domenica 19 giugno 2016

Santa Giuliana Falconieri

Santa Giuliana Falconieri Vergine
Nipote di uno dei Sette santi fondatori dei Servi di Maria, sant’Alessio, Giuliana Falconieri (1270-1341) ne seguì le orme diventando fondatrice e prima superiora delle Sorelle dell’ordine dei Servi della beata Vergine Maria, dette Mantellate. Con lei avevano preso il velo alcune sue amiche che la seguirono in uno stile di vita improntato al carisma dei Serviti e a una regola molto rigida. Nata a Firenze da una famiglia nobile, visse la vocazione sin da ragazza in casa, divenendo a 14 anni Terziaria. Vestito l’abito, anzi l’ampio mantello scuro che caratterizzò le religiose, resse il convento per 40 anni. Non potendo comunicarsi, nei suoi ultimi giorni la santa chiese che un’ostia consacrata le fosse posata sul petto. La particola – mentre lei moriva dicendo «Mio dolce Gesù, Maria!» – scomparve e ne rimase impresso il segno. Venne beatificata nel 1678 e canonizzata nel 1737. 
Etimologia: Giuliana = appartenente alla 'gens Julia', illustre famiglia romana, dal latino
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: A Firenze, santa Giuliana Falconieri, vergine, che istituì le Suore dell’Ordine dei Servi di Maria, chiamate per il loro abito religioso ‘Mantellate’. 

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Giuliana dalla vita ha ricevuto tanto: nobiltà di casato, ricchezza di famiglia, amore sviscerato dei genitori, che avevano atteso talmente tanto la sua nascita da considerarla dono del Cielo e, pertanto, meritevole di ogni premurosa attenzione. 

Dalla vita ha ricevuto anche bellezza fisica, vantaggiose proposte di matrimonio, un’ottima educazione. Ed anche uno zio santo, quel tal Sant’ Alessio Falconieri, che figura tra i Sette Fondatori dei Servi di Maria. 





Nonostante questo insieme di doni naturali c’è chi da subito pensa che quella ragazza bella, forse allevata nella bambagia come tutti i figli nati quando i genitori sono avanti negli anni, sia fatta più per il cielo che per la terra.

E non si sbaglia. Non sa cosa sia uno specchio, non si cura del proprio abbigliamento, non dimostra alcun interesse per gioielli e piaceri mondani, che pure non le mancherebbero se soltanto volesse. Rimanda al mittente le proposte di matrimonio, anche quelle serie e motivate e serie, che riceve; dimostra una straordinaria inclinazione per le pratiche di pietà e per la vocazione religiosa: insomma, una ragazza da convento. 

Ed infatti in convento ci va, non appena mamma, morendo, la lascia completamente sola; anzi, fonda un monastero proprio, scegliendo, com’è naturale, la linea spirituale tracciata dal santo zio Alessio, la spiritualità dei Servi di Maria, appunto, che ha già respirato in famiglia e nella quale si è addestrata con la guida di un altro santo, Filippo Benizi, vivendo in casa come una consacrata. 

L’esempio di Giuliana è contagioso e viene seguito da molte compagne della ricca borghesia fiorentina; dai Servi di Maria ereditano l’ampio mantello nero a causa del quale vengono subito battezzate dal popolo come “le Mantellate”. 

Vivono in contemplazione ed esercitano la carità, digiunano completamente il mercoledì e il venerdì di ogni settimana, il sabato si accontentano di pane ed acqua, tutti i giorni trascorrono la maggior parte del loro tempo nella preghiera e nella meditazione dei sette dolori di Maria. 

Il clima fiorentino in cui si trovano a vivere è pervaso da nuova vita e da antichi rancori, la città è divisa da inimicizie e discordie che ogni giorno si traducono in sanguinose vendette. Le Mantellate si assumono spontaneamente il compito di pregare e digiunare, per rasserenare gli animi, per ottenere la pace dei loro concittadini. 
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Giuliana, in particolare, alle opere di digiuno e di preghiera, aggiunge anche il dono prezioso dei suoi dolori fisici, soprattutto quelli di stomaco, che la perseguitano per diversi anni, giungendo al punto da consumarla completamente e da non permetterle di assumere il benché più leggero alimento. 

E’ per questo che quel 19 giugno 1341, a lei, morente, viene negato anche il conforto del viatico, perché si ha paura che neppure riesca a deglutire l’ostia consacrata. Gliela depongono solo su un corporale, che è stato steso sul suo petto, ma tra lo stupore di tutti l’ostia svanisce. 

Le sue monache credono di sciogliere l’enigma quando, appena spirata e mentre ne stanno ricomponendo il cadavere, notano in corrispondenza del cuore un marchio viola, grande appunto come l’ostia consacrata, come se questa si fosse impressa nel suo corpo: il marchio che le Mantellate ancora oggi portano impresso sul loro abito religioso, a ricordo della miracolosa ultima “comunione” della loro fondatrice. 


Proclamata santa da Clemente XII nel 1737, Giuliana Falconieri è festeggiata il 19 giugno ed invocata particolarmente contro i dolori di stomaco.

Autore: Gianpiero Pettiti

AVE MARIA!

SANTI-SBANDATI-VELENO

LA CHIESA E I SUOI SACERDOTI

rivelazioni di Gesù a
Mons. Michelini
Un anno prima della sua morte Mons. Michelini ricevette un messaggio profetico relativo alla Chiesa e alla Massoneria, definendola la “Chiesa dei Demoni” 
Attraverso il libro “Confidenze di Gesù ad un Sacerdote” di Mons. Michelini, Gesù stesso confiderà l’esistenza di tre tipi di sacerdoti, parlerà della figura dei vescovi e degli errori fatali della Chiesa Cattolica
Figlio mio quante volte ti ho detto e ricordato che Lucifero e il suo stato maggiore fondano la loro attività ed il loro modo di essere scimmiottando Dio…. Io Gesù vero Dio e vero Uomo, ho fondato la mia Chiesa gerarchica… e gerarchica è la chiesa di Satana sulla terra, la Massoneria; Io Gesù avevo disseminato fortezze spirituali in tutta la mia Chiesa…La Massoneria, la chiesa dei Demoni,ha disseminato nel mondo le sue Logge con capi e gregari al solo scopo di contrapporsi e combattere la mia Chiesa, ed essendo i demoni tali appunto perché ribelli a Dio, tutta la loro attività è ispirata e imperniata sulla ribellione e quindi sul contrario di quanto si compie nella Mia Chiesa.
La Massoneria voluta, sorretta e guidata dalle potenze oscure del male, sta raggiungendo il massimo livello della sua opera di demolizione della mia Chiesa operando all’interno e all’esterno; all’interno ha molti gregari al vertice e alla base, all’esterno come sempre mascherata dall’ipocrisia ma colpendo e iniettando col suo pungiglione velenoso tutti coloro con cui viene a contatto; oggi poi,presentendo prossimo il grande scontro minutamente preparato da tanto tempo con subdola arte, non esita a manifestare ciò che ha sempre tenuto gelosamente nascosto,occultato.
Tacciano di pazzia coloro che sono rimasti e rimangono fermi nella Fede e nella fedeltà a Dio e alla Chiesa, che, anche se quasi interamente prigioniera di queste forze tenebrose infernali e terrestri. Resisterà e non sarà distrutta anzi, dalle sofferenze dell’ora attuale uscirà più bella e più luminosa come mai non fu.(Messaggio di Gesù del 6 novembre 1978)
Il 20 ottobre 1975 Gesù aveva lasciato un messaggio particolareggiato sulla figura dei sacerdoti suddividendoli in tre categorie:
Sacerdoti Santi
Figlio mio, scrivi. Vi sono tre categorie di sacerdoti. Vi sono sacerdoti santi. Sacerdoti buoni,veramente buoni che vivono, in unione con Me, la Vita mia divina.Sono illuminati dalla Sapienza,guidati nelle loro pastorali fatiche dallo Spirito SantoSeguono i miei insegnamenti comunicati a loro dal mio Vicario sulla terra, il Papa. Sono animati, vivificati dall’amore che è fuoco che purifica, che illumina e riscalda, che li trasforma e li unisce a Me come Io sono unito a Padre. Adempiono con diligenza il loro ministero sacerdotale, portando le anime a Me con la preghiera, con l’offerta, con la sofferenza. Sono cari al mio Cuore misericordioso e cari sono alla mia e vostra Mamma; sono oggetto della mia predilezione. L’umiltà che li anima ha attirato su di loro lo sguardo misericordioso mio, Verbo di Dio, del Padre e dello Spirito Santo. Per loro, per la loro pietà, molte pene sono state risparmiate agli uomini; hanno assicurato la mia protezione. Un posto e una corona li attendono in Paradiso.
Sacerdoti sbandati
La seconda categoria è quella degli sbandati, dei disorientati.Sono coloro che hanno molto di più a cuore gli affari del mondo, che non quelli diDio. E sono tanti, figlio mio. Hanno tempo per tutto, per i loro umani affetti;  hanno tempo per gli svaghi, per letture nocive all’anima loro e che accrescono le ombre.Nessun tempo per pregareper meditare. La loro vita non è vita di unione con DioMancano del dono della Sapienza.Non vedono, non capiscono; insomma hanno orecchi ma non odono, hanno occhi ma non vedono. Il loro formalismo mimetizza una pratica di vita cristiana, svuotata dell’anima vera, senza vita di Grazia. Fra costoro le evasioni sono state molte. Moltissime saranno le fughe, le apostasie vere e proprie nell’ora non lontana della Giustizia. Molti in quell’ora riveleranno dinanzi al mondo la loro identità di Giuda. Ho detto davanti al mondo perché Io li conosco da sempre.
Il Padre li aspetta
Ma li amo ugualmente, voglio la loro conversione. Il Padre li aspetta. Non ha che un desiderio, dire ad ognuno: “Vieni, o figlio, tutto è dimenticato, tutte le scorie del tuo animo sono bruciate dal mio Amore! Ma, proprio perché ti amo, non ti posso nascondere quale tremenda responsabilità sia resistere a Dio che ti aspetta, a Dio che ti ama, sino al punto di effondere in continuazione il suo Sangue prezioso per te. […] Ve lo ripeto, l’ora della misericordia sta per cedere all’ora della giustizia. […] E’ astuzia del vostro nemico,Satana, farvi credere morta la Giustizia divina, Misericordia e Giustizia in Me sono una cosa sola. Possibile tanta cecità?
Veleno di Satana
La terza categoria è formata da quei sacerdoti che si autoritengono intimamente buoni. Vivono come se fossero buoni, ma un velo li avvolge, il velo della loro presunzione per cui non vedono quella realtà interiore che spesso può fuggire agli uomini, ma non a Me, Dio. In altre parole: mancano della vera e sincera umiltà, quella umiltà che deve fare di voi altrettanti fanciulli; manca la semplicità dell’umiltà. Ad essi il Padre mio nulla rivela. E’ difficile la loro conversionela loro superbia è raffinata, rivestita di umiltà. Ma sotto quella pseudoumiltà, vi è il veleno di Satana, proprio come certi gioielli all’apparenza preziosi, ma sotto la velatura d’oro sta il metallo vile. Non credono che a se stessi, disdegnano e mal soffrono che qualcuno veda un poco più lontano di loro. Satana in molti modi tende i suoi lacci ai miei sacerdoti. Anche per questi bisogna pregare e soffrire, perché ardua è la loro conversione. Ora basta, figlio mio, vedo che sei stanco. Ti benedico e con Me ti benedicono la Madre mia e San Giuseppe.
Ma Gesù non si limitò a parlare a Mons. Michelini dei sacerdoti, tre giorni dopo, esattamente il  23 ottobre 1975, gli parlò anche dei vescovi e dei loro fatali errori.

Stemma di Benedetto XVI

Stemma di Benedetto XVI



Lo Stemma di Benedetto XVI è l'emblema che riassume graficamente gli elementi scelti da Papa Ratzinger per definire il suo Pontificato. Nello scudo che lo rappresenta sono evidenti i simboli della Baviera, sua terra natale, il grande amore per Sant'Agostino e il richiamo alla dimensione universale della Chiesa.

Descrizione

"Di rosso, cappato d'oro alla conchiglia dello stesso; la cappa destra alla testa di moro al naturale, vestita, labbratacoronata di rosso; la cappa sinistra all'orso bruno al naturale, levato lampassato e caricato d'un basto di rosso, legato di nero. Accollato alle chiavi pontificie. Timbrato da una mitrad'argento, portante tre fasce d'oro collegate verticalmente dello stesso. Uscente dal margine inferiore della punta un pallio al naturale, con un'estremità visibile di nero, caricato di tre crocette patenti rosse".
Lo Stemma papale è la rielaborazione di quello episcopale e attinge nella forma all'araldica medioevale. Presenta tuttavia delle novità rispetto ai simboli scelti, il cui significato è tutto cristiano.
Lo scudo in primo piano è diviso in tre aree: la parte centrale riporta la conchiglia[1] che ricorda la leggenda intorno alla figura di Sant'Agostino. Si narra infatti che il santo, incontrando un bambino sulla spiaggia che tentava di mettere l'acqua del mare in un buco aiutandosi con una conchiglia capì che la sua ragione non poteva contenere il mistero di Dio.[2] La conchiglia appare anche nello stemma de lmonastero di Schotten, a Ratisbona, a cui il pontefice è molto legato.
Nelle due "cappe" laterali ci sono su sfondo dorato i due simboli dell'arcidiocesi di Monaco e Frisinga,[3]di cui Ratzinger è stato arcivescovo. A sinistra, la testa di un moro[4], mentre sull'altro lato appare un orso caricato di un fardello.
Secondo la tradizione, il primo vescovo di Frisinga, san Corbiniano mentre si recava a Roma fu assalito da un orso che lo privò del cavallo. Ammansito l'orso, il santo lo costrinse a portare la soma.[5]
Dietro lo scudo si trovano le chiavi, riferimento alla figura di San Pietro. Sopra, invece un elemento di novità rispetto agli stemmi dei suoi predecessori. La tiara è stata sostituita dalla mitria. Anche il "pallio" che chiude lo scudo nella parte inferiore è una novità e rappresenta la collegialità e l'unità tra il Papa e la Chiesa.

Simbologia

La conchiglia, simbolo del pellegrino è legata in particolare al Pellegrinaggio di Santiago di Compostela (è detta per questo anche conchiglia di San Giacomo) e vuole ricordare lo status di pellegrini sulla terra alla continua ricerca di Dio, pur con mezzi inadeguati, nonché il peregrinante popolo di Dio del quale Benedetto XVI si riconosce pastore.[6]
Il "moro"[7] è il tradizionale simbolo della Diocesi di Frisinga (Freising) risalente all' VIII secolo e adottato intorno al 1316 all'epoca dell'erezione del Principato Vescovile. Secondo la tradizione rappresenterebbe San Maurizio, il cui nome ha fatto ipotizzare una sua origine dalla Mauritania o dalla Numidia (l'attuale Sudan), che fu "Primicerio" (ufficiale maggiore) della Legione Tebea, quella formata da legionari cristiani. Durante la spedizione contro i Galli rifiutò con i suoi soldati di sacrificare agli dei per propiziare la vittoria: perciò l'imperatore Massimiano Erculeo li fece uccidere tutti presso Agaunum (l'odierna Saint Maurice, presso Martigny, nel Vallese) nel 287. La corona che il moro porta in testa è un antico simbolo di martirioper la fede.
La figura dell'orso "addomesticato" ha due significati:
  • come il cristianesimo ammansì il paganesimo
  • l'onere del ministero episcopale
La mitra d'argento, novità nello stemma del pontefice, riporta tre fasce d'oro, collegate da un braccio verticale così da farle assomigliare ad una crocepatriarcale. Questi elementi indicano che i tre poteri (Ordine SacroGiurisdizioneMagistero) sono collegati nelle stessa persona del papa.
Il pallio, indica la dignità pontificia[8]; È anche segno di dignità degli arcivescovi metropoliti: indica quindi la collegialità del ministero e della giurisdizione del papa con gli arcivescovi e, per mezzo di loro, con i vescovi suffraganei.
La forma del pallio è mutata nel corso del tempo: papa Ratzinger ne ha adottato uno che ricalca quello ritrovato nel sepolcro di San Martino di Tours, lungo 260 centimetri, largo 8, risalente all' XI secolo che è considerato l'esemplare più antico giunto fino a noi.

Particolarità

Nello stemma di Benedetto XVI manca il cartiglio con il motto Cooperatores Veritatis tratto dalla Terza lettera di Giovanni versetto 8, che invece compariva in quello episcopale. Una scelta questa che lo accomuna agli stemmi papali dell'ultimo secolo.
Note
  1.  Nell'autobiografia Ratzinger così spiega: "La conchiglia è il simbolo del nostro essere pellegrini sulla terra".
  2.  Sempre nell'autobiografia si legge :" La conchiglia è un richiamo al mio grande maestro e al mio lavoro teologico". Joseph Ratzinger conseguì la laurea inTeologia, con una tesi dal titolo "Il popolo e la casa di Dio nell'insegnamento di Sant'Agostino sulla Chiesa".
  3.  Nel 1818, con il Concordato tra Pio VII e re Massimiliano Giuseppe di Baviera venne creata l'Arcidiocesi di Monaco-Frisinga, con sede a Monaco.
  4.  Così lo stesso papa spiega: "Per me è l'espressione dell'universalità della Chiesa .
  5.  Nel suo libro Ratzinger racconta che in esso vede riflesse le parole del Sal 72[71] che spiegano con un'immagine poetica quel che deve essere il vicario di Cristo.
  6.  Nello stemma cardinalizio di Ratzinger la conchiglia era rappresentata pescante dal mare.
  7.  Figura molto diffusa nell'araldica germanica, è anche il patrono delle Guardie Svizzere nonché "contitolare" dell'Ordine Cavalleresco dei Santi Maurizio e Lazzaro (detto anche Ordine Mauriziano).
  8.  Secondo Andrea Cordero Lanza di Montezemolo in antico era una vera e propria pelle d'agnello che si poggiava sulla spalla. Secondo Bruno Bernard Heimderiva dalla toga senatoria che in seguito venne sostituita da una lunga striscia di lana bianca tessuta con il vello di agnelli allevati per questo scopo. La striscia è caricata con sei croci (nere o rosse).

AMMAESTRATE


"Secondo l’espressione paolina, la Chiesa ha un «capo» e un «corpo», dal momento che è un organismo vivente. Un corpo senza capo non è più un corpo vivo, ma un cadavere.
Il capo della Chiesa è però Cristo.
Questo è il contenuto più profondo e l’essenza più intima del sacramento, che devono essere difesi ben al di là d’ogni sondaggio d’opinione e senza dei quali la Chiesa e l’umanità sarebbero solo dei cadaveri.
La parola di Cristo non è mai stata affatto così banale, così zuccherosa e sentimentale come vorrebbe far credere una certa lettura pseudoromantica della figura di Gesù. Essa proveniva dallo sguardo acuto dell’amore vero, che non si lascia separare dalla verità, e l’ha perciò condotto fin sulla croce.
Essa fu pietra d’inciampo per la pubblica opinione d'ogni partito, e oltre qualsiasi misura; e da allora nulla è cambiato a questo proposito.
Ma quando ci si vuole dare a intendere che la storia del magistero ecclesiastico sia stata unicamente la storia d’una resistenza ottusa contro il progresso, e che soltanto la storia delle eresie rappresenti la storia della vera « illuminazione » dell’umanità, allora a quest’interpretazione si oppone l’intera schiera dei santi: da Paolo a Giovanni, da Clemente Romano e Ignazio d’Antiochia fino a Massimiliano Kolbe e a tutti gli altri martiri cristiani di questo secolo.
E quando siamo continuamente martellati dalla propaganda ideologica della pubblicistica marxista, secondo la quale l’autorità non è che potere e il potere nient’altro che uno strumento d’oppressione, allora è tempo di opporsi decisamente a tale mescolanza confusa di verità e di falsità.
Il potere ha oggi più di un volto.
Una delle sue forme principali è il potere di formare le opinioni, e di incatenare gli uomini ai ceppi dei grandi opinion- makers (i « professionisti dell’opinione pubblica »). Questo potere « sociale » non esiterà a fare a pugni con chiunque lo voglia contraddire; ma proprio quest’essere « segno di contraddizione » san Paolo l’ha indicato come la posizione e la condizione fondamentale dell’apostolo e del testimone di Gesù Cristo nel mondo (cfr. ICor 4,12s)."
(Zeitfragen und christlicher Glaube, pp. 23ss)

sabato 18 giugno 2016

Sant' Ildefonso


Sant’Ildefonso di Toledo
Vescovo

La biografia d’Ildefonso di Toledo è abbondante perché, oltre ai dati contenuti nelle sue opere, ci sono, principalmente: 
- il “Beati Ildephonsi Elogium” di S. Giuliano di Toledo, suo contemporaneo e successore sulla cattedra toledana, scritta come appendice al “De viris illustribus”;
- la “Vita vel gesta S. Ildephonsi Sedis Toletanae Episcopi”, attribuita a Cixila, arcivescovo di Toledo (774-783), dove si menzionano per la prima volta i miracoli della sua vita;
- la “Vita Ildephonsi Archiepiscopi Toletani” di frate Rodrigo Manuel Cerratense, (XIII sec.).

Nato a Toledo nel 607, durante il regno di Viterico (603-610), di stirpe germanica, era membro di una delle distinte famiglie reali visigote. Secondo una tradizione che raccoglie Nicolás Antonio (Bibliotheca Hispana Vetus PL 96,11), fu nipote dell'arcivescovo di Toledo, S. Eugenio III, che gli fornì la prima istruzione.
Nel monastero dei SS. Cosma e Damiano, vicino a Toledo, dove s’era rifugiato in quanto non intendeva intraprendere la carriera voluta dalla famiglia, continua gli studi fino al diaconato, e qui si ferma.  Secondo la sua stessa testimonianza fu ordinato diacono (circa 632-633) da Eladio, arcivescovo di Toledo (De vir. ill. 7: PL 96,202). Per lo stile dei suoi scritti e per i giudizi emessi nel suo “De viris illustribus” sui personaggi che menziona, si deduce che ricevette una brillante formazione letteraria; infatti, anche se era soltanto diacono, i confratelli lo eleggono ugualmente abate nella loro comunità, perché ha tutto: pietà, cultura, energia, un parlare attraente. Ed è anche uno scrittore di grande efficacia.

Sui cinquant’anni deve, però lasciare il monastero: è morto Eugenio II, il vescovo di Toledo, e al suo posto si vuole lui, Ildefonso; per convincerlo si muove il re visigoto in persona, Recesvinto.
Così, nel 657, eccolo vescovo di quella che al tempo è la capitale del regno. Ora non ha più molto tempo da dedicare ai libri, impegnato com’è a scrivere tante lettere, e non proprio allegre. Si hanno, di lui,  pagine angosciate sugli scandali ad opera di certi cristiani influenti e falsi, sui conflitti duri con il re, che pure lo stima, e su tanti ecclesiastici che s’immischiano troppo negli affari di Stato.

Era davvero meglio il monastero: pregare con gli altri, studiare, scrivere... Ildefonso ha lasciato molti scritti di ordine dottrinale e morale, fra cui :
-         Sopra la verginità perpetua di Santa Maria contro tre infedeli (De virginitate S. Mariae contra tres infideles)
-         Commentario sopra la conoscenza del battesimo o Annotazioni sopra la conoscenza del battesimo (Liber de cognitione baptismi unus)
-         Sopra il progresso del deserto spirituale (De progressu spiritualis deserti)
-         Sopra gli uomini illustri (De viris illustribus) che è un po’ una continuazione delle Etimologie di Isidoro di Siviglia (ca. 570-636), la grande “enciclopedia” di tutto l’Alto Medioevo.

Ildefonso non può vivere senza insegnare, convinto anche lui (come S. Braulio, vescovo di Saragozza) che il sapere “è un dono comune, non privato”, e che perciò deve essere distribuito a tutti.

Colpisce i fedeli la sua devozione mariana, suscitando anche racconti di fatti prodigiosi: la notte del 18 dicembre 665 Ildefonso, insieme con i suoi chierici e alcuni altri, andò in chiesa per cantare inni in onore della Vergine Maria. Trovarono la cappella che brillava di una luce tanto abbagliante che provarono timore; tutti fuggirono tranne Ildefonso e i suoi due diaconi. Questi entrarono e si avvicinarono all'altare. Davanti a loro si trovava la Vergine Maria, seduta sulla cattedra del vescovo, circondata da una compagnia di vergini che intonavano canti celestiali. Maria fece un cenno con il capo perché si avvicinassero. Dopo che ebbero obbedito, la Vergine fissò i suoi occhi su Ildefonso e disse: “Tu sei il mio cappellano e notaio fedele. Ricevi questa casula che mio Figlio ti manda dalla sua tesoreria”. Dopo aver detto questo, la Vergine stessa lo investì, dandogli le istruzioni di usarla solamente nei giorni festivi in suo onore.

Questa apparizione e la casula furono prove così chiare, che il concilio di Toledo ordinò un giorno di festa speciale per perpetuare la sua memoria. L'evento appare documentato nell' “Acta Sanctorum”come “La Discesa della Santissima Vergine e la sua Apparizione”.
L'importanza che acquisisce questo fatto miracoloso, occorso nella Spagna gotica e trasmesso ininterrottamente lungo i secoli, è stata molto grande per Toledo e per la sua cattedrale.

S. Ildefonso morì a Toledo il 4 aprile del 667. Fu sepolto nella chiesa di S. Leocadia di Toledo e successivamente traslato a Zamora; la sua festa si celebra il 23 gennaio.
È patrono della città di Toledo e di Herreruela de Oropesa, nella stessa provincia, dove le sue feste si celebrano ogni anno con particolare fervore.

Significato del nome Ildefonso : “pronto alla battaglia” (tedesco).
Fonti principali: santiebeati.it; wikipedia.org (“RIV./gpm”).


Sancta Maria Mater Christi Sanctissima, ora pro nobis