venerdì 12 agosto 2016

SANTA ROSA da Lima (1) "Danza, idiota! Muovi i passi, testa di mula!" le diceva la madre


"L'unica vera scala del Paradiso è la Croce Al di fuori di Essa non c'è altra via per cui salire al Cielo!"



S. ROSA DA LIMA 
(1586-1617)




Nacque a Lima il 20 aprile 1586, decima di tredici figli. 
Il suo modello di vita fu santa Caterina da Siena. Come lei, vestì l'abito del Terz'ordine domenicano, a vent'anni. 
Allestì nella casa materna una sorta di ricovero per i bisognosi, dove prestava assistenza ai bambini ed agli anziani abbandonati. 
Dal 1609 si richiuse in una cella di appena due metri quadrati, costruita nel giardino della casa materna, dalla quale usciva solo per la funzione religiosa. 
Ebbe visioni mistiche. 
Morì, straziata dalle privazioni, il 24 agosto 1617.






E' la prima santa canonizzata del continente americano. 
Di origine spagnola, Rosa nacque, ultima degli undici figli di Gaspare Flores, modesto militare, il 20-4-1586, a Lima (Perù), città fondata da Francesco Pizarro dopo la conquista dell'impero degli Incas (1532). 

Ben presto la piccina fu prevenuta in modo straordinario dalla grazia di Dio, che supplì alla educazione dei collerici e maneschi genitori assai più preoccupati del benessere temporale che di quello spirituale dei figli. 

S. Turibio Alfonso de Mogrovejo (+1606), arcivescovo della città, la cresimò con il nome di Rosa benché fosse stata battezzata con quello di Isabella. La santa ne rimase conturbata. Un giorno, mentre pregava nella chiesa dei Domenicani, le apparve la Madonna con il Bambino in braccio a rasserenarla: "D'ora innanzi ti chiamerai Rosa di Santa Maria".

Leggendo la vita di S. Caterina da Siena, Rosa si sentì spinta ad eleggerla sua maestra di vita spirituale, a emettere come lei il voto di verginità, a vivere in continua unione con Dio e a darsi ad aspre penitenze. 

La sua alta spiritualità non fu capita dalla madre, Maria Oliva, la quale, ritenendo riprovevoli difetti le sue buone qualità, la percuoteva rabbiosamente; 
dai fratelli, i quali, invece di proteggerla, la chiamavano bacchettona e ipocrita; 
dai parenti, i quali, invece di ammirarla, la canzonavano e deridevano. 

Rosa imparò a soffrire senza un lamento sia i rimbrotti dei familiari che le infermità. 

A 3 anni la mamma, chiudendo un forziere, le pestò inavvertitamente un pollice delle mani. Alla domanda del medico se la loro figlia avesse pianto, i genitori risposero mortificati: "Essa non si lagna, né piange mai: è una piccina strana"

Con uguale fortezza d'animo, la santa sopportò le cure per estirpare un ascesso che le si era formato in un orecchio; 
un polipo che le era spuntato nelle cavità nasali; 
delle pustole e delle croste che le si erano formate sulla testa e che la madre aveva creduto di guarire con l'applicazione di polvere di arsenico molto caustica. 

I patimenti di Rosa furono allora così intensi che le causarono involontari sussulti nervosi. "Come hai potuto sopportare simile tortura?" le chiese costernata la mamma. Sollevando gli occhi all'immagine dell'Ecce homo che sovrastava il suo letto, le rispose con semplicità: "I dolori della corona di spine erano ben più vivi".

Rosa non solo accettava senza un lamento le indisposizioni corporali, ma ricorreva a tutte le astuzie per accrescerle. 
Si asteneva dal mangiare la frutta; 
si percuoteva con un fascio di cordicelle o di ortiche; pregava la persona di servizio che la calpestasse e le mettesse in spalla qualche grosso ramo secco da trascinare quasi fosse la croce di Gesù. 

A differenza delle altre bambine, Rosa non amava le compagnie e il gioco. 
Se ne stava ritirata nella capanna che suo fratello le aveva costruito nell'orto, per elevarsi a Dio sulle ali della meditazione

Detestava le vanità e la menzogna. 
Costretta dalla madre a porsi sul capo delle rose, trovò il modo di sistemare tra di esse una lunga spina che le pungeva di continuo.
Talora la mamma l'adornava come una sposa e le insegnava a danzare, ma Rosa restava immobile anche quando la mamma le gridava inviperita: "Danza, idiota! Muovi i passi, testa di mula!". Sovente dagli insulti passava alle verghe, ma i risultati erano gli stessi. Il confessore più volte dovette intervenire per fare comprendere all'insensata genitrice che Rosa era un'anima privilegiata e che doveva quindi seguire le mozioni dello Spirito Santo.

Dopo la prima apparizione della Madonna, la santa si trasferì con i genitori in una insalubre città, ricca di miniere di mercurio, dove fu assalita da contrazioni nervose che la tennero per tre anni inchiodata a letto con dolori inesprimibili. Usava allora ripetere: "Quanto sarebbe bello il mio stato, se non fossi di peso agli altri!"

Dopo quattro anni ritornò a Lima, ma crebbero le difficoltà economiche della famiglia. Rosa contribuì ad alleviarle con il ricamo e la coltivazione dei fiori. Il lavoro non la distoglieva ne dalle macerazioni, ne dalla continua preghiera. 

A dodici anni, per appagare la sua sete di patimenti, infisse trentatré chiodi in una lamina d'argento e se la legò alla testa con nastri in forma di corona in modo da sentirne le trafitture ad ogni movimento. Appagava così il grande desiderio che aveva di versare il proprio sangue per le anime in pericolo di perdersi e per quelle che cadevano in purgatorio

Si era formato un letto con alcune assi elevate alquanto dal suolo, coperte da un misero tappeto. Il guanciale da lei era stato talmente riempito di lana da riuscire duro come una pietra. Il riposo le divenne tanto penoso che talora le sembrava impossibile continuare quella penitenza. Eppure vi fu fedele per sedici anni perché Dio esigeva da lei quel terribile martirio. 
Quando la madre ebbe il permesso dal confessore di distruggerle quel giaciglio, vi trovò sparsi sopra più di trecento sassolini.

Quando Rosa era invitata dalla madre a prendere parte a feste mondane o a gite con le amiche, internamente sentiva una voce che le proibiva di frequentare il mondo. 

Un giorno trovò la maniera di sottrarsi alle insistenze materne facendosi rotolare sul piede una pietra e un'altra volta gettandosi negli occhi del pepe indiano.

Ripetutamente i genitori la percossero perché alle loro proposte di matrimonio rispondeva timidamente: "Non posso, non posso"

Dio la voleva nel Terz'ordine Domenicano. Glielo fece capire durante una processione in onore di S. Caterina da Siena. 
I familiari non le si opposero perché sarebbe rimasta in casa ad aiutarli con i suoi lavori (10-8-1606). 

La santa si fece costruire un eremitaggio lungo cinque piedi e largo quattro nel giardino. Tre volte la settimana ne usciva per andare ad ascoltare la Messa e a fare la comunione, ma in un modo che non sapeva spiegare era sempre presente a tutte le Messe che si celebravano nelle chiese vicine.

Nel "vasello del suo cuore" Rosa s'intratteneva di continuo con lo Sposo divino possedendo il dono del raccoglimento in misura eccezionale. Dodici ore della giornata le dedicava alla preghiera, dieci al lavoro e due soltanto al sonno. 

Se il corpo ricalcitrava, lo pungeva con aghi o lo percuoteva con pugni. 

Talora attaccava a un chiodo la sua capigliatura per destarsi appena il sonno la vinceva, tal'altra impugnava i due grossi chiodi infissi nelle braccia della croce che dominava il suo romitorio e vi restava sospesa a imitazione del crocifisso. 

Non potendo, a causa dell'insonnia e della prostrazione fisica sopraggiuntele, attendere ai suoi doveri, il medico le prescrisse di non lottare più contro il sonno. 
Rosa, desolata, supplicò allora la Vergine SS. perché fosse per lei la stella mattutina. Da quel giorno la Madre di Dio si assunse l'incarico di destarla al momento opportuno dicendo: "Levati, figlia, ecco l'ora della preghiera".

Rosa era grandemente affezionata al santo rosario e ne propagava la devozione tra le conoscenti. 
Portava continuamente attorno al braccio una piccola corona di cui si serviva sovente senza che alcuno se ne accorgesse. 

Con l'angelo custode ebbe frequenti rapporti visibili e amichevoli. Gli chiedeva consigli nelle difficoltà, gli affidava incarichi e da lui riceveva i necessari aiuti materiali. 
I demoni invece fremevano alla vista della vita santa che conduceva. Quasi di continuo la molestavano o la percuotevano violentemente per le numerose anime che sottraeva al loro dominio con l'uso quotidiano dei flagelli e dei cilici foderati di cardi e di punte di spilli, con la pratica notturna della Via Crucis nel giardino, a piedi nudi e con una pesante croce in spalla.

Le interne desolazioni furono lo straziante martirio di tanti santi. Anche Rosa vi andò soggetta per quindici anni per circa un'ora al giorno. Le durissime prove ebbero ripercussioni sul suo fragile corpo che cadde in uno stato di prostrazione, e andò soggetto a violente palpitazioni e a tremiti. 

Quando piacque al Signore di fissarla nella luce dell'antica intima unione le divennero abituali le estasi e le visioni. 
Il Bambino Gesù le appariva spesso sul libro che meditava o sul telaio da ricamo e le diceva: "Come tu sei tutta mia, così io sono tutto tuo"
La sua fiducia di appartenere al numero degli eletti era tanta da ritenere superflua al riguardo ogni rivelazione. 

Una domenica delle Palme, perché era rimasta senza il ramo di ulivo benedetto si ritenne colpevole di qualche resistenza alla grazia. La statua della Madonna del Rosario innanzi alla quale pregava si animò, e il Bambino Gesù le disse: "Rosa del mio cuore, sii la mia sposa"
A ricordo di quelle mistiche nozze ella si fece fabbricare un anello che consegnò al sacrestano perché lo deponesse sull'altare in cui, il giovedì santo, si conservava il SS. Sacramento. Con quel gesto voleva significare che desiderava riporre nel sepolcro con Gesù il pegno del suo amore. La mattina di Pasqua, Rosa stava inginocchiata con la madre nella cappella della Madonna del Rosario allorché, d'un tratto, l'anello, volando invisibile nell'aria, andò ad ornarle per tutta la vita il dito.

Tutti questi doni celesti accendevano in Rosa sempre più il desiderio di convertire gli erranti. 
Diceva sovente: "Se mi fosse dato di predicare, percorrerei tutti i quartieri di questa città a piedi nudi, coperta di cilici e tenendo in mano un crocifisso". 

Tante volte fu udita lagnarsi di non potere, a causa del suo sesso, recarsi tra gl'infedeli per portarli alla conoscenza del Vangelo. 
Tante persone migliorarono i propri costumi alle di lei esortazioni. 
Possedeva il dono di scrutare i cuori e di prevedere il futuro. 
Le sue preferenze erano per i poveri ai quali trovava sempre il modo di donare qualcosa, i malati che andava a visitare negli ospedali o che otteneva di curare nel proprio romitorio. 

Dio ricompensò il suo ardente amore per il prossimo dandole anche il dono dei miracoli. In città non si parlava che delle prodigiose guarigioni da lei operate. 

Agli stessi suoi familiari moltiplicò il pane, il miele ed i soldi necessari per estinguere un debito. Anche per lei quindi valevano le parole dette dal Signore a S. Caterina da Siena: "Pensa a me ed io penserò a te e ai tuoi cari".

Gli ultimi tre anni di vita Rosa li trascorse in casa di un intimo amico di famiglia e tesoriere dei domini del re di Spagna Filippo III, Gonzalvo della Massa. 
Rosa avrebbe preferito restarsene nel suo romitorio, ma eroicamente ubbidì avendo proposto di vivere in una continua sottomissione. 

Nonostante che al lavoro per la sua famiglia si unisse quello a lei imposto dagli ospiti, ella continuò a mortificarsi in mille modi diversi
Beveva soltanto acqua e d'ordinario si cibava di pane cosparso di fiele o di succhi di erbe amare talmente nauseabondi da piangerne per la ripugnanza che provava. 
Non di rado si asteneva da qualsiasi cibo e bevanda per vari giorni specialmente quando le era concesso di comunicarsi tutti i giorni. 
Il migliore rimedio alle sue frequenti malattie erano il digiuno e l'astinenza. 
Gli alimenti delicati imposti a lei dai medici o dai genitori le riuscivano intollerabili. 

Per vivere in solitudine ottenne dagli ospiti, suoi ammiratori, il permesso di fabbricarsi con vecchie assi uno stambugio nel granaio. Oltre che trascorrervi buona parte della notte, d'ordinario vi si appartava il giovedì sera e non ne usciva che al sabato. 
Trascorreva tutto quel tempo assorta nell'orazione, immobile, senza prendere cibo o riposo.


Nei momenti di distensione talora la santa afferrava un'arpa e, benché fosse ignara di musica, accompagnava con melodiosi accordi i canti che le sgorgavano dal petto infiammato di amore. 
Non diceva ella: "Quando mi comunico mi pare che un sole scenda nel mio petto?". L'intimo fuoco era così vivo che le traspariva a volte all'esterno sotto forma di aureola, di vivo splendore o intenso calore. 

Il 25-4-1617 mentre pregava davanti a un quadro raffigurante il volto del Redentore, esso fu visto coprirsi di sudore per oltre quattro ore. Alcuni giorno dopo il prodigio Rosa cadde e si ruppe un braccio. Temendo di essere di aggravio agli ospiti, chiese che le fosse legata sulla parte malata la spugna che era servita a detergere il sudore miracoloso. La guarigione istantanea che ne seguì confermò anche il precedente prodigio di cui furono testimoni alcuni Padri gesuiti.

Negli ultimi mesi di vita il corpo di Rosa divenne il ricettacolo di mali misteriosi tanto che i medici si stupivano come facesse a vivere. Soltanto la lingua e la mente non le rimasero impedite, motivo per cui fino alla fine poté lodare il Signore e godere di continue estasi. 
Morì il 24-8-1617 dopo aver preso in mano un cero benedetto, sollevato gli occhi al cielo ed esclamato per tre volte: "Gesù, sii con me!".

I funerali di Rosa furono un trionfo. Clemente IX la beatificò il 12-2-1668. Clemente X la canonizzò il 12-4-1671 e la proclamò protettrice dell'America Latina e delle isole Filippine. 

Le sue reliquie sono venerate a Lima nella chiesa di San Domenico.
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Madonna del Rosario tra i SS. Domenico e Rosa, chiesa di S. Domenico, Lucera

Scuola di Cusco, S. Rosa col Bambino Gesù, 1680-1700, Museo de Arte de Lima, Lima


Bartolomé Esteban Murillo, S. Rosa da Lima, 1670, Museo Lázaro Galdiano, Madrid


Gregorio Vásquez de Arce y Ceballos, Matrimonio mistico di S. Rosa (o Caterina da Siena) alla presenza di S. Barbara, S. Giuseppe e S. Agostino, 1670,  Museo de Arte del Banco de la República, Bogotà

Scuola catalana, S. Rosa stringe il Bambino Gesù, 1788 circa, collezione privata



Nicolás Correa, Nozze mistiche di S. Rosa, 1691, Museo Nacional de Arte (MUNAL), Città del Messico

Anonimo, S. Rosa ai piedi di S. Domenico, XVII sec., Museo de Arte Religioso, Basilica Cattedrale, Lima 

Francisco Martínez, S. Rosa rifiuta la mano di un pretendente, XVII sec., Museo Universitario BUAP, Città di Puebla

Francisco Martínez, S. Rosa nel suo eremitaggio domestico, XVII sec., Museo Universitario BUAP, Città di Puebla

Francisco Martínez, S. Rosa attaccata dal demonio, XVII sec., Museo Universitario BUAP, Città di Puebla

Francisco Martínez, S. Rosa conversa con Gesù Bambino, XVII sec., Museo Universitario BUAP, Città di Puebla

Francisco Martínez, Matrimonio mistico di S. Rosa, XVII sec., Museo Universitario BUAP, Città di Puebla

Cristóbal de Villalpando, Nozze mistiche di S. Rosa, XVII sec., Cattedrale Metropolitana, Città del Messico

Juan Tinoco, Matrimonio mistico di S. Rosa, XVIII sec., Cappella Ochavo, Cattedrale, Puebla

Jose del Pozo (attrib.), S. Rosa, 1810-20 circa, Museo de Arte de Lima, Lima


Altare di S. Rosa, con i crani di S. Rosa e di S. Martino de Porres e le reliquie di S. Giovanni Macias, Basilica di S. Domenico, Lima



Reliquia del cranio di S. Rosa, Basilica di S. Domenico, Lima

Ricostruzione computerizzata del verosimile volto di S. Rosa sulla base dei rilievi del cranio
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Sac. Guido Pettinati SSP,

I Santi canonizzati del giorno, vol. 8, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 253-259

http://www.edizionisegno.it/




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AMDG et BVM


INDICAZIONI PER L'ORAZIONE D'ORO DEL SANTO ROSARIO


Recita attenta

Per pregare bene non basta esporre le nostre domande con la più bella fra le preghiere quale è il Rosario; occorre anche una grande attenzione perché Dio ascolta la voce del cuore più che la voce orale. 

Pregare Dio con distrazioni volontarie è una grande irriverenza che rende infruttuosi i nostri Rosari e ci riempie di peccati. 

Possiamo noi pretendere che Dio ci ascolti se noi stessi non ci ascoltiamo? 
Se mentre preghiamo la Maestà tremenda di Dio, che guarda la terra e la fa trepidare, ci divertiamo volontariamente a rincorrere una farfalla? 

Ciò significherebbe voler allontanare da noi la benedizione di quel gran Signore e rischiare di riceverne piuttosto le maledizioni che Egli lancia
contro chi adempie con negligenza l'opera di Dio: “Maledetto chi compie fiaccamente l'opera del Signore” (Ger 48,10).

Certo, non ti è possibile recitare il Rosario senza qualche distrazione involontaria; anzi è difficile assai dire anche solo un Ave Maria senza che la fantasia, sempre irrequieta, non ti tolga un pizzico della tua attenzione; ma puoi recitarla senza distrazioni volontarie e devi, quindi, prendere ogni precauzione per tenere ferma l'attenzione e diminuire le distrazioni involontarie. 

A tal fine mettiti alla presenza di Dio: pensa che Dio e la sua santa Madre ti guardano, che l'Angelo custode posto alla tua destra coglie le tue Ave Maria se dette bene, come altrettante rose per farne una corona a Gesù e a Maria; pensa che, invece, alla sinistra il demonio ti gira attorno per divorare le tue Ave Maria e segnarle sul libro della morte se dette senza attenzione, devozione e modestia.

Soprattutto, poi, non dimenticare di offrire le varie decine in onore dei misteri e di rappresentarti nella contemplazione Nostro Signore e la sua santa Madre nel mistero che vuoi onorare.

 Si legge nella vita del beato Ermanno dei Premostratensi che quando egli recitava il Rosario con devota attenzione, meditandone i misteri, la Madonna gli appariva splendente di luce e di maestosa quanto incantevole bellezza. 

In seguito la sua devozione s'era intiepidita, il Rosario era detto frettolosamente e senza attenzione; allora la Vergine gli si presentò col volto rugoso, triste, corrucciato. Ermanno si meravigliò per tale mutamento, ma la Madre di Dio gli disse: “Mi faccio vedere così come sono attualmente nella tua anima, perché da tempo tu mi tratti da persona vile e spregevole. Dov'è il tempo in cui mi salutavi con rispettoso riguardo nella considerazione dei misteri e delle mie grandezze?”.



giovedì 11 agosto 2016

Omaggio - Ferragosto

Omaggio

01 Agosto 2016

o-màg-gio
SIGNAtto di deferenza, devozione, ammirazione o cortesia; regalo, dono
dal francese antico homage, derivato di homme 'uomo'.
Quella dicitura che spopola nei supermercati, in cui centinaia di prodotti promettono omaggi, ha una sorprendente ascendenza antica, che dai neon dei corridoi ci porta nelle sale ombrose dei castelli medievali.
L'omaggio non nasce come un dono. Si trattava della cerimonia con cui il sovrano concedeva un feudo a qualcuno: costui, in ginocchio davanti al sovrano che gli teneva le mani giunte, giurava, in virtù delle nuove disponibilità e dei privilegi che il feudo gli assicurava, di servirlo fedelmente con tutte le forze necessarie, in quanto suo nuovo 'uomo' (e da qui l'origine del termine). La solennità di questa cerimonia e la sua impronta didevozione ha fatto sì che l'omaggio passasse a indicare in generale l'atto o la professione di deferenza e ossequio, e da questo il dono che spesso li accompagnava.
L'aura originaria di questa parola è del tutto svaporata nel costante uso commerciale del termine (per cui se compro venti pacchi di biscotti ho un portachiavi in omaggio). Ma non va scordata: l'omaggio resta un atto di deferenza, di ammirazione, di cortesia - che solo in certi casi si traduce in un dono materiale. Espressioni come 'porgere gli omaggi' possono suonare desuete, talvolta perfino affettate o ironiche, ma restano una risorsa nobile e importante. Portiamo alla bella un omaggio floreale, portiamo in omaggio al professore il libro che abbiamo scritto, i musicisti suonano un certo brano in omaggio a un maestro, il comune omaggia il cittadino illustre con un'onoreficenza.

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Ferragosto

15 Agosto 2013
fer-ra-gó-sto
SIGNFestività che ricorre il 15 di agosto
dal latino: feriae Augusti giorni di festa dell'imperatore Augusto.
Per i ritmi di vita legati ai cicli dell'agricoltura, questo è un periodo dell'anno particolarmente importante: infatti le fatiche del raccolto dei cereali giungono al culmine e volgono al termine, e in vista ci sono la vendemmia e la raccolta delle olive. Si tratta di un momento buono per riposarsi, e ritemprare lo spirito, e fare riti di propiziazione per l'inverno che già incombe.
Per questo Augusto, primo imperatore di Roma, nel 18 a.C. decise di indire le feriae Augusti in questo periodo - feriae che per esattezza iniziavano il primo giorno d'agosto -, a fianco di altre antiche festività come i Vinalia rustica e i Consualia: quale modo migliore per farsi amare dal popolo? Ad ogni modo, in epoca cristiana, nel grande sforzo di annichilire le feste pagane, il ferragosto fu spostato al 15 di agosto, in modo che potesse essere assorbito dalla festa religiosa dell'Assunzione - con cui però si è sovrapposto senza perdere la propria identità.
Infatti intorno a questa festa, che attraverso i millenni ha mantenuto una grande popolarità, sono nati molti usi: per lungo tempo è infatti stato costume che i lavoratori rendessero omaggio ai padroni delle terre che lavoravano, alle autorità religiose e agli alti dignitari della cosa pubblica, da cui ricevevano mance e doni; inoltre il ferragosto è diventata una festività spesso associata a brevi viaggi e gite fuori porta - anche per via della promozione fascista: durante il Ventennio venivano organizzati dalle istituzioni stesse.
Posta così, al mezzo d'agosto, questa festa si mostra come l'ultimo bastione sicuro prima di settembre e dell'autunno. ...

mercoledì 10 agosto 2016

«Chi ama la sua vita (in questo mondo) la perderà»




Sermone di san Leone Papa

Nel Natale di S. Lorenzo, dopo il principio


Mentre il furore delle autorità Pagane incrudeliva nelle più elette membra di Cristo, e si sfogava specialmente su quelli che appartenevano all'ordine sacerdotale, l'empio persecutore si accanì contro il levita Lorenzo, che era più in vista non solo perché preposto ai sacro ministero, ma altresì all'amministrazione dei beni ecclesiastici, ripromettendosi coll'incarcerare un solo uomo una duplice preda; perché se l'avesse fatto traditore del sacro tesoro, ne avrebbe fatto anche un'apostata della vera religione. Quest'uomo, avido di denaro e nemico della verità, è armato come di doppia face: dell'avarizia per impossessarsi dell'oro, dell'empietà per rapirgli il Cristo. Chiede al custode senza macchia del santuario di consegnargli le ricchezze della Chiesa, che avidissimamente bramava. Il Levita castissimo, per mostrargli allora il deposito che ne aveva fatto, gli presenta una truppa numerosissima di poveri fedeli, per mantenere e vestire i quali aveva impiegato quei beni ormai inammissibili, i quali tanto più erano salvi, quanto più santamente erano stati impiegati.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.


Lettura 5
Perciò vedendosi frustrato nel disegno di rapina, egli freme e, ardente d'odio contro una religione che aveva istituito tale impiego di ricchezze, non avendo trovata presso di lui nessuna somma di denaro, tenta strappargli il migliore tesoro rapendogli il deposito che era per lui la più sacra delle ricchezze. Ordina a Lorenzo di rinunziare a Cristo e si dispone ad attaccare con terribili supplizi il coraggio intrepido di quell'anima di levita; ma non ottenendo nulla coi primi, ne fa seguire altri più crudeli. Comanda che le sue membra straziate, e tutte lacere dalle percosse, siano poste ad arrostire sul fuoco; e ad aumentarne la sofferenza della tortura e prolungarne il supplizio, ne fa girare e rigirare il corpo su di una graticola di ferro divenuta già rovente per il gran fuoco che vi si faceva sotto.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.


Lettura 6
Non ottieni nulla, non guadagni niente, selvaggia crudeltà. L'elemento mortale si sottrae alle tue torture, Lorenzo se ne sale in cielo, e tu rimani colle tue fiamme impotenti. Le fiamme non poterono vincere la carità di Cristo; e fu più debole il fuoco che bruciava di fuori, che quello che ardeva di dentro. Hai incrudelito, o persecutore, sul Martire: hai incrudelito, ma mentre accumulavi le pene, gli ingrandivi la palma. Infatti, tutte le sue invenzioni non sono forse servite a glorificare la sua vittoria, mentre anche gli istrumenti del supplizio son diventati l'onore del suo trionfo? Gioiamo dunque, dilettissimi, di letizia spirituale, e glorifichiamo, per la felicissima fine di questo illustre eroe, il Signore, che è ammirabile nei suoi Santi, e ci dà in essi il soccorso insieme e l'esempio; egli ha fatto risplendere così la sua gloria nell'intero universo dall'oriente fino all'occidente per il fulgore abbagliante della luce dei leviti, ed altrettanto è illustre Roma per Lorenzo quanto è grande Gerusalemme per Stefano.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

R. Il beato Lorenzo esclamò e disse : Io onoro il mio Dio, e a lui solo servo; 
* E per ciò non temo i tuoi tormenti.
V. La mia notte non ha tenebre, ma tutto brilla di luce.
R. E per ciò non temo i tuoi tormenti.
V. Gloria al Padre, e al Figlio, * e allo Spirito Santo.
R. E per ciò non temo i tuoi tormenti.


Lettura 7
Lettura del santo Vangelo secondo Giovanni.
Joannes 12:24-26
In quell'occasione: Gesù disse ai suoi discepoli: In verità, in verità vi dico, se il chicco di grano non cade in terra, e non muore, rimane solo com'è. Eccetera.

Omelia di sant'Agostino Vescovo.
Trattato 51 su Giovanni, circa la metà
Lo stesso Signore Gesù era il chicco che doveva morire e moltiplicarsi; morire vittima dell'infedeltà dei Giudei, moltiplicarsi per la fede dei popoli. Ora, esortando già a seguire le tracce della sua passione: «Chi ama, dice, la sua vita, la perderà» (Gv 12,25). Il che si può intendere in due modi. Chi ama, la perderà; cioè, se l'ami, la perderai. Se brami di conservare la vita in Cristo, non voler temere di morire per Cristo. Oppure in altro modo: «Chi ama la sua vita la perderà»; non volerla amare, per non perderla; non volerla amare in questa vita, per non perderla nella vita eterna.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Lettura 8
Ma la seconda spiegazione che ho data, sembra essere più vicina al senso del Vangelo; infatti soggiunge: «E chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25). Dunque quando sopra fu detto: «Chi ama», bisogna sottintendere, in questo mondo, costui certo la perderà sicuramente; ma chi l'odia pure in questo mondo, costui la conserverà per la vita eterna. Grande e mirabile sentenza, da cui risulta che c'è nell'uomo un amore che fa perdere l'anima sua, e un odio che gli impedisce di perire. Se l'ami male,allora la odi; se la odi bene, allora l'ami. Felici coloro che la odiano per conservarla, per non perderla amandola.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Lettura 9
Ma basta che non ti venga in mente di volerti suicidare, intendendo così di dovere odiare l'anima tua in questo mondo. Siccome fanno appunto certi uomini cattivi e perversi, crudeli ed empi e omicidi di se stessi, i quali si gettano nelle fiamme, si affogano, si buttano dai precipizi e periscono. Cristo non ha insegnato questo; anzi egli al diavolo che gli suggeriva di precipitarsi (dal tempio) rispose: «Va' via, satana: perché sta scritto: Non tentare il Signore Dio tuo» (Mt 4,10). A Pietro poi disse, indicando con qual morte avrebbe glorificato Dio: «Quando eri più giovane, ti cingevi da te, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio un altro ti cingerà, e menerà dove tu non vorresti» (Gv 21,19). Con che espresse abbastanza, che chi segue le vestigia di Cristo non deve darsi la morte da sé, ma riceverla da un altro.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.


NESSUNO PROTESTA COL ROSARIO IN MANO E' QUELLA L'ARMA POTENTE CHE COMBATTE IL NEMICO MALEDETTO

Preziose indicazioni di San Luigi Maria Grignion de Montfort

Non proprio la lunghezza ma il fervore della preghiera: ecco ciò che piace a Dio e ne attira la benevolenza. 
Una sola Ave Maria detta bene è più meritoria di centocinquanta dette male. Quasi tutti i cattolici recitano il Rosario o una parte o almeno qualche decina di Ave; perché allora sono tanto pochi quelli che si correggono dei loro difetti e avanzano nella virtù, se non perché non recitano queste preghiere come si deve? 

 Vediamo dunque, in qual modo occorra recitarle per piacere a Dio e farci più santi. 

Anzitutto chi recita il Rosario deve essere in grazia di Dio o almeno risoluto ad uscire dallo stato di colpa poiché la teologia insegna che le buone opere e le preghiere fatte in peccato mortale, sono opere morte, non gradite a Dio e senza alcun merito per la vita eterna. 

Così deve intendersi quel che sta scritto: “La sua lode non s'addice alla bocca del peccatore” (Sir 15,9. 67 Mc 7,6). La lode e il saluto angelico e la stessa orazione domenicale non possono piacere a Dio quando sono pronunciate da un peccatore impenitente: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. 

Le persone che si iscrivono nelle mie confraternite - dice Gesù - e recitano ogni giorno il Rosario intero o una parte senza nessuna contrizione dei propri peccati “mi onorano, sì, con le labbra, ma il loro cuore è molto lontano da me”. 

2) Ho detto “... o almeno risoluto ad uscire dallo stato di colpa”: 
I: perché se fosse assolutamente necessario essere in grazia di Dio per fare delle preghiere che Gli siano gradite, ne seguirebbe che quanti sono in peccato mortale non dovrebbero mai pregare, mentre proprio loro hanno più bisogno di pregare che non i giusti. Questo è un errore condannato dalla Chiesa e se ne comprende il motivo: se così fosse non si dovrebbe mai consigliare ad un peccatore di recitare il Rosario poiché gli sarebbe inutile! 

II: Se con la volontà di restare in peccato e senza alcuna intenzione di uscirne, ci si iscrivesse in una confraternita della Madonna o si recitasse il Rosario o altra preghiera, saremmo del numero dei falsi devoti di Maria, di quei devoti presuntuosi ed impenitenti, che sotto il manto di Lei, con lo scapolare sul petto o la corona in mano vanno gridando: “Vergine santa, o Vergine buona, io ti saluto, o Maria” e intanto crocifiggono e feriscono crudelmente Gesù con i loro peccati, e precipitano così dalla sede delle più sante confraternite di Maria nelle fiamme dell'inferno. 

 Consigliamo il Rosario a tutti
ai giusti perché perseverino e crescano in grazia di Dio; 
ai peccatori perché lascino le vie del peccato. 

Ma non sia mai che noi esortiamo un peccatore a farsi del manto di protezione di Maria, un manto di dannazione, nascondendo sotto di esso le proprie colpe, e a convertire il Rosario, che è rimedio ad ogni male, in un veleno funesto e mortale. 

Non c'è peggiore corruzione di quella in cui cade chi prima era eccellente. 

Il dotto cardinal Hugues dice: “bisogna essere angeli di purezza per accostarsi alla Vergine santa e rivolgerle il saluto angelico”. 

La Madonna stessa un giorno fece vedere ad un impudico che recitava quotidianamente il Rosario, bellissimi frutti su un lurido vassoio. Egli ne ebbe ribrezzo e la Vergine gli disse: “Ecco come mi servi; tu mi presenti, sì, delle belle rose ma in un vassoio sporco e contaminato: giudica tu stesso se io lo posso gradire!”.  (Da "Il Segreto Meraviglioso del Santo Rosario"116-8)