anche per l'areazione. Molto insufficiente, d'altronde, rispetto alla quantità di gente che è nell'ambiente e all'umidità dello stesso che trasuda dalle muraglie fatte di blocchi quasi quadrati di pietra connessa con calcina, ma senza alcun intonaco, e dal suolo di terreno battuto.
So che è il carcere Tullianum. Me lo dice il mio indicatore. So anche, per la stessa fonte, che quella folla accatastata in così poco spazio è data da cristiani imprigionati per la loro fede e in attesa d'esser martirizzati. è tempo di persecuzione, e precisamente una delle prime persecuzioni, perché sento parlare di Pietro e Paolo e so che questi sono stati uccisi sotto Nerone.
Non può credere con che vivezza di particolari io "veda" questo carcere e chi vi è accolto. Potrei di ogni singolo descrivere età, fisionomia e vestito. Ma allora non la finirei più. Mi limito perciò a dire le cose, i punti e i personaggi che più mi colpiscono.
Vi sono persone di tutte le età e condizione sociale. Dai vecchi che sarebbe pietoso lasciar spegnere dalla morte, ai bambini di pochi anni che sarebbe giusto lasciar liberi e giocondi ai loro giuochi innocenti e che invece languono, poveri fiori che non vedranno mai più i fiori della terra, nella penombra malsana di questa carcere.
Vi sono i ricchi dalle vesti curate ed i poveri dalle povere vesti. E anche il linguaggio ha variazioni di pronuncia e di stile a seconda che esce da labbra istruite di signori o da bocche di popolani. Si sentono anche, mescolate al latino di Roma, parole e pronunce straniere di greci, di iberi, di traci, ecc. ecc. Ma se diversi sono gli abiti e gli eloqui, uguale è to spirito guidato da carità. Essi si amano senza distinzione di razza e di censo. Si amano e cercano d'esser l'un l'altro di aiuto.
I più forti cedono i posti più asciutti e più comodi ‑ se comodo si può chiamare qualche pietrone sparso qua e là a far da sedile e guanciale ‑ ai più deboli. E riparano questi con le loro vesti, rimanendo senza altra cosa che una tunica per la pudicizia, usando toghe e mantelli a far da materasso e guanciale e da coperta ai malati che tremano di febbre o ai feriti da già subìte torture. I più sani sovvengono i più malati dando loro da bere con amore: un poco d'acqua mesciuta da un orcio in un rustico recipiente, intridendo, nella stessa, strisce di tela strappate alle loro vesti per fare da bende sulle membra slogate o lacerate e alle fronti arse da febbre.
E cantano dentro per dentro 1. Un canto soave che è certo un salmo o più salmi, perché si alternano. Non sento il bel canto che accompagnò la sepoltura di Agnese2. Questi sono salmi. Li riconosco.
Uno di essi incomincia così: "Amo, perché il Signore ascolta la voce della mia preghiera" (S. 94)3.
Un altro dice: "O Dio, Dio mio, per Te veglio dalla prima luce. Ha sete di Te l'anima mia e molto più la mia carne. In una terra deserta, impraticabile e senz'acqua..." (S. 62).

1 dentro per dentro è espressione ricorrente nella scrittrice e significa ogni tanto, di tanto in tanto

Nella visione del 20 gennaio, pag. 63.

Ma sembra il Salmo 116 A (volgata: 114), 1. Le indicazioni dei Salmi, che nel testo poniamo tra parentesi, sono aggiunte a matita dalla scrittrice.

Un bambino geme nella semi oscurità. Il canto sospende.
"Chi piange?" si chiede.
"è Castulo" si risponde. "La febbre e la bruciatura non gli dànno tregua. Ha sete e non può bere perché l'acqua brucia sulle sue labbra arse dal fuoco".
"Qui vi è una madre che non può più dare il latte al suo piccino" dice una imponente matrona dall'aspetto signorile. "Mi si porti Castulo. Il latte brucia meno dell'acqua".
"Castulo a Plautina" si ordina.
Si avanza uno che dalla veste giudicherei o un servo di famiglia cristiana, che condivide la sorte dei padroni, o un lavoratore del popolo. è tarchiato, bruno, robusto, coi capelli quasi rasati e una corta veste scura stretta alla vita da una cinghia. Porta con cura sulle braccia, come su una barellina, un povero bambino di sì e no otto anni. Le sue vesti, per quanto ormai sporche di terra e di macchie, sono ricche, di lana bianca e fina, e ornate al collo, alle maniche e al fondo, da una ricca greca ricamata. Anche i sandali sono ricchi e belli.
Plautina si siede su un sasso che un vecchio le cede. Plautina pure è tutta vestita di lana bianca. Non ricordo il nome delle vesti romane con esattezza, ma mi pare che questa lunga veste si chiami clamide e il manto palla. Però non garantisco della mia memoria. So che questa di Plautina è molto bella e ampia e l'avvolge con grazia facendo di lei una bellissima statua viva.
Ella si siede sul masso addossato alla muraglia. Vedo distintamente i pietroni che la sovrastano, sui quali ella spicca col suo volto lievemente olivastro, dagli occhi grandi e neri e dalle trecce corvine, e con la sua candida veste.
"Dàmmi, Restituto, e che Dio ti compensi" ella dice al pietoso portatore del piccolo martire. E divarica un poco le ginocchia per accogliere, come su un letto, il bambino.
Quando Restituto lo posa, vedo uno scempio che mi fa raccapricciare. Il viso del povero bambino è tutto una bruciatura. Sarà stato bello forse. Ora è mostruoso. Non più che pochi capelli sul dietro del capo; davanti la cute è nuda e mangiata dal fuoco. Non più fronte né guance né naso come noi li pensiamo, ma una tumefazione rosso‑viva, rosa dalla vampa come da un acido. Al posto degli occhi, due piaghe da cui colano rare lacrime che devono essere tormento alle sue carni bruciate. Al posto delle labbra, un'altra piaga orrenda a vedersi. Si direbbe che lo hanno tenuto curvo sulla fiamma col solo viso, perché l'arsione cessa sotto il mento.
Plautina si apre la tunica e, parlando con amore di vera madre, spreme la sua tonda mammella piena di latte e ne fa stillare le gocce fra le labbra del bambino, che non può sorridere, ma che le carezza la mano per mostrarle il suo sollievo. E poi, dopo averlo dissetato, fa cadere altro latte sul povero viso per medicarlo con questo balsamo, che è un sangue di madre divenuto nutrimento e che è amore di una senza più figli per uno senza più mamma.
Il bambino non geme più. Dissetato, calmato nel suo spasimo, ninnato dalla matrona, si assopisce respirando affannosamente.
Plautina sembra una madre dei dolori per la posa e per l'espressione. Guarda il poverino e certo vede in lui la sua creatura o le sue creature, e delle lacrime rotolano sulle sue guance, e lei getta indietro il capo per impedire che cadano sulle piaghe del piccolo.
Il canto riprende: "Ho aspettato ansiosamente il Signore ed Egli a me si è rivolto ed ha ascoltato il mio grido"4.
"Il Signore è il mio Pastore, non mi mancherà nulla. Egli mi ha posto in luogo di abbondanti pascoli, m'ha condotto ad acqua ristoratrice" (S. 22).
"Fabio è spirato" dice una voce nel fondo del sotterraneo. "Preghiamo", e tutti dicono il Pater ed un'altra preghiera che si inizia così: "Sia lode all'Altissimo che ha pietà dei suoi servi e schiude il suo Regno all'indegnità nostra senza chiedere alla nostra debolezza altro che pazienza e buona volontà. Sia lode al Cristo che ha patito la tortura per coloro che la sua misericordia poteva conoscere troppo deboli per subirla, e non ha loro richiesto che amore e fede. Sia lode allo Spirito che ha dato i suoi fuochi per martirio ai non chiamati alla consumazione del martirio e li fa santi della sua Santità. Così sia " (Maran ata) (non so se scrivo giusto).
"Fabio felice!" esclama un vegliardo. "Egli già vede Cristo!"
Noi pure lo vedremo, Felice, e andremo a Lui con la doppia corona della fede e del martirio. Saremo come rinati, senza ombra di macchia, poiché i peccati della nostra passata vita saranno lavati nel sangue nostro prima d'esser lavati nel Sangue dell'Agnello. Molto peccammo, noi che fummo per lunghi anni pagani, ed è grande grazia che a noi venga il giubileo del martirio a farci nuovi, degni del Regno".
"Pace a voi, miei fratelli" tuona una voce che mi par subito di avere già udito.
"Paolo! Paolo! Benedici!"
Molto movimento avviene fra la folla. Solo Plautina resta immobile col suo pietoso peso sul grembo.
"Pace a voi" ripete l'apostolo. E si inoltra sin nel centro dell'androne. "Eccomi a voi con Diomede e Valente per portarvi la Vita".
"E il Pontefice?" chiedono in molti.
"Egli vi manda il suo saluto e la sua benedizione. è vivo, per ora, e in salvo nelle catacombe. Fanno buona guardia i fossores. Egli verrebbe, ma Alessandro e Caio Giulio ci hanno avvisati che egli è troppo conosciuto dai custodi. Non sempre sono 5 di guardia Rufo e gli altri cristiani. Vengo io, meno noto e cittadino romano. Fratelli, che nuove mi date?"
"Fabio è morto".
"Castulo ha subìto il primo martirio".
"Sista è stata condotta ora alla tortura".
"Lino lo hanno trasportato con Urbano e i figli di questo al Mamertino o al Circo, non sappiamo".

Salmo 40 (volgata: 39), 2.

5 sono è nostra correzione da è


"Preghiamo per loro: vivi e morti. Che il Cristo dia a tutti la sua Pace".
E Paolo, con le braccia aperte a croce, prega ‑ basso, bruttino anziché no, ma un tipo che colpisce ‑ in mezzo al sotterraneo6. è vestito, come fosse un servo lui pure, di una veste corta e scura, ed ha un piccolo mantelletto con cappuccio che per pregare si è buttato indietro. Alle sue spalle sono i due che ha nominato, vestiti come lui, ma molto più giovani.
Finita la preghiera, Paolo chiede: "Dove è Castulo?"
"In grembo a Plautina, là in fondo".
Paolo fende la folla e si accosta al gruppo. Si curva a osserva. Benedice. Benedice il bambino e la matrona. Si direbbe che il bambino si sia risvegliato ai gridi salutanti l'apostolo, perché alza una manina cercando toccare Paolo, il quale gli prende allora la mano fra le sue e parla: "Castulo, mi senti?"
"Sì" dice il piccino muovendo a fatica le labbra.
"Sii forte, Castulo. Gesù è con te".
"Oh! perché non me l'avete dato? Ora non posso più!" E una lacrima scende a invelenire le piaghe.
"Non piangere, Castulo. Puoi inghiottire una briciola sola? Sì? Ebbene, ti darò il Corpo del Signore. Poi andrò dalla tua mamma a dirle che Castulo è un fiore del Cielo. Che devo dire alla tua mamma?"
"Che io son felice. Che ho trovato una mamma. Che mi dà il suo latte. Che gli occhi non fanno più male. (Non è bugia dirlo, non è vero? per consolare la mamma?). E che io 'vedo' il Paradiso ed il posto mio e suo meglio che se avessi questi occhi ancora vivi. Dille 7 che il fuoco non fa male quando gli angeli sono con noi, e che non tema. Né per lei, né per me. Il Salvatore ci darà forza".
"Bravo Castulo! Dirò alla mamma le tue parole. Dio aiuta sempre, o fratelli. E lo vedete. Questo è un bambino. Ha l'età in cui non si sa sopportare il dolore di un piccolo male. E voi lo vedete e l'udite. Egli è in pace. Egli è pronto a tutto subire, dopo aver già tanto subito, pur di andare da Colui che egli ama e che lo ama perché è uno di quelli che Egli amava: un fanciullo, ed è un eroe della Fede. Prendete coraggio da questi piccoli, o fratelli. Torno dall'aver portato al cimitero Lucina, figlia di Fausto e Cecilia. Non aveva che quattordici anni, e voi lo sapete se era amata dai suoi e debole di salute. Eppure fu una gigante di fronte ai tiranni. Voi lo sapete che io mi faccio passare, con questi, per fossor 8, per potere raccogliere quanti più corpi posso e deporli in suolo santo. Vivo perciò presso i tribunali e vedo, come vivo presso i circhi e osservo. E m'è conforto pensare che io pure nella mia ora ‑ faccia Iddio sollecita ‑ sarò da Lui sorretto come i santi che ci hanno preceduto. Lucina fu torturata con mille torture. Battuta, sospesa, stirata, attenagliata. E sempre guariva per opera di Dio. E sempre resisteva a tutte le minacce. L'ultima  delle  torture,  avanti  il  supplizio,  fu  volta  al  suo  spirito.  Il 

6 sotterraneo è nostra correzione da sotterraneo

Dille è nostra correzione da Digli

fossor (singolare) è nostra correzione da fossores (plurale)


tiranno, vedendola presa di amore per il Cristo, vergine che aveva legata se stessa al Signore Iddio nostro, volle ferirla in questo suo amore. E la condannò ad esser di un uomo. Ma uno, due, dieci che si accostarono e dieci che perirono, percossi da folgore celeste. Allora, non potendo in nessun modo spezzare e distruggere il suo giglio, il tiranno ordinò fosse legata e sospesa in modo da rimanere come seduta e poi calata precipitosamente su un cuneo pontuto che le squarciò le viscere. Credette così il barbaro di averle levato la verginità tanto amata. Ma mai tanto, come sotto quel bagno di sangue, il suo giglio fiorì più bello e dalle viscere squarciate si espanse per esser colto dall'angelo di Dio. Ora ella è in pace. Coraggio, fratelli. Ieri l'avevo nutrita del Pane celeste e col sapore di quel Pane ella andò all'ultimo martirio. Ora darò anche a voi quel Pane perché domani è giorno di festa sovrumana per voi. Il Circo vi attende. E non temete. Nelle fiere e nei serpenti voi vedrete aspetti celesti poiché Dio compierà per voi questo miracolo, e le fauci e le spire vi parranno abbracci d'amore, i ruggiti e i sibili voci celesti, e come Castulo vedrete il Paradiso che già scende per accogliervi nella sua beatitudine".
I cristiani, meno Plautina, sono tutti in ginocchio e cantano: "Come il cervo anela al rivo così l'anima mia anela a Te. L'anima mia ha sete di Dio. Del Dio forte e vivente. Quando potrò venire a Te, Signore? Perché sei triste, anima mia? Spera in Dio e ti sarà dato di lodarlo. Nel giorno Dio manda la sua grazia e nella notte ha il cantico di ringraziamento. La preghiera a Dio è la mia vita. Dirò a Lui: 'Tu sei la mia difesa' (S. 41). Venite, cantiamo giulivi al Signore; alziamo gridi di gioia al Dio nostro Salvatore. Presentiamoci a Lui con gridi di giubilo. Perché il Signore è il gran Dio. Venite, prostriamoci ed adoriamo Colui che ci ha creati. Perché Egli è il Signore Dio nostro e noi il popolo da Lui nutrito, il gregge da Lui guidato" (S. 94).
Mentre essi cantano sono entrati anche dei soldati romani e dei carcerieri, i quali montano anche la guardia perché non entrino persone nemiche.
Paolo si appresta al rito. "Tu sarai il nostro altare" dice a Castulo. "Puoi tenere il calice sul tuo petto?"
"Sì".
Viene steso un lino sul corpicino del bimbo e sul lino sono appoggiati 9 il calice e il pane.
E assisto alla Messa dei martiri che viene celebrata da Paolo e servita dai due preti che l'accompagnano. Però non è la Messa come è ora 10. Mi pare che abbia parti che ora non ha e non abbia parti che ora ha. Non ha epistola, per esempio, e dopo la benedizione: "Vi benedica il Padre, il Figlio, lo Spirito  Santo"  (dice  così) 

sono appoggiati è nostra correzione da appoggiato 

10 Secondo il messale in vigore ai tempi della scrittrice, poi riformato dal Concilio Vaticano II.



non ha altro11. Però dal Vangelo alla Consacrazione sono uguali a ora. Il Vangelo letto è quello delle Beatitudini 12.
Vedo il lino palpitare sul petto di Castulo il quale, per ordine di Paolo, tiene fra le dita la base del calice perché non cada. Vedo anche che quando Paolo dice: "Questa consacrazione del Corpo..." un fremito di sorriso scorre sul volto piagato del piccolino e poi la testolina si abbatte subito con una pesantezza di morte che sempre cresce.
Plautina ha come un sussulto ma si domina. Paolo procede come non notasse nulla. Ma quando, franta l'Ostia, sta per curvarsi sul piccolo martire per comunicarlo per primo con un minuscolo frammento, Plautina dice: "E' morto", e Paolo sosta un attimo, dando poi alla matrona il frammento destinato al bambino, che è rimasto con le ditine serrate sul piede del calice nell'ultima contrazione, e glie le devono sciogliere per poter prendere il calice e darlo agli altri.
Poi, distribuita la Comunione, la Messa ha termine. Paolo si spoglia delle vesti e ripone queste e il lino e il calice e la teca delle ostie in una sacca che porta sotto il mantello. Poi dice: "Pace al martire di Cristo. Pace a Castulo santo".
E tutti rispondono: "Pace!"
"Ora lo porterò altrove. Datemi un manto, ché ve lo avvolga. Lo porterò senza attendere la sera. Questa sera verremo per Fabio. Ma questo... lo porterò come un bambino addormentato. Addormentato nel Signore".
Uno dei soldati dà il suo mantello rosso; e vi depongono il piccolo martire e ve lo avvolgono, e Paolo se lo prende in braccio (a sinistra) come fosse un padre che trasporta altrove il figlioletto dormiente, col capo curvo sulla spalla paterna.
"Fratelli, la pace sia con voi, e ricordatevi di me quando sarete nel Regno". Ed esce benedicendo.

Dice Gesù:
«Non è Vangelo, ma voglio che sia considerato uno dei "vangeli della fede" 13 per voi che temete.
Anche delle persecuzioni temete. Non avete più la tempra antica. è vero. Ma Io sono sempre Io, figli. Non dovete pensare che Io non possa darvi un cuore intrepido nell'ora della prova. Senza il mio aiuto nessuno, anche allora, avrebbe potuto rimanere fermo davanti a tanto supplizio. Eppure vecchi e bambini, giovinette e madri, coniugi e genitori, seppero morire, incuorando a morire, come andassero a festa. E festa era. Eterna festa!

11 L'intero ultimo periodo è aggiunto dopo dalla scrittrice, che ha inserito Non ha epistola, per esempio su una parte di rigo rimasta in bianco, ed ha messo tutto il resto in calce alla pagina richiamando con una crocetta.

12 Matteo 5, 1‑12; Luca 6, 20‑23.

13 Vedi il brano del 28 febbraio, pag. 152.

Morivano, e il loro morire era breccia nella diga del paganesimo. Come acqua che scava e scava e scava e rompe lentamente ma inesorabilmente le più forti opere dell'uomo, il loro sangue, sgorgando da migliaia di ferite, ha sgretolato la muraglia pagana e come tanti rivoli si è sparso nelle milizie di Cesare, nella reggia di Cesare, nei circhi e nelle terme, fra i gladiatori e i bestiari, fra gli addetti ai pubblici bagni, fra i colti e i popolani, dovunque, incessabile e invincibile.
Il suolo di Roma è imbibito di questo sangue e la città sorge, potrei dire che è cementata col sangue e la polvere dei miei martiri. Le poche centinaia di martiri che voi conoscete sono un nulla rispetto ai mille e mille ancora sepolti nelle viscere di Roma e agli altri mille e mille che bruciati sui pali nei circhi divennero cenere sparsa dal vento, o sbranati e inghiottiti da fiere e da rettili divennero escremento che fu spazzato e gettato come concime.
Ma se voi non li conoscete, questi miei eroici sconosciuti, Io li conosco tutti, e il loro annichilimento totale, sin dello scheletro, è stato quello che ha fecondato più di qualunque concime il suolo selvaggio del mondo pagano e lo ha fatto divenire capace di portare il Grano celeste.
Ora questo suolo del mondo cristiano sta ritornando pagano e germina tossico e non pane. è perciò che voi temete. Troppo vi siete staccati da Dio per avere in voi la fortezza antica.
Le virtù teologali sono morenti là dove già non sono morte. E quelle cardinali neppure le ricordate. Non avendo la carità, è logico non possiate amare Dio sino all'eroismo. Non amandolo, non sperate in Lui, non avete in Lui fede. Non avendo fede, speranza e carità, non siete forti, prudenti, giusti. Non essendo forti, non siete temperanti. E non essendo temperanti, amate la carne più dell'anima e tremate per la vostra carne.
Ma Io so ancora fare il miracolo. Credete pure che in ogni persecuzione i martiri sanno esser tali per aiuto mio. I martiri: ossia coloro che mi amano ancora. Io, poi, porto il loro amore alla perfezione e ne faccio degli atleti della fede. Io soccorro chi spera e crede in Me. Sempre. In qualunque evenienza.
Il piccolo martire che resta con le manine strette al calice, anche oltre la morte, vi insegna dove è la forza. Nell'Eucarestia. Quando uno si nutre di Me, secondo il detto di Paolo 14, non vive più per sé ma vive in lui Gesù. E Gesù ha saputo sopportare tutti i tormenti, senza flettere. Perciò chi vive di Me sarà come Me. Forte.
Abbiate fede.»

14 Galati 2, 20.





1° marzo 1944.
Mi dice Gesù, verso le 17:
«Non era mia intenzione darti questa visione questa sera. Avevo intenzione di farti vivere un altro episodio dei "vangeli della fede"1. Ma è stato espresso un desiderio da chi merita d'esser accontentato. E Io accontento. Nonostante i tuoi dolori, vedi, osserva e descrivi. I tuoi dolori li dài a Me e la descrizione ai fratelli.»
E nonostante i miei dolori, tanto forti ‑ per cui mi pare di avere il capo stretto in una morsa che parte dalla nuca e si congiunge sulla fronte e scende verso la spina dorsale, un male terribile per cui ho pensato mi stesse per scoppiare una meningite e poi mi sono svenuta ‑ scrivo. è tanto forte anche ora. Ma Gesù permette che riesca a scrivere per ubbidire. Dopo... dopo sarà quel che sarà.
Le assicuro, intanto, che passo di sorpresa in sorpresa; perché per prima cosa mi trovo di fronte a degli africani, arabi per lo meno, mentre ho sempre creduto che questi santi fossero europei. Ché non avevo la minima nozione della loro condizione sociale e fisica e del loro martirio. Di Agnese 2 sapevo vita e morte. Ma di questi! è come se leggessi un racconto sconosciuto.
Per prima illustrazione, avanti di svenirmi, ho visto un anfiteatro su per giù come il Colosseo (ma non rovinato), vuoto per allora di popolo. Solo una bellissima e giovane mora è ritta là in mezzo e sollevata dal suolo, raggiante per una luce beatifica che si sprigiona dal suo corpo bruno e dalla scura veste che lo copre. Sembra l'angelo del luogo. Mi guarda e sorride. Poi mi svengo e non vedo più nulla.
Ora la visione si completa. Sono in un fabbricato che, per la mancanza di ogni e qualsiasi comodità e per la sua arcigna apparenza, mi si rivela come una fortezza adibita a carcere. Non è il sotterraneo del Tullianum visto ieri 3. Qui sono stanzette e corridoi sopraelevati. Ma così scarsi di spazio e di luce e così muniti di sbarre e di porte ferrate e piene di chiavistelli, che quel "che" di migliore che hanno in posizione viene annullato dal loro rigore che annulla la benché più piccola idea di libertà.
In una di queste tane è seduta su un tavolaccio, che fa da letto, sedile e tavola, la giovane mora che ho visto nell'anfiteatro. Ora non emana luce. Ma unicamente tanta pace. Ha in grembo un piccino di pochi mesi al quale dà il latte. Lo ninna, lo vezzeggia con atto di amore. Il bambino scherza con la giovane madre e strofina la sua faccetta molto olivastra contro la bruna mammella materna, e vi si attacca e stacca con avidità e con subite risatine piene di latte.
La giovane è molto bella. Un viso regolare piuttosto tondo, con bellissimi occhi grandi e di un nero vellutato, bocca tumida e piccina piena di denti candidissimi e regolari, capelli neri e piuttosto crespi ma tenuti a posto da strette trecce che le si avvolgono intorno al capo. Ha il colorito di un bruno  olivastro  non 

Vedi il brano del 28 febbraio, pag. 152.

Nelle visioni del 13 e del 20 gennaio, pag. 42 e 60.

29 febbraio, pag. 152.

eccessivo. Anche fra noi italiani, e specie del meridione d'Italia, si vede quel colore, appena un poco più chiaro di questo. Quando si alza per addormentare il piccino andando su e giù per la cella, vedo che è alta e formosa con grazia. Non eccessivamente formosa, ma già ben modellata nelle sue forme. Sembra una regina per il portamento dignitoso. è vestita di una veste semplice e scura, quasi quanto la sua pelle, che le ricade in pieghe morbide lungo il bel corpo.
Entra un vecchio, moro lui pure. Il carceriere lo fa entrare aprendo la pesante porta. E poi si ritira. La giovane si volge e sorride. Il vecchio la guarda e piange. Per qualche minuto restano così.
Poi la pena del vecchio prorompe. Con affanno supplica la figlia di aver pietà del suo soffrire: "Non è per questo" le dice "che ti ho generato. Fra tutti i figli ti ho amata, gioia e luce della mia casa. Ed ora tu ti vuoi perdere e perdere il povero padre tuo che sente morirsi il cuore per il dolore che gli dài. Figlia, sono mesi che ti prego. Hai voluto resistere ed hai conosciuto il carcere, tu nata fra gli agi. Curvando la mia schiena davanti ai potenti t'avevo ottenuto di esser ancora nella tua casa per quanto come prigioniera. Avevo promesso al giudice che ti avrei piegata con la mia autorità paterna. Ora egli mi schernisce perché vede che di essa tu non ti sei curata. Non è questo quel che dovrebbe insegnarti la dottrina che dici perfetta. Quale Dio è dunque quello che segui, che ti inculca di non rispettare chi ti ha generato, di non amarlo, perché se mi amassi non mi daresti tanto dolore? La tua ostinazione, che neppure la pietà per quell'innocente ha vinto, ti ha valso di esser strappata alla casa e chiusa in questa prigione. Ma ora non più di prigione si parla, ma di morte. E atroce. Perché? Per chi? Per chi vuoi morire? Ha bisogno del tuo, del nostro sacrificio ‑ il mio e quello della tua creatura che non avrà più madre ‑ il tuo Dio? Il suo trionfo ha bisogno del tuo sangue e del mio pianto per compiersi? Ma come? La belva ama i suoi nati e tanto più li ama quanto più li ha tenuti al seno. Anche in questo speravo e per questo ti avevo ottenuto di poter nutrire il tuo bambino. Ma tu non muti. E dopo averlo nutrito, scaldato, fatto di te guanciale al suo sonno, ora lo respingi, lo abbandoni senza rimpianto. Non ti prego per me. Ma in nome di lui. Non hai il diritto di farne un orfano. Non ha diritto il tuo Dio di fare questo. Come posso crederlo buono più dei nostri se vuole questi sacrifici crudeli? Tu me lo fai disamare, maledire sempre più. Ma no, ma no! Che dico? Oh! Perpetua, perdona! Perdona al tuo vecchio padre che il dolore dissenna. Vuoi che lo ami il tuo Dio? Lo amerò più di me stesso, ma resta fra noi. Di' al giudice che ti pieghi. Poi amerai chi vuoi degli dèi della terra. Poi farai del padre tuo ciò che vuoi. Non ti chiamo più figlia, non son più tuo padre. Ma il tuo servo, il tuo schiavo, e tu la mia signora. Domina, ordina ed io ti ubbidirò. Ma pietà, pietà. Salvati mentre ancora lo puoi. Non è più tempo di attendere. La tua compagna ha dato alla luce la sua creatura, lo sai, e nulla più arresta la sentenza. Ti verrà strappato il figlio; non lo vedrai più. Forse domani, forse oggi stesso. Pietà, figlia! Pietà di me e di lui che non sa parlare ancora, ma lo vedi come ti guarda e sorride! Come invoca il tuo amore! Oh! Signora, mia signora, luce e regina del cuor mio, luce e gioia del tuo nato, pietà, pietà!"
Il vecchio è ginocchioni e bacia l'orlo della veste della figlia e le abbraccia i ginocchi e cerca prenderle la mano che ella si posa sul cuore per reprimerne lo strazio umano. Ma nulla la piega.
"è per l'amore che ho per te e per lui che rimango fedele al mio Signore" ella risponde. "Nessuna gloria della terra darà al tuo capo bianco e a questo innocente tanto decoro quanto ve ne darà il mio morire. Voi giungerete alla Fede. E che direste allora di me se avessi per viltà di un momento rinunciato alla Fede? Il mio Dio non ha bisogno del mio sangue e del tuo pianto per trionfare. Ma tu ne hai bisogno per giungere alla Vita. E questo innocente per rimanervi. Per la vita che mi desti e per la gioia che egli mi ha dato, io vi ottengo la Vita che è vera, eterna, beata. No, il mio Dio non insegna il disamore per i padri e per i figli. Ma il vero amore. Ora il dolore ti fa delirare, padre. Ma poi la luce si farà in te e mi benedirai. Io te la porterò dal cielo. E questo innocente non è che io l'ami meno, ora che mi sono fatta svuotare dal sangue per nutrirlo. Se la ferocia pagana non fosse contro noi cristiani, gli sarei stata madre amantissima ed egli sarebbe stato lo scopo della mia vita. Ma più della carne nata da me è grande Iddio, e l'amore che gli va dato infinitamente più grande. Non posso neppure in nome della maternità posporre il suo amore a quello di una creatura. No. Non sei lo schiavo della figlia tua. Io ti son sempre figlia e in tutto ubbidiente fuorché in questo: di rinunciare al vero Dio per te. Lascia che il volere degli uomini si compia. E se mi ami, seguimi nella Fede. Là troverai la figlia tua, e per sempre, perché la vera Fede dà il Paradiso, ed a me il mio Pastore santo ha già dato il benvenuto nel suo Regno".
E qui la visione ha un mutamento, perché vedo entrare nella cella altri personaggi: tre uomini ed una giovanissima donna. Si baciano e si abbracciano a vicenda. Entrano anche i carcerieri per levare il figlio a Perpetua. Ella vacilla come colpita da un colpo. Ma si riprende.
La compagna la conforta: "Io pure, ho già perduto la mia creatura. Ma essa non è perduta. Dio fu meco buono. Mi ha concesso di generarla per Lui e il suo battesimo si ingemma del mio sangue. Era una bambina... e bella come un fiore. Anche il tuo è bello, Perpetua. Ma per farli vivere in Cristo questi fiori hanno bisogno del nostro sangue. Duplice vita daremo loro così".
Perpetua prende il piccino, che aveva posato sul giaciglio 4 e che dorme sazio e contento, e lo dà al padre dopo averlo baciato lievemente per non destarlo. Lo benedice anche e gli traccia una croce sulla fronte ed una sulle manine, sui piedini, sul petto, intridendo le dita nel pianto che le cola dagli occhi. Fa tutto così dolcemente che il bambino sorride nel sonno come sotto una carezza.
Poi i condannati escono e vengono, in mezzo a soldati, portati in una oscura cavea dell'anfiteatro in attesa del martirio. Passano le ore pregando e cantando inni sacri, esortandosi a vicenda all'eroismo.

giaciglio è nostra correzione da giacilio


Ora mi pare di essere io pure nell'anfiteatro che ho già visto. è pieno di folla per la maggior parte di pelle abbronzata. Però vi sono anche molti romani. La folla rumoreggia sulle gradinate e si agita. La luce è intensa nonostante il velario steso dalla parte del sole.
Vengono fatti entrare nell'arena, dove mi pare siano stati già eseguiti dei giuochi crudeli perché è macchiata di sangue, i sei martiri in fila. La folla fischia e impreca. Essi, Perpetua in testa, entrano cantando. Si fermano in mezzo all'arena e uno dei sei si volge alla folla.
 "Fareste meglio a mostrare il vostro coraggio seguendoci nella Fede e non insultando degli inermi che vi ripagano del vostro odio pregando per voi e amandovi. Le verghe con cui ci avete fustigato, il carcere, le torture, l'aver strappato a due madri i figli ‑ voi bugiardi che dite d'esser civili e attendete che una donna partorisca per poi ucciderla e nel corpo e nel cuore separandola dalla sua creatura, voi crudeli che mentite per uccidere perché sapete che nessuno di noi vi nuoce, e men che mai delle madri che altro pensiero non hanno che la loro creatura ‑ non ci mutano il cuore. Né per quanto è amore di Dio né per quanto è amore di prossimo. E tre, e sette, e cento volte daremmo la vita per il nostro Dio e per voi. Perché voi giungiate ad amarlo, e per voi preghiamo mentre già il Cielo su noi si apre: Padre nostro che sei nei cieli...". In ginocchio i sei santi martiri pregano.
Si apre un basso portone e irrompono le fiere che, per quanto sembrano bolidi tanto sono veloci nella corsa, mi paiono tori o bufali selvaggi. Come una catapulta ornata di corna pontute, investono il gruppo inerme. Lo alzano sulle corna, lo sbattono per aria come fossero tanti cenci, lo riabbattono al suolo, lo calpestano. Tornano a fuggire come pazzi di luce e di rumore e tornano a investire.
Perpetua, presa come un fuscello dalle corna di un toro, viene scaraventata molti metri più là. Ma per quanto ferita, si rialza e sua prima cura è di ricomporsi le vesti strappate sul seno. Tenendosele con la destra, si trascina verso Felicita caduta supina e mezza sventrata, e la copre e sorregge facendo di sé appoggio alla ferita. Le bestie tornano a ferire finché i cinque 5malvivi sono stesi al suolo. Allora i bestiari le fanno rientrare e i gladiatori compiono l'opera.
Ma, fosse pietà o inesperienza, quello di Perpetua non sa uccidere. La ferisce, ma non prende il punto giusto. "Fratello, qua, che io ti aiuti" dice ella con un filo di voce e un dolcissimo sorriso. E, appoggiata la punta della spada contro la carotide destra, dice: "Gesù, a Te mi raccomando! Spingi, fratello. Io ti benedico" e sposta il capo verso la spada per aiutare l'inesperto e turbato gladiatore.

Anche più sopra aveva scritto cinque, ma poi correggendo in sei





Dice Gesù:
«Questo è il martirio della mia martire Perpetua, della sua compagna Felicita e dei suoi compagni. Rea di esser cristiana. Catecumena ancora. Ma come intrepida nel suo amore per Me! Al martirio della carne ella ha unito quello del cuore, e con lei Felicita. Se sapevano amare i loro carnefici, come avranno saputo amare i figli loro?
Erano giovani e felici nell'amore dello sposo e dei genitori. Nell'amore della loro creatura. Ma Dio va amato sopra ogni cosa. Ed esse lo amano così. Si strappano le loro viscere separandosi dal loro piccino, ma la Fede non muore. Esse credono nell'altra vita. Fermamente. Sanno che essa è di chi fu fedele e visse secondo la Legge di Dio.
Legge nella legge è l'amore. Per il Signore Iddio, per il prossimo loro. Quale amore più grande di dare la vita per coloro che si ama, così come l'ha data il Salvatore per l'umanità che Egli amava? Esse dànno la vita per amarmi e per portare altri ad amarmi e possedere perciò l'eterna Vita. Esse vogliono che i figli e i genitori, gli sposi, i fratelli e tutti coloro che esse amano di amore di sangue o di amore di spirito ‑ i carnefici fra questi poiché Io ho detto: "Amate coloro che vi perseguitano" 6 ‑ abbiano la Vita del mio Regno. E, per guidarli a questo mio Regno, tracciano col loro sangue un segno che va dalla Terra al Cielo, che splende, che chiama.
Soffrire? Morire? Cosa è? è l'attimo che fugge. Mentre la vita eterna resta. Nulla è quell'attimo di dolore rispetto al futuro di gioia che le attende. Le fiere? Le spade? Che sono? Benedette siano esse che dànno la Vita.
Unica preoccupazione ‑ poiché chi è santo lo è in tutto - di conservare la pudicizia. In quel momento, non della ferita ma delle vesti scomposte hanno cura. Poiché, se vergini non sono, sono sempre delle pudiche. Il vero cristianesimo dà sempre verginità di spirito. La mantiene, questa bella purezza, anche là dove il matrimonio e la prole han levato quel sigillo che fa dei vergini degli angeli.
Il corpo umano lavato dal Battesimo è tempio dello Spirito di Dio. Non va dunque violato con invereconde mode e inverecondi costumi. Dalla donna, specie dalla donna che non rispetta se stessa, non può che venire una prole- viziosa e una società corrotta, dalla quale Dio si ritira e nella quale Satana ara e semina i suoi triboli che vi fanno disperare.»

Matteo 5, 43‑44; Luca 6, 27.


  



2 ‑ 3 ‑ 44.
Dice Gesù:
«I miei martiri hanno posseduto la Sapienza. E con essi i miei confessori. E la possiedono tutti quelli che veramente mi amano e fanno di questo amore lo scopo della loro vita.
Agli occhi del mondo ciò non appare. Anzi, l'esser giusti sembra debolezza, sembra una cosa superata. Quasi che per volgere di secoli fossero avvenuti mutamenti nei rapporti fra Dio e fedeli.
No. Se Io ho attenuato il rigore della legge mosaica e vi ho dato delle risorse di incalcolabile potenza per aiutarvi a praticare la Legge e giungere alla Perfezione, non è però mutato il dovere di rispetto e di ubbidienza che avete per il Signore Dio vostro. Se Egli si è fatto Buono al punto di dare Se stesso per farvi buoni, voi dovete ancor più esserlo e non dire: "Ci pensi Lui a salvarci. Noi godiamo". Ciò non è sapienza: è stoltezza e bestemmia. Ciò è sapienza del mondo, ossia riprovevole, non Sapienza divina.
I miei martiri furono divinamente sapienti. Non hanno, come l'empio, detto a se stessi: "Godiamo l'oggi perché esso non torna e con la morte ogni gioia finisce. E per godere facciamo della prepotenza un diritto, ed estorcendo dai deboli e dai buoni ciò che non è lecito estorcere traiamo da queste estorsioni di che empire la borsa per empire poi il ventre e saziare concupiscenza di carne e di mente". Non hanno, come l'empio, detto a se stessi: "Esser giusti è un sacrificio ed è fatica esserlo. Come è rimprovero vedere il giusto. E perciò leviamolo di mezzo perché la sua giustizia ci ricorda Dio e ci rimprovera del nostro vivere da bestie".
I miei martiri hanno invece capovolto la teoria del mondo ed hanno voluto unicamente seguire quella di Dio. Il mondo li ha perciò messi alla prova, li ha oltraggiati, tormentati, uccisi, sperando di turbare la loro virtù. E nella sua stoltezza non sapeva che ogni colpo dato per sgretolare la loro anima era simile a maglio che faceva penetrare loro in Me ed Io in loro con un amore di fusione perfetto, tanto che nelle carceri o nei circhi essi erano già in Cielo e vedevano Me così come, dopo l'attimo di dolore e di morte, mi avrebbero visto per la beata eternità.
Non morti, non distrutti, non torturati, non disperati. Come non è morte il travaglio del parto, non è distruzione, non è tortura, non è disperazione, ma è vita che genera vita, ma è raddoppiamento 1 di carne che era una e diviene due, ma è soddisfazione, ma è speranza di esser madre e di avere dalla maternità gioie ineffabili per tutta la vita, così quel dolore era per loro speranza, sicurezza, vita che li faceva beati.
Il mondo non li poteva capire questi santi folli la cui follia era amare Dio con tutta la perfezione possibile alla creatura, facendo di sé delle volontarie sterili poiché uniche nozze erano quelle con Me Divino, facendo  di  sé  eunuchi  che  per 

raddoppiamento è nostra correzione da raddopiamento 


uno 2 spirituale amore amputavano in sé la sensualità umana e vivevano casti come angeli. Non poteva capire questi pazzi sublimi che, consci delle dolcezze del talamo e della prole, sapevano rinunciare a questa e a quello e volare ai tormenti, dopo essersi volontariamente lacerato il cuore nel lasciare i figli e i consorti, per amore di Me loro amore.
Ma il mondo è stato salvato da loro. Se siete divenuti le belve che siete, dopo tanto esempio e tanto lavacro di sangue purificatore, che sareste divenuti, e da quando 3, senza la generazione santa e benedetta dei martiri miei? Essi vi hanno trattenuto da precipitare in Satana molto prima del momento che le vostre libidini fomentavano. Essi vi invitano tuttora a fermarvi e a rimettervi sulla via che sale, lasciando il sentiero che precipita. Essi vi dicono parole di salute. Ve le dicono con le loro ferite, con le loro parole ai tiranni, con le loro carità, con la cura del loro pudore, con la loro pazienza, purezza, fede, costanza. Essi vi dicono che una sola è la scienza necessaria. Quella che sgorga dalla Sapienza eterna.
Saggi ancor più di Salomone, essi preferirono questa Sapienza a tutti i troni e le ricchezze della terra. E per ottenerla e conservarla sfidarono persecuzioni e tormenti, abbracciarono la morte per non perderla. L'amarono più della salute e della bellezza, e vollero averla per loro luce, perché il suo splendore viene direttamente da Dio e possederla vuol dire anticipare all'anima, la Luce beatifica dell'eterno giorno. Con rettezza di cuore la impararono e con carità la  comunicarono anche ai loro nemici. Non ebbero paura di rimanerne privi, perché ne facevano parte alle folle che ne erano prive, poiché Essa, vivente in loro, li istruiva che "dare è ricevere" 4 e che, più essi distribuivano le acque celesti che la Fonte divina riversava in loro, e più tali acque aumentavano sino a colmarli come calici di una Messa santa, consumata per il bene del mondo dal Sacerdote eterno.
Il re sapiente fa l'enumerazione delle doti della Sapienza il cui spirito è intelligente, santo, unico, molteplice, sottile... ma tutte queste qualità essi, i miei martiri, le hanno possedute. In loro era quello che Salomone chiama "vapore della virtù di Dio ed emanazione della gloria dell'Onnipotente" 5. Essi perciò rispecchiavano in sé Dio come nessuno al mondo, rispecchiavano Dio nelle sue qualità e Me Cristo‑Salvatore nel mio olocausto.
Oh! come si potrebbero mettere sulla bocca di ogni martire le parole di Salomone proclamante di avere amato e cercato dalla giovinezza la Sapienza e di averla voluta per sposa! Di averla voluta maestra e ricchezza 6! E come potete pensare, senza tema di errore, che sulle loro labbra fiorì quella preghiera per ottenere la Sapienza che è fiorita sulle labbra di Salomone 7!

2 uno è nostra correzione da un
quando è nostra correzione da quanto
Luca 6, 38; Atti 20, 35.
Sapienza 7, 22‑30. 
6 Sapienza 8.
Sapienza 9.

E come, soprattutto, dovreste sforzarvi, o voi che la cupidigia della carne ha arretrato a tenebre di paganesimo ben più profonde di quelle alle quali i miei martiri portarono la Luce, a farvi amanti, desiderosi della Sapienza, e a pregare perché vi venga data a guida nelle imprese singole e collettive, onde non siate più quelli che siete: dei maniaci crudeli che vi torturate a vicenda perdendo vita e sostanze, due cose alle quali tenete, e salvezza dello spirito, cosa alla quale tengo Io che sono morto per dare ai vostri spiriti salvezza.
"è per la Sapienza" dice Salomone "che vengono raddrizzate le vie degli uomini ed essi sanno ciò che è gradito a Dio" 8. Ricordàtevelo. E sappiate che a Dio non è gradito altro che il vostro bene. Perciò, se voi lo conoscerete e seguirete questa via a Lui gradita, farete del bene a voi e nella Terra e nel Cielo.»

8 Sapienza 9, 18.





Venerdì 3 marzo 1944.
Dice Gesù:
«Scrivi questo solo.
Giorni or 1 sono dicesti che muori col desiderio inappagato di vedere i Luoghi Santi. Tu li vedi e come erano quando Io li santificavo con la mia presenza. Ora, dopo venti secoli di profanazioni venute da odio o da amore, non sono più come erano. Perciò pensa che tu li vedi e chi va in Palestina non li vede. E non te ne rammaricare.
Seconda cosa: ti lamenti che anche quei libri che parlano di Me ti sembrano senza più sapore mentre prima li amavi tanto. Anche questo ti viene dalla tua attuale condizione. Come vuoi che ti paiano più perfetti i lavori umani quando tu conosci la verità dei fatti per opera mia? è quello che avviene delle traduzioni anche buone. Mutilano sempre il vigore della frase originale. Le descrizioni umane, sia dei luoghi come dei fatti e dei sentimenti, sono "traduzioni" e perciò sempre incomplete, inesatte, se non nelle parole e nei fatti, nei sentimenti. Specie ora che il razionalismo ha tanto sterilito. Perciò, quando uno è portato da Me a vedere e a conoscere, ogni altra descrizione è fredda e lascia insaziati e disgustati.
Terzo: è venerdì. Voglio tu riviva il "mio" soffrire. Voglio questo da te, oggi. Che tu lo riviva nel pensiero e nella carne.
Basta. Soffri con pace e con amore. Ti benedico.»

or è aggiunto da noi





4 marzo 1944, ore 9.
Mi dice Gesù:
«Molto lavoro oggi per riprendere il tempo, non perduto ma usato altrimenti secondo il mio volere 1.
Sai dalla prima ora di questo giorno (ore 1 ant.ne) su cosa terrò fissa la tua mente, perché il primo e unico punto che ti s'è illuminato ti ha già detto su che poserai gli occhi dello spirito. E quel nome femminile e sconosciuto che t'è rimbombato dentro come campana che chiami e non si placa che quando s'è risposto, ti ha detto che conoscerai anche questo. Ma fra la mia vergine e il Maestro devi scegliere il Maestro e far precedere il mio punto a quello 2.
Te ne farò conoscere molte di creature celesti. Hanno tutte il loro ammaestramento, utile per voi divenuti consci di tutto, lettori di tutto, ma non di quello che è scienza per conquistare il Cielo.
Scrivi.»

Scrivo, anzi descrivo.
Questa notte, mentre fra dolori da impazzire mi chiedevo come ha fatto Gesù a sopportare quel gran male al capo ‑ e glie lo chiedevo perché a me era tormento tale da farmi stringere i denti per non urlare al 3 minimo rumore o tentennamento al letto, e mi pareva di avere tanti cuori che battessero veloci e dolenti per quanti denti avevo, per la lingua, le labbra, il naso, le orecchie, gli occhi, e in mezzo alla fronte mi pareva avere un groviglio di chiodi che mi penetrassero nel cranio, e dalla nuca saliva e si irraggiava una fascia di fuoco e di dolore stringente come una morsa, e nel parietale destro mi pareva che ogni tanto urtasse contro un colpo di oggetto pesante a conficcarmi vieppiù quella fascia nella testa e a rimbombarmi tutta ‑ e nel mio spasimo lo contemplavo dall'Orto al Calvario, ecco che, proprio dopo la terza caduta, ho avuto una sosta di sollievo fisico e spirituale, perché mi apparve bello, sano, sorridente sulle acque irate del Mar di Galilea.
Poi il tormento è ricominciato, finché verso le due, cessata la contemplazione della Passione del Signore e calmato un pochino (poco, sa?) il tremendo dolore al capo, m'è suonato dentro un nome: S.ta Fenicola.
Chi è? Sconosciuta. Ci è proprio stata? Mah! Chi l'ha mai sentita! E cercavo dormire. Macché! Santa Fenicola. Santa Fenicola. Santa Fenicola.
Qui non si dorme, mi sono detta, se prima non so chi è. E in grazia del diminuito dolore, che mi permetteva ora di muovermi mentre dalle 15 alla mezzanotte  e   oltre   mi   aveva   abbattuta   e   resa   inerte,   corpo   che   soffriva 

Espresso al terzo punto del dettato che precede.

Prima l'episodio evangelico di Gesù che cammina sulle acque, che indicheremo a pag. 169, e poi quello del martirio di Fenicola, che riporteremo a pag. 170. 

al è nostra correzione da il

spasmodicamente ma non poteva neppur aprire gli occhi ‑ Paola 4 glie lo può dire ‑ ho preso un indice dei santi e ho trovato che porta, insieme a S. Petronilla v., porta S. Felicola v.m. Io ho sentito dire: Fenicola, ma forse ho capito male.
Contemporaneamente a questa scoperta ho visto una giovane donna nuda, legata ad una colonna in maniera atroce. Poi nient'altro 5.
E ora per ubbidienza scrivo ciò che il Maestro mi mostra, senza rimandare, per quanto ho la testa che gira come una trottola.

[Saltiamo le ultime 15 pagine circa del quaderno autografo, che portano, in prosecuzione del testo sopra riportato, l'episodio di Gesù che cammina sulle acque e il successivo dettato d'insegnamento, appartenenti al ciclo del Secondo anno di vita pubblica della grande opera sul Vangelo.]


Paola Belfanti. Vedi la nota 9 di pag. 9. 

nient'altro è nostra correzione da altro

QUADERNO N° 19



4 marzo 1944.
Il martirio di S. Fenicola.
Vedo due giovani donne in preghiera. Una preghiera ardentissima che deve proprio penetrare nei cieli. Una è più matura. Pare quasi sui trent'anni; l'altra deve da poco aver passato i venti. Sembrano in perfetta salute tutte e due. Poi si alzano e preparano un piccolo altare su cui dispongono lini preziosi e fiori.
Entra un uomo vestito come i romani dell'epoca, che le due giovani salutano con la massima venerazione. Egli si leva dal petto una borsa dalla quale trae tutto quanto occorre per celebrare una Messa. Poi si riveste delle vesti sacerdotali e inizia il Sacrificio.
Non comprendo benissimo il Vangelo, ma mi pare sia quello di Marco: "E gli presentarono dei bambini... chi non riceverà il regno di Dio come un fanciullo non c'entrerà" 1. Le due giovani, inginocchiate presso l'altare, pregano sempre più fervorosamente.
Il Sacerdote consacra le Specie e poi si volge a comunicare le due fedeli, cominciando dalla più anziana, il cui volto è serafico di ardore. Poi comunica l'altra. Esse, ricevute le Specie, si prostrano al suolo in profonda preghiera e sembra restino così per pura devozione.
Ma quando il Sacerdote si volge a benedire e scende dall'altare collocato su una pedana di legno ‑ dopo la celebrazione del rito, che è uguale a quella di Paolo nel Tullianum 2. Solo qui il celebrante parla più piano, date le due sole fedeli; ecco perché capisco meno il Vangelo 3 ‑ una soltanto delle giovani si muove. L'altra rimane prostrata come prima. La compagna la chiama e la scuote. Si china anche il Sacerdote. La sollevano. Già il pallore della morte è su quel viso, l'occhio semispento naufraga sotto le palpebre, la bocca respira a fatica. Ma che beatitudine in quel viso!

Marco 10, 15; Luca 18, 17. Tutto il periodo è aggiunto dopo dalla scrittrice, che ha inserito Non comprendo benissimo su una parte di rigo rimasta in bianco, ed ha messo tutto il resto in calce alla pagina richiamando con una crocetta. 

Nella visione del 29 febbraio, pag. 157.

Tutto il brano che abbiamo delimitato con i trattini è stato aggiunto dalla scrittrice in calce alla pagina, richiamandolo nel testo con una crocetta.

La adagiano su una specie di lungo sedile che è presso una finestra aperta su un cortile, in cui canta una fontana. E cercano soccorrerla. Ma, radunando le forze, ella alza una mano e accenna al cielo e non dice che due parole: "Grazia... Gesù" e senza spasimi spira.
Tutto ciò non mi spiega che c'entra la giovane legata alla colonna che ho visto questa notte 4 e che, per quanto molto più pallida e smagrita, spettinata, torturata, mi pare assomigli tanto alla superstite che ora piange presso la morta. E resto così, nella mia incertezza, per qualche ora.
Soltanto ora che è sera ritrovo la giovane piangente prima, ora ritta presso la fontana del severo cortile nel quale sono coltivate solo delle piccole aiuole di gigli e sui muri salgono dei rosai tutti in fiore.
La giovane parla con un giovane romano: "è inutile che tu insista, o Flacco. Io ti sono grata del tuo rispetto e del ricordo che hai per la mia amica morta. Ma non posso consolare il tuo cuore. Se Petronilla è morta, segno era che non doveva essere tua sposa. Ma io neppure. Tante sono le fanciulle di Roma che sarebbero felici di diventare le signore della tua casa. Non io. Non per te. Ma perché ho deciso di non contrarre nozze".
"Tu pure sei presa dalla frenesia stolta di tante seguaci di un pugno d'ebrei?".
"Io ho deciso, e credo non esser folle, di non contrarre nozze".
"E se io ti volessi?".
"Non credo che tu, se è vero che mi ami e rispetti, vorrai forzare la mia libertà di cittadina romana. Ma mi lascerai 5seguire il mio desiderio avendo per me la buona amicizia che io ho per te".
"Ah, no! Già una m'è sfuggita. Tu non mi sfuggirai".
"Ella è morta, Flacco. La morte è forza a noi superiore, non è fuga di uno ad un destino. Ella non s'è uccisa. è morta...".
"Per i vostri sortilegi. Lo so che siete cristiane e avrei dovuto denunciarvi al Tribunale di Roma. Ma ho preferito pensare a voi come a mie spose. Ora per l'ultima volta ti dico: vuoi esser moglie del nobile Flacco? Io te lo giuro che è meglio per te entrare signora nella mia casa e lasciare il culto demoniaco del tuo povero dio, anziché conoscere il rigore di Roma che non permette siano insultati i suoi dèi. Sii la sposa mia e sarai felice. Altrimenti...".
"Non posso esser tua sposa. A Dio sono consacrata. Al mio Dio. Non posso adorare gli idoli, io che adoro il vero Dio. Fa' di me quello che vuoi. Tutto puoi fare del corpo mio. Ma la mia anima è di Dio ed io non la vendo per le gioie della tua casa".
"è la tua ultima parola?".
"L'ultima".

Come è detto nel penultimo capoverso di pag. 169. 

lascerai è nostra correzione da lascierai


"Sai che il mio amore può mutarsi in odio?"
"Dio te ne perdoni. Per mio conto ti amerò sempre come fratello e pregherò per il tuo bene".
"Ed io farò il tuo male. Ti denuncerò 6Sarai torturata. Allora mi invocherai. Allora comprenderai che è meglio la casa di Flacco alle dottrine stolte di cui ti nutri".
"Comprenderò che il mondo, per non avere più dei Flacchi, ha bisogno di queste dottrine. E farò il tuo bene pregando per te dal Regno del mio Dio".
"Maledetta cristiana! Alle carceri! Alla fame! Ti sazi il tuo Cristo se lo può".
Ho l'impressione che le carceri siano abbastanza prossime alla casa della vergine perché la strada è poca, e che il nobile Flacco sia né più né meno che un segugio del Questore di Roma perché, quando la visione, mutando aspetto, mi riporta la sala già vista con la giovane legata alla colonna, vedo che è un tribunale come quello in cui fu giudicata Arnese 7. Ben poche sono le differenze e che, anche qui, vi è un brutto ceffo che giudica e condanna, e che Flacco gli fa da aiutante e aizzatore.
Fenicola, estratta dalla muda dove era, viene portata in mezzo alla sala. Appare sfinita di forze ma ancor tanto dignitosa. Per quanto la luce l'abbacini, debole come è e abituata ormai al buio carcere, si tiene eretta e sorride. Le solite domande e le solite offerte seguite dalle solite risposte: "Sono cristiana. Non sacrifico ad altro Dio che non sia il mio Signore Gesù Cristo".
Viene condannata alla colonna.
Le strappano le vesti e nuda, alla presenza del popolo, la legano con le mani e i piedi dietro ad una delle colonne del Tribunale. Per fare ciò le slogano le anche e le slogano le braccia. La tortura deve essere atroce. E non basta, ma torcono le funi ai polsi e alle caviglie, la percuotono sul petto e sul ventre nudo con verghe e flagelli, le torcono le carni con tenaglie e altri così atroci supplizi che non sto a ridire.
Ogni tanto le chiedono se vuol sacrificare agli dèi. Fenicola, con voce sempre più debole, risponde: "No. Al Cristo. A Lui solo. Or che lo comincio a vedere, ed ogni tortura me lo rende più vicino, volete che io lo perda? Compite la vostra opera. Che io abbia il mio amore compiuto. Dolci nozze di cui Cristo è sposo ed io sposa sua! Sogno di tutta la mia vita!".

Quando la slegano dalla colonna, ella cade come morta per terra. Le membra slogate, forse anche spezzate, non la reggono più, non rispondono a nessun comando della mente. Le povere mani, segate ai polsi dalla fune che ha fatto due braccialetti di sangue vivo, pendono come morte. I piedi, pure lacerati ai malleoli sino a mostrare i nervi e i tendini, appaiono chiaramente spezzati dal modo come stanno ripiegati in modo innaturale. Ma il volto  è  pieno  di  una  felicità  d'angelo.

6 denuncerò è nostra correzione da denuncierò

Nella visione del 13 gennaio, pag. 42.

Scendono le lacrime sulle gote esangui, ma l'occhio ride assorto in una visione che l'estasia.
I carcerieri, meglio i boia, la colpiscono di calci, e a calci la spingono, come fosse un sacco tanto immondo da non poter esser toccato, verso la predella del Questore.
"Ancor viva sei?".
"Sì, per volontà del mio Signore".
"Ancora insisti? Vuoi proprio la morte?"
"Voglio la Vita. Oh! mio Gesù, aprimi il Cielo! Vieni, Amore eterno!".
"Gettatela nel Tevere! L'acqua calmerà i suoi ardori".
I boia la sollevano con mal garbo. La tortura delle membra spezzate deve essere atroce. Ma ella sorride. La avvolgono nelle sue vesti, non per pudicizia ma per impedirle di reggersi in acqua. Inutile cura! Con degli arti in quello stato, non si nuota. Solo la testa emerge dal viluppo delle vesti. Il suo povero corpo, gettato sulle spalle di un carnefice, pende come fosse già morta. Ma ella sorride alla luce delle fiaccole, perché ormai è sera.
Giunti al Tevere, come fosse un animale da sopprimersi, la prendono e dall'alto del ponte la precipitano nelle acque scure, sulle quali ella riaffiora due volte e poi si inabissa senza un grido.

Dice Gesù:
«Ti ho voluto far conoscere la mia martire Fenicola per dare a te ed a tutti qualche insegnamento.
Tu hai visto il potere della preghiera nella morte di Petronilla, compagna e maestra di Fenicola di cui era molto più anziana, e il frutto di una santa amicizia.
Petronilla, figlia spirituale di Pietro, aveva assorbito dalla viva parola del mio Apostolo lo spirito di Fede. Petronilla. La gioia, la perla romana di Pietro. Sua prima conquista romana. Quella che, per la sua rispettosa e amorosa devozione all'Apostolo, lo consolò di tutti i dolori della sua evangelizzazione romana.
Pietro per amore mio aveva lasciato casa e famiglia. Ma Colui che non mente gli aveva fatto trovare in questa fanciulla ‑ e in maniera sovrabbondante, colma, premuta, secondo le mie promesse 8 ‑ conforto, cure, dolcezze femminili. Come Io a Betania, egli in casa di Petronilla trovava aiuti, ospitalità e soprattutto amore. La donna è uguale, nel suo bene e nel suo male, sotto tutti i cieli e in tutte le epoche. Petronilla fu la Maria 9 di Pietro, con in più la sua purezza di fanciulla che il Battesimo, ricevuto mentre ancora l'innocenza non aveva conosciuto oltraggio, aveva portato a perfezione angelica.

Luca 6, 38.

Maria di Magdala, sorella di Lazzaro e Marta di Betania.

Maria, ascolta. Petronilla, volendo amare il Maestro con tutta se stessa senza che la sua avvenenza e il mondo potessero turbare questo amore, aveva pregato il suo Dio di fare di lei una crocifissa. E Dio la esaudì. La paralisi crocifisse le sue angeliche membra. Nella lunga infermità sul terreno bagnato dal dolore fiorirono più belle le virtù e specie l'amore per la Madre mia.
Ascolta ancora, Maria. Quando fu necessario, la sua malattia conobbe una sosta. Per mostrare che Dio è padrone del miracolo. E poi, finito il momento, tornò a crocifiggerla.
Non conosci nessun'altra, Maria, alla quale il suo Maestro, come Pietro a Petronilla, non dica, quando gli occorre: "Sorgi, scrivi, sii forte" e cessato il bisogno del Maestro non torni una povera inferma in perpetua agonia?
Morto l'Apostolo e guarita Petronilla, ella trovò che la sua vita non era più sua. Ma del Cristo. Non era di quelle che, ottenuto il miracolo, se ne servono per offendere Dio. Ma la salute la usò per l'interesse di Dio.
La vita vostra è sempre mia. Io ve la do. Ve lo dovreste ricordare. Ve la do come vita animale facendovi nascere e conservandovi vivi. Ve la do come vita spirituale con la Grazia e i Sacramenti. Dovreste ricordarvelo sempre e farne buon uso. Quando poi vi rendo la salute, vi faccio rinascere quasi dopo malattia mortale, dovreste ancor più ricordarvi che quella vita, rifiorita quando già la carne sapeva di tomba, è mia. E per riconoscenza usarla nel Bene.
Petronilla lo seppe fare. Non si è assorbita per niente 10 la mia Dottrina. Essa è come sale che preserva dal male, dalla corruzione, è fiamma che scalda e illumina, è cibo che nutre e fortifica, è fede che fa sicuri. Viene la prova, l'assalto della tentazione, la minaccia del mondo. Petronilla prega. Chiama Dio. Vuol essere di Dio. Il mondo la vuole? Dio la difenda dal mondo.
Il Cristo l'ha detto: "Se avete tanta fede quanto un granello di senape, potrete dire ad un monte: 'Levati a va' più in là' " 11. Pietro glie l'ha detto tante volte. Ella non chiede al monte di muoversi. Chiede a Dio di levarla dal mondo prima che una prova superiore alle sue forze la schiacci. E Dio l'ascolta. La fa morire in un'estasi. In un'estasi, Maria, prima che la prova la schiacci. Ricordala questa cosa, piccola discepola mia 12.

Fenicola era amica, più che amica figlia o sorella, data la poca differenza d'età di una diecina d'anni circa. Non si convive senza santificarsi con chi è santo. Come non ci si guasta convivendo con chi è guasto. Se il mondo se la ricordasse questa verità! Ma il mondo invece trascura i santi o li sevizia, e segue i satana divenendo sempre più satana.

10 per niente sta per inutilmente

11 Matteo 17, 20; Marco 11, 23; Luca 17, 6. 

12 Maria Valtorta, della cui vita viene fatto qui un parallelo con quella di Petronilla, morì dopo un lungo periodo di smemorato isolamento, che per molti è rimasto misterioso.
La fermezza e la dolcezza di Fenicola l'hai vista. Che è la fame per chi ha Cristo a suo cibo? Che è la tortura per chi ama il Martire del Calvario? Che è la morte per chi sa che la morte apre la porta alla Vita?
è sconosciuta dai cristiani d'ora la mia martire Fenicola. Ma essa è ben conosciuta dagli angeli di Dio che la vedono ilare in Cielo dietro l'Agnello divino. Ho voluto renderla nota a te per poterti parlare anche della sua maestra di spirito e per incuorarti al patire.
Ripeti con lei: "Ora sì che fra questi dolori comincio a vedere il mio sposo Gesù, nel quale ho posto tutto il mio amore", e pensa che anche per te ho suscitato un Nicomede 13, per salvare dalle acque delle passioni il tuo io che volevo per Me, e per raccogliere quanto di te merita d'esser conservato, ciò che è mio, ciò che può operare del bene all'anima dei fratelli.»

13 è il nome del presbìtero che recuperò il corpo della santa martire Felicola, le cui notizie storiche sembrano corrispondere al racconto sulla martire Fenicola, qui presentato. Il "Nicomede" della scrittrice, suscitato per il suo recupero spirituale, è Padre Migliorini.



5 ‑ 3 ‑ 1944.
Dice Gesù:
«O voi cristiani del ventesimo secolo, che ascoltate come racconti fiabeschi le storie dei miei martiri e vi dite: "Non può esser vero! Come lo può essere? Infine erano anche essi uomini e donne! Ciò è leggenda", sappiate che ciò non è leggenda. Ma è storia. E se voi credete alle virtù civiche degli antichi ateniesi, spartani, romani, e vi sentite esaltare lo spirito per gli eroismi e le grandezze degli eroi civili, perché non volete credere a queste virtù soprannaturali e non vi sentite esaltare lo spirito e spronarlo a eletta imitazione al racconto delle grandezze e degli eroismi dei miei eroi?
Infine, vi dite, erano uomini e donne. Sicuro. Erano uomini e donne. Voi dite una grande verità e vi date una grande condanna. Erano uomini e donne e voi siete dei bruti. Dei degradati dalla somiglianza con Dio, dalla figliolanza di Dio, al livello di animali solo guidati dall'istinto ed imparentati con Satana.
Erano uomini e donne. Erano tornati "uomini e donne" per mezzo della Grazia, così come erano 1 il Primo e la Prima nel Terrestre Paradiso.
Non si legge nella Genesi che Dio fece l'Uomo dominatore su tutto quanto era sulla Terra, ossia su tutto meno che su Dio e i suoi angelici ministri? Non si legge che fece la Donna perché fosse compagna all'Uomo nella gioia e nella dominazione  su tutti  i  viventi?   Non  si  legge  che  di  tutto  potevano  mangiare 

erano è nostra correzione da era

fuorché dell'albero della scienza del Bene e del Male 2? Perché? Quale sottosenso è nella parola "perché domini"? Quale in quello dell'albero della scienza del Bene e del Male? Ve lo siete mai chiesto, voi che vi chiedete tante cose inutili e non sapete chiedere mai alla vostra anima le celesti verità?
La vostra anima, se fosse viva, ve le direbbe, essa che quando è in grazia è tenuta come un fiore fra le mani dell'angelo vostro, essa che quando è in grazia è come un fiore baciato dal sole e irrorato dalla rugiada per to Spirito Santo che la scalda e illumina, che la irriga e la decora di celesti luci.
Quante verità vi direbbe la vostra anima se sapeste conversare con essa, se l'amaste come quella che mette in voi la somiglianza con Dio, che è Spirito come spirito è la vostra anima. Quale grande amica avreste se amaste la vostra anima in luogo di odiarla sino ad ucciderla; quale grande, sublime amica con la quale parlare di cose di Cielo, voi che siete così avidi di parlare e vi rovinate l'un l'altro con amicizie, che se non sono indegne (qualche volta lo sono) sono però quasi sempre inutili e vi si mutano in frastuono vano o nocivo di parole e parole tutte di terra.
Non ho Io detto: "Chi mi ama osserverà la mia Parola e il Padre mio l'amerà e verremo presso di lui e faremo in lui dimora" 3L'anima in grazia possiede l'amore e possedendo l'amore possiede Dio, ossia il Padre che la conserva, il Figlio che l'ammaestra, lo Spirito che la illumina. Possiede quindi la Conoscenza, la Scienza, la Sapienza. Possiede la Luce. 
Pensate perciò quali conversazioni sublimi potrebbe intrecciare con voi la vostra anima. Sono quelle che hanno empito i silenzi delle carceri, i silenzi delle celle, i silenzi degli eremitaggi, i silenzi delle camere degli infermi santi. Sono quelle che hanno confortato i carcerati in attesa di martirio, i claustrati alla ricerca della Verità, i romiti anelanti alla conoscenza anticipata di Dio, gli infermi alla sopportazione ‑ ma che dico? ‑ all'amore della loro croce.
Se sapeste interrogare la vostra anima, essa vi direbbe che il significato vero, esatto, vasto quanto il creato, di quella parola "domini" è questo: "-Perché l'Uomo domini su tutto. Su tutti i suoi tre strati. Lo strato inferiore animale. Lo strato di mezzo morale. Lo strato superiore spirituale. E tutti e tre li volga ad un unico fine: 'Possedere Dio' ". Possederlo meritandolo con questo ferreo dominio che tiene soggette tutte le forze dell'io e le fa ancelle di questo unico scopo: meritare di possedere Dio.
Vi direbbe che Dio aveva proibito la conoscenza del Bene e del Male perché il Bene lo aveva elargito alle sue creature gratuitamente, e il Male non voleva che lo conosceste perché è frutto dolce al palato ma che, sceso col suo succo nel sangue, ne desta una febbre che uccide e produce arsione, per cui più si beve di quel suo succo mendace e più se ne ha sete.

Genesi 1, 26‑28; 2, 15‑25; 3, 1‑3.

Giovanni 14, 23.
Voi obbietterete 4: "E perché ce l'ha messo?". E perché! Perché il Male è una forza che è nata da sola come certi mali mostruosi nel corpo più sano.
Lucifero era angelo, il più bello degli angeli. Spirito perfetto inferiore a Dio soltanto. Eppure nel suo essere luminoso nacque un vapore di superbia che esso non disperse. Ma anzi condensò covandolo. E da questa incubazione è nato il Male.Esso era prima che l'uomo fosse. Dio l'aveva precipitato fuor dal Paradiso, l'Incubatore maledetto del Male, questo insozzatore del Paradiso. Ma esso è rimasto l'eterno Incubatore del Male, e non potendo più insozzare il Paradiso ha insozzato la Terra 5.
Quella metaforica pianta sta a dimostrare questa verità. Dio aveva detto all'Uomo e alla Donna: "Conoscete tutte le leggi ed i misteri del creato. Ma non vogliate usurparmi il diritto di essere il Creatore dell'uomo. A propagare la stirpe umana basterà il mio Amore che circolerà in voi, e senza libidine di senso ma per solo palpito di carità susciterà i nuovi Adami della stirpe. Tutto vi dono. Solo mi serbo questo mistero della formazione dell'uomo".
Satana ha voluto levare questa verginità intellettuale all'Uomo, e con la sua lingua serpentina ha blandito e accarezzato membra e occhi di Eva suscitandone riflessi e acutezze che prima non avevano, perché la Malizia non li aveva intossicati. Essa "vide". E vedendo volle provare. La carne era destata.
Oh! se avesse chiamato Dio! Se fosse corsa a dirgli: "Padre! Io son malata. Il serpente mi ha accarezzata e il turbamento è in me". Il Padre l'avrebbe purificata e guarita col suo alito, ché come le aveva infuso la vita poteva infonderle nuovamente innocenza, smemorandola del tossico serpentino ed anzi mettendo in lei la ripugnanza per il Serpente, come è in quelli che un male ha assalito e che, guariti di quel male, ne portano una istintiva ripugnanza.
Ma Eva non va al Padre. Eva torna dal Serpente. Quella sensazione è dolce per lei. "Vedendo che il frutto dell'albero era buono a mangiarsi e bello all'occhio e gradevole all'aspetto, lo colse a ne mangiò" 6.
E "comprese". Ormai la malizia era scesa a morderle le viscere. Vide con occhi nuovi e udì con orecchi nuovi gli usi e le voci dei bruti. E li bramò con folle bramosia.
Iniziò sola il peccato. Lo portò a termine col compagno. Ecco perché sulla donna pesa condanna maggiore 7è per lei che l'uomo è divenuto ribelle a Dio e che ha conosciuto lussuria e morte. è per lei che non ha più saputo dominare i suoi tre regni: dello spirito perché ha permesso che lo spirito disubbidisse a Dio; del morale perché ha permesso che le passioni lo signoreggiassero; della carne  perché 

obbietterete è nostra correzione da obbieterete 

Isaia 14, 9‑21.

Genesi 3, 6.

Genesi 3, 14‑19.
l'avvilì alle leggi istintive dei bruti.
 "Il Serpente mi ha sedotta" dice Eva. "La donna m'ha offerto il frutto ed io ne ho mangiato" dice Adamo 8. E la cupidigia triplice abbranca da allora i tre regni dell'uomo.
Non c'è che la Grazia che riesca ad allentare la stretta di questo mostro spietato. E, se è viva, vivissima, mantenuta sempre più viva dalla volontà del figlio fedele, giunge a strozzare il mostro ed a non aver più a temere di nulla. Non dei tiranni interni: ossia della carne e delle passioni; non dei tiranni esterni: ossia del mondo e dei potenti del mondo. Non delle persecuzioni. Non della morte.
è come dice l'apostolo Paolo: "Nessuna di queste cose io temo, né tengo alla mia vita più di me, purché io compia la mia missione ed il ministero ricevuto dal Signore Gesù per rendere testimonianza al Vangelo della Grazia di Dio" 9.
I miei martiri hanno tenuto a compiere la loro missione e il ministero ricevuto. da Me di santificare il mondo e rendere testimonianza al Vangelo. Di nessun'altra cosa si sono preoccupati. Essi, per la Grazia vivente in loro e da loro tutelata con una cura quale non davano per la pupilla dei loro occhi e per la vita che gettavano con ilare prontezza, sapendo di gettare corruttibile spoglia per acquistarne una incorruttibile di infinito valore, erano tornati "uomini e donne", non più bruti. E da uomini e donne, figli del Padre celeste, vivevano e agivano.
Come dice Paolo, essi "non hanno bramato né oro, né argento, né vesti da alcuno"10ma anzi si sono fatti spogliare e si sono volontariamente spogliati di ogni ricchezza, fin della vita, "per seguire Me" sulla terra e nel Cielo.
"Con le loro mani" sempre come dice l'apostolo, "han provveduto al bisogno loro e di altri"11hanno dato la Vita a sé ed hanno portato altri alla Vita.
Lavorando hanno soccorso gli infermi "di quella tremenda infermità che è il vivere fuori della vera Fede e hanno tutto se stessi prodigato a questo scopo dando affetti, sangue, vita, fatiche, ogni cosa, ricordando le parole mie che ti ho detto tre giorni sono 12: " Dare è ricevere", "Dare è meglio che ricevere", quelle parole che oggi, quando ti ho fatto aprire il Libro al capo 20 degli Atti e al versetto 35°, tu hai letto con un sussulto perché hai ricordato di averle udite da poco e sei corsa a cercarle. E trovatele hai pianto, perché hai avuto una conferma che sono Io che parlo.

Genesi 3, 8‑13.

Atti 20, 24. 

10 Atti 20, 33. 

11 Atti 20, 34. 

12 Il 2 marzo, pag. 166. 

Sì, sono Io. Non temere. Tu neppure te ne accorgi di quali verità divieni canale. Come l'uccellino, sul ramo che canta felice quel canto che da millenni Dio ha messo nella sua piccola gola, e non sa perché escono quelle date note e non altre, enon sa di dire con quelle il suo nome e il nome del suo Creatore, così tu ripeti quella Parola che parla in te e non sai neppure quanto essa è profonda nelle sue enunciazioni.
Ma resta così: bambina. Amo tanto i bambini. Lo hai visto 13. Non m'hai visto ridere altro che con essi. Essi erano per Me la mia gioia d'Uomo. La Madre e il Discepolo, la mia gioia d'Uomo‑Dio e di Maestro. Il Padre, la mia gioia di Dio. Ma i bambini il mio sollievo giocondo sulla terra tanto amara.
Resta così: bambina. Il tuo Salvatore, schiaffeggiato da tanti uomini, ha bisogno di rinfrescare le sue gote sulle gote dei bambini. Ha bisogno di appoggiare la sua fronte su dei capi che sono amorosi e senza malizia.
Vieni, piccolo Giovanni, dal tuo Gesù. E restami sempre bambina. Il regno dei Cieli è di chi sa avere un'anima di fanciullo ed accogliere la Verità con la fiduciosa prontezza di un fanciullo.
Sono Io, non temere. Io che ti parlo e ti benedico. Va' in pace, piccolo Giovanni. Domani ti manderò Giovanni.»

13 Il 7 febbraio, pag. 136. ???



6 - 3 ‑ 1944.
Dice Giovanni:
«Sono io. Anche di me non temere. Io sono carità. Tanto l'ho assorbita e tanto predicata, e tanto per ciò sono in Essa fuso, che sono carità che parla.
Piccola sorella, noi lo possiamo dire: "Le nostre mani hanno toccato il Verbo di vita perché la Vita s'è manifestata a noi l'abbiamo veduta e l'attestiamo"1.
Noi lo possiamo dire, noi che ripetiamo le parole che il nostro amore Gesù Cristo ci dice nella sua bontà che ogni bontà supera, e ci conduce in sentieri fioriti di cui ogni fiore è una verità e una beatitudine celeste.
Noi lo possiamo dire, noi saturi come alveare fecondo della dolcezza che fluisce dalle labbra divine, da quelle labbra santissime che dopo aver spezzato il pane della dottrina alle turbe di Galilea, della Palestina tutta, hanno saputo consacrare il Pane per divenire Carne divina e spezzare Se stesso per nutrimento dello spirito dell'uomo. Quelle labbra innocentissime che tu hai visto sanguinare e contrarsi e irrigidirsi nella Passione e nella Morte subite per noi 2.

Giovanni 1, 1‑3.

Nelle visioni dell'11 e del 18 febbraio, pag. 91 e 110.
Noi lo possiamo dire: "Questo è il messaggio che noi abbiamo ricevuto da Lui e che vi annunziamo: Dio è Luce e in Lui non ci sono tenebre"3La sua luce è in noi perché la sua Parola è Luce. Viviamo nella Luce e ne udiamo la celeste armonia.
Vieni, piccola sorella. Ti voglio far udire l'armonia delle celesti sfere, l'armonia della luce poiché il Paradiso è Luce. Essa trabocca e si spande dal Trino Splendore e invade di Sé tutto il Paradiso. Noi viviamo nella e della Luce. Essa è il nostro gaudio, il nostro cibo, la nostra voce.
Canta il Paradiso con parole di luce. è la luce. Lo sfavillio della luce quello che fa questi accordi solenni, potenti, soavi, in cui sono trilli di bambini, sospiri di vergini, baci di amanti, osanna di adulti, gloria di serafini. Non son canti come quelli della povera Terra, in cui anche le cose più spirituali devono rivestirsi di forme umane. Qui è armonia di fulgori che producono suono. è un arpeggio di note luminose che sale e scende con variar di fulgori, ed è eterno e sempre nuovo, perché nulla si appesantisce di vecchiezza in questo eterno Presente.
Ascolta questo indescrivibile concento e sta' felice. Unisci il tuo palpito d'amore. è l'unica cosa che puoi unirvi senza profanare il Cielo. Sei ancora umana, sorella, e qui l'umanità non entra. Ma l'amore entra. Esso ti precede. Precede lo spirito tuo. Canta con esso. Ogni altro canto sarebbe stridere di insetto nel grande coro celeste. L'amore è già sospiro armonico nel dolce canto.
La pace di Gesù, nostro amore, sia con te.»

Padre, non posso descrivere la luminosità cantante che vedo e odo. Sono ebbra di questa bellezza, di questa dolcezza.
Se un'immensa, sconfinata rosa, fatta di una luce rispetto alla quale quella di tutti gli astri e i pianeti è scintilla di focolare, smuovendo ad un vento d'amore i suoi petali desse suono, ecco qualcosa che potrebbe assomigliare a quanto vedo e odo, e che è il Paradiso tuffato nella luce d'oro della Trinità Ss. coi suoi abitanti di luce diamantina.
Basta. Basta. Taccio perché la parola umana è bestemmia quando tenta di descrivere l'eterna Bellezza di Dio a del suo Regno.

1 Giovanni 1, 5.

di è nostra correzione da da


7 - 3 ‑ 1944.

[Saltiamo poco più di 13 pagine del quaderno autografo, che portano l'episodio del Piccolo Beniamino di Cafarnao e il successivo dettatod'insegnamento, appartenenti al ciclo del Terzo anno di vita pubblica della grande opera sul Vangelo.]

Sera del 7 ‑ 3.
A chi lo posso dire quello che soffro? A nessuno di questa terra, perché non è sofferenza della terra e non sarebbe capita.
è una sofferenza che è dolcezza e una dolcezza che è sofferenza. Vorrei soffrire dieci, cento volte tanto. Per nulla al mondo vorrei non soffrire più questo. Ma ciò non toglie che io soffra come uno preso alla gola, stretto in una morsa, arso in un forno, trafitto fino al cuore.
Mi fosse concesso di muovermi, di isolarmi da tutto e di potere nel moto e nel canto dar uno sfogo al mio sentimento ‑ poiché è dolore di sentimento ‑ ne avrei sollievo. Ma sono come Gesù sulla croce. Non mi è più concesso né moto né isolamento e devo stringere le labbra per non dare in pascolo ai curiosi la mia dolce agonia.
Non è un modo di dire: stringere le labbra! Devo fare un grande sforzo per dominare l'impulso di gridare il grido di gioia e di pena soprannaturale che mi fermenta dentro a sale con l'impeto di una fiamma o di uno 1 zampillo.
Gli occhi velati di dolore di Gesù: Ecce Homo, mi attirano come una calamita. Egli m'è di fronte e mi guarda, ritto in piedi sui gradini del Pretorio, con la testa coronata, le mani legate sulla sua veste bianca di pazzo con cui l'hanno voluto deridere, ed invece lo hanno vestito del candore degno dell'Innocente.
Non parla. Ma tutto in Lui parla e mi chiama e chiede. Che chiede? Che io lo ami. Questo lo so e questo gli do sino a sentirmi morire come avessi una lama nel petto. Ma mi chiede ancora qualcosa che non capisco. E che vorrei capire. Ecco la mia tortura. Vorrei dargli tutto quanto può desiderare a costo di morire di spasimo. E non riesco.
Il suo Volto doloroso mi attira e affascina. Bello è quando è il Maestro o il Cristo Risorto. Ma quel vederlo mi dà solo gioia. Questo mi dà un amore profondo che più non può essere quello di una madre per la sua creatura sofferente.
Sì, lo comprendo. L'amore di compassione 2 è la crocifissione della creatura che segue il Maestro sino alla tortura finale. è un amore dispotico che ci impedisce ogni pensiero che non sia quello del suo dolore. Non ci apparteniamo più. Viviamo per consolare la sua tortura e la sua tortura è il nostro tormento che ci uccide non metaforicamente soltanto. Eppure ogni lacrima che ci strappa il dolore ci è più cara di una perla, e ogni dolore che comprendiamo somigliante al suo più desiderato e amato di un tesoro.

uno è nostra correzione da un

Già nel dettato del 13 febbraio, pag. 101.

Padre, mi sono sforzata di dire ciò che provo. Ma è inutile. Di tutte le estasi che Dio può darmi, sarà sempre quella del suo soffrire quella che porterà l'anima mia al mio settimo cielo. Morir d'amore guardando il mio Gesù penante trovo che sia il più bel morire.

[Saltiamo poco più di 55 pagine del quaderno autografo, che portano i seguenti brani della grande opera sul Vangelo: l'episodio dell'Annunciazionee i due successivi dettati d'insegnamento (8‑3‑1944) appartenenti al ciclo della Preparazione; il dettato sulla Condotta di Pilato verso Gesù(10‑3‑1944) appartenente al ciclo della Passione; l'episodio dell'Emorroissa e la figlia di Giairo (11‑3‑1944) appartenente al ciclo del Secondo anno di vita pubblica.]

Il giorno 12 non c'è dettato. Il 13 non ho voluto scrivere. E lei sa perché.
Il 14, col broncio ancora, cedo perché... perché a lasciarlo parlare senza fermare i suoi pensieri mi sento levare l'aria e la vita. Ma il broncio ce l'ho ancora. Sicuro. E se non fosse che oggi è il mio compleanno 1 e che le sue parole sono il regalo più bello per la povera Maria, terrei ancora duro per vedere se, attraverso questo mezzo, mi fa la grazia che chiedo per tutti.


è da ieri sera ‑ quando lei è venuto lo diceva già ‑ che Gesù ripete:
«E non hai capito che ho permesso che conoscessi lo strazio di Maria per tua guida e conforto in quest'ora 2?
L'avevo avvolta in un velo la passione di mia Madre, perché è cosa tanto santa che non va data in pasto ai porci 3. Solo per il Padre 4, perché avesse una guida nel giudicare e assolvere le anime che il dolore fa delirare; solo per te, perché nel tuo soffrire sapessi che la Mamma ti capisce perché ha sofferto e imparassi come si prega mentre il cuore è in un rogo di spasimo, e come si doma il sentimento che insorge contro un volere di cui non conoscete i fini, prostrandolo sotto la persuasione dello spirito della bontà di Dio ‑ persuasione che lo spirito inculca alla ragione e al sentimento, l'impone come un giogo ai due ribelli, per il loro bene ‑ solo per poche altre care e benedette anime di questo mio "piccolo gregge", ho concesso le parole della Mamma mia in quell'ora tremenda, unicamente inferiore alla mia del Getsemani.
E tu non hai capito! Se non ti conoscessi come tu non ti conosci, dovrei esser severo con te. Ti accarezzo invece e non ti lascio andare, povera pecorella mia tutta avvolta nelle spine. Guarda: te le levo ad una ad una, districandole dal tuo vello, pungendomi Io per non lasciare che la punta sia tu.
Sto qui anche se non mi vuoi guardare. E vedremo chi vince.»

La scrittrice compiva 47 anni, essendo nata il 14 marzo 1897.

Nella visione del 19 febbraio, pag. 121.

Matteo 7, 6. 

Padre Migliorini, al quale spesso si rivolge.

Stamane poi, dopo una notte d'agonia che mi fa trovare al mattino con una faccia poco dissimile a quella della bimba di Giairo 5, Egli dice:
«Lo vedi che non puoi stare senza di Me? Senza la tua Messa il cui Vangelo è cantato e commentato dal tuo Gesù, la cui benedizione è data dal tuo Gesù?
Oh! povera, povera Maria che ci stai così male sulla terra! Bisogna proprio che Io ti prenda con Me. Non sei adatta agli urti brutali del mondo. Ma mi occorri ancora. Pensa alla Mamma. è dovuta rimanere ancora qualche tempo per servire Gesù. Tu non ci vuoi restare per servire Gesù? Andiamo, andiamo! I tuoi rimproveri sono ancora amore e fede, perché tu pensi che tutto può Gesù e che il tuo amare e credere totale debbano operare il miracolo.
Anche Marta e Maria a Betania mi han rimproverato di non aver affrettato il ritorno, di essermi allontanato mentre Lazzaro moriva 6. Ma Io le ho amate anche per questo, perché in quel rimprovero era amore e fede: "Se Tu eri qui, il nostro fratello non sarebbe morto" hanno detto le due sorelle. E nel rimprovero era palese la loro convinzione che Io potevo operare il miracolo, e l'amore grande nella confidenza che le fa osare di rimproverare Me.
Pace, pace, anima mia! Pace fra Me e te. E di' in mio Nome, a coloro che potrebbero commentare irriverentemente le parole della Mamma 7, che Ella, in quell'ora, era la Donna. La Donna che assommava in sé tutti i dolori della donna, portati alla donna per la colpa della prima, e che doveva espiarli così come Io avevo assommato in Me tutti i dolori dell'uomo per poterli espiare.
Di' a coloro che negano che Maria abbia potuto soffrire perché santa, che Ella ho sofferto di tutto, come nessuna altra sua sorella di sesso, di tutto fuorché dei dolori del parto, non essendo in Lei la colpa e la maledizione di Eva, e quelli dell'agonia fisica per la stessa ragione 8. Dette alla luce il Figlio delle sue viscere immacolate e dette a Dio il suo spirito senza macchia, come era decretato dal Creatore li dessero tutti i figli di Adamo se la colpa non li avesse innestati al Dolore.
Di' loro che Io, perché ero l'Espiatore principale, ho dovuto ben subire anche il dolore della morte, e di quella Morte, ed ero il Santo dei santi.
Di' a coloro che negano che Maria abbia potuto soffrire e nell'anima, nella sua mente e nella sua carne, nelle ore espiatorie della Passione, che se Io posso fare partecipe delle mie sofferenze e marcare delle mie piaghe un mio servo o una mia serva - creature che mi amano, ma che nel loro amore sono sempre molto relativi ‑ come non avrò potuto associare a queste sofferenze, far partecipe di  esse -  perché

Nell'episodio scritto l'11 marzo e da noi indicato a pag. 182. 

Giovanni 11, 20‑32.

A riguardo dello strazio di Lei, come nella precedente nota 2.

Genesi 3.


il valore del patire del Figlio di Dio fosse aumentato del valore del patire della Piena di Grazia - la Madre mia, Maria la Santa, Maria la Carità, inferiore unicamente a Dio, Colei che mi amava alla perfezione come Mamma perché nella sua immacolatezza aveva perfezione di sentimento, e come credente perché nella sua santità mi amò come nessuna?
Era Madre, uomini. Mi aveva portato, generato, partorito, allevato. Non era di stoppa ma dotata di nervi e di un cuore. Era carne, non solo spirito. Carne pura, ma carne ancora. Se Io ho pianto e ho sudato sangue, Ella non avrà pianto e pianto sangue?
Ero suo Figlio, uomini. Non ero una larva di uomo. Ero Carne, ero la sua Carne. E in quella e su quella Ella vedeva, per la sua perfetta prescienza, cadere i flagelli, penetrare le spine, scendere le percosse, urtare le pietre e penetrare i chiodi, e per la sua santità in sé li riceveva.
 O uomini, riflettete. Dite di credere alla Comunione dei Santi, la quale è l'unione delle preghiere e delle sofferenze ai meriti infiniti di Cristo per i bisogni degli spiriti, e non potete ammettere che la prima a parteciparvi fu Maria, la mia e vostra Santa?
Di' questo, piccolo Giovanni imbronciato, agli uomini dalla fede e dalle idee svisate da un razionalismo che non sanno neppure di avere e che come gramigna ha invaso subdolamente anche gli spiriti più sinceramente desiderosi d'esser nel vero. Ricòrdati però che Giovanni non aveva mai il broncio, neppure quando Io lo riprendevo o trascuravo e gli altri lo contendevano.

Va' in pace. Ti benedico anche se sei così capretta oggi. Sii buona! Sii buona! Pensa che ti ho amato tanto da fare di te il mio portavoce. Va' in pace. Ti benedico ancora.»

AMDG et BVM


Sono tempi di confusione, non di certezze. Cosa fare allora ...? Cosa chiederci in questa bufera?


PER I TEMPI DI CONFUSIONE E INCERTEZZA
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno IX n° 11 - Novembre 2016

 Sono tempi di confusione, 
non di certezze.

 Confusione nel mondo, che si è progressivamente staccato da Gesù Cristo; ma ciò che fa più male, confusione tra i cristiani, nella misura in cui si sono adeguati al mondo.

 E la confusione fa male e stanca. Nella confusione non è possibile per l'uomo nessun lavoro, perché l'uomo confuso è incapace di un lavoro. Può fare episodicamente cose buone e cose cattive, ma non può fare un lavoro.

 I tempi di confusione sono i tempi dell'uomo “episodico”.

 Intendiamoci bene, non tutto è male nel mondo e soprattutto non tutto è male nella Chiesa, questo non lo diremo mai! Ma la confusione è un male in sé: il buono nella confusione non esprime compiutamente un bene... e nella confusione tante cose buone potrebbero esprimersi in un male.

 La confusione è come un clima che tutto avvolge; è uno stato d'animo, una condizione mentale e morale, che tutto rende passeggero. La confusione impedisce la stabilità.

 L'uomo instabile ha bisogno di essere intrattenuto continuamente, per non cadere nell'angoscia del suo nulla.

 Il problema è che, a furia di vivere nella confusione, incominci ad adattarti ad essa. Ciò che ti dava fastidio, diventa la condizione della tua vita, l'orizzonte costante del tuo vivere. Con il tempo addirittura la credi normale questa continua instabilità.

Chi ama sottolineare la “vita” la cerca. Molti credono che “vivere” voglia dire cambiare continuamente; essere “vitali” vuol dire, per molti, fare cose nuove. Sentirsi vivi viene fatto coincidere con non avere legami per essere sempre pronti ad una nuova esperienza.

 È così forte l'instabile clima della confusione, che moltissimi ci restano dentro, anche tra quelli che vogliono dirsi cristiani e magari tradizionali.

 Sì, anche tra i tradizionali: cerchi per istinto il cristianesimo di sempre, quello della Tradizione, e dopo vuoi viverlo senza troppi legami, per assaporarne al suo interno tutte le esperienze possibili; e così non costruisci nulla!

 Insomma, chi fa consistere tutto nel “vitale” pensa che la confusione sia positiva; chi fa consistere tutto nel riferimento a Dio e alla Rivelazione, cerca invece la stabilità.

 È l'inganno dei tempi di confusione: prendi la confusione dilagante come alibi per non impegnarti fino in fondo.

 Cosa fare allora nei tempi di confusione? Cosa chiederci in questa bufera?

 Intanto ricordare che Dio chiede la stabilità: la vita è vocazione. Dio chiama ad abbracciare lo stato di vita dentro il quale crescere nell'unione con Lui, dentro il quale diventare santi. Diventare preti, entrare in convento, sposarsi comporta una stabilità che, secondo il mondo senza Dio, toglie libertà; ma è in questi vincoli vocazionali che Dio dona l'unica vera libertà che è vivere di Lui.

 E vuol dire ricordare che Dio per primo si è “legato” a una stabilità umana quando è diventato uomo per la nostra salvezza, nascendo a Betlemme. E dentro questo vincolarsi all'umano stabile, si è compiuta la nostra salvezza.

 Ecco perché dobbiamo fuggire lo smodato desiderio di libertà come contrario, proprio contrario al metodo di Dio. Carissimi, è su questo che può sorgere o crollare una vita.

 Così la vita cristiana si sviluppa nell'accettazione della stabilità e questa accettazione produce un modo di muoversi.

 Per queste ragioni riteniamo che sia estremamente importante eleggere un luogo di riferimento, un luogo che abbia la vita dentro; e a quel luogo fare obbedienza.

 La Chiesa è il mistico corpo di Cristo, ma è un corpo! È visibile, incontrabile. La grazia di Dio passa dentro i luoghi dove la vita cristiana si esprime con stabilità, come passa attraverso i segni esterni dei sacramenti.

 Come non sarebbe cattolico pretendere la grazia sottraendosi ai segni fisici dei sacramenti, così sarebbe non cattolico vivere la Chiesa come puro riferimento virtuale, senza un legame a un luogo umano reale.

 La Tradizione non è solo un contenuto di Dottrina, che rimane a livello di discorso, è anche un luogo fisico, dove la dottrina è vissuta nella grazia di Cristo. Chi si accosta ai sacramenti nelle nostre chiese e cappelle, che per miracolo sono concesse alla Tradizione della Chiesa, non dovrebbe mai dimenticarlo: questi sacramenti ci sono perché in quel dato luogo si vive la stabilità per Dio.

 Non fidiamoci dei discorsi che abbracciano tutto e costruiscono niente. Non fidiamoci del mondo virtuale (internet) che ci ha diseducato provocandoci a stare alla finestra giudicando tutto e vivendo niente: preghiamo il Signore perché ci indichi un riferimento possibile; e il Signore, che è fedele, ci farà riconoscere il “nostro” luogo della grazia. Ma quando il Signore ce lo avrà fatto incontrare, allora dopo poniamo sinceramente la nostra obbedienza, perché la nostra vita lì sia edificata.

 Nessun tempo di crisi può essere alibi perché non si faccia questa obbedienza. Nessuna confusione può essere alibi per noi, a meno che la confusione ci piaccia ormai per non seguire niente e nessuno. Ma chi non segue niente e nessuno, non può dire di seguire Cristo. Il riferimento a Cristo passa sempre nel riferimento a quel corpo visibile che è la Chiesa.

 E se proprio dobbiamo seguire le notizie e commenti su internet, che ha pur il merito di informare sulla Tradizione della Chiesa e di suscitarne un dibattito, ascoltiamo coloro che non scrivono solo, ma coloro che hanno un reale riferimento di obbedienza a un luogo ecclesiale, coloro che vivono realmente la corporeità della Chiesa, con stabilità.

 Non è a caso che i nemici della tradizione, dopo il motu proprio di Benedetto XVI che dichiarava la messa antica mai abolita, hanno fatto di tutto perché le messe tradizionali fossero episodiche e non stabili. E hanno fatto di tutto perché mai queste messe fossero sorrette da luoghi stabili di dottrina e vita cristiana: noi stiamo ancora attendendo dopo 8 anni la promessa parrocchia personale!

 La cosa triste è che col passare del tempo tanti amanti la Tradizione questa stabilità non la chiedono più, né nella preghiera a Dio né nella dovuta fatica della militanza anche in rapporto all'autorità.

 È invece la grazia più grande che dobbiamo chiedere in questi tempi difficili e insidiosi di confusione: la grazia di non amarla questa confusione per farla poi diventare l'arma della disobbedienza. Ad Oropa, fedeli a un voto, abbiamo domandato soprattutto questo.

mercoledì 2 novembre 2016

Confesso ad alta voce per la mia salvezza

San Pietro Canisio: preghiera per conservare la vera fede


Ripubblichiamo la Preghiera per conservare la vera fede di san Pietro Canisio della Compagnia di Gesù, (1521-1587), teologo papale al Concilio di Trento, apostolo della Germania contro il luteranesimo, autore di un celebre Catechismo su cui Benedetto XVI ricordava di avere studiato. Fu canonizzato e proclamato Dottore della Chiesa da Pio XI nel 1925.
<< Professo davanti a Voi la mia fede. Padre e Signore del Cielo e della terra, mio Creatore e Redentore, mia forza e mia salvezza, che fin dai miei più teneri anni non avete cessato di nutrirmi col sacro pane della vostra Parola e di confortare il mio cuore. Affinché non vagassi errando con le pecore traviate che sono senza Pastore. Voi mi raccoglieste nel seno della vostra Chiesa; raccolto, mi educaste; educato, mi conservaste insegnandomi con la voce di quei Pastori nei quali volete essere ascoltato e ubbidito, come di persona, dai vostri fedeli.
Confesso ad alta voce per la mia salvezza tutto quello che i cattolici hanno sempre a buon diritto creduto nel loro cuore. Ho in abominio Lutero, detesto Calvino, maledico tutti gli eretici; non voglio avere nulla in comune con loro, perché non parlano né sentono rettamente, e non posseggono la sola regola della vera Fede propostaci dall’unica, santa, cattolica, apostolica e romana Chiesa. Mi unisco invece nella comunione, abbraccio la fede, seguo la religione e approvo la dottrina di quelli che ascoltano e seguono Cristo, non soltanto quando insegna nelle Scritture ma anche quando giudica per bocca dei Concilii ecumenici e definisce per bocca della Cattedra di Pietro, testificandola con l’autorità dei Padri. Mi professo inoltre figlio di quella Chiesa romana che gli empii bestemmiatori disprezzano, perseguitano e abominano come se fosse anticristiana; non mi allontano in nessun punto dalla sua autorità, né rifiuto di dare la vita e versare il sangue in sua difesa, e credo che i meriti di Cristo possano procurare la mia o l’altrui salvezza solo nell’unità di questa stessa Chiesa.
Professo con franchezza, con san Girolamo, di essere unito con chi è unito alla Cattedra di Pietro e protesto, con sant’Ambrogio, di seguire in ogni cosa quella Chiesa romana che riconosco rispettosamente, con san Cipriano, come radice e madre della Chiesa universale. Mi affido a questa Fede e dottrina che da fanciullo ho imparato, da giovane ho confermato, da adulto ho insegnato e che finora, col mio debole potere, ho difeso. A far questa professione non mi spinge altro motivo che la gloria e l’onore di Dio, la coscienza della verità, l’autorità delle Sacre Scritture canoniche, il sentimento e il consenso dei Padri della Chiesa, la testimonianza della Fede che debbo dare ai miei fratelli e infine l’eterna salvezza che aspetto in Cielo e la beatitudine promessa ai veri fedeli.
Se accadrà che a causa di questa mia professione io venga disprezzato, maltrattato e perseguitato, lo considererò come una straordinaria grazia e favore, perché ciò significherà che Voi, mio Dio, mi date occasione di soffrire per la giustizia e perché non volete che mi siano benevoli quelle persone che, come aperti nemici della Chiesa e della verità cattolica, non possono essere vostri amici. Tuttavia perdonate loro, Signore, poiché, o perché istigati dal demonio e accecati dal luccichio di una falsa dottrina, non sanno quello che fanno, o non vogliono saperlo.
Concedetemi comunque questa grazia, che in vita e in morte io renda sempre un’autorevole testimonianza della sincerità e fedeltà che debbo a Voi, alla Chiesa e alla verità, che non mi allontani mai dal vostro santo amore e che io sia in comunione con quelli che vi temono e che custodiscono i vostri precetti nella santa romana Chiesa, al cui giudizio con animo pronto e rispettoso sottometto me stesso e tutte le mie opere. Tutti i santi che, o trionfanti nel Cielo o militanti in terra, sono indissolubilmente uniti col vincolo della pace nella Chiesa cattolica, esaltino la vostra immensa bontà e preghino per me. Voi siete il principio e il fine di tutti i miei beni; a Voi sia in tutto e per tutto lode, onore e gloria sempiterna. >>
AMDG et BVM

Notizia clamorosa

Lutero: qualche spunto di realtà (PER ADULTI MATURI)

  Lutero: qualche spunto di realtà


Nel 1510 Martino Lutero, allora monaco agostiniano, si recò a Roma per portare una lettera di protesta in merito a una diatriba interna al suo Ordine. La volgata protestante vorrebbe che, di fronte al desolante spettacolo di decadenza ("una cloaca", dirà lui in riferimento sia all'Urbe che alla Chiesa), il monaco di Wittemberg fosse rimasto scioccato. Il ché avrebbe innescato in lui prima il rigetto, poi il dubbio e infine la ribellione. Dunque, una reazione forse esagerata ma tutto sommato giustificata.

 
Un'attenta lettura delle fonti originali ci fa vedere, invece, uno spirito irrequieto e già incline alla ribellione. Forse è il caso di gettare uno sguardo su alcuni di questi documenti, che altro non sono che le stesse opere (Werke) di Martino Lutero, nelle due edizioni ufficiali: quella di Wittemberg (1551) e quella di Weimar (1883). Conviene anche rilevare che gli autori citati — Emme, Brentanno, De Wette e Bruckhardt — sono tutti protestanti.

1. La "vocazione" religiosa di Lutero


L'ingresso di Martino Lutero nell'Ordine agostiniano non fu dovuto tanto ad una vocazione religiosa quanto al fatto che era latitante e voleva sfuggire alle autorità. Quando era studente di Diritto all'Università di Erfurt, Lutero si batté a duello con un compagno, Gerome Bluntz, uccidendolo. Per sfuggire alla giustizia, egli entrò allora nel monastero degli Eremiti di S. Agostino (1). Lo stesso Lutero ammise il vero motivo del suo ingresso in monastero: "Mi sono fatto monaco perché non mi potessero prendere. Se non lo avessi fatto, sarei stato arrestato. Ma così fu impossibile, visto che tutto l'Ordine Agostiniano mi proteggeva" (2).

Purtroppo, nel monastero non imparò a diventare buono. Egli stesso confessava in un sermone del 1529: "Io sono stato un monaco che voleva essere sinceramente pio. Al contrario, però, sono sprofondato ancor di più nel vizio. Sono stato un grande furfante ed un omicida" (3). La sua vita spirituale era in rovinoso declino. Nel 1516, Lutero scrisse: "Raramente ho il tempo di pregare il Breviario e di celebrare la Messa. Sono troppo sollecitato dalle tentazioni della carne, del mondo e del diavolo" (4). Ancora nel 1516 egli dichiarava: "Confesso che la mia vita è sempre più prossima all'inferno. Giorno dopo giorno divento più abietto" (5).

Nel convento, Lutero era soggetto a frequenti crisi di nervi, ad allucinazioni deliranti, in preda anche a segni di possessione. Nel guardare il crocifisso egli spesso era assalito da convulsioni e cadeva a terra (6). Quando celebrava la Messa, era preso dal terrore: "Arrivato all'Offertorio ero così spaventato che volevo fuggire. Mormoravo ‘Ho paura! Ho paura!'" (7).

Agitato, nervoso, continuamente in crisi, tentato dal diavolo (che, secondo lui, gli appariva in forma di un enorme cane nero col quale condivideva perfino il letto) roso dai rimorsi, Lutero cominciò a formarsi l'idea che fosse predestinato alla dannazione eterna, e questo gli faceva odiare Dio: "Quando penso al mio destino dimentico la carità verso Cristo. Per me, Dio non è che uno scellerato. L'idea della predestinazione cancella in me il Laudate, è un blasphemate che mi viene allo spirito" (8).

Lutero, insomma, si immaginava già nell'inferno: "Io soffrivo le torture dell'inferno, ne ero divorato. Mi assaliva perfino la tentazione di bestemmiare contro Dio, quel Dio rozzo, iniquo. Io avrei mille volte preferito che non ci fosse Dio!" (9).

2. L'apostasia di Lutero. La dottrina della giustificazione


Lutero non faceva nulla per lottare contro i suoi difetti. I suoi confratelli agostiniani lo descrivevano come "nervoso, di umore molto sgradevole, arrogante, ribelle, sempre pronto a discutere e ad insultare". Egli stesso dirà di sé: "Io mi lasciavo prendere dalla collera e dall'invidia" (10).

Eccitato da cattive letture, orgoglioso al punto di non accettare nessuna autorità, Lutero cominciò a contestare diversi punti della dottrina cattolica fino a rigettarli quasi completamente.

Lutero difendeva le sue rivoluzionarie idee in modo arrogante, ritenendosi "l'uomo della Provvidenza, chiamato per illuminare la Chiesa con un grande bagliore". "Chi non crede con la mia fede è destinato all'inferno — proclamava —  La mia dottrina e la dottrina di Dio sono la stessa cosa. Il mio giudizio è il giudizio di Dio" (11).

In un'altra lettera ecco cosa dice di se stesso: "Non vi sembra un uomo stravagante questo Lutero? Quanto a me, penso che egli sia Dio" (12). Sulle sue dottrine egli asseriva ancora: "Sono certo che i miei dogmi vengono dal cielo. Io vincerò, il Papato crollerà nonostante le porte dell'inferno!" (13).

Fu in queste lamentevoli condizioni spirituali che, verso la fine del 1518, successe ciò che Lutero stesso ha chiamato «das Turmerlebnis», l'avvenimento della Torre, vero punto di partenza del protestantesimo. In cosa è consistito questo «Turmerlebnis»? Lutero stava, molto prosaicamente, seduto al WC nella torre che serviva di bagno del monastero, quando improvvisamente ebbe un'"illuminazione" che lo fece "pensare in un'altro modo":

"Le parole giustizia e giustizia di Dio — scrive Lutero  — si ripercuotevano nel fondo della mia coscienza come un fulmine che distrugge tutto. Io ero paralizzato e pensavo: Si Dio è giusto, egli punisce. E, siccome continuavo a pensare a ciò, sono improvvisamente venute al mio spirito le parole di Habacuc: Il giusto vive della fede. E ancora: La giustificazione di Dio si manifesta senza l'azione della legge. A partire da questo punto, io ho cominciato a pensare in altro modo" (14).

Questo "altro modo" era la dottrina della giustificazione per la sola fede, indipendente dalle opere, la pietra angolare del protestantesimo.

Secondo Lutero, i meriti sovrabbondanti di Nostro Signore Gesù Cristo assicurano agli uomini la salvezza eterna. All'uomo, quindi, basta credere per salvarsi: "Il Vangelo non ci dice cosa dobbiamo fare, esso non esige niente da noi. (...) [Il Vangelo dice semplicemente] credi e sarai salvato"(15)

Di conseguenza, su questa terra possiamo anche condurre una vita di peccato senza rimorsi di coscienza né timore della giustizia di Dio, poiché basta avere fede che siamo già salvati: "Anche se ho fatto del male, non importa. Cristo ha sofferto per me. A questo si riduce il cristianesimo. Dobbiamo sentire che non abbiamo peccato, anche quando abbiamo peccato. I nostri peccati aderiscono a Cristo, che è il salvatore del peccato"(16).

Lutero anzi sosteneva che, per rafforzare la nostra fede, dobbiamo peccare sempre di più. Così rimarrà chiaro che è Cristo che ci salva e non noi. Quest'idea Lutero la sintetizzava nella sua nota formula: esto peccator et pecca fortiter. In una lettera all'intimo amico Melantone del 1° agosto 1521, Lutero afferma: "Sii peccatore e pecca fortemente ma con ancora più fermezza credi e rallegrati in Cristo. (...) Durante la vita presente dobbiamo peccare" (17).

Scrivendo a un'altro seguace, Lutero diceva ugualmente: "Devi bere con più abbondanza, giocare, divertirti e anche fare qualche peccato. (...) In caso il diavolo ti dica: Non bere! Tu devi rispondere: in nome di Gesù Cristo, berrò di più! (...) Tutto il decalogo deve svanirsi dagli occhi e dall'anima" (18).

A un'altro amico, egli scrisse ancora: "Dio ti obbliga solo a credere. In tutte le altre cose ti lascia libero e signore di fare quello che vuoi, senza pericolo alcuno di coscienza. Egli non se ne cura, quando anche lasciassi tua moglie, abbandonassi il tuo padrone e non fossi fedele ad alcun vincolo" (19).

Ovviamente, le conseguenze dell'applicazione di queste dottrine non potevano essere altro che il dilagare del peccato e del vizio. Lutero stesso lo ammette. Per quanto riguardava i suoi seguaci protestanti, egli scriveva: "Sono sette volte peggiori di una volta. Dopo la predicazione della nostra dottrina, gli uomini si sono dati al furto, alla menzogna, all'impostura, alla crapula, all'ubriachezza e a ogni genere di vizi. Abbiamo espulso il demonio — il papato — e ne sono venuti sette peggiori" (20).

3. Un uomo pieno di vizi


Il primo a piombare nel vizio è stato proprio lui. Il 13 giugno 1521, scrisse a Melantone: "Io mi trovo qui insensato e indurito, sprofondato nell'ozio, pregando poco e senza più gemere per la Chiesa di Dio, perché nelle mie carni indomite ardo di grandi fiamme. Insomma, io che dovrei avere il fervore dello spirito, ho il fervore della carne, della libidine, della pigrizia, dell'ozio e della sonnolenza" (21).

In un'altro scritto, Lutero è altrettanto chiaro: "Sono un uomo esposto e coinvolto nella vita di società, nella crapula, nelle passioni carnali, nella negligenza ed in altre molestie" (22).

Lutero rapì dal convento una monaca cistercense, Caterina Bora, e la prese per amante. Nel 1525, "per chiudere le cattive lingue", secondo quanto dichiarava, l'ha sposata, nonostante tutte e due avessero fatto voto di castità. Lutero aveva una chiara nozione della riprovevole azione che aveva compiuto. Egli scrisse al riguardo: "Con il mio matrimonio sono diventato così spregevole che gli angeli rideranno di me e i demoni piangeranno" (23).

Ma Caterina non fu l'unica donna nella sua vita. Egli aveva la brutta abitudine di avere rapporti carnali con monache apostate, che egli stesso adescava dai conventi. Su di lui scrive il suo seguace Melantone: "Lutero è un uomo estremamente perverso. Le suore che egli ha tirato fuori dal convento lo hanno sedotto con grande astuzia ed hanno finito col prenderlo. Egli ha con loro frequenti rapporti carnali" (24).

Lutero non faceva segreto della sua immoralità. In una lettera all'amico Spalatino leggiamo infatti: "Io sono palesemente un'uomo depravato. Ho tanto a che fare con le donne, che da un po' di tempo sono diventato un donnaiolo. (...) Ho avuto tre mogli allo stesso tempo, e le ho amate così ardentemente che ne ho perse due, andate a vivere con altri uomini" (25).

Lutero aveva anche il vizio dell'ubriachezza e della gola. "Nel bere birra — affermava — non c'è nessuno che si possa paragonare a me". E in una lettera a Caterina, diceva: "Sto mangiando come un boemio e bevendo come un tedesco. Lodato sia Dio!" (26). Verso la fine della vita, l'ubriachezza lo dominava totalmente: "Spendo le mie giornate nell'ozio e nell'ubriachezza" (27).

4. Bestemmiatore


Ma forse in nessun altro campo si è manifestato tanto il cattivo spirito di Lutero quanto nella sua tendenza a bestemmiare, specie contro la Chiesa ed il Papato. Seguono alcuni esempi, tutti tratti dalle sue lettere e sermoni:

"Certamente Dio è grande e potente, buono e misericordioso, ma è anche stupido. È un tiranno" (28).
"Cristo ha commesso l'adulterio una prima volta con la donna della fontana di cui ci parla Giovanni. Non si mormorava intorno a lui: Che ha fatto dunque con essa? Poi ha avuto rapporti sessuali con Maria Maddalena, quindi con la donna adultera. Così Cristo, tanto pio, ha dovuto anche lui fornicare prima di morire" (29).

Lutero fa di Dio il vero responsabile del tradimento di Giuda e della rivolta di Adamo. "Lutero — commenta lo storico protestante Funck Brentano — arriva a dichiarare che Giuda, tradendo Cristo, agì per imperiosa decisione dell'Onnipotente. La sua volontà [di Giuda] era diretta da Dio; Dio lo muoveva con la sua onnipotenza. Lo stesso Adamo, nel paradiso terrestre fu costretto ad agire come agì. Egli fu messo da Dio in una situazione tale che gli era impossibile non cadere" (30).

"Tutte le case chiuse, tutti gli omicidi, le morti, i furti e gli adulteri sono meno riprovevoli che l'abominazione della Messa papista" (31).

Non meraviglia che, mosso da tali idee, Lutero scrivesse a Melantone a proposito delle sanguinose persecuzioni di Enrico VIII contro i cattolici inglesi: "È permesso abbandonarsi alla collera, quando si sa che specie di traditori, ladri e assassini sono i papi, i loro cardinali, i loro legati. Piacesse a Dio che vari re di Inghilterra si impegnassero a farli scomparire" (32).

"Perché non acchiappiamo papa, cardinali e tutta la cricca della Sodoma romana e ci laviamo le mani con il loro sangue?" (33).

"La corte di Roma è governata per un vero Anticristo, di cui ci parla S. Paolo. (...) Credo di poter dimostrare che, nei giorni nostri, il Papa è peggio dei turchi" (34).

"Così come Mosè ha distrutto il vitello d'oro, così dobbiamo fare noi con il papato, fino a ridurlo in ceneri. (...) Vorrei abolire tutti i conventi, vorrei farli sparire, raderli al suolo (...) affinché di essi non rimanga sulla terra neanche la memoria" (35).

Nella risposta alla bolla di scomunica, Lutero scrisse con arroganza: "Io e tutti i servi di Gesù Cristo riteniamo ormai il trono pontificio occupato da Satana, come la sede dell'Anticristo, noi ci rifiutiamo di ubbidire" (36).

Lutero è morto in mezzo a orribili bestemmie contro il Papato, contro la Chiesa e contro i santi. Sentendo arrivare la fine, ha dettato una "preghiera" che finiva così: "Muoio odiando il Papa. (...) Vivo, io ero la tua peste, morto sarò la tua morte, o Papa!"
di Julio Loredo
per: http://www.atfp.it/2004/94-dicembre-2004/459-lutero-la-realta-dei-fatti.html
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Note
1. Dietrich Emme, Martin Luther, Seine Jugend und Studienzeit 1483-1505. Eine dokumentarische Darstellung, (Bonn, 1983).
2. In Dietrich Emme, Warum ging Luther ins Kloster? In Theologishes, 1984, pp. 6188-6192.
3. Id. Ibid. Emme cita il documento originale: Wa W, 29, 50, 18.
4. W.M.L. de Wette, Luther, M., Briefe, Sendshreiben und Bedenken vollstandig Gesammelt, Berlino, 1825-1828,  I, p. 41.
5. Id., ibid., I, 323.
6. Franz Funck Brentanno, Luther, Parigi, Grasset, 1934, pp. 29-39.
7. Martin Luther,  Werke, ed. Weimar, 1883, I, 487. Tischrede del 5 maggio 1532.
8. Brentanno, op. cit., p. 53.
9. Id., ibid., p. 32.
10. Id., ibid.
11. D. Martin Luther, Werke, ed. di Weimar, 1883, X, 2, Abt. 107.
12. Martin Luther, Werke, ed. di Wittemberg, 1551, t. IV, p. 378.
13. D. Martin Luther, Werke, Weimar, X, 2, Abt. 184.
14. Brentanno, op. cit., pp. 65-73.
15. D. Martin Luther, Werke, Weimar, XXV, 329.
16. Id. Ibid., XXV, 331.
17. De Wette, op. cit., II, p. 37.
18. De Wette, op. cit., ibid.
19. Werke, ed. Weimar, XII, p. 131.
20. Werke, ed Weimar, XXVIII, p. 763.
21. De Wette, op. cit., II, p. 22.
22. De Wette, op. cit., I, 232.
23. De Wette, op. cit., III, 2,3.
24. De Wette, op. cit., III, 3.
25. De Wette, op. cit., III, 9.
26. In Carl August Burkardt, Dr. Martin Luther, Briefwechsel, Leipzig, 1886, p. 357.
27. De Wette,op. cit., II, 6.
28. Martin Luther,  Tischreden, No. 953, Werke, ed. Weimar, I, 487.
29. Martin Luther, Tischreden, No. 1472, Werke, ed Weimar, XI, 107.
30. Brentanno, op. cit., p. 246.
31. Martin Luther, Werke, ed. Weimar,  XV, 773-774.
32. Brentanno, op. cit., p. 354.
33. Id., ibid., p. 104.
34. Id., ibid., p. 63.
35. Martin Luther, Werke, ed. Weimar, VIII, 624.
36. Citato Brentanno, op. cit., p. 100