venerdì 18 marzo 2016

Se i battezzati conoscessimo e amassimo di più il tesoro del nostro BATTESIMO !!!


18 MARZO
SAN CIRILLO DI GERUSALEMME,
VESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA


Dottore del Sacramento del Battesimo.

È giusto che nei giorni consacrati all'istruzione dei catecumeni la santa Chiesa onori il Pontefice, il cui nome ricorda, meglio d'ogni altro, lo zelo e la scienza che i Pastori devono impiegare nella preparazione del santo Battesimo. Da molto tempo, la cristianità latina si limita a numerare un tanto Dottore con la menzione che fa di lui, ogni anno, nel martirologio. Ora però all'antica espressione di riconoscenza per i servigi resi da Cirillo nei lontani tempi, essa aggiunge la domanda di un'assistenza resa non meno necessaria che nei primi tempi del cristianesimo.

Il battesimo, è vero, ora si conferisce sin dall'infanzia, mettendo l'uomo, per la fede infusa, in possesso della piena verità prima che la sua intelligenza si trovi in contatto con la menzogna. Ma troppo spesso accade che il bambino non trovi più a suo fianco la difesa che deve sostenere la sua debolezza; infatti la società moderna ha rinnegato Gesù Cristo, e la sua apostasia, sotto l'ipocrita neutralità di pretese leggi, la spinge a soffocare il germe divino in ogni anima battezzata, prima che possa germogliare e svilupparsi. Tuttavia, di fronte alla società, come anche nell'individuo, il battesimo ha i suoi diritti; e noi non possiamo meglio onorare san Cirillo, che ricordandoci, il giorno della sua festa, dei diritti di questo primo Sacramento dal punto di vista dell'educazione, come egli li reclama nei battezzati.

Doveri dei governi verso i battezzati.

Per quindici secoli le nazioni dell'Occidente, il cui edificio sociale poggiava sulla saldezza della fede romana, mantennero i loro membri nell'ignoranza della difficoltà che prova un'anima per innalzarsi dalle regioni dell'errore alla pura luce. Battezzati come noi sin dalla nascita, e sin d'allora in possesso della verità, i nostri padri avevano a loro vantaggio la potenza civile, che, concorde con la Chiesa, difendeva in essi quella pienezza di verità che costituiva il loro più grande tesoro, al tempo stesso che formava la salvaguardia del mondo. La protezione dei singoli è infatti il dovere del principe o di chiunque, non importa a quali titoli, governa gli uomini; e la gravità di questo dovere è in ragione dell'importanza degl'interessi da garantire. Ora questa protezione è tanto più gloriosa per il potere, quanto più si rivolge ai deboli ed ai piccoli di questo mondo. Mai la maestà della legge umana rifulse meglio che nella culla ove guarda al fanciullo nato ieri, all'orfano indifeso, alla vita, al nome, al patrimonio.

Dignità dei battezzati.

Ora, il bambino uscito dal sacro fonte, possiede delle preminenze che sorpassano di gran lunga tutto ciò che possono avergli procurato la nobiltà e la fortuna degli antenati, insieme alla più ricca natura. Risiede in lui la vita divina; il nome di cristiano lo fa uguale agli angeli; il patrimonio che possiede è la pienezza di quella verità di cui parlammo poco fa, cioè Dio stesso, posseduto su questa terra per la fede, in attesa che si riveli al suo amore nella beati­tudine dell'eterna visione.

Quale grandezza, dunque, è nelle culle in cui vagisce l'infantile debolezza! Ma anche quale responsabilità per il mondo! Se Dio non aspetta per conferire tali beni alla terra, che i beneficiarii siano in età da comprenderli, è l'impazienza del suo amore che si manifesta in questa sollecitudine; ma ciò che incombe al mondo è di rivelare a suo tempo la loro dignità a questi figli del cielo, per formarli ai doveri che derivano da quel nome e per innalzarli come conviene al loro divino linguaggio.
L'educazione del figlio d'un re è adeguata alla sua origine: e coloro che sono ammessi all'onore d'istruirlo, ispirano le lezioni al titolo di principe che porta; le stesse nozioni comuni gli vengono presentate in maniera che si armonizzino il meglio possibile al suo eminente destino; nulla per lui che non miri al medesimo fine: perché tutto deve concorrere in lui a metterlo in grado di portare la corona con gloria.

Può ora l'educazione d'un figlio di Dio meritare minori riguardi? e si può mai, nelle cure da dedicare a lui, lasciar in oblio la sua origine ed i suoi destini?

Diritti della Chiesa nell'educazione.

Proprio così: soltanto la Chiesa è capace, quaggiù, di spiegare la nostra origine di figli di Dio; soltanto lei conosce la maniera sicura di far servire gli elementi delle umane nozioni al fine supremo che deve dominare la vita del cristiano. Dunque, che ne deduciamo, se non che la Chiesa è di diritto la prima educatrice dei popoli? Quando istituisce scuole, in ogni ramo di scienza, è alla sua altezza; e la missione da lei ricevuta d'insegnare vale più di tutti i diplomi. Anzi v'è di più: ogni qualvolta questi diplomi non sono rilasciati da lei, l'uso dei loro incarichi trae la sua prima principale legittimità, all'occhio dei cristiani, dal suo consenso: perché tutto resta sempre sottomesso e di pieno diritto, alla sua sorveglianza. Ella è la madre dei battezzati; e la sorveglianza dell'educazione dei figli spetta a lei, qualora la madre non assolva da sé al compito di tale educazione.

Dovere della Chiesa.

Al diritto materno la Chiesa aggiunge il dovere di Sposa del Figlio di Dio e di custode dei Sacramenti. Il sangue divino non può impunemente scorrere invano sulla terra; delle sette sorgenti, attraverso le quali l'Uomo-Dio volle s'espandesse mediante la parola dei ministri della sua Chiesa, non ve n'è una che deve sgorgare altrimenti che dalla speranza fondata sopra un effetto realmente salutare e rispondente al fine del sacramento per cui se ne fa l'uso. Soprattutto il battesimo, che eleva l'uomo dalla profondità del suo niente alla nobiltà soprannaturale, non potrebbe sfuggire, nella sua amministrazione, alle norme d'una prudenza tanto più vigile quanto più il titolo divino che conferisce è eterno.

Il battezzato, che ignora volontariamente o forzatamente i propri doveri e diritti, somiglierebbe a quei figli di famiglia che, con o senza loro colpa, non conoscono le tradizioni della stirpe da cui provengono, ne sono l'obbrobrio e conducono ingloriosamente nel mondo la loro vita decaduta. Così ora la Chiesa, come già al tempo di Cirillo di Gerusalemme, non può ammettere nessuno al sacro fonte, senza esigere dal candidato al battesimo la garanzia d'una sufficiente istruzione: s'egli è adulto, deve dar prova della propria scienza; se gli manca l'età e tuttavia la Chiesa acconsente che venga introdotto nella famiglia cristiana, è in ragione della vita cristiana di coloro che lo presentano e dello stato sociale che lo circonda, ch'ella si accerta dell'educazione che riceverà conforme alla vita soprannaturale acquisita nel sacramento.

La Chiesa educatrice.

Così fu necessaria la stabilità incontestata dell'impero dell'Uomo-Dio sul mondo, perché la pratica del battesimo conferito ai bambini diventasse generale com'è oggi; e non dobbiamo meravigliarci se la Chiesa, a misura che andava completandosi la conversione dei popoli, s'è venuta a trovare investita della sola missione di elevare le nuove generazioni. Gli sterili corsi dei grammatici, dei filosofi e dei retori, ai quali non mancava che la sola scienza necessaria, quella dello scopo della vita, furono disertati a vantaggio delle scuole episcopali e monastiche in cui la scienza della salvezza, primeggiando su ogni altra, le illuminava contemporaneamente tutte della vera luce. La scienza così battezzata mise alla luce le Università, che riunirono in una feconda armonia tutto lo scibile delle conoscenze umane sino allora disgiunte da un comune legame e troppo spesso contrastanti fra loro. Sconosciute nel mondo prima del Cristianesimo, che solo portava in sé la soluzione del grande problema del connubio delle scienze, le Università, che fanno di questa unione la loro essenza principale, restano per tale ragione l'inalienabile dominio della Chiesa.

Vana pretesa dello Stato neutro.

Oggi invano lo Stato, ridivenuto pagano, pretende negare alla madre dei popoli ed arrogare a se stesso il diritto di chiamare con tale nome le sue scuole superiori; le nazioni scristianizzate, vogliano o no, non avranno mai il diritto di fondare tali gloriose istituzioni, ne avranno la forza di mantenerle nel vero senso del nome che portarono e realizzarono nella storia. Lo Stato senza fede non manterrà mai nella scienza altra unità che quella di Babele; non lo costatiamo già sino all'evidenza? Il monumento della superbia ch'esso vuole innalzare contro Dio e la sua Chiesa non servirà ad altro che a far sorgere la spaventosa confusione delle lingue, cui la Chiesa aveva strappato le nazioni pagane, delle quali ripete gli errori. Quanto a pavoneggiarsi dei titoli della vittima che hanno osato spogliare, ogni usurpatore e ladro fa altrettanto; ma l'impotenza in cui si trova di far pompa, nel contempo, delle prerogative che questi titoli suppongono, non fa che mettere maggiormente allo scoperto il furto commesso a danno del legittimo proprietario.

La neutralità.

Negheremo allora allo Stato pagano o neutro, come oggi si vuoi dire, il diritto di educare a modo suo gl'infedeli che ha prodotti a sua immagine? Niente affatto; la tutela di cui la Chiesa rivendica il diritto e il dovere riguarda i soli battezzati. Ugualmente non ne dubitiamo: se la Chiesa un giorno dovrà costatare che ogni garanzia da parte della società verrà veramente a mancare al battesimo, essa certamente tornerà alla disciplina dei primi tempi, in cui la grazia del sacramento che fa i cristiani non era accordata indistintamente a tutti come oggi, ma solamente agli adulti che se ne mostravano degni, o ai fanciulli le cui famiglie davano le necessario garanzie alla sua responsabilità di Madre e di Sposa.

Le nazioni allora si troveranno divise in due: da una parte i figli di Dio che vivono della sua vita e sono eredi del suo trono; dall'altra, gli uomini che, invitati come tutti i figli di Adamo a questa nobiltà soprannaturale, avranno preferito criminosamente restare schiavi di colui che li voleva suoi figli in questo mondo che l'Incarnazione fece sua dimora. Allora l'educazione comune e neutra apparirà ancora più assurda: per quanto la si consideri neutra, mai la scuola dei servi potrà conciliarsi con quella dei principi ereditari.

Protezione dei Santi Dottori.

Andiamo forse avvicinandoci ai tempi, in cui gli uomini, che per infelice sorte furono esclusi dal battesimo, sin dal loro ingresso in questo mondo, conquisteranno da sé il privilegio dell'ammissione nella cristiana famiglia? Dio solo lo sa; ma più di un segno c'induce a crederlo. L'istituzione della festa odierna forse avrà un legame, nei disegni della Provvidenza, con le esigenze d'una nuova situazione creatasi nel seno della Chiesa sotto tale rapporto.

Non è passata una settimana che rendemmo omaggi a san Gregorio Magno, il Dottore del popolocristiano; tre giorni dopo onoravamo il Dottore della scuola, Tommaso d'Aquino, nel quale la gioventù cristiana e studiosa festeggia il suo patrono. Perché oggi, dopo mille e cinquecento anni, ci si domanda di venerare questo nuovo Dottore, il Dottore d'una classe scomparsa, i catecumeni? Non è forse perché la Chiesa vede i nuovi servigi ch'è chiamato a rendere Cirillo di Gerusalemme, con gli esempi e gl'insegnamenti contenuti nella sua Catechesi [1]?

Oggi sono ormai molti i cristiani traviati che, nel loro ritorno a Dio, trovano l'ostacolo maggiore in una ignoranza esasperante e ben più profonda di quella stessa, dalla quale lo zelo di Cirillo sapeva trarre i pagani ed i Giudei!

VITA. - San Cirillo nacque verso l'anno 315. Si dedicò allo studio della sacra Scrittura e divenne un valoroso difensore della fede ortodossa. Ordinato prete nel 345, ebbe l'incarico di predicare la parola di Dio e compose le Catechesi, in cui pone le solide basi di tutti i dogmi contro i nemici della fede. Divenuto poi vescovo di Gerusalemme, ebbe molto a soffrire da parte degli Ariani, che lo cacciarono nel 357. In seguito alla morte dell'imperatore Costanzo poté ritornare in sede, ma subì un nuovo esilio sotto Valente e fu poi ristabilito sulla cattedra da Teodosio. Morì a Gerusalemme verso il 386, dopo 35 anni d'episcopato. Leone XIII lo dichiarò Dottore della Chiesa.

Preghiera al Dottore...

<< O Cirillo, tu fosti un vero figlio della luce (Ef 5,8). La Sapienza di Dio sin dall'infanzia conquistò il tuo amore e ti stabilì come il faro che brilla sul porto e salva, attirandolo alla riva, il povero nau­frago sbattuto nella notte dell'errore. Nel luogo stesso dove si compirono i misteri della redenzione del mondo, ed in quel IV secolo così fecondo di dottori, la Chiesa ti affidò la missione di preparare al battesimo le anime guadagnate dalla recente vittoria del cristiane­simo in tutte le classi della società. Nutrito delle Scritture e degl'insegnamenti della Madre comune, sgorgava abbondante e pura la parola dalle tue labbra. Sappiamo dalla storia che, impedito dalle altre cure del tuo santo ministero di consacrarti esclusivamente ai catecumeni, dovesti improvvisare le Catechesi, in cui la scienza della salvezza viene svolta con una sicurezza, una luminosità ed una sintesi mai conosciute fino allora, ne d'allora in poi sorpassate.

<< Per te, santo Pontefice, la scienza della salute consisteva nella conoscenza di Dio e del Figlio! suo Gesù Cristo, contenuta nel simbolo della Chiesa. La preparazione al battesimo, alla vita, all'amore, consisteva nell'acquisto di questa scienza unica, profonda, la sola necessaria e capace di governare ogni uomo, non con l'impressione d'una vana sentimentalità, ma sotto l'impero della parola di Dio ricevuta com'essa merita, meditata giorno e notte, e che penetra tutta l'anima così che basti da sola a metterla in possesso della pienezza della verità, della rettitudine morale e dell'odio dell'errore.

... al Pastore.

<< Assicurati così i tuoi uditori, non temevi di svelare gli argomenti e le abominazioni delle sette nemiche. Vi sono tempi e circostanze, la cui estimazione spetta ai capi del gregge, e nei quali essi devono passar sopra il disgusto che ispirano tali esposizioni, per denunciare il pericolo e mettere le loro pecorelle in guardia contro gli scandali dello spirito o dei costumi. Per questo, o Cirillo, le tue indignate invettive perseguitavano il manicheismo nel fondo stesso dei suoi antri impuri; tu presentivi in lui l'agente principale di quel mistero d'iniquità (2Ts 2,7), che continua il suo cammino tenebroso e dissolvente attraverso i secoli, fino a che il mondo soccomba con lui di putredine e di superbia.

<< Manete ai nostri tempi spadroneggia più che mai; e le società occulte ch'egli ha fondate sono divenute padrone. L'ombra delle loggie, è vero, continua a nascondere ai profani il suo simbolismo sacrilego e i dogmi un tempo portati dalla Persia; ma l'abilità del principe di questo mondo finisce di concentrare nelle mani del suo fedele alleato tutte le forze sociali. Ora il potere è nelle sue mani, ed il primo ed esclusivo uso che ne fa è di persecuzione contro la Chiesa in odio a Cristo. Egli le nega il diritto d'insegnare avuto dal divino Capo; perfino i figli ch'essa ha generati e che le appartengono già di diritto per il battesimo, le si vogliono strappare a viva forza e impedirle di presiedere alla loro educazione.

<< Tu, o Cirillo, chiamato in suo soccorso in questi tristi tempi, non venir meno alla fiducia che essa ha riposto in te. Tu, che comprendevi a fondo le esigenze del sacramento che fa cristiani, difendi il battesimo in tante anime innocenti, ove lo si vuoi soffocare; sorreggi, risveglia, se occorre, la fede dei loro padri cristiani, e comprendano che, se hanno il dovere di proteggere i loro figlioli, sino a farsi scudo coi propri corpi, piuttosto che lasciarli in balìa delle fiere, l'anima degli amati figli è ancora più preziosa.

<< Già molti di loro - e formano la grande consolazione della Chiesa di un tempo in cui la speranza della società è battuta in breccia da ogni parte - compresero la condotta che s'imponeva ad ogni anima generosa in tali circostanze: perché ispirandosi unicamente alla propria coscienza, e forti del loro diritto di padri, subirono la violenza della forza brutale dei nostri governi, piuttosto che cedere di un sol passo alle capricciose innovazioni d'uno Stato pagano tanto assurdo e riprovevole. Benedicili, o Cirillo, ed aumenta il loro numero. Ugualmente benedici, moltiplica, sostieni, illumina i fedeli che si dedicano alla missione d'istruire e salvare quei figli che furono traditi e ingannati dal potere: non è questa una missione più urgente di quella dei catechisti, ai nostri giorni, e non è quella che ti sta più a cuore?

Il trionfo della Croce.

<< L'apparizione della Croce segnò l'inizio del tuo episcopato. Anche i nostri tempi increduli, assistettero a un simile prodigio, quando a Migné, nella diocesi di sant'Ilario, tuo emulo e contemporaneo, apparve nel ciclo il segno della salvezza, risplendente di luce, alla vista di migliaia di persone. Ma l'apparizione del 7 maggio 351 preannunciava per la santa Croce il trionfo da te previsto; infatti alcuni anni dopo, sotto i tuoi occhi, Elena ritrovava il legno redentore. L'apparizione del 17 dicembre 1826 non avrebbe annunciato invece perdite e rovine! Fiduciosi nel tuo aiuto sì opportuno, santo Pontefice, noi vogliamo sperare in un avvenire migliore, memori che il trionfo della Croce di cui tu fosti testimone, non fu che il frutto delle sofferenze della Chiesa, che tu dovesti completare, da parte tua, al prezzo di ben tre deposizioni dalla tua sede e di venti anni d'esilio. La Croce non è mai vinta, ma al contrario maggiormente trionfa nel martirio dei fedeli e nelle prove pazientemente sopportate; ella sarà sempre vittoriosa, fino a quando apparirà sulle rovine di questo mondo, nell'ultimo giorno.



[1] Nel tomo 33 della Patrologia Greca troviamo le 24 istruzioni attribuite a san Cirillo. Queste sono distinte: l.o in una catechesi preliminare avente lo scopo di preparare gli uditori a seguire con frutto gli esercizi che precedono la recezione del battesimo: 2.o in 18 catechesi. pronunciate durante la Quaresima, che trattano degli articoli del simbolo battesimale di Gerusalemme; 3.o in un gruppo di o catechesi dette "mistagogiche", che spiegano le cerimonie osservate nell'amministrazione del Battesimo e nei sacramenti della Cresima e dell'Eucaristia. Esse furono esposte ai neofiti, durante la settimana che seguiva la festa di Pasqua e compivano la formazione dei nuovi battezzati.
Studi recenti dimostrano che sarebbe ormai imprudente collocare le catechesi mistagogiche fra le opere di san Cirillo di Gerusalemme. mentre bisognerà attribuirle al suo successore nell'episcopato, Giovanni di Gerusalemme (Museon, T. 40, p. 1-43, art. di W. J. Swaans, M. O.).

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 851-859



<<SPIRITO SANTO, ISPIRAMI.
AMORE DI DIO, CONSUMAMI.
NEL VERO CAMMINO, CONDUCIMI.
MARIA MADRE MIA, GUARDAMI.
CON GESU’ BENEDICIMI.
DA OGNI MALE, DA OGNI ILLUSIONE,
DA OGNI PERICOLO, PRESERVAMI.>>


mercoledì 16 marzo 2016

Per la SOLENNITA' DI SAN GIUSEPPE SPOSO DELLA SANTISSIMA VERGINE MARIA

OGNI NUMERO 
LO SCRIGNO DI UN TESORO


In preparazione alla festa di san Giuseppe offriamo un servizio pratico che ci farà conoscere e amare di più questo specialissimo Patrono della Santa Chiesa, Sposo verginale di Maria SS.ma e Padre putativo di Gesù Cristo.


Per parlare di San Giuseppe occorre conoscere prima Maria Santissima almeno nella sua adolescenza

All'età di 15 anni, dopo 12 anni di permanenza al Tempio 2.136, le viene comunicato dal Pontefice che dovrà avere uno sposo 1.011 - 1.012
Maria confida allo sposo Giuseppe, designato dalla verga fiorita 1.012, la sua consacrazione al Signore fin dall'infanzia 1.012



     Maria dallo sposalizio fino alla morte di San Giuseppe. 



Sposalizio della Vergine con Giuseppe e loro partenza da Gerusalemme per Nazaret 1.013. Maria ha 15 anni di età 1.014

L'Annunciazione 1.016. Lo Spirito Santo le dice: "Taci. Affida a Me il compito di giustificarti presso lo sposo" 1.018 - 2.136

Considerazioni sull'ubbidienza e umiltà dell'amore di Maria in contrapposizione alla disubbidienza, alla superbia e al disamore di Èva, che portarono al peccato originale che travolse anche le regole stabilite per la formazione dell'uomo 1.004 - 1.005 - 1.017 - 3.174 - 3.196 (e anche I quaderni del 1944, p. 251-252). 


Avvertita dall'Angelo della maternità di Elisabetta, Maria si reca da lei ad Ebron per aiutarla 1.019 - 1.021 -2.127. Elisabetta illuminata la saluta: "Benedetta tu fra tutte le donne e benedetto il frutto del tuo seno" e Maria risponde con il "Magnificat" 1.021 - 2.127


Giuseppe nel venire a prendere Maria a Gerusalemme, dove era avvenuta la presentazione del Battista al Tempio, nota il suo stato 1.025. Maria tace. Dopo tre giorni di supplizio interno, Giuseppe, illuminato dall'Angelo sulla natura divina di quella maternità, va a chiedere perdono a Maria che si spiega con lui 1.026


L'editto del censimento 1.027. Rievocazione dei preparativi per il viaggio 5.303. Il viaggio a Betlemme 1.028con rifugio nella grotta della natività, che era un avanzo delle macerie della Torre di David presso Betlemme. Nascita di Gesù 1.029 - 3.207. Maria ha l'età di 16 anni. Sua maternità divina 1.029


L'adorazione dei pastori 1.030 - 2.103 - 2.109 - 2.136 - 3.207, che le procureranno un alloggio più adeguato presso Anna di Betlem e s'incaricano d'avvertire Zaccaria e Elisabetta a Ebron 1.030


La Sacra Famiglia in casa di Anna di Betlem. Visita di Zaccaria e sua insistenza che restino a Betlemme, città di David, e non tornino per ora a Nazaret 1.031 - 2.136

Presentazione di Gesù al Tempio e profezia di Simeone 1.032 quaranta giorni dopo la sua nascita 7.436. 

Adorazione dei tre Savi in casa di Anna, quando Gesù avrà già quasi un anno di età 1.034 - 2.136


Fuga in Egitto e permanenza a Matarea per circa tre anni 1.035 - 1.036


Ritorno a Nazaret dopo circa quattro anni di assenza 1.035
Maria maestra di Gesù, Giuda Taddeo e Giacomo 1.038 - 2.130


Angoscia di Maria per la perdita di Gesù, che si trova nel Tempio 1.041


Morte di S. Giuseppe, 30 anni dopo il loro sposalizio quando Maria

ha 45 anni di età 1.042. 


AVE MARIA!

lunedì 14 marzo 2016

SAN PAOLO AI ROMANI: Bisogna saper tutti capire, compatire, aiutare con carità

LETTERA AI ROMANI

Capo XIV.


I cristiani non devono gli uni condannare gli altri


[1]In quanto a colui che è debole nella fede, accoglietelo senza discuterne le opinioni. 2Altri crede di poter mangiare qualunque cosa; chi è debole mangi pure degli erbaggi. 3Ma chi mangia non disprezzi colui che non mangia, e chi non mangia non condanni colui che mangia, perché Dio l’ha fatto suo.

4E chi sei tu da condannare il servo altrui? O che egli stia ritto o cada, è cosa che riguarda il suo padrone; ma egli starà in piedi perché Dio ha la potenza di sostenerlo. 5Uno distingue tra giorno e giorno, un altro li fa tutti uguali: ognuno segua la sua coscienza6Chi distingue i giorni, li distingue per amore del Signore; e chi mangia, lo fa per amore del Signore; infatti rende grazie a Dio. Ed anche chi non mangia, non mangia, per amore del Signore e rende grazie a Dio. 

7Poiché nessuno di noi vive per se medesimo, né per se stesso muore; 8ma se viviamo, viviamo pel Signore, e se moriamo, moriamo pel Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore; 9perché Cristo è morto e risuscitato per essere Signore dei vivi e dei morti. 10Ma tu perché giudichi il tuo fratello? O perché tu disprezzi il tuo fratello? Tutti invece compariremo davanti al tribunale di Cristo. 11Sta scritto infatti: «Io sono il vivente, dice il Signore, e davanti a me si piegherà ogni ginocchio, ed ogni lingua darà gloria a Dio». 12Così adunque ognuno di noi renderà conto di se stesso a Dio.

Bisogna guardarsi dallo scandalizzare i deboli


13Cessiamo adunque dal giudicarci a vicenda; ma guardiamo invece di non mettere inciampo o scandalo sulla via del fratello. 14Io so e son persuaso nel Signore Gesù che nulla è in se stesso impuro; ma per colui che stima impura una cosa, essa per lui diventa impura. 15Or se per un cibo fai rattristare il tuo fratello, tu non cammini più secondo la carità. Non rovinare col tuo cibo uno per il quale Cristo è morto. 16Non sia dunque bestemmiato il nostro bene. 17Perché il regno di Dio non consiste nel mangiare e nel bere, ma è giustizia e pace e gaudio nello Spirito Santo. 18Chi serve Cristo in questa maniera piace a Dio ed è approvato dagli uomini. 19Cerchiamo dunque ciò che giova alla pace, e pratichiamo ciò che serve alla mutua edificazione.

20Non voler per un cibo distruggere l’opera di Dio. Certamente tutte le cose sono pure, ma fa male un uomo che mangia scandalizzando. 21Bene è non mangiar carne e non bere vino, né fare alcuna cosa che sia per il tuo fratello occasione di caduta o di scandalo o di debolezza. 22Tu hai una convinzione? Tientela per te dinanzi a Dio. Beato colui che non condanna se stesso in quello che sceglie. 23Ma chi fa distinzione, se mangia, è condannato, perché non agisce secondo coscienza. Tutto ciò che non è secondo la coscienza è peccato.


PAPA GIOVANNI PAOLO II

UN UOMO VENUTO DA MOLTO LONTANO




http://www.conchiglia.us/RIVELAZIONE_ITALIA/papa/Giovanni_Paolo_II.htm


CUORE IMMACOLATO DI MARIA
 fiducia, salvezza, vittoria
e gioia mia!
Dacci il Tuo Cuore Mamma
per amare Gesù come L'ami Tu!"

AMDG et BVM

domenica 13 marzo 2016

Nell'anniversario...


LA PROFEZIA DEI PAPI



Non sappiamo a quando risalga con esattezza e da chi sia stata realmente scritta la famosa "Profezia dei Papi", nota anche come Profezia di San Malachia, in quanto attribuita al monaco cistercense irlandese Malachia, che l'avrebbe scritta in epoca medioevale (intorno al 1140), ma è certo che è stata pubblicata per la prima volta nel 1595 dal benedettino Arnold Wion nel suo libro Lignum vitae

Il Santo irlandese Malachia nella Profezia indica una lista - che avrebbe visto in sogno - dei Papi che sisarebbero succeduti a partire dal 1143 fino alla fine dei giorni. Ma non li indica con nome e cognome, bensì con 111 brevi motti in latino corrispondenti ad altrettanti Papi, mentre sotto il 111° motto vi è un'inquietante frase: "In persecutione extrema sacrae romanae ecclesiae sedebit Petrus romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibi transactis, civitas septis collis diruetur, ed Judex tremendus judicabit populum suum. Amen."


La traduzione in italiano di quest'importante frase è la seguente: "Durante l'ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà Pietro il romano, che pascerà il suo gregge tra molte tribolazioni; quando queste saranno terminate, la città dai sette colli sarà distrutta, ed il temibile giudice giudicherà il suo popolo. E così sia".


Analizzeremo nella sezione sulla Fine del mondol'interpretazione di tale frase. Di seguito ci limiteremo a mostrare l'impressionante aderenza tra i motti e (in particolare) gli ultimi 11 Papi; ma anticipiamo che, quasi certamente, il 111° motto e la frase finale si riferiscono al medesimo Papa: per cui Benedetto XVI sarebbe l'ultimo Papa della Storia, dopodiché ci sarebbe il "giudizio di Dio".


Ecco i motti corrispondenti ai Papi più recenti (subito dopo la lista troverete anche quello del 111° Papa, cioè Benedetto XVI):

110°) Giovanni Paolo II (1978-2005) - Motto "De labore solis"

Il motto attribuito a Papa Wojtyla (n. 18/5/1920 m. 2/4/2005), “della fatica del Sole”, è un chiaro riferimento al fatto che egli nacque del giorno di un'eclisse solare, e che anche il suo "addio" ha coinciso con un'eclisse, una doppia circostanza estremamente rara.

109°) Giovanni Paolo I (1978) - Motto "De medietate lunae"

La Profezia di San Malachia (“della metà della luna”) sembra aver previsto in modo impressionante, anche nel caso di Papa Luciani (n. 17/10/1912 m. 28/9/1978), il fatto che il suo brevissimo pontificato (che durò appena 33 giorni) iniziò e terminò quando la Luna era visibile esattamente a metà. Più calzante di così...

108°) Paolo VI (1963-1978) - Motto "Flos florum"

Papa Montini (n. 26/9/1897 m. 6/8/1978) era il “fiore dei fiori”, e infatti la famiglia Montini aveva tre gigli nel proprio stemma. Un altro tipico genere di motto (azzeccato) della Profezia dei Papi.

107°) Giovanni XXIII (1958-1963) - Motto "Pastor et Nauta" 

Egli (n. 25/11/1881 m. 3/6/1963) fu patriarca di Venezia prima di diventare Papa, donde “pastore e marinaio”. Senza dubbio uno dei tanti motti che risultano molto aderenti al personaggio.

106°) Pio XII (1939-1958) - Motto "Pastor Angelicus"

Questo Papa (n. 2/3/1876 m. 9/10/1958) di grandissima spiritualità riconobbe in alcune encicliche, come guida più sicura per la dottrina cattolica, la filosofia di San Tommaso d'Aquino, tradizionalmente noto come "Il dottore angelico". Donde, forse, "Pastore angelico".

105°) Pio XI (1922-1939) - Motto "Fides intrepida

Egli (n. 31/5/1857 m. 10/2/1939) sfidò senza paura Stalin, Mussolini, e Hitler, subendo, come mostrano documenti vaticani pubblicati di recente, fortissime pressioni da questi ultimi due. Nel '37 pubblicò l'enciclica Mit Brennender Sorge per denunciare il razzismo e l'antisemitismo nazista. Dunque è azzeccato "Fede intrepida". 

104°) Benedetto XV (1914 -1922) - Motto "Religio depopulata
Papa (n. 21/11/1854 m. 22/1/1922) durante i massacri della Grande Guerra e l'epidemia della "spagnola", eventi che provocarono la morte di milioni di Cristiani, e nel 1917 vide l'inizio della Rivoluzione russa che portò alla fine della vita religiosa in questo Paese in precedenza cristiano. Donde il motto di "religione spopolata". 


103°) Pio X (1903-1914) - Motto "Ignis Ardens"
Questo Papa (n. 2/6/1835 m. 20/8/1914) fu probabilmente il più zelante propagandista del suo tempo e i suoi sforzi furono diretti al promuovere la pietà e la fede. "Fuoco ardente" descrive benissimo Pio X, il cui impegno zelante fu volto alla rinascita spirituale della Chiesa. 

102°) Leone XIII (1878-1903) - Motto "Lumen in coelo" 
L'ultimo Papa del XIX secolo (n. 2/3/1810 m. 20/7/1903) era "una luce nel cielo", e infatti il simbolo della sua casata, quella dei Pecci, era una cometa. Si noti che nel suo motto non viene usata la parola "astro" perché già usata in un motto analogo precedente.

101°) Pio IX (1846-1878) - Motto "Crux de cruce"
Il Papa del Risorgimento (n. 13/5/1792, m. 7/2/1878), che dai Savoia subì vessazioni e sequestri, era "La croce (dunque, la sofferenza) che viene dalla croce": e una grande croce bianca in campo rosso è lo stemma, appunto, dei Savoia.

100°) Gregorio XVI (1831-1846) - Motto "De Balneis Etruriae" 

Papa Gregorio XVI (n. 18/9/1765, m. 1/6/1846) iniziò la sua vita religiosa nell'ordine dei Camaldolesi, che fu fondato nel Tredicesimo secolo in Etruria, in una località chiamata in latino "balneum". 



Naturalmente, non è teoricamente corretto cercare di interpretare il motto di Papa Benedetto XVI in questo momento, poiché alcuni altri motti della lista possono esssere compresi solo al termine del pontificato. Comunque, per soddisfare la curiosità:

111°) Benedetto XVI (2005-regnante) - Motto " Gloria olivae "

Il motto di Papa Ratzinger (n. 16/4/1927), "la gloria dell'olivo", sembra un chiaro riferimento al nome Benedetto, poiché i membri dell'ordine benedettino sono anche noti come gli Olivetani, il cui stemma è proprio un ramo d'olivo. Ma, soprattutto, egli è nato nel Sabato Santo del 1927, il 16 aprile, al culmine del periodo Pasquale, e tutto il periodo è notoriamente sotto il segno dell'ulivo. 

Se a tutte queste ragioni aggiungiamo ciò che dice Cornelio A Lapide in Apocalisse XI,4 il discorso è completo. Egli scrive: L'Ulivo (l'Oliva) è simbolo della santità e dei Santi; difatti: 

*l'ulivo è legno solido, non patisce carie, venti o vecchiaia: e diventa simbolo di vittoria, felicità ed eternità. Nell'antichità atleti e pugili si preparavano alla lotta ungendosi d'olio, divenuto perciò simbolo di lotta e combattimento. E più degli atleti i Santi son  chiamati ad una assidua lotta e fortezza per  raggiungere costanza e vittoria.
*Poi l'oliva è altresì simbolo di misericordia virtù propria dei Santi, dicendo Salomone: "Il giusto si prende cura del suo bestiame, ma i sentimenti degli empi sono spietati" (Proverbi 12, 10). Perciò un santo vescovo fa notare che le sante ossa che trasudano olio appartennero a santi che furono grandemente misericordiosi e pii (come santa Caterina, san Nicola, santa Walburga, san Wilibaldi e più recentemente san Chárbel Makhlouf ecc...); perché l'olio è simbolo di misericordia e pietà; e come l'hanno esercitata in vita così non cessano di esercitarla dopo morte curando con quest'olio miseri e infermi. Furono uomini di misericordia e ancor più ampiamente lo sono dal cielo.
*Ci sono poi altre tre ragioni: che lo fanno simbolo di pace (vedi colomba e arca di Noè), di tranquillità e di mitezza; le sue foglie perenni e la pinguedine sono la virtù e la bellezza dei Santi, la bellezza dello spirito e della grazia di cui hanno goduto; la presenza dell'ulivo nei campi accresce l'abbondanza dei frutti della terra ecc.

Gloria Olivae  senza dubbio è uno dei motti più belli.



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L'AVVOCATO DEL DIAVOLO...
Ecco le possibili obiezioni di uno scettico e il perché non reggono...


1) I motti, in fondo, si potrebbero adattare a qualsiasi Papa...


No. Questo è vero solo per alcuni motti, mentre per gli altri l'aderenza è decisamente impressionante. Alcuni motti della Profezia contengono indicazioni assai precise, perché spesso riferite all’origine geografica o allo stemma della casata del pontefice, oppure a eventi storici o astronomici. Degli 11 motti qui elencati, il 100° (De balneis Etruriae), il 101° (Crux de cruce), il 104° (Religio depopulata), il 105° (Fides intrepida), il 107° (Pastor et nauta), il 109° (De medietate lunae) e il 110° (De labore Solis), vale a dire ben 7 su 11, si adattano in maniera sostanzialmente perfetta al Papa corrispondente. Del resto, se questi motti fossero delle frasi "jolly" tipo oroscopo, dovrebbero essere adattabili altrettanto bene a qualsiasi Papa: voi ci riuscite?



2) Guardando per curiosità sul web, ho letto su molti siti Internet che la "Profezia dei Papi" di San Malachia è un "falso".

Su Internet ci sono fiumi immensi di parole spese per soffermarsi su aspetti assolutamente IRRILEVANTI della questione, come: (1) il fatto se la Profezia dei Papi sia stata scritta o meno da San Malachia; (2) se sia stata scritta nel 1100 piuttosto che nel 1590. La cosa veramente assurda è che si consideri la profezia non degna di considerazione solo perché probabilmente è "falsa", nel senso che probabilmente non è stata scritta da San Malachia e nel 1100. Infatti, attenzione! La profezia, chiunque l'abbia scritta, e in qualsiasi data l'abbia fatto, è comunqueun documento che è storicamente provato essere non posteriore al 1590, ed è questo ciò che conta! In effetti, la profezia di San Malachia sarebbe rimasta sepolta negli Archivi Romani fino alla sua scoperta, che avvenne nel 1590. Il testo iniziò a circolare nel 1595 con il nome di Prophetia de summis pontificibus, in quanto la Profezia venne pubblicata per la prima volta proprio quell'anno dal benedettino Arnold Wion nel suo libro Lignum vitae. Ma il fatto che nei quattro secoli precedenti nessuno ne parli, compreso San Bernardo, che scrisse la Vita di San Malachia, lascia pensare che il documento non sia stato scritto da San Malachia, bensì da qualcun altro, probabilmente nel '400 o nel '500. 



3) Secondo alcuni siti Internet, la profezia di San Malachia non sarebbe da prendere sul serio perché vi è una leggera differenza tra i motti anteriori al 1590 (perfettamente aderenti) e quelli successivi (molti dei quali un po' meno aderenti, rispetto ai precedenti).


Anche questo è un falso problema. Analizzare i motti di Papi da noi storicamente molto lontani nel tempo significa concentrarsi sulla parte in un certo senso "sbagliata" - o come minimo meno rilevante - della Profezia, perché quella importante è senza dubbio quella che riguarda gli ultimi 10-20 Papi e la sua frase finale. Quindi dire che la Profezia non è da prendere sul serio perché in alcune parti i motti non sono aderenti quanto i più recenti (o i più antichi) è un po' come se uno sostenesse che il DNA non è la molecola della vita solo perché la maggior parte del DNA (per esempio, le profezie anteriori al 1590) non codifica nulla (cioè è "DNA spazzatura", come in effetti è): un modo di ragionare di questo tipo è, evidentemente, assurdo. Quel che conta è l'analisi - che ognuno può fare per gli ultimi Papi - dei motti recenti, che mostrano un'aderenza davvero STUPEFACENTE (per non dire perfetta).