martedì 21 giugno 2016

San Luigi Gonzaga, Religioso gesuita

San Luigi Gonzaga Religioso
Nell’autunno del 1585 a Castiglione delle Stiviere e dintorni, fino a Mantova, girava una strana voce: Luigi, il nobile rampollo primogenito del signore della città Ferrante Gonzaga, così bravo e così promettente per il futuro della dinastia, stava per rinunciare al diritto di successione, in favore di Rodolfo, il secondogenito. Era vera la voce? Putroppo sì, ma molti sudditi speravano di no. E invece, un brutto giorno nel castello di San Giorgio, a Mantova, ebbe proprio luogo la solenne cerimonia della rinuncia alla primogenitura. Grande fu il dolore della popolazione semplice, che già lo stimava.
Dicevano infatti: “Non eravamo degni d’averlo per padrone... egli è un santo e Dio ce lo ha tolto”.
Grande dolore (mista a delusione e... rabbia) da parte del padre: aveva posto tutta la propria fiducia e il futuro della propria casata in quel ragazzo... che ora voleva andarsene, per inseguire i suoi strani ideali, abbandonando tutto, potere e lusso, onori e ricchezze, ambizione e gloria. Non riusciva ancora a capire, e tanto meno ad accettare. Comprensibile invece la gioia di Rodolfo, il soggetto privilegiato dalla decisione: d’improvviso e senza colpo ferire si vedeva spalancata la porta che tanto sognava: diventare marchese e signore di Castiglione delle Stiviere, con annessi diritti e connessi privilegi. E questo grazie a quello “strano” fratello, Luigi, che una volta gli rispose essere lui stesso quello più felice. Per inciso: la storia ci dirà che dopo non molti anni l’uno finirà sugli altari (fu dichiarato Beato nel 1605 dal Papa Paolo V), l’altro invece consumerà i suoi giorni scomunicato e infine assassinato.
Per la verità, si era levata anche qualche voce critica verso quella decisione. Ma Luigi aveva risposto:
“Cerco la salvezza, cercatela anche voi! Non si può servire a due padroni... È troppo difficile salvarsi per un signore di Stato!”.
E molti capirono il messaggio.
Luigi, quando prese questa decisione, aveva 17 anni. E così, il 4 novembre 1585, si incamminò verso Roma, dove sarebbe entrato nella giovane Compagnia di Gesù (i Gesuiti). Con sé portava una lettera del padre al Superiore Generale dell’Ordine:
“Lo mando a Vostra Signoria Rev.ma che gli sarà Padre più utile di me... Ella diviene padrone del più caro pegno che io abbia al mondo e della principale speranza che io avessi nella conservazione di questa mia casa”.
Questo ci dà la misura della grandissima stima e aspettative da parte di tutti, di cui godeva Luigi Gonzaga, e, date le sue doti, del brillante avvenire che tutti sognavano per lui.
Grande stima, ammirazione e aspettative lo accompagneranno in quei pochi anni che visse da gesuita.
Dopo la sua morte il padre Generale testimoniò:
“Io non pensai mai che dovesse morire di quella infermità, perché ritenevo per certo che Dio Nostro Signore l’avesse chiamato alla Compagnia di Gesù per dargli a suo tempo il governo di lei, per suo gran bene”.
Un’aspettativa non certo da poco: lo vedeva già, a suo tempo, superiore generale ovvero successore del grande Ignazio di Loyola, il fondatore stesso dei Gesuiti.


Nelle corti, per “aprire gli occhi”

Luigi nacque il 7 marzo 1568, figlio di Ferrante Gonzaga, marchese di Castiglione delle Stiviere (presso Mantova), un uomo orgoglioso e duro, dedito al gioco ma anche attaccato alla famiglia ealla fede, e da Marta di Sàntena, una contessa piemontese, donna molto buona e religiosa che lascerà una profonda influenza sul figlio. Luigi era di intelligenza brillante e aperta, dal carattere forte e focoso, talvolta ostinato e duro. Una volta fu udito affermare: “Sono un pezzo di ferro contorto che deve essere raddrizzato”. Aveva il destino già segnato: diventare marchese imperiale come il padre. E così fin da bambino fu gradualmente fatto entrare in quel mondo nobile e dorato, spesso corrotto e corruttore, dove non di rado regnava il culto dell’effimero e dell’apparenza, il tutto condito di banalità e vanità. Luigi, ancora fanciullo, conobbe la vita di corte di Firenze (1578, con i Medici) dove ebbe la possibilità di giocare con le principessine Eleonora (futura duchessa di Mantova) e con Maria de’ Medici (futura regina di Francia), a Mantova e poi anche a Madrid, alla corte di Filippo II (1582).
Fu all’età di dieci anni che Luigi, nella chiesa dell’Annunziata proprio a Firenze, si offrì a Dio, e spontaneamente “si consacrò a Maria, come Lei si era consacrata a Dio”. Capiva quello che faceva? Certamente, giudicando dalla vita che condusse dopo: intuiva bene il significato del gesto e fu sempre coerente con esso. Intanto cresceva sempre più non solo il gusto della preghiera e della meditazione ma anche una certa insofferenza per quel mondo circostante ricco e gaudente, frivolo e futile nonché, spesso, spiritualmente vuoto.
Luigi si era proposto come ideale di seguire Cristo incondizionatamente e per amore suo anche la povertà. Da Firenze passò a Mantova, e qui si ammalò. I medici gli ordinarono una dieta durissima, a pane e acqua. Luigi approfittò della situazione per imparare volontariamente a... fare penitenza, per amore a Cristo Crocifisso. Qui poi ebbe la consolazione di fare la prima comunione dalle mani del Card. Carlo Borromeo (San), in visita pastorale.
Intanto il mondo di corte gli stava sempre più stretto, ne intuiva i limiti umani e spirituali, e anche i pericoli per sé, e così a poco a poco stava maturando il proposito di rinunciare alla primogenitura. Ne parlò prima alla madre, poi dovette sopportare le burla dei parenti e la inevitabile quanto comprensibile violenta opposizione del padre. Questi era fiero di Luigi: ne voleva fare un grande erede e la fortuna del marchesato. Le premesse di intelligenza, cultura e capacità diplomatiche c’erano (cose che mancavano al fratello). Ferrante Gonzaga era furioso solo alla prospettiva della rinuncia.
Tornati da Madrid (1584) ordinò ai due figli di fare un giro di cortesia per le varie corti italiane. L’obiettivo ufficiale era “distrarre” un po’ Luigi, con un’altra vita di corte magari più brillante, e, secondo motivo nemmeno troppo segreto, la speranza che incrociasse gli sguardi e suscitasse l’interesse di qualche bella principessa di sangue blu. Il ragazzo fu quindi spedito a Mantova, a Parma, a Ferrara, a Pavia e a Torino, fresca capitale (dal 1563) dei Savoia.
Ma Luigi al ritorno, anche davanti a tutto il parentado, fu irremovibile nel suo proposito: rinuncia al marchesato per farsi religioso gesuita. A quel punto pensarono, tristemente sospirando, che la vocazione di quel ragazzo così intelligente e riflessivo, così calmo ma deciso, veniva proprio da Dio, e non era un capriccio adolescenziale. E si rassegnarono.


Il motto: “Come gli altri”, cioè senza privilegi

Luigi entrò nella Compagnia di Gesù nell’anno 1587, a Roma, dopo il noviziato. Durante questo periodo i padri Gesuiti si accorsero subito di avere tra le mani un vero gioiello spirituale. Non solo non aveva bisogno di tutti i discorsi di stampo ascetico, ma il loro problema era di moderare ed equilibrare l’ardore penitenziale che era già patrimonio spirituale del soggetto che dovevano formare. E si crearono anche situazioni al limite dell’umorismo. Luigi era così abituato alla penitenza e all’autocontrollo ascetico che i suoi formatori non trovarono di meglio che proibirgli di... fare penitenza. Con il risultato che per lui la vera penitenza era non fare penitenza.
E siccome soffriva di emicrania il padre spirituale gli consigliò di non pensare troppo intensamente a Dio, con il risultato che doveva sforzarsi maggiormente per obbedire... di non pensare a Dio, per amore di Dio. Confidava ad un suo formatore anziano:
“Veramente io non so che fare. Il padre rettore mi proibisce di fare orazione, acciò che con l’attenzione io non faccia violenza alla testa: ed io maggior forza e violenza mi fo, mentre cerco di distraèr la mente da Dio che io tenerla sempre raccolta in Dio, perché questo già per l’uso mi è quasi diventato connaturale, e vi trovo quiete e riposo e non pena”.
Dio gli era così presente che giunse a pregare: “Allontanati da me, Signore”. Non so quanti santi hanno osato pregare così, escludendo San Pietro, ma questi aveva detto le stesse parole per altri ben noti motivi.
Luigi era già impegnato negli studi di teologia quando sulla città di Roma si abbatté un’immane tragedia: prima la siccità, poi la carestia, infine un’epidemia di tifo. Nell’opera di assistenza che i Gesuiti prestarono, fu presente anche lui: sempre a fianco dei malati, specialmente i più ripugnanti e i moribondi. Girava anche per i palazzi dei nobili a chiedere l’elemosina per quei poveracci. Lo faceva seguendo, lui di sangue nobile, il motto: “Come gli altri”, dimenticando cioè tutti i privilegi. Questo coraggio e questa forza, anche fisica, sentiva che gli veniva da Dio stesso e dal Cristo che lui serviva nei sofferenti. Fino a quando raccolse un moribondo, malato di peste, e se lo caricò sulle spalle per portarlo all’ospedale. Probabilmente fu contagiato proprio in quella circostanza.
La sua fine comunque arrivò velocemente ma non inaspettatamente. All’incontro con Dio era preparatissimo e anche la morte non gli faceva paura tanto che a tutti diceva “Me ne vado felice” e alla stessa madre, nell’ultima lettera, raccomandava di non piangere il proprio figlio come morto ma come vivente e per sempre felice davanti a Dio. Il giorno della sua nascita al cielo fu il 21 giugno 1591, assistito da San Roberto Bellarmino, uno dei grandi Gesuiti della prima ora. Luigi Gonzaga fu un martire non della fede (anche se ne aveva tanta) ma della carità, fino a donare la propria vita per il prossimo
Come si vede da questi piccoli tratti, qui la stoffa del giovane santo, secondo tutti i canoni della santità cristiana, è facilmente riconoscibile e proponibile. Invece non fu così. 
Nel clima anticlericale dell’800 (e anche del primo ’900) la sua santità non solo non fu riconosciuta ma fu ostacolata. In un certo senso ha fatto testo la frase del Gioberti (1801-1852) che aveva scritto essere la santità del Gonzaga “inutile e dannosa a imitarsi”. Invece, escludendo alcuni elementi (forse un po’ esagerati) propri del suo carattere e del tempo in cui visse, i tratti salienti della sua santità hanno un grande valore e sono proponibile anche ai giovani di oggi, così bisognosi di veri e sostanziosi modelli da imitare, e non di effimeri, superficiali e piccoli “eroi” creati ad hoc dall’onnipotente circo mediatico e commerciale.

Autore: Mario Scudu


Dalla LETTERA ALLA MADRE

Io invoco su di te, mia Signora, il dono dello Spirito Santo e consolazioni senza fine. Quando mi hanno portato la tua lettera, mi trovavo ancora in questa regione di morti. Ma facciamoci animo e puntiamo le nostre aspirazioni verso il cielo dove loderemo Dio eterno nella terra dei viventi...
La carità consiste, come dice San Paolo, nel “rallegrarsi con quelli che sono nella gioia e nel piangere con quelli che sono nel pianto”. Perciò, madre illustrissima, devi gioire grandemente perché per merito tuo, Dio mi indica la vera felicità e mi libera dal timore di perderlo.
Ti confiderò, o illustrissima signora, che meditando le bontà divine, mare senza fondo e senza confini, la mia mente si smarrisce. Non riesco a capacitarmi come il Signore guardi alla mia piccola e breve fatica e mi premi con il riposo eterno e dal cielo mi inviti a quella felicità che io fino ad ora ho cercato con negligenza e offra a me, che assai poche lacrime ho sparso per esso, quel tesoro che è il coronamento di grandi fatiche e pianto.
O illustrissima Signora, guardati dall’offendere l’infinita bontà divina, piangendo come morto chi vive al cospetto di Dio e che con la sua intercessione può venire incontro alle tue necessità molto più che in questa vita.
La separazione non sarà lunga. Ci rivedremo in cielo e insieme uniti all’autore della nostra salvezza, godremo gioie immortali, lodandolo con tutta la capacità dell’anima e cantando senza fine le sue grazie. Egli ci toglie quello che prima ci aveva dato solo per riporlo in un luogo più sicuro ed inviolabile e per ornarci di quei beni che noi stessi sceglieremo.
Ho detto queste cose solo per obbedire al mio ardente desiderio che tu, o illustrissima signora e tutta la famiglia, consideriate la mia partenza come un evento gioioso. E tu continua ad assistermi con la tua materna benedizione, mentre sono in mare verso il porto di tutte le mie speranze. Ho preferito scriverti perché niente mi è rimasto con cui manifestarti in modo più chiaro l’amore ed il rispetto che, come figlio, devo alla mia madre.

PREGHIERA di Papa Giovanni Paolo II

San Luigi, povero in spirito a te con fiducia ci rivolgiamo benedicendo il Padre celeste perché in te ci ha offerto una prova eloquente del suo amore misericordioso. Umile e confidente adoratore dei disegni del Cuore divino, ti sei spogliato sin da adolescente di ogni onore mondano e di ogni terrena fortuna. Hai rivestito il cilizio della perfetta castità, hai percorso la strada dell’obbedienza, ti sei fatto povero per servire Iddio, tutto a lui offrendo per amore.
Tu, puro di cuore, rendici liberi da ogni mondana schiavitù. Non permettere che i giovani cadano vittime dell’odio e della violenza; non lasciare che essi cedano alle lusinghe di facili e fallaci miraggi edonistici. Aiutali a liberarsi da ogni sentimento torbido, difendili dall’egoismo che acceca, salvali dal potere del Maligno.
Rendili testimoni della purezza del cuore.
Tu eroico apostolo della carità ottienici il dono della divina misericordia che smuova i cuori induriti dall’egoismo e tenga desto in ciascuno l’anelito verso la santità.
Fa’ che anche l’odierna generazione abbia il coraggio di andare contro corrente, quando si tratta di spendere la vita, per costruire il Regno di Cristo.
Sappia anch’essa condividere la tua stessa passione per l’uomo, riconoscendo in lui, chiunque egli sia, la divina presenza di Cristo.
Con te invochiamo Maria, la Madre del Redentore.
A lei affidiamo l’anima e il corpo, ogni miseria ed angustia, la vita e la morte, perché tutto in noi, come avvenne in te, si compia a gloria di Dio, che vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.

lunedì 20 giugno 2016

ABBIAMO UNA MADRE REGINA

MARIA REGINA NOSTRA

La regalità di Nostra Signora è soprannaturale per carattere, perché la Madonna è la prima e la più alta delle creature di Dio. Non è la prima nell’ordine della natura, perché gli angeli sono naturalmente creature più elevate. Un angelo è puro spirito, e quindi è qualcosa di più di una creatura umana. Ma Maria è la prima creatura nell’ordine della grazia. Ha ricevuto un numero di grazie incomparabilmente maggiore degli angeli. E le grazie ricevute dagli angeli sono subordinate alle grazie ricevute dalla Madonna.

È anche la prima di tutte le donne. Il primo di tutti gli uomini è Nostro Signore Gesù Cristo; la prima di tutte le donne è Nostra Signora. Questo basterebbe da solo a conferirle di diritto il titolo di regina. Perché la regalità è una situazione “de jure” da cui scaturisce una situazione “de facto”. Chi è primo ha diritto di regnare e di essere servito, specialmente quando il suo regno è legato a un regno eterno che non avrà mai fine. Questo definisce la regalità di Maria.

Nostra Signora è la prima fra le creature perché è la Madre di Dio. Nessuna creatura ha avuto o potrà avere un’unione con la Santissima Trinità profonda come la sua. È la figlia prediletta del Padre Eterno, la madre ammirevole della Parola Incarnata, la sposa fedelissima dello Spirito Santo.

Inoltre, è regina perché Dio ha posto il governo di tutte le cose nelle sue mani. Dio ha scelto di non compiere alcunché di soprannaturale sulla Terra senza passare dalla Madonna. Tutte le preghiere che salgono dalla Terra verso il Cielo passano attraverso la Madonna; e tutte le grazie che scendono dal Cielo sulla Terra fanno lo stesso. Se tutto il Cielo chiedesse qualche cosa a Dio prescindendo dalla Madonna, non lo otterrebbe; ma se la Madonna da sola fra i cittadini del Cielo chiedesse una grazia, la otterrebbe. Questo ne fa una regina in tutta le pienezza del termine.

Ora questi concetti che definiscono la sua regalità celeste, il suo titolo più alto, devono trovare una corrispondenza anche nella sua regalità terrestre o sociale. Che cos’è la regalità sociale di Nostra Signora? Tutta la società umana dovrebbe essere organizzata in modo che ogni cosa corrisponda al suo volere di regina. Tutti coloro che governano dovrebbero seguire la sua volontà. San Luigi IX di Francia (1214-1270) usava definire se stesso “le sergent de Dieu en France”, che possiamo tradurre liberamente “il luogotenente di Dio in Francia”.

Considerava se stesso solo un esecutore del volere di Dio, anche se era uno dei più potenti monarchi del suo secolo. Ma comprendeva bene la sua missione, perché è esattamente questo che un re cattolico deve essere. Lo stesso si dovrebbe applicare alla Madonna. I re e i governanti cattolici dovrebbero essere i suoi luogotenenti.
Ma qual è la volontà della Madonna? Dal momento che di regola non ci appare in modo mistico per trasmetterci le sue prescrizioni, come possiamo conoscere la sua volontà? In realtà, la volontà della Madonna corrisponde perfettamente alla dottrina cattolica e all’obbedienza alla Chiesa Cattolica. Questa è la volontà della Madonna – e di Dio, perché la volontà della Madonna coincide perfettamente con la volontà di Dio. La più chiara componente della volontà della Madonna, quella meno soggetta a discussioni, è che si obbedisca alla Chiesa Cattolica.

Ma c’è un altro fattore: la voce della grazia che risuona dentro di noi. La grazia indica a ogni persona il modo di essere discepolo e di realizzare il piano che Dio ha concepito per lui o per lei. Questo è quanto normalmente si chiama vocazione. La vocazione è la chiamata di Dio, che è anche la chiamata di Nostra Signora, a realizzare un piano predefinito che Essi hanno concepito per ciascuno di noi. Quindi, corrispondere alla propria vocazione significa anche fare la volontà della Madonna.

E come si fa a corrispondere alla propria vocazione? Anzitutto, si tratta di fare tutto quanto è in nostro potere per conservare il deposito della dottrina cattolica insegnata dalla Santa Madre Chiesa. Sappiamo che dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II questo deposito di fede, morale, liturgia e diritto canonico è sistematicamente attaccato da nemici della Chiesa che si sono infiltrati al suo interno e che propongono di sostituire la sua dottrina con insegnamenti completamenti nuovi e del tutto diversi. Così obbedire alla propria vocazione oggi significa difendere la dottrina cattolica contro gli attacchi interni ed esterni. Essere fedeli alla chiamata della Madonna ai nostri giorni significa lottare contro i nemici della dottrina della Chiesa.

C’è un altro punto che vorrei trattare. Io parlo spesso di un Regno di Maria come di qualche cosa di futuro. Ma – si dirà – se fare la volontà della Madonna significa seguire la Chiesa, non si può forse affermare che prima della crisi rivoluzionaria, all’apogeo del Medioevo, c’è già stato un Regno di Maria? Perché dunque dovremmo parlare di un Regno di Maria al futuro?

Io non penso che il Medioevo sia stato in senso pieno un Regno di Maria. Poteva diventarlo. Se non fosse entrato in un processo di deterioramento sarebbe stato un Regno di Maria. La devozione alla Madonna stava crescendo e proprio questo segna l’apogeo del Medioevo. Ma subito è iniziato il declino. Un piano di Dio in divenire è stato interrotto.

Aggiungo che nel Medioevo molte delle verità sulla Madonna non erano state completamente chiarite. I dottori che studiavano la Vergine non avevano condotto la mariologia a quegli alti livelli che in realtà questa scienza teologica ha raggiunto dopo, non durante, il Medioevo. Per limitarci a un solo esempio, la grande voce di San Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716) nel Medioevo non era ancora stata ascoltata, né quella che egli definisce la vera devozione alla Madonna era stata spiegata. Anche molte altre verità sulla Madonna che sono poi divenute patrimonio comune della Chiesa nel Medioevo non erano ancora correntemente insegnate. Si può pensare che sarebbero state scoperte e insegnate se non fosse iniziata la crisi del Medioevo.

Ma non è andata così. Il Medioevo è caduto. Così queste verità sono venute alla luce dopo, e il fatto che siano emerse in un’epoca di Rivoluzione e di crisi ha portato con sé la conseguenza che non si sono immediatamente riflesse in modo appropriato nella sfera sociale. Verità teologiche non sono state applicate alla vita della società come sarebbe dovuto accadere. Per la più piena gloria di Dio, è necessario che il suo piano si realizzi sulla Terra. E perché Maria regni sulla Terra è necessario che le verità che la riguardano siano non solo condivise dai devoti ma dispieghino i loro effetti anche sulla vita sociale.
Questi principi riguardano problemi molto profondi della storia. Ma ci consentono di apprezzare nel suo pieno significato la festa della regalità di Maria.


Autore: Plinio Correa de Oliveira



Ricordare un fatto non secondario: per fare il cristianesimo occorre “dare la vita”.



POVERI DELLA TRADIZIONE, NON 

BORGHESI DELLA TRADIZIONE.

  Sapete bene quante volte, su questo foglio di collegamento, abbiamo messo in guardia contro i pericoli del modernismo. Quante volte abbiamo reagito contro la maldestra modernizzazione della Chiesa, che sta ormai compiendosi nella più acuta crisi che la Chiesa abbia mai conosciuto nella sua storia.

  Abbiamo reagito, ne sentiamo tutto il dovere; abbiamo detto di “no”; abbiamo detto di non accettare questo stravolgimento della vita cristiana che si amplifica sotto i nostri occhi.

  È bene, però, ricordare che non abbiamo fatto solo questo, e che non abbiamo fatto innanzitutto questo: ci siamo prima preoccupati di assicurare tra noi una vita stabilmente cristiana.

  Sì, perché “essere contro” non equivale a fare il cristianesimo. È un'illusione mortale quella di pensare che essere contro qualcosa equivalga automaticamente a costruirne l'alternativa.

  Sarebbe per noi un gravissimo inganno quello di pensare che basti reagire al modernismo teologico, al pastoralismo ingannevole del post-concilio, alla mania di mettere al passo con le ultime mode del mondo la vita cristiana, per vedere sorgere un Cattolicesimo sano, secondo Tradizione.

  Il père Emmanuel Andrè, di cui tanto riferiamo sul nostro bollettino e che costituisce certamente uno dei più fulgidi esempi sacerdotali nella Chiesa dei tempi moderni, disse ai suoi monaci, difronte al dilagante Naturalismo: “Siate uomini di Dio, siate uomini di reazione”.

  Verissimo! Per essere di Dio, occorre reagire contro il male dilagante. Occorre dire di “no” all'errore che è in te, e al veleno che circola nel mondo.
  Ma non basta dire di no, occorre essere di Dio: “Siate uomini di Dio...”. La reazione, quella sana, nasce solo dall' “essere di Dio”. Occorre preoccuparsi dunque di fare il cristianesimo; l'interesse dev'essere concentrato sul vivere una vita autenticamente cristiana, sul lavorare perché molti abbiano i mezzi e la possibilità di “essere di Dio”.

  Ci sono alcuni, in certo mondo tradizionalista o conservatore, che sono permanentemente in reazione, in perenne accusa, rischiando di esaurire i propri sforzi nello scovare il male attorno a loro.
  E quando reagiscono contro i cristiani ammodernati, sembrano attendere il cattolicesimo vero dai “modernisti” stessi, pretendendo da loro una conversione che forse attenderanno invano.

  No! Occorre fare il cristianesimo, questo attende Dio da noi; per questo ci da la sua grazia.

  Un grande benedettino, il Card. Schuster, difronte alla grave crisi di qualche monastero, consigliava di non perdere tempo nel tentare la sua riforma, ma di fondarne a fianco un altro, dove regnassero l'osservanza della Regola di San Benedetto e uno spirito autenticamente monastico: nel momento più forte della crisi, questi nuovi monasteri osservanti sarebbero stati l'anima della rinascita cristiana e monastica.

  Così anche per noi: occorre impiantare una vita veramente cristiana dove viviamo, attorno alla Messa tradizionale, fonte di inaudite grazie. Occorre fare il cristianesimo senza perdere nemmeno un minuto, là dove sacerdoti di retta intenzione tornano ad assicurare la Tradizione, nei sacramenti e nella dottrina. I preti, almeno quelli che hanno capito, hanno il dovere di garantire la Tradizione, e i fedeli di riconoscerla e di muoversi!

  Ci resta da ricordare però un fatto non secondario: per fare il cristianesimo occorre “dare la vita”.
Dare la vita, è questa l'obbedienza vera che Dio attende da noi.
  Dare la vita, cioè tutto, perché se Dio non può chiederci tutto, vuol dire che per noi non è.

  Questo dare tutto, va vissuto in una coscienza limpida, unita ad una concretezza estrema, operativa.
  L'impiantare il cristianesimo inizia dalla grazia, cioè dall'altare del Signore: è dalla messa cattolica, dal sacrificio di Cristo, che tutto ha vita, dottrina, preghiera, opere, carità, cultura...
  Per assicurare il culto e la vita cattolica, secondo tradizione, occorre dare la vita: siamo disposti a questo, o ci basta essere contro?
  Se, improvvisamente, fosse data piena libertà all'esperienza della Tradizione, se nella Chiesa ci fosse data questa libertà totale, sorgerebbero questi luoghi di grazia intorno all'altare grazie a noi? Oppure, questo miracolo di libertà per la Tradizione ci troverebbe ancora impegnati ad assicurarci le nostre libertà, i nostri umori alterni? Un siffatto miracolo non ci coglierebbe forse preoccupati di garantirci ancora il nostro “tempo libero”, come fa il resto del mondo?

  Solo perché ogni Domenica, e sottolineiamo ogni, ci sia la messa cantata, occorre che molti diano la vita! Il prete che la celebra, l'organista che accompagna il canto, la schola che sostiene la lode del popolo, i fedeli che stabilmente si riferiscono a quella chiesa.

  Vedete, la nuova liturgia, miseramente ridotta, di fatto ha garantito, favorendole, le “libertà” e il disimpegno dei fedeli. Sembra nata per intrattenere e non per fare il cristianesimo.

  Per fare il cristianesimo occorre non essere liberali, ma uomini impegnati con Dio, consegnanti tutto a Dio: solo i poveri, quelli veri, lo capiscono, non i “borghesi” della tradizione.

  Poveri sono quelli che non sperano la salvezza da sé, dal proprio giudizio e azione. Poveri sono quelli che si consegnano a Dio, disposti a dare tutto perché la Chiesa Cattolica continui ad esserci.

  Borghesi sono, invece, quelli impegnati a salvare i propri spazi di libertà. Sono liberali nell'anima; vogliono amare Dio, ma non consegnando tutto: loro si illudono e la Chiesa scompare.

Editoriale di "Radicati nella fede" - Febbraio 2016


domenica 19 giugno 2016

Santa Giuliana Falconieri

Santa Giuliana Falconieri Vergine
Nipote di uno dei Sette santi fondatori dei Servi di Maria, sant’Alessio, Giuliana Falconieri (1270-1341) ne seguì le orme diventando fondatrice e prima superiora delle Sorelle dell’ordine dei Servi della beata Vergine Maria, dette Mantellate. Con lei avevano preso il velo alcune sue amiche che la seguirono in uno stile di vita improntato al carisma dei Serviti e a una regola molto rigida. Nata a Firenze da una famiglia nobile, visse la vocazione sin da ragazza in casa, divenendo a 14 anni Terziaria. Vestito l’abito, anzi l’ampio mantello scuro che caratterizzò le religiose, resse il convento per 40 anni. Non potendo comunicarsi, nei suoi ultimi giorni la santa chiese che un’ostia consacrata le fosse posata sul petto. La particola – mentre lei moriva dicendo «Mio dolce Gesù, Maria!» – scomparve e ne rimase impresso il segno. Venne beatificata nel 1678 e canonizzata nel 1737. 
Etimologia: Giuliana = appartenente alla 'gens Julia', illustre famiglia romana, dal latino
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: A Firenze, santa Giuliana Falconieri, vergine, che istituì le Suore dell’Ordine dei Servi di Maria, chiamate per il loro abito religioso ‘Mantellate’. 

*

Giuliana dalla vita ha ricevuto tanto: nobiltà di casato, ricchezza di famiglia, amore sviscerato dei genitori, che avevano atteso talmente tanto la sua nascita da considerarla dono del Cielo e, pertanto, meritevole di ogni premurosa attenzione. 

Dalla vita ha ricevuto anche bellezza fisica, vantaggiose proposte di matrimonio, un’ottima educazione. Ed anche uno zio santo, quel tal Sant’ Alessio Falconieri, che figura tra i Sette Fondatori dei Servi di Maria. 





Nonostante questo insieme di doni naturali c’è chi da subito pensa che quella ragazza bella, forse allevata nella bambagia come tutti i figli nati quando i genitori sono avanti negli anni, sia fatta più per il cielo che per la terra.

E non si sbaglia. Non sa cosa sia uno specchio, non si cura del proprio abbigliamento, non dimostra alcun interesse per gioielli e piaceri mondani, che pure non le mancherebbero se soltanto volesse. Rimanda al mittente le proposte di matrimonio, anche quelle serie e motivate e serie, che riceve; dimostra una straordinaria inclinazione per le pratiche di pietà e per la vocazione religiosa: insomma, una ragazza da convento. 

Ed infatti in convento ci va, non appena mamma, morendo, la lascia completamente sola; anzi, fonda un monastero proprio, scegliendo, com’è naturale, la linea spirituale tracciata dal santo zio Alessio, la spiritualità dei Servi di Maria, appunto, che ha già respirato in famiglia e nella quale si è addestrata con la guida di un altro santo, Filippo Benizi, vivendo in casa come una consacrata. 

L’esempio di Giuliana è contagioso e viene seguito da molte compagne della ricca borghesia fiorentina; dai Servi di Maria ereditano l’ampio mantello nero a causa del quale vengono subito battezzate dal popolo come “le Mantellate”. 

Vivono in contemplazione ed esercitano la carità, digiunano completamente il mercoledì e il venerdì di ogni settimana, il sabato si accontentano di pane ed acqua, tutti i giorni trascorrono la maggior parte del loro tempo nella preghiera e nella meditazione dei sette dolori di Maria. 

Il clima fiorentino in cui si trovano a vivere è pervaso da nuova vita e da antichi rancori, la città è divisa da inimicizie e discordie che ogni giorno si traducono in sanguinose vendette. Le Mantellate si assumono spontaneamente il compito di pregare e digiunare, per rasserenare gli animi, per ottenere la pace dei loro concittadini. 
*
Giuliana, in particolare, alle opere di digiuno e di preghiera, aggiunge anche il dono prezioso dei suoi dolori fisici, soprattutto quelli di stomaco, che la perseguitano per diversi anni, giungendo al punto da consumarla completamente e da non permetterle di assumere il benché più leggero alimento. 

E’ per questo che quel 19 giugno 1341, a lei, morente, viene negato anche il conforto del viatico, perché si ha paura che neppure riesca a deglutire l’ostia consacrata. Gliela depongono solo su un corporale, che è stato steso sul suo petto, ma tra lo stupore di tutti l’ostia svanisce. 

Le sue monache credono di sciogliere l’enigma quando, appena spirata e mentre ne stanno ricomponendo il cadavere, notano in corrispondenza del cuore un marchio viola, grande appunto come l’ostia consacrata, come se questa si fosse impressa nel suo corpo: il marchio che le Mantellate ancora oggi portano impresso sul loro abito religioso, a ricordo della miracolosa ultima “comunione” della loro fondatrice. 


Proclamata santa da Clemente XII nel 1737, Giuliana Falconieri è festeggiata il 19 giugno ed invocata particolarmente contro i dolori di stomaco.

Autore: Gianpiero Pettiti

AVE MARIA!

SANTI-SBANDATI-VELENO

LA CHIESA E I SUOI SACERDOTI

rivelazioni di Gesù a
Mons. Michelini
Un anno prima della sua morte Mons. Michelini ricevette un messaggio profetico relativo alla Chiesa e alla Massoneria, definendola la “Chiesa dei Demoni” 
Attraverso il libro “Confidenze di Gesù ad un Sacerdote” di Mons. Michelini, Gesù stesso confiderà l’esistenza di tre tipi di sacerdoti, parlerà della figura dei vescovi e degli errori fatali della Chiesa Cattolica
Figlio mio quante volte ti ho detto e ricordato che Lucifero e il suo stato maggiore fondano la loro attività ed il loro modo di essere scimmiottando Dio…. Io Gesù vero Dio e vero Uomo, ho fondato la mia Chiesa gerarchica… e gerarchica è la chiesa di Satana sulla terra, la Massoneria; Io Gesù avevo disseminato fortezze spirituali in tutta la mia Chiesa…La Massoneria, la chiesa dei Demoni,ha disseminato nel mondo le sue Logge con capi e gregari al solo scopo di contrapporsi e combattere la mia Chiesa, ed essendo i demoni tali appunto perché ribelli a Dio, tutta la loro attività è ispirata e imperniata sulla ribellione e quindi sul contrario di quanto si compie nella Mia Chiesa.
La Massoneria voluta, sorretta e guidata dalle potenze oscure del male, sta raggiungendo il massimo livello della sua opera di demolizione della mia Chiesa operando all’interno e all’esterno; all’interno ha molti gregari al vertice e alla base, all’esterno come sempre mascherata dall’ipocrisia ma colpendo e iniettando col suo pungiglione velenoso tutti coloro con cui viene a contatto; oggi poi,presentendo prossimo il grande scontro minutamente preparato da tanto tempo con subdola arte, non esita a manifestare ciò che ha sempre tenuto gelosamente nascosto,occultato.
Tacciano di pazzia coloro che sono rimasti e rimangono fermi nella Fede e nella fedeltà a Dio e alla Chiesa, che, anche se quasi interamente prigioniera di queste forze tenebrose infernali e terrestri. Resisterà e non sarà distrutta anzi, dalle sofferenze dell’ora attuale uscirà più bella e più luminosa come mai non fu.(Messaggio di Gesù del 6 novembre 1978)
Il 20 ottobre 1975 Gesù aveva lasciato un messaggio particolareggiato sulla figura dei sacerdoti suddividendoli in tre categorie:
Sacerdoti Santi
Figlio mio, scrivi. Vi sono tre categorie di sacerdoti. Vi sono sacerdoti santi. Sacerdoti buoni,veramente buoni che vivono, in unione con Me, la Vita mia divina.Sono illuminati dalla Sapienza,guidati nelle loro pastorali fatiche dallo Spirito SantoSeguono i miei insegnamenti comunicati a loro dal mio Vicario sulla terra, il Papa. Sono animati, vivificati dall’amore che è fuoco che purifica, che illumina e riscalda, che li trasforma e li unisce a Me come Io sono unito a Padre. Adempiono con diligenza il loro ministero sacerdotale, portando le anime a Me con la preghiera, con l’offerta, con la sofferenza. Sono cari al mio Cuore misericordioso e cari sono alla mia e vostra Mamma; sono oggetto della mia predilezione. L’umiltà che li anima ha attirato su di loro lo sguardo misericordioso mio, Verbo di Dio, del Padre e dello Spirito Santo. Per loro, per la loro pietà, molte pene sono state risparmiate agli uomini; hanno assicurato la mia protezione. Un posto e una corona li attendono in Paradiso.
Sacerdoti sbandati
La seconda categoria è quella degli sbandati, dei disorientati.Sono coloro che hanno molto di più a cuore gli affari del mondo, che non quelli diDio. E sono tanti, figlio mio. Hanno tempo per tutto, per i loro umani affetti;  hanno tempo per gli svaghi, per letture nocive all’anima loro e che accrescono le ombre.Nessun tempo per pregareper meditare. La loro vita non è vita di unione con DioMancano del dono della Sapienza.Non vedono, non capiscono; insomma hanno orecchi ma non odono, hanno occhi ma non vedono. Il loro formalismo mimetizza una pratica di vita cristiana, svuotata dell’anima vera, senza vita di Grazia. Fra costoro le evasioni sono state molte. Moltissime saranno le fughe, le apostasie vere e proprie nell’ora non lontana della Giustizia. Molti in quell’ora riveleranno dinanzi al mondo la loro identità di Giuda. Ho detto davanti al mondo perché Io li conosco da sempre.
Il Padre li aspetta
Ma li amo ugualmente, voglio la loro conversione. Il Padre li aspetta. Non ha che un desiderio, dire ad ognuno: “Vieni, o figlio, tutto è dimenticato, tutte le scorie del tuo animo sono bruciate dal mio Amore! Ma, proprio perché ti amo, non ti posso nascondere quale tremenda responsabilità sia resistere a Dio che ti aspetta, a Dio che ti ama, sino al punto di effondere in continuazione il suo Sangue prezioso per te. […] Ve lo ripeto, l’ora della misericordia sta per cedere all’ora della giustizia. […] E’ astuzia del vostro nemico,Satana, farvi credere morta la Giustizia divina, Misericordia e Giustizia in Me sono una cosa sola. Possibile tanta cecità?
Veleno di Satana
La terza categoria è formata da quei sacerdoti che si autoritengono intimamente buoni. Vivono come se fossero buoni, ma un velo li avvolge, il velo della loro presunzione per cui non vedono quella realtà interiore che spesso può fuggire agli uomini, ma non a Me, Dio. In altre parole: mancano della vera e sincera umiltà, quella umiltà che deve fare di voi altrettanti fanciulli; manca la semplicità dell’umiltà. Ad essi il Padre mio nulla rivela. E’ difficile la loro conversionela loro superbia è raffinata, rivestita di umiltà. Ma sotto quella pseudoumiltà, vi è il veleno di Satana, proprio come certi gioielli all’apparenza preziosi, ma sotto la velatura d’oro sta il metallo vile. Non credono che a se stessi, disdegnano e mal soffrono che qualcuno veda un poco più lontano di loro. Satana in molti modi tende i suoi lacci ai miei sacerdoti. Anche per questi bisogna pregare e soffrire, perché ardua è la loro conversione. Ora basta, figlio mio, vedo che sei stanco. Ti benedico e con Me ti benedicono la Madre mia e San Giuseppe.
Ma Gesù non si limitò a parlare a Mons. Michelini dei sacerdoti, tre giorni dopo, esattamente il  23 ottobre 1975, gli parlò anche dei vescovi e dei loro fatali errori.