mercoledì 26 ottobre 2016

AUTOBIOGRAFIA

AUTOBIOGRAFIA
 - PAGINE:
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 4142 43

Quale titolo dare a questa storia vera? Quello di un fiore. Di quale fiore? Al tempo in cui io sono nata il biancospino spruzza di neve viva le siepi fino allora brulle, ed i suoi fioretti, candidi come piuma perduta da colomba in volo, carezzano le spine rosso-bru­ne dei suoi rami. In certi paesi di Italia chiamano il biancospino selvatico «Spina Christi» e dicono che la corona spinosa del Re­dentore era fatta di questi suoi rami che, se torturanti per la car­ne del Salvatore, sono protettori dei nidi che nuovamente s'em­piono di pispigli e d'amore. Ai piedi del biancospino, fiore quaresimale nella veste e cri­stiano nell'umiltà, odora mite la violetta... Un odore più che un fiore... un lieve e pur penetrante odore, un umile e pur tenace fiore che di tutto si accontenta per vivere e fiorire. Vorrei chiamare questa vita col nome di uno di questi due fio­ri e specie della violetta, che vive nell'ombra ma che sa che su lei splende il sole per darle vita e calore. Lo sa, anche se non lo ve­de; e odora, esalando tutta sé stessa in incenso d'amore, per dir­gli «grazie». Io pure, anche se paio dimenticata dall'eterno Sole, so - e l'anima non dice il suo segreto regale - che Egli, il mio Sole, è su me, e con tutta me stessa esalo il mio cuore a Lui per dirgli: «Grazie di avermi amata!».

PARTE PRIMA
Non con la mia parola ma con quella di Gesù inizio la narra­zione della mia vita. Questo per obbedire ad un desiderio espres­somi da Lei, (è il Padre Rumualdo M. Migliorini - 1884/1953 -, dell’Ordine dei Servi di Maria, direttore spirituale dell’inferma Valtorta dal 1942 al 1946)    desiderio che non discuto anche se, a mio modo di vedere, non trovo molto utile e soprattutto molto piacevole, né per me né per Lei, questa narrazione. Lei è un maestro di spirito, dunque se trova giusto che io le faccia conoscere la mia vita è se­gno che è giusto. Avanti dunque con sincerità, con umiltà e con pazienza... Dipanando il filo della mia vita, e dipanandolo a ritroso, mi sarà un conforto e un dolore perché lungo il filo, come perle su un rosario, troverò gioie, dolori, colpe, perdoni, speranze, e le pietre nere del dolore saranno molto numerose rispetto a quelle d'oro della gioia, così come le pietre grigie delle mancanze sa­ranno molto più numerose di quelle candide del bene. Pazienza, ripeto. Così, facendo l'inventario della mia esistenza, distrug­gerò completamente quel resto di orgoglio umano che è così du­ro a morire nei cuori - peggio di una gramigna è - e sempre tenta rimettere radici e steli. Creda però che l'inventario sarà sincero, spietato verso me stessa come lo è il coltello di un chirurgo sulle carni malate e... mi fido della sua bontà che non mi caccerà dal suo cospetto ma mi ripeterà le parole del Perdonatore divino notando che io pure ho molto amato, senza mai misurare quanto di sacrificio poteva impormi il mio amare e perciò, per la mia generosità che tutto calpestava per amore, anche sé stessa e il suo umano bene, Dio molto mi perdonerà.

«Nella colpa sono nato e nel peccato mi ha concepito mia madre», dice il salmo. E’ questa la sorte di tutti i nati di donna, e la colpa, per quanto lavata dal battesimo, resta larvata in noi su­scitando ritorni di male finché la vita è in noi. Come certi mali orrendi, vinti da fortunate cure, ma non mai cancellati del tutto e sempre pronti a rigerminare se non si tengono continuamente in freno con mille attenzioni. Io sono nata il 14 marzo 1897 a Caserta. Nascita molto con­trastata fin dal suo inizio, e già mio padre si era rassegnato a piangere sul mio cadaverino condannato prima di vedere la lu­ce. Povero papà mio! Non gli ho dato mai dispiaceri voluti e questo è il mio conforto, il conforto che mi fa alzare gli occhi in alto, cercando il mio caro papà nella pace di Dio. Ma gli sono costata lacrime nel mio apparire e nel suo disparire. Allora do­vevo esser morta ed egli piangeva. Mentre, quando era egli pros­simo a morire, io ero già tanto malata da angustiarlo fino ad ac­celerare la sua morte! Dovevo esser morta nel nascere a detta dei medici. Invece, per quanto non curata, come essere già estinto, ripresi da me le­na e respiro e gettai il mio primo lamento. Non ebbi cure di mamma. No. La vita in comune fra me e mia madre finì dal momento in cui io nacqui. Non si perpetuò per altri mesi attraverso il dolce legame del cibo che è latte, che è sangue, che è vita trasfusa da madre a figlio. Una mercenaria fu mia nutrice. Dicono alcuni fisiologi che la creatura lattante, così come as­sorbe le malattie attraverso il latte della nutrice, così può pren­dere le tendenze morali. É una opinione che molti ammettono, altri negano, come viene negata e ammessa alternativamente l'opinione che la terra dove nasciamo imprima in noi un caratte­re indelebile. Io non mi addentro in questo pro e contro. Dico solo che, per mio conto, trovo che non indifferentemente io nacqui da genitori lombardi, in Terra di Lavoro, nella Campania assolata, festante, opima e ricca di virtù e di difetti come poche altre terre, e ancor meno indifferentemente succhiai, sebbene per pochi mesi, il lat­te di una donna di laggiù, e una donna, per giunta, che era il ve­ro emblema di quelle terre per tutto quanto si riferisce a passio­nalità selvaggia e sfrenata. Piccina, un pulcino dagli occhietti appena aperti, dovevo poppare, digerire, dormire al suono, al ritmo e allo sconquassio delle più indiavolate tarantelle con accompagnamento di nac­chere o di tamburello... e mia madre, nonostante la sua autori­tarietà, doveva tacere e lasciar fare perché Teresa, la nutrice, di­ceva che se non cantava, suonava e ballava si immelanconiva e il latte ne soffriva. Credo che Teresa sia stata l'unica persona che abbia saputo imporsi a mia madre! E poco male sarebbe stato se tutto si fosse limitato a danze e suoni. Ormai io, povero pulcino, m'ero abituata a quella fiera perpetua. Ma c'erano le passeggiate... sempre per il latte, è na­turale! E non erano passeggiate platoniche, purtroppo. Subito dopo il battesimo, avvenuto con grande pompa non so di preciso quanti giorni dopo la nascita, ma non certo troppo sollecitamente perché si attendeva che mia mamma stesse me­glio, Teresa aveva intrapreso le sue passeggiate con la «piccerel­la», per la salute della «piccerella». Povera piccerella! Se avesse potuto parlare ne avrebbe dette di curiose! Teresa scendeva per via Giovan Battista Vico, in gran pompa, con me sulle braccia, passava davanti al Palazzo Reale, filava per lo stradone di S. Nicola e giù, verso la campagna. In cerca di aria e di sole? No, di cose ben più illecite. Sicura che mamma non l'avrebbe sorpresa perché non si curava di tanto, sicura che papa non l'avrebbe scovata perché occupato nel Reggimento, Teresa si abbandonava al suo istinto di Eva campagnola. E qui, se fossi nata nel medioevo, potrebbe intessersi la leg­genda. Io venivo deposta fra i solchi del grano frusciante, sulla terra già tutta una vampa, sotto al sole torrido di Terra di Lavo­ro, e restavo là una, due ore, con unici compagni i ramarri, le api, le farfalle e gli uccelli che, insieme al grano frusciante, mi cantavano la ninna nanna. Potevano venire vipere, cani randagi, altre bestie nuocermì, poteva il sole dardeggiante uccidermi, co­sì tenerella come ero. Ma non accadde mai nulla. L'angelo di Dio che m'aveva in custodia mi faceva velo al troppo sole con le sue ali paradisiache e fugava col suo aspetto tutte le cose nocive. Restava solo una gran fame, perché il latte, con quella vita e le sue conseguenze, se ne era andato e io venivo ingozzata come un pollo con granturco bollito, con frutta schiacciate e simili deli­catezze che farebbero inorridire un pediatra. Tornavo a casa strillando lo stesso, ma insomma... di fame non morivo. Così per quattro mesi, dall'aprile alla fine di luglio; poi, fi­nalmente, mia mamma venne messa sull'avviso da un buon uo­mo di vetturino che aveva sentito i miei gridi disperati e m'ave­va scovata in mezzo a un campo di pomidori. Furie materne, fu­rie della nutrice e furie del medico che trovò la donna prossima ad esser madre di un nato illecito. E io affamata, urlante, venni affidata a due caprette, molto più materne con me di Teresa. Delle volte penso che le poche stille di latte succhiate da quella donna lussuriosa abbiano lasciato il loro segno di passio­nalità in me. E meno male che sono state poche stille!!! Certo che io, nata dal più placido degli uomini e dalla più frigida delle donne, ho una psiche ben diversa e, se la bontà di Dio e l'educa­zione religiosa avuta in ottimo collegio non avessero provveduto a modificare la mia natura, io avrei potuto essere una disgrazia­ta senza freno. Ma è anche certo che questa passionalità, depo­sta in me da coincidenze fortuite quali sono la terra dove nacqui e la donna che mi allattò così malamente, o venuta a me da ori­gini lontane per discendenza da qualche mio avo dotato del mio stesso carattere, furono e sono cagione di non poche lotte e non poche sofferenze per me. Le due nature, dirò così, che erano in me: quella ereditata dai genitori - natura compassata, placida, metodica, tutta lombar­da - urtava contro quella succhiata dal sole, dall'aria, dal latte meridionale. L'una freddina e chiusa, l'altra ardente e espansi­va, sempre in lotta fra loro perché la prima imperava sulla men­te ed era prepotente, sempre più prepotente perché spalleggiata e di continuo aumentata dall'educazione familiare, e l'altra ur­geva nel cuore ed era una vera fame, una vera sete, una vera no­stalgia di affetti, di amore, un bisogno di amare e di essere ama­ta con passione, con fedeltà, con dedizione. Potrei dire di me che ero come un vulcano dalle pendici coperte di neve perpetua che ne cela i fianchi ribollenti di fuoco sotto una spennellatura di ghiaccio. A volte, a intervalli, il fuoco del cuore, troppo com­presso, esplodeva in improvvise, incontenibili eruzioni che scon­volgevano, arrossavano, liquefacevano la gelida neve esterna. Ma poi la mano ferrea dell'educazione familiare e una naturale ritrosia, una timidezza innata, un vergognarmi della mia ten­denza mi ricopriva di compassatezza fino a farmi apparire fred­da, indifferente, calma. Calma!... Ma torniamo all'infanzia. Si dice che i caratteri si delineino fin dai primi giorni di vita. Ebbene: io mostrai subito un lato, potrei dire il più essenziale, del mio carattere. Quello della fedeltà a quanto amo. Teresa mi aveva dato ben poco! Avare e venefiche stille di un latte che non era più latte, pericolosi abbandoni su zolle campe­stri; m'aveva turbato organi, psiche, sonni, digestioni con la sua eccitata frenesia di impudica sempre agitata dalla sua sete di il­leciti amori, dalla tema d'esser sorpresa dal marito o dai padro­ni; eppure io, con il mio cuoricino appena nato, le volevo bene, un bene rudimentale come è quello del cucciolo verso la femmi­na da cui trae alimento e calore, ma un bene sempre. E fui fede­le a quel mio primo amore. Cacciata Teresa, io rifiutai ogni altro seno di donna e rasentai la morte per inedia perché respingevo con un'ira disperata ogni mammella che mi venisse offerta... Preferii arrendermi al belare affannoso delle due caprette... Sentivo forse di già che nella mia triste vita avrei avuto conforti da Dio solo e, dopo Dio, dagli animali e dalle cose create da Dio eterno? Chissà! Certo si è che, se fra me ed i miei simili ben po­chi e buoni furono i contatti ed ebbi dal prossimo molto a soffri­re e poco a trarre conforto, dalle umili creature minori, dai fiori, dall'erbe, dal sole, dagli astri, dal mare testimonianza di Dio, dalla natura suo poema io ho tratto sempre forza e pace. Rimasi a Caserta fino al mio diciottesimo mese; poi mio padre venne trasferito, col Reggimento al quale apparteneva, a Faenza. Dal sole del meridione al ghiaccio delle Romagne! Io che avevo, posso dire, tratto vita nei miei primi quattro mesi di vita dal sole che mi fasciava di splendori e mi teneva in vita, dal sole che era per me nutrice... Perdetti in uno quel sole e le mie due caprette, e dicono che la mia accorata ricerca di queste due cose fosse veramente commovente. Detti qui la seconda prova di fedeltà negli affetti. Non presi mai più latte. Il mio stomachino non volle più digerire latte che non fosse di capra e, dato che di capre a Faenza non ve n'era traccia, non più latte. Punizioni, lusinghe, tutto era inutile perché non era capriccio il mio. Era una necessità fisica che mi im­pediva di digerire il pesante latte di mucca. Intristii per il freddo... Ne ho sempre sofferto fino ad essere ostacolata nel mio crescere. Intristii per la perdita del mio ali­mento prediletto. E intristii per una troppo rigida educazione che già si accaniva su me in così tenera età. Mia nonna - la mamma di mia mamma, il mio angelo - ci aveva lasciati per tornare presso il marito accasciato per la per­dita di un figlio diletto, ucciso in quarantott'ore da una menin­gite. Ed io ero rimasta con papà e mamma. Mio papà era il mio protettore, il mio innamorato, quello che mi capiva e mi rendeva felice. Ma mio papà fra le tattiche, le eser­citazioni, i doveri di caserma, era via quasi tutto il giorno. Lo ve­devo per brevi momenti a mezzodì, perché al mattino, quando lui andava in quartiere, io dormivo ancora; a sera, quando finalmen­te tornava a casa e l'avrei potuto godere, io dovevo essere a letto. Solo alla domenica papà era mio per tutto il pomeriggio... e le domeniche erano perciò per me sempre solari anche se l'acqua o la neve facevano di Faenza un paese nordico. Mia mamma invece era sempre in casa... Già sofferente di fe­gato, era come la grande maggioranza dei malati di fegato... In­segnante, prima delle nozze, era rimasta l'insegnante con tutto quanto questa professione ha di disciplina, di autoritarietà, di pedanteria. Donna perfetta per tutto quanto era dovere di mo­glie e di donna di casa, e anche di donna di società, non addolci­va la sua perfezione nel dovere con quella dolcezza nell'amore che rende così piacevole il convivere. Era ed è: il dovere. Credo che tutti quanti hanno avuto da lei del bene, perché del bene ne ha certo fatto - suo marito, io, sua madre, il fratello rimastole, i cognati, i dipendenti, gli amici - avrebbero preferi­to ricevere da lei molto meno di tutto quanto essa ha dato loro per dovere, ma di averlo ricevuto con l'addizionale di un poco di amorosa indulgenza. Invece l'indulgenza e lei sono due termini inconciliabili, due nemici perpetui. Credo che ella creda di diminuirsi amando ed essendo indulgente, voglio dire amando aper­tamente senza tormentarsi e tormentare col mettere degli odiosi e respingenti bavagli alla sua carità di figlia, di madre, di sposa, di parente, di amica, di padrona. A un tal carattere aggiunga Lei l'irascibilità del male epatico, allora molto serio, e calcoli l'entità esatta di quel che fosse il sistema di mia madre con tutti. Ho conosciuto insegnanti che erano indulgenti, come ho co­nosciuto malati gravi di fegato che erano dolci... ma sono le ec­cezioni. La regola è ben diversa, e mamma era nella regola. A mala pena sapevo distinguere gli oggetti, a malapena trotterel­lavo sulle mie gambette infantili e a fatica spiccicavo le prime parole, ma tutto era già regolato con una disciplina rispetto alla quale quella del mio collegio mi… un carnevale. Eppure era un collegio severo. Dovevo distinguere il bene dal male... e non avevo neppure due anni! Mi pareva d'essere sempre in procinto di precipitare in un abisso e tremavo, tremavo, tremavo. Guai a sbagliare! Ma anche se non si sbagliava, il «guai» c'era sempre. Lasciavo cadere un giocattolo? Guai! Spostavo una seggiola facendo ru­more? Guai! Gettavo uno strilletto per giuoco? Guai! Volevo scendere in giardino per sgranchirmi? Guai! Volevo andare in braccio a papà, all'attendente che mi voleva così bene, alla donna di servizio che era un angelo, tanto angelo che Dio la volle nel suo paradiso? Guai! Chiedevo a mamma un bacio? Guai! Avrei preferito andarle in grembo come tutti i bimbi con la mamma e non starle davanti come scolara in castigo, ripetendo a fatica pa­role francesi che dovevo imparare a masticare insieme alle ita­liane? Guai! Supplicavo che non mi venisse dato il latte che mi faceva star male? Guai! Sempre guai! Per il latte ci pensò il dot­tore e lo proibì. Che Dio gli dia pace per questa sua pietosa inter­cessione! Ma per tutto il resto, il «guai» restava. Per fortuna c'era papà. Egli, appena poteva, mi portava con sé, in caserma a vedere i bei cavalloni che mi piacevano tanto, per le strade di campagna, e apriva la mia mente al bello e alla lode di Dio che, mi diceva, aveva fatto tutto per gioia nostra. Oppure mi faceva giocare in giardino. Ero innamorata di papà mio. Gli dicevo tutto, gli chiedevo tutto e lui tutto ascoltava, e lui a tutti i miei «perché» risponde­va esaurientemente e pazientemente; e non era cosa da poco perché ero, fin da piccina, una fine osservatrice e una pensierosa meditatrice, e non mi mettevo quieta finché non sentivo che mi si era risposto con verità ed esattezza. Ho imparato tanto da mio papà che poi lo studio non mi fu mai fatica. Tutto: storia, geo­grafia, botanica, zoologia, leggi che regolano il moto degli astri  delle acque, arte che abbella le nostre città, le nostre chiese, le nostre gallerie, tutto entrò in me senza fatica, come una bella fola, attraverso le parole di mio padre. Egli non mi trattò mai da bimba rispetto all'intelligenza, ma fu però un maestro di una bontà suprema. Io mi sentivo sicura con lui, mi fidavo di lui, delle sue parole, del suo affetto, della sua comprensione. Ho cominciato a capire ben da piccina cosa vuole dire «Dio è Padre» solo guardando a mio padre. La misura della bontà, del sapere, dell'amore di Dio-Padre, io l'ho avuta paragonando il padre mio terreno al Padre mio celeste. E ho amato Dio perché ho capito cosa vuol dire essere il Padre.,Mio papà non mi trattò mai da bimba rispetto all'intelligen­za, e questo dava noia a mia mamma che aveva un altro concet­to educativo. Ma viceversa, anche fatta io donna, e donna adul­ta, mi trattò sempre come una bimba rispetto alla purezza. Che rispetto di me! Che cure perché nulla potesse offuscare l'anima della sua Maria!!! Povero papà mio! Mio primo profondo amore! Avevo per lui un attaccamento superiore alla mia età così piccina. Gli dicevo sempre: «Io starò sempre con te!», e lui di ri­mando: «Ma tu ti sposerai e allora andrai con il tuo sposo» (fin da piccina per me le spose erano qualcosa di regale, di cele­ste!...). Ma io rispondevo: «No, io sposerò te e starò con te solo», e lui, alludendo alla sua precoce calvizie che già diradava i suoi bei capelli morati e ricciuti, mi diceva ridendo: «Ma io, quando tu sarai grande, da manto, sarò pelato e tu non mi vorrai più». Io rispondevo con una piroetta, un salto, un abbraccio più stret­to: «Per regalo di sposa ti regalerò una parrucca (una "paucca", dicevo) e la pelata non si vedrà più». Avevo meno di tre anni allora, ma ragionavo così e me lo ri­cordo perché ho una memoria nata molto presto. Ho ricordato anche di recente a mamma abiti suoi di quel tempo, avvenimenti di quei giorni che lei, per la loro pochezza, aveva dimenticati. Ricordo benissimo Faenza così come era nel settembre 1901, quando la lasciammo per venire a Milano. Ma prima di parlare di Milano devo dire che nel dicembre 1899 mio nonno materno morì di peritonite fulminante. Era il 17 dicembre 1899. Una giornata di neve degna della Russia. Qual­cosa come ottanta centimetri di neve per le vie. La cittadina silenziosa, morta sotto la bufera gelata. E noi a piedi verso la sta­zione. Io in braccio a papà, se no la neve m'avrebbe ingoiata; mia mamma in lacrime a braccio di sua zia, in lacrime essa pure. Un triste viaggio verso Mantova, sperando di trovare nonno vivo. Poi a Codogno l'improvviso cedere del cuore della prozia mia... Arrivammo con una moribonda nella casa dove già era un morto. Mia mamma fra i due dolori si ammalò di itterizia e fu in fine di vita. Io spaurita, spaesata fra bare e agonie, fra lacrime e funera­li; papà che provvedeva a tutto, sempre paziente e amoroso. Poi il ritorno a Faenza con nonna, l'angelo che tornava per stare con noi fino alla sua morte. E allora ebbi due amori e due conforti, finché nel settembre del 1901 lasciai la mia puerizia a Faenza e andai a Milano.

LA CHIESA NON E' UNA DEMOCRAZIA. E NESSUNO E' SCHIAVO DELL'ALTRO:... 37:00 ....

15 ANNI PRIMA DI ESSERE 
BENEDETTO XVI



Una compagnia sempre riformanda - 01-09-1990

AMDG et BVM

NOVENA PER IMPETRARE GRAZIE DA MARIA VALTORTA


 
NOVENA PER IMPETRARE GRAZIE DA MARIA VALTORTA 
E AVVICINARE IL RICONOSCIMENTO DELLA SUA SANTITÀ

La Novena può essere recitata in qualunque momento dell'anno, a seconda dei bisogni e lo slancio partecipativo alla causa di santificazione di Maria Valtorta; consta di una parte fissa, che conclude ciascun giorno, e di una tratta dai Quaderni e commentata.
Dopo la Novena segue la recita di:
il Credo, 3 Pater, 3 Ave, 3 Gloria 
meglio ancora per chi possa:
Il Credo, 7 Pater, 7 Ave, 7 Gloria
Il Rosario, naturalmente, come preghiera 'principe', può pure essere utilizzato
in sostituzione e come scelta d'elezione.

'Benedetti coloro che accetteranno il dono con semplicità di cuore e fede. In essi si accenderà quel fuoco che il Padre (Migliorini) oggi auspicava. Il mondo non muterà nella sua ferocia. E’ troppo corrotto. Ma essi ne saranno consolati e sentiranno crescere in loro la sete di Dio che è fomite di santità.' Quaderni 22.2.44


Primo giorno: 
Quaderni 28.05.1943
'Sono Maestro e Medico, ma sono anche Padre. E se non fossi l‘Uomo-Dio vorrei dire: sono Madre per voi tutti perché come una madre Io vi porto, vi nutro, vi curo, vi istruisco, piango su voi, di voi mi glorio. L‘amore di un padre è già diverso. L‘amore di una madre è l‘amore degli amori, dopo quello di Dio. È per questo che sulla croce vi ho dati alla Mamma mia. Non vi ho affidati al Padre, dal quale, morendo, vi riscattavo. Vi ho dati alla Mamma perché eravate informi o appena nati e vi era bisogno di un seno di Mamma per voi.'

Il Signore ci ha affidati al Cuore della Corredentrice e Consolazione eterna nostra e dei nostri fratelli: un Cuore di Mamma che più dolce, sapiente, potente, misericordioso e comprensivo, non avremmo potuto chiedere e nemmeno immaginare. Ella è la 'Secondogenita' di Dio, come ama definirla Gesù con le Parole affidate a Maria Valtorta, e la sua Grazia al cospetto dell'Eterno supera la pur più ispirata intelligenza umana; un Suo Sorriso fa sobbalzare i cieli di Gioia, e Suo Figlio nostro Signore, è ben felice di esaudirla per strapparne uno ancora e confermarLe la preferenza eterna. Abbiamo ben motivo allora di fidare pienamente e attendere fiduciosi la sensibile realizzazione delle nostre suppliche, rimettendo i nostri affanni nella Mani della Mamma Celeste.
Maria Valtorta, come accoglieste con santo e generoso slancio l'invito del Signore di seguirLo con cuore di pura ed umile Violetta, fino a farvi anima generosamente vittima, e nell'ubbidienza totale alla Divina Volontà foste resa degna di essere portavoce mondiale delle nuove 'Parole di Vita Eterna', così ora fatevi vicaria delle nostre suppliche rendendole efficaci per ottenere la Grazia che imploriamo. La Santa Madre Chiesa di Roma riconosca presto nel 'Piccolo Giovanni' una 'Voce' diretta del Signore per la salute spirituale e complessiva dei nostri fratelli:
'Sappi che Io adeguo le manifestazioni all’ambiente e allo scopo per i quali Io le ho suscitate. Tu hai avuto missione di essere voce mondiale. Devi cantare l’inno della Misericordia e dell’Amore, della Sapienza e della Perfezione, per tutte le orecchie e per tutti i cuori, per tutte le intelligenze e per tutte le anime.' Quaderni 18.12.194343


Secondo giorno:
Quaderni 1.10.1943.
'Tornate al Signore Iddio vostro. L‘ora è piena. Piena in tutti i modi. Quattro sono i calici colmi. Due divini e due infernali. In questi ultimi è strage per la terra e morte per lo spirito. Negli altri, divini, è Giustizia in uno e Misericordia nell‘altro. Sta a voi, che attirate col vostro agire i flutti straripanti dei calici infernali, far sì che l‘altro calice di punizione - quella divina - non si vuoti su voi, ma bensì scenda sul mondo che muore, sull‘uomo che muore, sullo spirito che muore, la Misericordia mia. Essa è Vita, figli cari. Non tardate oltre ad attirare la mia Pietà su voi. Venite al Salvatore vostro. Nel mio Cuore aperto, che parla d‘amore, trovate quello che avete dilapidato: l‘amore. Se amerete sarete salvi. Tutto è facile a chi ama e tutto è perdonato a chi ama. Sono il Cristo che ha assolto la peccatrice perché molto amò. Sono quello e non muto. Sono qui, proteso su voi, come un padre sul letto del figlio malato e un medico su un infermo per salvarvi ancora, per salvarvi sempre. Lasciatevi abbracciare dal vostro Iddio, lasciatevi curare dal vostro Medico, lasciatevi salvare dal vostro Salvatore. Non chiedo che questo: che vi lasciate salvare da Me venendo a Me con la vostra anima malata, ma piena di buona volontà. Le mie mani che hanno sanato i lebbrosi quando ancora non erano fatte due volte sante dal martirio, oltre che per la loro natura di mani di un Dio, versano dai fori gloriosi delle palme l‘acqua che monda e il balsamo che rende incorruttibili. Venite a Me. Ve ne esorto come Maestro. Ve ne prego come uno che vi ama perché vi amo e di un amore così grande che solo in Cielo potrete vederne l‘immensità senza restarne schiacciati.'

Lasciamo ogni esitazione, rimettiamoci con cuore fidente nella Mani SS del nostro Celeste Medico: non ci chiede che questo, di lasciarLo fare, operare e sanare, guarire nello spirito e nel corpo; questa è la Gioia infinita di Dio nel delirio d'amore per l'uomo, il capolavoro della Sua creazione. Chiediamo allora, andiamo, apriamo le porte del nostro cuore, con santa audacia bussiamo a quelle della Grazia, già socchiuse in attesa che un moto di fidente coraggio le spalanchi del tutto per il nostro Bene e i nostri bisogni nel Suo Nome. Coralmente ti imploriamo, o Signore: soccorrici presto! Amen


Il Signore ci ha affidati al Cuore della Corredentrice e Consolazione eterna nostra e dei nostri fratelli: un Cuore di Mamma che più dolce, sapiente, potente, misericordioso e comprensivo, non avremmo potuto chiedere e nemmeno immaginare. Ella è la 'Secondogenita' di Dio, come ama definirla Gesù con le Parole affidate a Maria Valtorta, e la sua Grazia al cospetto dell'Eterno supera la pur più ispirata intelligenza umana; un Suo Sorriso fa sobbalzare i cieli di Gioia, e Suo Figlio nostro Signore, è ben felice di esaudirla per strapparne uno ancora e confermarLe la preferenza eterna. Abbiamo ben motivo allora di fidare pienamente e attendere fiduciosi la sensibile realizzazione delle nostre suppliche, rimettendo i nostri affanni nella Mani della Mamma Celeste.

Maria Valtorta, come accoglieste con santo e generoso slancio l'invito del Signore di seguirLo con cuore di pura ed umile Violetta, fino a farvi anima generosamente vittima, e nell'ubbidienza totale alla Divina Volontà foste resa degna di essere portavoce mondiale delle nuove 'Parole di Vita Eterna', così ora fatevi vicaria delle nostre suppliche rendendole efficaci per ottenere la Grazia che imploriamo. La Santa Madre Chiesa di Roma riconosca presto nel 'Piccolo Giovanni' una 'Voce' diretta del Signore per la salute spirituale e complessiva dei nostri fratelli:
'Sappi che Io adeguo le manifestazioni all’ambiente e allo scopo per i quali Io le ho suscitate. Tu hai avuto missione di essere voce mondiale. Devi cantare l’inno della Misericordia e dell’Amore, della Sapienza e della Perfezione, per tutte le orecchie e per tutti i cuori, per tutte le intelligenze e per tutte le anime.' Quaderni 18.12. 1943


Terzo giorno: 
Quaderno 121-122 del 1950
'Tutto quanto viene da Dio è mezzo di elevazione, di trasformazione e di più intima unione con Dio. Gli stessi miracoli, di specie diversa, miracoli di guarigioni di corpi e di spiriti, specie queste, sono mezzo di trasformazione e unione con Dio. Quanti, increduli o peccatori, poterono esser fatti credenti e redenti per il prodigio di un miracolo! Il miracolo non va negato per ossequio al razionalismo. Non il miracolo della Creazione, non quello di una guarigione d‘anima o di carne. La materia fu tratta dal nulla e ordinata al suo singolo fine da Dio. Un‘anima morta o malata di malattia spirituale inguaribile, fu guarita da Dio, con questo o quel mezzo, ma sempre da Dio. Un corpo condannato a morire può da Dio esser guarito. Sempre da Dio, anche se Egli si serve di un‘apparizione o di un giusto per convertire e guarire uno spirito, o della particolare fiducia in un santo per guarire una carne. I razionalisti sappiano vedere. Grande cosa la ragione. Grande cosa essere creatura razionale. Ma più grande cosa è lo spirito. E più grande è essere creatura spirituale, ossia che sa d‘avere lo spirito, e quello mette in primo luogo come re del suo io e come cosa eletta più di tutte le altre. Perché se la ragione aiuta l‘uomo a esser uomo e non bruto, lo spirito, quando sia re nell‘io, fa dell‘uomo il figlio adottivo di Dio, gli dà somiglianza con Lui, gli permette di partecipare alla sua Divinità e ai suoi eterni beni. Predomini quindi lo spirito sulla ragione e sulla carne o umanità. E non regni il razionalismo che nega, o vuole spiegare ciò che va creduto per fede e che, nell‘essere spiegato, anzi nel tentativo di venire spiegato, viene leso; e lesa, se non morta, viene la fede.'

Dunque, lasciamo che prevalga lo spirito sulle altre facoltà, che pur vengono da Dio ma che da esso devono essere sottomesse, perché la potenza del corpo, della ragione e delle facoltà umane, siano utilizzate secondo il Pensiero Divino e portino frutto opimo di testimonianza del primato dello spirito unito a Dio Creatore, su tutto e tutti. Ed al SS Spirito di Dio chiediamo fidanti e supplichevoli la liberazione sollecita da ogni male della mente, del cuore e del corpo. Amen
Il Signore ci ha affidati al Cuore della Corredentrice e Consolazione eterna nostra e dei nostri fratelli: un Cuore di Mamma che più dolce, sapiente, potente, misericordioso e comprensivo, non avremmo potuto chiedere e nemmeno immaginare. Ella è la 'Secondogenita' di Dio, come ama definirla Gesù con le Parole affidate a Maria Valtorta, e la sua Grazia al cospetto dell'Eterno supera la pur più ispirata intelligenza umana; un Suo Sorriso fa sobbalzare i cieli di Gioia, e Suo Figlio nostro Signore, è ben felice di esaudirla per strapparne uno ancora e confermarLe la preferenza eterna. Abbiamo ben motivo allora di fidare pienamente e attendere fiduciosi la sensibile realizzazione delle nostre suppliche, rimettendo i nostri affanni nella Mani della Mamma Celeste.
Maria Valtorta, come accoglieste con santo e generoso slancio l'invito del Signore di seguirLo con cuore di pura ed umile Violetta, fino a farvi anima generosamente vittima, e nell'ubbidienza totale alla Divina Volontà foste resa degna di essere portavoce mondiale delle nuove 'Parole di Vita Eterna', così ora fatevi vicaria delle nostre suppliche rendendole efficaci per ottenere la Grazia che imploriamo. La Santa Madre Chiesa di Roma riconosca presto nel 'Piccolo Giovanni' una 'Voce' diretta del Signore per la salute spirituale e complessiva dei nostri fratelli:
'Sappi che Io adeguo le manifestazioni all’ambiente e allo scopo per i quali Io le ho suscitate. Tu hai avuto missione di essere voce mondiale. Devi cantare l’inno della Misericordia e dell’Amore, della Sapienza e della Perfezione, per tutte le orecchie e per tutti i cuori, per tutte le intelligenze e per tutte le anime.' Quaderni 18.12. 1943


Quarto giorno:
Quaderni 29.09.1943
'Sì, se vi vedessi umili nel riconoscere i vostri torti, rassegnati a subirne le conseguenze, filiali nel volgere a Me lo sguardo lacrimoso e la parola supplice, Io che sono il Dio della Misericordia e del Perdono, Io che sono venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto, e che non ho perduto né perderò per scorrere di secoli - atomi della mia eternità - la mia sete di portarvi salvezza e bene, interverrei a salvarvi ancora,
facendo straripare il mio Amore e la mia Misericordia sulla mia Giustizia che ferisce prima Me che voi, credetelo, poveri figli miei, perché il dovervi punire, il dover lasciare che da voi stessi vi puniate con sofferenze create dal vostro duro cuore e stolto intelletto, è ciò che costituisce il dolore del vostro Gesù, il cui nome è 'Salvatore' e non Giustiziere, di Gesù che pur di salvarvi ha operato, col Padre e lo Spirito, quel miracolo di indescrivibile, immisurabile amore, quel miracolo che ha fatto restare immoti di reverente stupore i Cieli, che ha fatto tremare d‘ira gli abissi infernali ed arrestare per un‘ora la corsa degli astri e le leggi dell‘universo, quel miracolo che è stato lo staccarsi della seconda Persona dalla divina Trinità per scendere: Luce eterna, Cuore di Dio, a divenire cuore di uomo nel seno di una Vergine e luce agli uomini che avevano spento in loro la luce.'
Il Dio della Misericordia e del Perdono, attende un nostro moto di fidente umiltà per riconoscere la nostra pochezza, la nostra limitatezza nei confronti della Perfezione divina, la nostra ingratitudine per il Bene che il Padre riversa sovrabbondante per i suoi figli amatissimi.
Uno sguardo lacrimoso, sinceramente pentito, una voce supplice che sgorga dal cuore e che nel Cuore Divino rimette tutto sé stesso, un abbandono filiale tra le Braccia aperte sempre del Padre buonissimo, là dove la Misericordia prevale prepotentemente sulla Giustizia, ci otterrebbe-anzi ci ottiene se lo crediamo fermamente- l'intervento ordinario o straordinario del Signore, che per sua Natura e Carattere, soffre nel vederci soffrire, attende di poter operare per liberarci e restituirci alla salute integrale, ché in Lui è la Salvezza e la Letizia infinite.

Il Signore ci ha affidati al Cuore della Corredentrice e Consolazione eterna nostra e dei nostri fratelli: un Cuore di Mamma che più dolce, sapiente, potente, misericordioso e comprensivo, non avremmo potuto chiedere e nemmeno immaginare. Ella è la 'Secondogenita' di Dio, come ama definirla Gesù con le Parole affidate a Maria Valtorta, e la sua Grazia al cospetto dell'Eterno supera la pur più ispirata intelligenza umana; un Suo Sorriso fa sobbalzare i cieli di Gioia, e Suo Figlio nostro Signore, è ben felice di esaudirla per strapparne uno ancora e confermarLe la preferenza eterna. Abbiamo ben motivo allora di fidare pienamente e attendere fiduciosi la sensibile realizzazione delle nostre suppliche, rimettendo i nostri affanni nella Mani della Mamma Celeste.
Maria Valtorta, come accoglieste con santo e generoso slancio l'invito del Signore di seguirLo con cuore di pura ed umile Violetta, fino a farvi anima generosamente vittima, e nell'ubbidienza totale alla Divina Volontà foste resa degna di essere portavoce mondiale delle nuove 'Parole di Vita Eterna', così ora fatevi vicaria delle nostre suppliche rendendole efficaci per ottenere la Grazia che imploriamo. La Santa Madre Chiesa di Roma riconosca presto nel 'Piccolo Giovanni' una 'Voce' diretta del Signore per la salute spirituale e complessiva dei nostri fratelli:
'Sappi che Io adeguo le manifestazioni all’ambiente e allo scopo per i quali Io le ho suscitate. Tu hai avuto missione di essere voce mondiale. Devi cantare l’inno della Misericordia e dell’Amore, della Sapienza e della Perfezione, per tutte le orecchie e per tutti i cuori, per tutte le intelligenze e per tutte le anime.' Quaderni 18.12. 1943


Quinto giorno:
Quaderni 16.07.1943
'Credere è segno di purezza oltre che di fede. Credere è intelligenza oltre che fede. Chi crede in purezza e in intelligenza distingue la mia Voce e la raccoglie.
Gli altri sofisticano, discutono, criticano, negano. E perché? Perché vivono della pesantezza e non dello spirito. Sono ancorati alle cose che hanno trovato e non pensano che sono cose venute da uomini, i quali non sempre hanno visto giusto, e se anche hanno visto giusto e scritto giusto hanno scritto per il loro tempo e sono stati male capiti dai futuri. Non pensano che Io posso avere altro da dire, atto ai bisogni dei tempi, e che sono Padrone di dirlo come e a chi mi piace, poiché Io sono il Dio e il Verbo eterno che mai non cessa d‘essere Parola del Padre.'

Intelligenza dello spirito, onestà del pensiero e purezza del cuore, rendono possibile di 'riconoscere' la Voce del Signore Dio che vuole esprimersi come Parola di superna Sapienza sempre operante. Come nelle rivelazioni ricevute dalla fedele Penna di Dio Maria Valtorta, il Signore è Pensiero e Amore incessantemente attivi per calarsi nei bisogni dei tempi, e specialmente di quelli difficili e profetizzati come tali e dolorosi, disorientanti nelle tribolazioni inusitate. Egli è Padrone della Parola, e la usa come vuole, ma sempre per confortarci, edificarci e consolarci alla Luce della Grazia e dello Spirito SS. A noi il minimo sforzo di mantenerci nelle suddette condizioni per saperLa ricevere fruttuosamente, dopo averLa riconosciuta e separata da quelle vacue che levano gli uomini, spesso vero cumulo di inutilità e farraginosità nefande. Chiediamo il dono della Fede, dell'Intelligenza e della Sapienza; chiediamolo persuadendo Dio con un sincero impegno e la disposizione ai necessari sacrifici di emulazione del Sublime Esempio del Cristo, e quello della rinuncia volontaria alle vanità del mondo e della nostra prepotente umanità. Amen
Il Signore ci ha affidati al Cuore della Corredentrice e Consolazione eterna nostra e dei nostri fratelli: un Cuore di Mamma che più dolce, sapiente, potente, misericordioso e comprensivo, non avremmo potuto chiedere e nemmeno immaginare. Ella è la 'Secondogenita' di Dio, come ama definirla Gesù con le Parole affidate a Maria Valtorta, e la sua Grazia al cospetto dell'Eterno supera la pur più ispirata intelligenza umana; un Suo Sorriso fa sobbalzare i cieli di Gioia, e Suo Figlio nostro Signore, è ben felice di esaudirla per strapparne uno ancora e confermarLe la preferenza eterna. Abbiamo ben motivo allora di fidare pienamente e attendere fiduciosi la sensibile realizzazione delle nostre suppliche, rimettendo i nostri affanni nella Mani della Mamma Celeste.
Maria Valtorta, come accoglieste con santo e generoso slancio l'invito del Signore di seguirLo con cuore di pura ed umile Violetta, fino a farvi anima generosamente vittima, e nell'ubbidienza totale alla Divina Volontà foste resa degna di essere portavoce mondiale delle nuove 'Parole di Vita Eterna', così ora fatevi vicaria delle nostre suppliche rendendole efficaci per ottenere la Grazia che imploriamo. La Santa Madre Chiesa di Roma riconosca presto nel 'Piccolo Giovanni' una 'Voce' diretta del Signore per la salute spirituale e complessiva dei nostri fratelli:
'Sappi che Io adeguo le manifestazioni all’ambiente e allo scopo per i quali Io le ho suscitate. Tu hai avuto missione di essere voce mondiale. Devi cantare l’inno della Misericordia e dell’Amore, della Sapienza e della Perfezione, per tutte le orecchie e per tutti i cuori, per tutte le intelligenze e per tutte le anime.' Quaderni 18.12. 1943


Sesto giorno:
Quaderni 03.09.1943
'Beate quelle labbra e quelle contrade in cui si pronuncia: 'Ave Maria'.
Ave: io ti saluto. Il più piccolo al più grande, il bimbo al genitore, l‘inferiore al superiore, sono tenuti, nella legge di educazione umana, a dire sovente il saluto rispettoso, doveroso, amoroso, a seconda dei casi. Il fratello mio non deve negare questo atto di amore riverenziale alla Mamma perfetta che abbiamo in Cielo.
Ave Maria. È un saluto che monda le labbra e il cuore perché non si possono dire quelle parole, con riflessione e sentimento, senza sentirsi divenire più buoni! È come avvicinarsi ad una sorgente di luce angelica e ad un‘oasi fatta di gigli in fiore.
Ave, la parola dell‘angelo che vi è concesso di dire per salutare Quella che salutano con amore le Tre eterne Persone, l‘invocazione che salva, abbiatela sempre molto sulle labbra. Ma non come movimento macchinale dal quale l‘anima sia esclusa, sibbene come moto dello spirito che si inchina davanti alla regalità di Maria e si tende verso il suo cuore di Madre.
Se voi sapeste dire con vero spirito queste parole, anche solo queste due parole, sareste più buoni, più puri, più caritatevoli. Perché gli occhi del vostro spirito sarebbero allora fissi in Maria e la santità di Lei vi entrerebbe nel cuore attraverso a quella contemplazione. Se le sapeste dire non sareste mai desolati. Perché Ella è la fonte delle grazie e della misericordia. Le porte della misericordia divina si aprono non soltanto sotto la spinta della mano di mia Madre, ma anche al suo semplice sguardo.
Torno a dire: beate quelle labbra e quelle contrade in cui si pronuncia: Ave Maria. Ma si pronuncia come si deve. Perché se è vero che Dio non si irride è anche vero che Maria non si inganna.
Ricordatevi sempre che Ella è la Figlia del Padre, la Madre del Figlio, la Sposa dello Spirito Santo, e che la sua fusione con la Trinità è perfetta. Perciò Ella del suo Signore possiede le potenze, le intelligenze, le sapienze. E le possiede con la pienezza assoluta.'

Ave Maria! Noi ti salutiamo riverenti e sinceramente amorevoli , O Stella del Mare, 'Tutta Amorosa, Pura e Casta', lo spirito teso alla Vostra ineffabile Grazia, il cuore cercando la fusione e l'immersione totale nel Vostro che è Purissimo e Potentissimo Altare di Compiacimento Divino.
Per un Vostro Sguardo, un Vostro Sorriso di accoglimento, coralmente e fidenti vi supplichiamo, nella certezza che a breve li concederete, resi saldi nella speranza anche dell'intercessione del 'Piccolo Giovanni', che vi può ora contemplare costantemente, senza veli ed eternamente, come per Grazia singolare, le fu concesso fin dal pellegrinaggio terreno.
Guardateci presto, Madre Nostra, e il Vostro Sorriso sarà la certezza della Grazia concessa e operante.
Ave Maria. Amen


Il Signore ci ha affidati al Cuore della Corredentrice e Consolazione eterna nostra e dei nostri fratelli: un Cuore di Mamma che più dolce, sapiente, potente, misericordioso e comprensivo, non avremmo potuto chiedere e nemmeno immaginare. Ella è la 'Secondogenita' di Dio, come ama definirla Gesù con le Parole affidate a Maria Valtorta, e la sua Grazia al cospetto dell'Eterno supera la pur più ispirata intelligenza umana; un Suo Sorriso fa sobbalzare i cieli di Gioia, e Suo Figlio nostro Signore, è ben felice di esaudirla per strapparne uno ancora e confermarLe la preferenza eterna. Abbiamo ben motivo allora di fidare pienamente e attendere fiduciosi la sensibile realizzazione delle nostre suppliche, rimettendo i nostri affanni nella Mani della Mamma Celeste.
Maria Valtorta, come accoglieste con santo e generoso slancio l'invito del Signore di seguirLo con cuore di pura ed umile Violetta, fino a farvi anima generosamente vittima, e nell'ubbidienza totale alla Divina Volontà foste resa degna di essere portavoce mondiale delle nuove 'Parole di Vita Eterna', così ora fatevi vicaria delle nostre suppliche rendendole efficaci per ottenere la Grazia che imploriamo. La Santa Madre Chiesa di Roma riconosca presto nel 'Piccolo Giovanni' una 'Voce' diretta del Signore per la salute spirituale e complessiva dei nostri fratelli:
'Sappi che Io adeguo le manifestazioni all’ambiente e allo scopo per i quali Io le ho suscitate. Tu hai avuto missione di essere voce mondiale. Devi cantare l’inno della Misericordia e dell’Amore, della Sapienza e della Perfezione, per tutte le orecchie e per tutti i cuori, per tutte le intelligenze e per tutte le anime.' Quaderni 18.12. 1943


Settimo giorno:
Quaderni 09.01.1946
'L‘amore sta alla perfezione che si vuole raggiungere come il soffio sulla brace: la riaccende, ne dilata il calore, la fa tutta attiva e splendida. La perfezione che si voglia raggiungere solo per avere pace e gloria, ossia per un egoismo spirituale, è come brace spenta; è nera, fredda, inutile. La perfezione con poco amore è come un mucchio di brace nera con un solo puntolino acceso: un carboncino... Langue, sonnecchia, rischia di morire. Ma se il nostro amore - e sia amore puro, tutto per dare gloria a Dio - su essa alita, ecco che allora tutta la perfezione si accende, e l‘anima nostra purifica, e la fa bella, la fa pronta e servizievole come perfetta ancella alla divina Volontà, e degna, poi, d‘ardere davanti al trono dove splende l‘Agnello. Le azioni dei santi - e santi sono i perfetti operatori della divina Volontà - splendono insieme alle loro orazioni nei turiboli celesti. Tanto più aumenta l‘amore per amore, tanto più aumenta la perfezione. Ama totalmente e sarai completamente perfetta nella misura che da te vuole la Ss. Trinità.'

L'anima che vuole raggiungere la perfezione dell'Amore, deve superare il primo livello- l'inferiore- che è soffocato nello slancio verso le Celesti altezze, da un egoismo spirituale in cui predomina la ricerca di una pace interiore sufficiente-giusta aspirazione, purché non finalizzata a sé stessa- e la gloria: questa soprattutto viene elargita quasi sempre postuma alle anime in Grazia, per Misericordia Superna di preservazione dal pur minimo rigurgito di orgoglio o superbia, che farebbero immediatamente cessare i favori divini per le anime elette.
L'amore vero, puro, invece cerca e si studia con ogni mezzo di diffondere e far risaltare la Gloria di Dio, purificando in tal modo l'anima stessa, rendendola servizievole, ardente di zelo, pronta, santamente audace e celestialmente mite ed umile, in un rapporto di proporzione diretta tra questo sforzo e il ritorno di Grazia al cospetto della Perfezione.
Arda anche in noi questo santo anelito, il più santo tra le aspirazioni dei figli di Dio. Amen

Il Signore ci ha affidati al Cuore della Corredentrice e Consolazione eterna nostra e dei nostri fratelli: un Cuore di Mamma che più dolce, sapiente, potente, misericordioso e comprensivo, non avremmo potuto chiedere e nemmeno immaginare. Ella è la 'Secondogenita' di Dio, come ama definirla Gesù con le Parole affidate a Maria Valtorta, e la sua Grazia al cospetto dell'Eterno supera la pur più ispirata intelligenza umana; un Suo Sorriso fa sobbalzare i cieli di Gioia, e Suo Figlio nostro Signore, è ben felice di esaudirla per strapparne uno ancora e confermarLe la preferenza eterna. Abbiamo ben motivo allora di fidare pienamente e attendere fiduciosi la sensibile realizzazione delle nostre suppliche, rimettendo i nostri affanni nella Mani della Mamma Celeste.
Maria Valtorta, come accoglieste con santo e generoso slancio l'invito del Signore di seguirLo con cuore di pura ed umile Violetta, fino a farvi anima generosamente vittima, e nell'ubbidienza totale alla Divina Volontà foste resa degna di essere portavoce mondiale delle nuove 'Parole di Vita Eterna', così ora fatevi vicaria delle nostre suppliche rendendole efficaci per ottenere la Grazia che imploriamo. La Santa Madre Chiesa di Roma riconosca presto nel 'Piccolo Giovanni' una 'Voce' diretta del Signore per la salute spirituale e complessiva dei nostri fratelli:
'Sappi che Io adeguo le manifestazioni all’ambiente e allo scopo per i quali Io le ho suscitate. Tu hai avuto missione di essere voce mondiale. Devi cantare l’inno della Misericordia e dell’Amore, della Sapienza e della Perfezione, per tutte le orecchie e per tutti i cuori, per tutte le intelligenze e per tutte le anime.' Quaderni 18.12. 1943


Ottavo giorno:
Quaderni 16.08.1943
'Gloria, gloria, gloria al Padre, Maria, gloria sempre perché da Lui viene ogni bene ed il primo Bene sono Io, tuo Salvatore.
Il mio regno non è di questa terra, secondo quanto vuol dire regnare sulla terra. Ma è Regno della terra. Poiché Io sulla terra avrò regno. Regno palese e vero, non solo spirituale quale è ora e di pochi. L‘ora verrà in cui sarò Re solo e vero di questa terra che ho comperata col mio Sangue, della quale sono stato creato Re dal Padre con ogni potere su di essa. Quando verrò? Che è l‘ora rispetto all‘eternità? E che ti importerà dell‘ora quando sarai nell‘eternità?
Verrò. Non avrò nuova carne poiché ne ho già una perfetta. Evangelizzerò, non come evangelizzai, ma con forza nuova, perché allora i buoni saranno non umanamente buoni come lo erano i discepoli della mia prima venuta, ma saranno spiritualmente buoni, e i malvagi saranno spiritualmente malvagi, satanicamente malvagi, perfettamente malvagi. Perciò la forma sarà consona alle circostanze, perché se usassi la forma di 20 secoli or sono sarebbe superata, per i perfetti nel bene, e sarebbe offrire modo ai satanici di recare un‘offesa che non è permessa recare al Verbo glorificato. Come una rete di maglia fina trascinerò dietro alla mia Luce i giunti alla sottigliezza spirituale, ma i pesanti, per la congiunzione della carne con Satana, i Morti dello spirito che la putredine dell‘anima tiene confitti nel fango, non entreranno nella mia Luce e finiranno di corrompersi nella congiunzione col Male e con la Tenebra.
Per ora preparo il tempo futuro usando singolarmente la Parola che scende dai cieli a dar luce alle anime pronte a riceverla. Faccio di voi i radiotelefonisti intenti a udire l‘insegnamento che è perfetto e che avevo già dato e che non muto, poiché Una è la Verità, ma che è stato dimenticato o svisato, troppo dimenticato e troppo svisato perché faceva comodo dimenticarlo e svisarlo.
Faccio questo perché ho pietà dell‘Umanità che muore senza il pane dello spirito. Come ho dato Me per pane dell‘anima vostra, così ora porgo la mia Parola per pane del vostro spirito. E ripeto: 'Beati coloro che ascoltano la parola di Dio a l‘osservano.' 
Il Signore è Re vero, assoluto, perfetto ed eterno, e verrà il tempo che ogni uomo, anzi ogni vita, lo riconoscerà come tale e lo onorerà e loderà come si conviene.
Intanto Egli prepara il Suo Regno nei cuori onesti e puri o desiderosi sinceramente di esserlo, distribuendo la Parola, -che non muta perché perfetta- nella sua completezza quale fu annunciata or sono 20 secoli, come nuovo Pane del nostro spirito, Consolazione perfetta per coloro che si volgeranno ad Essa con cuore semplice e fidente come quello di un bambino che si rifugia tra le braccia della mamma per suggerne il nutrimento di vita.
E come 20 secoli fa-e a maggior ragione essendo distribuita nella Sua completezza originale-la Parola sarà nuovo vaglio tra i figli della Luce e quelli delle tenebre, e antica e nuova Pietra Angolare 'perchè siano disvelati i veri pensieri di molti cuori'
E come farà, chi l'avrà rifiutata, non riconoscendo in Essa la voce del Maestro che vuole salvare con mezzi consoni ai nostri tempi, senza nulla mutare dell'originale sua Perfezione, a proclamarsi vero cristiano appartenente al Gregge del Pastore che non chiama più con esortazioni ermetiche, ma parla alle Sue pecore con le antiche e nuove dolcissime Parole che solo la Sua Bocca può annunciare e proferire?
Pane e Ciborio il più dolce e salutifero per lo spirito di coloro che le ascolteranno e osserveranno beati. di Amen

Il Signore ci ha affidati al Cuore della Corredentrice e Consolazione eterna nostra e dei nostri fratelli: un Cuore di Mamma che più dolce, sapiente, potente, misericordioso e comprensivo, non avremmo potuto chiedere e nemmeno immaginare. Ella è la 'Secondogenita' di Dio, come ama definirla Gesù con le Parole affidate a Maria Valtorta, e la sua Grazia al cospetto dell'Eterno supera la pur più ispirata intelligenza umana; un Suo Sorriso fa sobbalzare i cieli di Gioia, e Suo Figlio nostro Signore, è ben felice di esaudirla per strapparne uno ancora e confermarLe la preferenza eterna. Abbiamo ben motivo allora di fidare pienamente e attendere fiduciosi la sensibile realizzazione delle nostre suppliche, rimettendo i nostri affanni nella Mani della Mamma Celeste.
Maria Valtorta, come accoglieste con santo e generoso slancio l'invito del Signore di seguirLo con cuore di pura ed umile Violetta, fino a farvi anima generosamente vittima, e nell'ubbidienza totale alla Divina Volontà foste resa degna di essere portavoce mondiale delle nuove 'Parole di Vita Eterna', così ora fatevi vicaria delle nostre suppliche rendendole efficaci per ottenere la Grazia che imploriamo. La Santa Madre Chiesa di Roma riconosca presto nel 'Piccolo Giovanni' una 'Voce' diretta del Signore per la salute spirituale e complessiva dei nostri fratelli:
'Sappi che Io adeguo le manifestazioni all’ambiente e allo scopo per i quali Io le ho suscitate. Tu hai avuto missione di essere voce mondiale. Devi cantare l’inno della Misericordia e dell’Amore, della Sapienza e della Perfezione, per tutte le orecchie e per tutti i cuori, per tutte le intelligenze e per tutte le anime.' Quaderni 18.12. 1943



Nono giorno:
Quaderni 27.06.1943
'L‘occhio umano non può fissare il sole, mentre può guardare la luna.
L‘occhio dell‘anima non può fissare la perfezione di Dio quale essa è. Ma può guardare la perfezione di Maria.
Maria è come la luna rispetto al sole. Ne è illuminata e riflette su voi la luce che l‘ha illuminata, ma addolcendola di quei mistici vapori che la rendono sopportabile alla limitata vostra natura. È per questo che Io ve la propongo da secoli come modello per voi tutti che ho voluto miei fratelli appunto in Maria.
È la Madre. Che dolcezza per i figli guardare la madre! Ve l‘ho data per questo, perché poteste avere una dolce Maestà la cui splendidezza fosse sufficiente a rapirvi, ma non ad abbacinarvi. Solo ad anime speciali, che ho scelto per motivi insindacabili, ho mostrato Me stesso, nel mio fulgore di Dio-Uomo, di Intelligenza e Perfezione assoluta. Ma insieme a quel dono ne ho dovuto dare un altro che le rendesse capaci di sopportare la mia conoscenza senza rimanerne annichilite.
Mentre Maria la potete tutti guardare. Non perché Ella sia simile a voi. Oh! no!
La sua purezza è tanto alta che Io, suo Figlio e Dio, la tratto con venerazione. La sua perfezione è tale che l‘intero Paradiso s‘inchina al suo trono sul quale scende l‘eterno sorriso e l‘eterno splendore della Nostra Trinità. Ma questo splendore, che la compenetra e indìa più d‘ogni altra creatura, è soffuso dai veli candidissimi della sua carne immacolata, per cui Ella raggia come una stella, raccogliendo tutta la luce di Dio e diffondendola come una luminosità soave su tutte le creature.
E poi Ella vi è in eterno Madre. E della Madre ha tutte le pietà che vi scusano, che intercedono, che ammaestrano pazientemente. Grande è la gioia di Maria quando può dire a chi l‘ama: 'Ama mio Figlio'. Grande è la mia gioia quando posso dire a chi mi ama: 'Ama mia Madre'. E grandissima è la nostra gioia quando vediamo che staccandosi dai miei piedi uno di voi va a Maria, o staccandosi dal grembo di Maria uno di voi viene verso di Me. Perché la Madre giubila di dare altri innamorati al Figlio e il Figlio giubila di vedere amata da altri la Madre. La nostra gloria non cerca di sopraffarsi ma si completa nella gloria dell‘altro.
Perciò ti dico: 'Ama Maria. Ti do a Lei che ti ama e che ti illuminerà unicamente con la soavità del suo sorriso'.'

Maria...il più dolce nome che il mondo abbia avuto! Miele per i cuori nostri, dei Suoi figli che possono guardare la Maestà Divina che riflette potentemente, come la Luna riflette la Luce del Sole: la possiamo contemplare, avvicinare con il cuore, con la certezza della misericordia e della comprensione con cui i figli avvicinano una madre.
Ed è una Perfezione che non spaventa, perché 'filtrata' dai Veli candidissimi della Sua Carne Immacolata, è una Luce che non abbacina, è la Perfezione resa accessibile ai figlioli che aspirano a inebriarsi-nei limiti loro concessi-della Sua Purezza che letifica il Cielo. Andare da Lei è andare dal Figlio per una Via più dolce, rassicurante, comprensiva, progressiva rispetto alle voci della nostra umanità, ma ugualmente perfetta, coerente, coraggiosa e fedele.
Amiamo Maria...e troveremo Dio. Amiamo Dio nostro Signore, e incontreremo Maria lungo il nostro santo cammino. Amen!


Il Signore ci ha affidati al Cuore della Corredentrice e Consolazione eterna nostra e dei nostri fratelli: un Cuore di Mamma che più dolce, sapiente, potente, misericordioso e comprensivo, non avremmo potuto chiedere e nemmeno immaginare. Ella è la 'Secondogenita' di Dio, come ama definirla Gesù con le Parole affidate a Maria Valtorta, e la sua Grazia al cospetto dell'Eterno supera la pur più ispirata intelligenza umana; un Suo Sorriso fa sobbalzare i cieli di Gioia, e Suo Figlio nostro Signore, è ben felice di esaudirla per strapparne uno ancora e confermarLe la preferenza eterna. Abbiamo ben motivo allora di fidare pienamente e attendere fiduciosi la sensibile realizzazione delle nostre suppliche, rimettendo i nostri affanni nella Mani della Mamma Celeste.

Maria Valtorta, come accoglieste con santo e generoso slancio l'invito del Signore di seguirLo con cuore di pura ed umile Violetta, fino a farvi anima generosamente vittima, e nell'ubbidienza totale alla Divina Volontà foste resa degna di essere portavoce mondiale delle nuove 'Parole di Vita Eterna', così ora fatevi vicaria delle nostre suppliche rendendole efficaci per ottenere la Grazia che imploriamo. La Santa Madre Chiesa di Roma riconosca presto nel 'Piccolo Giovanni' una 'Voce' diretta del Signore per la salute spirituale e complessiva dei nostri fratelli:
'Sappi che Io adeguo le manifestazioni all’ambiente e allo scopo per i quali Io le ho suscitate. Tu hai avuto missione di essere voce mondiale. Devi cantare l’inno della Misericordia e dell’Amore, della Sapienza e della Perfezione, per tutte le orecchie e per tutti i cuori, per tutte le intelligenze e per tutte le anime.' Quaderni 18.12. 1943


Dai Quaderni del 2.06.1946
'Cosa è ciò che santifica? La conoscenza sempre più vasta di Dio, data a controbilanciare  la predicazione sempre più vasta e attiva e corrodente della Bestia, data coi mezzi adeguati ai tempi nuovi, coi mezzi che penetrano là dove non penetrano le persone. (….)
Troppe anime non hanno più nido nella fede semplicemente perché non sanno, perché non mi conoscono. Non è conoscenza di Me il povero ricordo di un Dio morto su una Croce. E’ conoscenza di Me il conoscere tutte le forme dell'evangelizzazione di Cristo, del sacrificio di Cristo, dell’amore di Cristo Uomo e Dio. Vuote, semivuote le chiese? Siano penetrate le case. Sorgete, o dormienti! Sorgete, o timidi! Non è tempo di dormire. Devo essere Io che a voi dormienti mentre la barca è presa da onde di naufragio grida: “sorgete che se no perite?”  Devo essere Io che  dico: “Aumentate la vostra fede?” Ciò non sia. Guardate quanti periscono o sono sedotti perché non hanno che il pane avvelenato delle eresie di ogni specie o sono sedotti perché rintronati dalle voci dei falsi apostoli servi alla Bestia. 
Aiutate il Maestro che ha misericordia di questa turba e vi dà il pane perché non muoia nel deserto. Date questo pane.'

LA MAREA MONTA


QUADERNO N°27
PAGINE 1 2 3 4 5 6
24 giugno.
La marea monta. Non so più come fare a resistere a tanto male fisico e a tanto male morale. Se cedessero le forze spirituali sarebbe la rovina assoluta e irreparabile.
Queste ultime, per ora, sono sempre integre. Ma ci resisteranno? Di me non assicuro. Se Dio mi aiuta molto, molto, molto, resisterò. Altrimenti mi piegherò.
Potrei anche dopo tornare a rialzarmi. Ma trovo che è sempre pericoloso l’esperimento, perché non sempre si fa a tempo a rialzarsi, è io non vorrei morire in un momento in cui ti amassi meno. Offenderti è amarti meno, o mio Dio. Abbi pietà di me.
Ne hai tanta, ma dammi anche la “grande pietà”. Tu sai quale è questa “grande pietà” che ti chiedo. Riportami nel mio nido d’amore. Nel mio nido di pace. Nel mio nido di Cielo l. Se anche Tu dal Cielo fai scendere paradisiaci profumi, come ieri sera, essi non possono durare qui dove è troppo urto di umanità e di animalità. Che Tu abbia attutito il mio soffrire con gli aromi celesti, io ti ringrazio. Ma non bastano. Non bastano alla tua piccola “voce” per non morire e soprattutto per non morire malamente. Abbi pietà.


Più tardi. Gesù mi fa la seguente osservazione:
«Nel fare l’Ora della Desolata voglio che tu consideri i tre tempi del dolore di Maria 2. Per tua norma nel soffrire e nel conoscere la Giustizia che vi giudicherà del vostro modo di soffrire.
Il primo tempo è la donna, la madre, quella che urla il suo strazio. Dio concede che nel momento più atroce del dolore la creatura deliri ed abbia parole dure per coloro che sono causa del suo dolore. Maria, la Santa, non può trattenersi da chiamare “belve, sciacalli e iene” gli uomini, da chiamare gli ebrei “suoi patrigni”, da proclamare che Ella deve farsi violenza per sopportarli, e da marchiarli col nome di Caini di Dio e di obbrobrio della razza umana. Maria, la Santa, non può trattenersi da chiamare Gerusalemme “matrigna, assassina, predona, vampiro e avvoltoio”. Sul Calvario non aveva saputo che ululare: “Non ho più figlio!”. Era la donna.
Nel secondo tempo è la credente che vuole esser fedele alla sua fede anche se i fatti paiono smentire ogni promessa di fede. Il suo cuore di madre e di donna lotta col suo spirito di credente. Trionfa lo spirito perché è realmente nutrito di fede. La donna è superata. Resta la credente.
Nel terzo tempo la credente, affermata sempre più nella fede, sale, attraverso alla rassegnazione, a riunirsi con Dio dal quale il dolore l’aveva divisa. Oh! il dolore, lo so, è come colpo di fanciullo malvagio sulle morbide ali di una variopinta farfalla. La abbatte al suolo. Pare morta. Ma poi riprende pian piano forza e moto. Prima cammina, poi arrampica, poi tenta di muovere le ali, poi fa il primo timido volo, infine si lancia, riconquista l’azzurro...
Leggo il tuo pensiero: “Ma se i colpi continuano e ogni volta che la farfalla comincia a volare di nuovo viene abbattuta, finisce col morire per terra”. Umanamente si. Non può che avvenire questo. Ma per questo io ci sono. Per raccogliere le vittime della brutalità terrena. Mi basta che esse non diffidino di Me e non mi accusino, odiandomi, d’essere il loro carnefice.


Date a Dio ciò che è di Dio e all’uomo ciò che è dell’uomo. Date ad ognuno il giudizio giusto. Meditate per bene sui vostri strazi, voi che soffrite, tu che soffri sino a morirne. Vedrai che ogni strazio porta il nome di un uomo. Mai quello di Dio. Oh! che sei ancora creatura e non ti è lecito conoscere i segreti del soprannaturale. Ma quando li conoscerai comprenderai tante cose.
Maria, nel terzo momento della sua desolazione, non è più la credente: è la Figlia di Dio, è la Santa che parla al Padre, al Re con la solenne sicurezza di chi sa che può parlare perché ha conquistato il diritto d’essere esaudita. Non più oscurità di desolazione umana, non più affanno di credente che vuole e non può raggiungere la pace nel dolore. Ma la gioia del soffrire: una gioia d’anima sotto il pianto della carne che muore per ultimo, ma che si lascia piangere perché - tu l’hai detto 3 - arrivati a certi punti, carne e sentimento sono indumenti gettati sull’io spirituale, l’io vero. E la creatura, santificata dal suo eroismo, può giungere a dire: “Per quel ‘si’ che ho detto, ascoltami!’’.
Dillo anche tu, Maria. Di’: “Ti ho detto si tante volte, per questi si ascoltami”.
E spera. Non mettere un nome alla tua speranza. Le daresti sempre nomi della terra. Spera in Me. In Me solo, a lasciami fare.»


Nota mia.
Ma intanto sono due mesi che sono in una galera, in un manicomio, in un inferno. E sempre più ci sprofondo. Due mesi! Due mesi che sono stata strappata da quel posto in cui era la mia vita vera4. Mi hanno strappato il cuore perché Tu lo sai, Tu lo sai cosa era per me quella casa. E più il tempo passa e più la ferita fa male. Anche perché non c’è nessuna medicina per essa.
Non più una parola illuminata... E io che non credo, non posso credere umanamente che io sento la tua voce. Ne sono troppo indegna.
Non più una Comunione ben fatta. Io la chiamo ben fatta quando non solo chi la riceve ma anche chi la amministra lo fa con quella riverenza che tale Sacramento merita e che serve a rendere sensibile il mistero. Qui... è preceduta e seguita da chiacchiere che uguali si fanno con chicchessia. Dalla lavandaia alla persona amica che viene a trovarmi, potrebbero dire le stesse parole e fare gli stessi gesti che vedo nelle povere mattine di Comunione. Oh! miseria! Astio, pettegolezzi, interessi...


Dove sei, attimo solenne delle Comunioni viareggine? Attimo in cui vedevo Te, perché, si, ora lo dico, perché forse presto muoio o impazzisco, e devo dire questa cosa. Perché quando ricevevo la Comunione dalle mani del Padre Migliorini egli scompariva e mi appariva Gesù comunicante. Quasi sempre. Oppure era a fianco del Padre e ci benediceva. Cosa che mi ha fatta sicura di quale tempra sacerdotale sia il mio Direttore. Veniva anche Padre Giosuè 5. Ma era diverso. Sempre un paradiso rispetto ad ora: un paradiso terrestre in cui sentivo Dio ma non lo vedevo. Con Padre Migliorini era il vero Paradiso. E non ce l’ho più.
Ne ho più bisogno che mai e non ho più nulla di quello che era atmosfera necessaria alla mia anima per poter udire la Parola che è la mia vita. Lo capite, voi che leggete, cosa m’è stato levato? Due mesi di inferno...
E la solita domanda del 24 maggio 6: “Ma perché non mi hai fatta morire prima che io fossi levata dalla mia casa?”.
1 Nella casa di Viareggio. Vedi la nota 12 di pag. 229. 2 Nella visione del 19 febbraio (pag. 173), nel dettato a nella visione del 3 giugno (pag. 408) e nella visione del 23 giugno (pag. 464), oltre agli episodi della Passione appartenenti all’opera sul Vangelo. 3 il 22 giugno, pag. 460. 4 Come la precedente nota l. 5 P. Giosuè Bagatti, dei frati minori, cappellano dell’Ospedale di Viareggio. 6 Riferita il 2l giugno, pag. 324.

25 giugno. 
Dice Gesù:
«Dimmi: mostra maggiore coraggio nel subire un’operazione chirurgica colui che la sopporta
con degli anestetici, o colui che la sopporta senza aiuto? L’operazione è la stessa. I ferri usati sono gli stessi. Il loro lavoro su carni, nervi, organi, è lo stesso. Lo scopo è lo stesso. E concediamo pure che sia uguale il risultato di guarigione. Ma quale dei due operati ha avuto maggior forza d’animo, e naturalmente ha suscitato ammirazione? Certo colui che senza nessun soccorso chimico sopporta con piena sensibilità l’opera dei chirurghi, senza ribellarsi con grida, imprecazioni, parole scomposte, e si limita a gemere, perché ciò è umano e comprensibile.
Ebbene: passiamo ora al campo spirituale. Quale sarà, fra due anime, quella che più suscita l’ammirazione, e perciò la lode, la quale si muta in premio certo? Quella alla quale una mia miracolosa azione attutisce lo spasimo anestetizzandola spiritualmente, oppure quella che ha Dio come un buon Padre e un buon Amico presso al suo letto operatorio, ma non più di Padre e Amico che la compatisce, che la veglia, che piange con lei, ma che non interviene con un aiuto diretto e volto a intontire la dolorabilità? Questa seconda di certo.
Tu sei questa seconda. Non dire: “Perché?”. In ottobre ti ho risparmiata l. Ti ho aiutata perché avevo bisogno che tu fossi ancora capace di questo calvario. Se fossi 2 stata stroncata dallo strazio sin dall’ottobre, non avresti resistito ad un’ora di questo attuale. Ed io avevo bisogno di questo tuo soffrire.
Gli angeli non possono soffrire per il loro Dio per aumentare la sua gloria, né per il loro prossimo per ottenergli del bene. Ma gli uomini lo possono fare. Fare la volontà di Dio, per gli angeli, è fare della gioia. Fare la volontà di Dio, per gli uomini, è fare del dolore. È fare ciò che io ho fatto. Si, quando il dolore ha nome olocausto, ed è non solo rassegnazione ma è unione alla volontà di Dio, così come era unito il mio Corpo alla croce, mediante l’amore, la generosità e la pazienza - i tre chiodi che configgono le vittime al loro patibolo santo - voi fate ciò che io ho fatto.
Non ti preoccupare se piangi. Ho pianto anche io. Ho gemuto anche io. Con ripugnanza di carne e di mente ho detto: “Sia la tua volontà la mia” 3. Ma l’ho detto. Lo spirito solo ha avuto il coraggio di dirlo ancora. Ma l’ho detto. Fra le ripugnanze e le paure del tuo corpo e del tuo pensiero canti il tuo spirito mentre la crudele operazione che darà del bene si compie senza aiuto alcuno - canti il tuo spirito: “Signore, la tua volontà sia la mia”.
E credi pure che il premio sarà doppio, triplo, decuplo di quello che ti sarebbe stato dato se già avessi avuto doni di misericordia nel tuo soffrire. Dio è giusto. A doppio merito, doppio premio. A merito totale, totale premio. Non temere. Va’ in pace.»
1 Confronta con lo scritto del 2l giugno, pag. 457. 2 fossi è nostra correzione da fosti 3 Luca 22, 4l-42.
26 giugno.
A conforto di un ritorno penosissimo alla sensibilità, il buon Dio mi concede il sorriso del mio angelo.
Devo aver sofferto moltissimo e pianto altrettanto. Lo comprendo dal come mi trovo spezzata e con gli occhi che erano bruciati dalle lacrime seccate fra le ciglia. Ricordo di essermi assopita dopo aver consumato la mia quotidiana ora di tristezza mortale e di pianto che solo Dio vede. Poi non so più nulla. Ma il tronco tutto indolenzito, il cuore e i polmoni che mi paiono lacerati e trapassati da lame, gli occhi che sono più annebbiati che mai, mi dicono senza errore che quando non ero più padrona di me ho pianto senza ritegno e senza riguardo per le mie infinite aderenze che si scuotono nei singhiozzi sfrenati e dopo dolgono tanto.
Ho chiesto a Marta: “Ma io ho pianto?”. Mi ha detto che ho pianto e che ho riso. Sarà che abbia riso. Pianto, ho pianto certo e molto.
Ora, mentre ero abbandonata senza forza di muovermi e pregavo guardando il mio angelo che è in ginocchio ai piedi del letto, a destra - e pare pregare con me e mi chiedevo perché sta così ed è così vestito - sento il mio invisibile Maestro dirmi: «L’angelo custode di ogni creatura adora nella stessa il Dio che l’abita, se è in grazia del Signore. Voi siete templi vivi in cui Dio abita. La colpa scaccia il divino Ospite, ma altrimenti ogni spirito d’uomo è il tabernacolo, chiuso nel tempio del vostro corpo consacrato dai sacramenti, nel quale è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, per l’unione indissolubile delle tre Persone.
Quando la creatura non è più in stato di grazia, il suo angelo, piangendo, venera l’opera del suo Creatore. Non può più venerare altro. Ma poiché è opera del suo Dio, la venera così come voi venerate un luogo un tempo abitato da Me e poi profanato da nemici miei, ma sempre degno di venerazione non perché mi contenga ma perché mi ha contenuto. Ricorda, per capire, il sacro Cenacolo.
Ecco perché ogni angelo sta con sommo rispetto presso il suo custodito. Felice quell’angelo che può dire, presso una creatura: “Ti adoro, mio Signore, chiuso in questa tua creatura” e non ha bisogno di volare al Cielo per incontrare lo sguardo di Dio!
La veste del tuo ti dica il carattere della sua missione presso te. Infonderti speranza. È, delle tre virtù, quella che più ti va infusa, perché la tua croce te la sminuzza e distrugge ad ogni ora. E perciò occorre che dal Cielo ad ogni ora discenda a nutrirti. La fede è sicura, forte come l’ali del tuo custode. Vivo è l’amore come il manto che ne orna le spalle. Ma ampia e splendente è la veste e ti dice: “Spera!”.
Vedi che non sei mai sola? Lo vedevi in ore di grande sicurezza nella tua condizione spirituale e di grande gioia. Lo vedi ora in cui gli eventi ti portano a dubitare completamente della tua missione e in cui la tristezza della solitudine spirituale ti accascia. Lo vedi perché c’è. Sempre. È l’angelo del tuo Getsemani. Amalo come un glorioso fratello che ti ama.»
Nota mia.
L’angelo è in ginocchio al lato destro del letto, in fondo. Sta a capo chino con sommo rispetto e con le braccia congiunte sul seno. Nella stessa posa che aveva ai primi di gennaio l, credo, quando vidi il Paradiso e il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, mentre presso me erano 2 Maria e Giovanni.
L’angelo è uguale. È il mio! Come è bello! Il volto di luce condensata, dalle linee perfette, pur stando così curvo, mi sorride. La sua incorporea veste pare uno smeraldo chiaro fatto abito di luce. Alle spalle un breve manto di un rosso chiaro, vivissimo, come di rubino trapassato da un raggio di sole. Le ali sono due bianchi splendori raccolti lungo i lati. E come è adorante! Non faccio che dire degli “Angele Dei!” per salutarlo e delle “Ave Maria” perché mi ricordo che in gennaio mi insegnava a salutare Maria, presente, con quella preghiera in quella sua composta e venerante attitudine. Forse dovrei dire dei “Gloria”. Ma penso che me lo farebbe capire. Maria è la sua Regina e lodando Maria si loda anche Dio di cui è Figlia, Madre e Sposa. Credo perciò di fare cosa gradita a Dio e al mio custode pregando così.
Ma stammi sempre presente, perché veramente sono alla “tristezza di morte” di cui piangeva Gesù nel Getsemani 3...
1 il l0 gennaio, pag. 4l. 2 erano è nostra correzione da era 3 Matteo 26, 38; Marco 14, 33-34.
27 giugno. Atti cap. 2 v. 3 l.
Dice Gesù:
«Le anime che io prediligo ricevono il comando che ebbe Abramo: “Esci dal tuo paese e dal tuo parentado e vieni nella terra che ti mostrerò” 2.
Reale oltreché metaforica uscita. Reale, perché realmente colui che a Me si consacra si rende straniero e ignoto presso i suoi stessi parenti.
Ignoto con la sua nuova personalità. Straniero perché fra loro e lui avviene come la caduta di un diaframma, come la creazione di una singolare Babele 3 per cui egli va oltre, verso la terra che Dio gli addita, e loro restano là dove sono, né anche, essendo ancora vicini, possono più intendersi, perché egli già parla la lingua di quella terra e ne pratica gli usi mentre essi continuano a pensare, agire, parlare nella loro maniera abituale. Ciò produce un grande motivo di dolore e di stupore, se pure non di derisione.
Il dolore è particolarmente sentito da colui che Dio ha chiamato alla “nuova terra”. Egli vorrebbe esser seguito da chi ama, perché ha compreso che “quella terra” è paese di elevazione. Vorrebbe che gli altri lo comprendessero per poter innamorarli delle bellezze che egli discopre.
Loro si stupiscono del suo mutamento. E quando non lo giudicano “mania”, lo chiamano egoismo, disamore, stranezza. Nulla di ciò. Amore perfetto, e per coloro che ama e per se stesso, dando e cercando dare agli altri il bene che a sé procura. Non stranezza, ma anzi regola perfetta, essendo costui nella sua eccezione colui che si trova nella regola del figlio di Dio: ubbidienza assoluta, superiore ad ogni altra voce di sangue, di interesse, di rispetto umano, alla voce di Dio.
La ferita non si sana e non si può sanare. Perché l’eletto alla “nuova terra” con la sua parte inferiore conserva la sensibilità comune ai figli dell’uomo, e di doversi sentire accusare di disamore da quelli che più lo dovrebbero capire, e di doverli respingere, strappandosi il cuore, per inoltrarsi sul sentiero che Dio gli indica, soffre continuamente, tenendo sempre aperta la ferita, in cui sono confitti 4 l’amore dei suoi che per amarlo lo torturano e l’amore suo che per non esser compreso si torce nella piaga e la volontà imperiosa di Colui che egli ama con tutto se stesso. Ferita d’amore, dunque. Ferita, dunque, in cui è Dio, perché Dio è dove è carità.
“Vieni nella terra che ti mostrerò”. Dio non la mostra avanti. Dice: “Vieni”. Il premio del vedere questa terra sarà dato a colui che ubbidisce senza attendere di conoscere ciò che lo aspetta. Dio dice: “Vieni’’. Non altro. Egli va e non chiede altro.
L’inizio della terra benedetta - il cui sole non conosce tramonti, in cui non regnano aspidi e scorpioni né fiere selvagge, in cui sono ignote bufere e brine ed eterna è la primavera, e pingue di sovrannaturale cibo è ogni essere, e miele stillano tronchi e di latte sono le fonti, e l’armonia è luce e la 5 luce è armonia, e felici come fiori in un sereno mattino d’aprile sono gli abitanti e ridono di perenne gioia riflettendo il divino riso del loro Signore - è molto irto e spinoso. Sassi e rovi, liane e stretti passaggi su orridi e torrenti vorticosì, oscure svolte e ventose zone di burrasca sono nel suo principiare.
In alto una sola stella: io. Io che devo essere luce, calore, voce, speranza, conforto, fede, guida per l’eroico camminatore. Io solo. Guai a non guardare continuamente Me.
Ma chi persevera vede che ai sassi, ai rovi sussegue 6 più liscia strada e qualche fiore si affaccia ai suoi bordi, vede che alle liane, che prima hanno straziato come funi di ferro spinoso, succedono morbidi festoni che non sono più costrizione ma aiuto, e più ampi si fanno i passaggi, meno paurosi i sentieri, più sicura la via, più ampia, più luminosa, più calda, più serena nel suo continuo salire. In ultimo l’anima vola, non cammina più. Vola. Penetra come strale d’amore nella terra che si è conquistata. Il Cielo è suo.
Ma quanta generosità è necessaria! Dare tutto, Maria. E non avere nulla. “Neppure tanto da posarvi il piede” (v. 5)7. Non pretendere nulla perché non prometto nulla quando dico: “Vieni”. Nulla di umano. Prometto il sovrumano eterno.
Ecco cosa ti devi sforzare di capire e di accettare, e con te tutti i tuoi uguali per la mia elezione che vi consacra nel chiostro o nel mondo, e anche coloro che per esser migliori, pur non essendo i chiamati a vie di perfezione speciale, non essendo militi della perfezione consigliata e non imposta, si chiedono il perché non sia placida di benessere anche terreno la loro vita.
Io non mento e non ho mai mentito. Io ho promesso e prometto di darvi la Vita e le cose inerenti alla Vita. Questo è necessario e questo vi do. Il resto è il superfluo perché è destinato a ciò che perisce. E ve lo do perché sono buono anche con il moscerino al quale concedo per letto il calice di una mentuccia montana e per cibo la microscopica goccia di miele che essa contiene. Così do a voi, perituri, le cose necessarie a ciò che perisce: cibo, vesti, dimora. Ma vi invito a tendere a ciò che è più alto: allo spirito e a ciò che è dello spirito.
Chi più mi ama più mi comprenda. E proceda nudo, affamato, misero di ciò che è 8 di questa giornata terrena, ma sazio, ricco, in veste regale di ciò che è del Giorno eterno.
Va’ in pace.»


1 La citazione, che la scrittrice deve avere aggiunta dopo sul rigo, non è pertinente al dettato e va corretta in Atti 7, 2-3. L’errore è indirettamente confermato dalla scrittrice stessa, che annota la data del presente dettato accanto ai primi versetti del capo 7 degli Atti, nella “Bibbia” da lei usata. 2 Genesi 12, l.
3 Genesi ll, l-9. 4 sono confitti è nostra correzione da è confitto la è scritto due volte 6 sussegue è nostra correzione da sussedono che sembra una confusione tra succedono susseguono 7 Genesi 8, 9. Perciò, il riferimento al versetto 5 sarebbe errato. 8 è è aggiunto da noi

Fotobiografia di Maria Valtorta


FOTOBIOGRAFIA
pagine 1 2 3 4 5 6 7
Clicca qui per ingrandire la foto
con la zia Angelina
Clicca qui per ingrandire la foto
scorcio di vita di Maria Valtorta fanciulla
Clicca qui per ingrandire la foto
con suo padre
Clicca qui per ingrandire la foto
con le compagne di collegio
Clicca qui per ingrandire la foto
a 15 anni