martedì 10 novembre 2015

"Nessuno potrà essere coronato senza vittoria"

VALORE DELLA PREGHIERA
di sant'Alfonso Maria de' L.

I. - DELL'ECCELLENZA DELLA PREGHIERA E DEL SUO POTERE PRESSO DIO
Sono sì care a Dio le nostre preghiere, che Egli ha destinati gli Angeli a presentargli subito quelle che da noi gli vengono fatte: "Gli Angeli, dice S. Ilario, soprintendono alle orazioni dei fedeli, e ogni giorno le offrono a Dio" (Cap. 18, in Matth.). 
Questo appunto è quel sacro fumo d'incenso, cioè le orazioni dei Santi, che S. Giovanni vide ascendere al Signore, offertogli per mano degli Angeli (Ap c. 8). Ed altrove (Ibid. c. 5), scrive il medesimo santo Apostolo, che le preghiere dei Santi sono come certi vasetti d'oro pieni di odori soavi, e molto graditi a Dio.

Ma per meglio intendere quanto valgano presso Dio le orazioni, basta leggere nelle divine scritture le innumerabili promesse che fa Dio a chi prega, così nell'antico come nel nuovo Testamento: 
"Alza a me le tue grida, ed io ti esaudirò (Ger 33,3). Invocami, ed io ti libererò (Sal 49,15). Chiedete; ed otterrete: cercate, e troverete: picchiate, e vi sarà aperto (Mt 7,7). Concederà il bene a coloro che glielo domandano (Mt 7,11). Imperciocché chi chiede riceve, e chi cerca trova (Lc 11,10). Qualsiasi cosa domanderanno, sarà loro concessa dal Padre mio (Mt 18,19). Qualunque cosa domandiate nell'orazione, abbiate fede di conseguirla, e la otterrete (Mr 11,24). Se alcuna cosa domanderete nel nome mio, io la darò (Gv 14,14). Qualunque cosa vorrete, la chiederete, e vi sarà concessa (Gv 15,7). In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà(Gv 16,23)". 
E vi sono mille altri testi consimili, che per brevità si tralasciano.


Iddio ci vuol salvi, ma per nostro maggior bene ci vuol salvi da vincitori. Stando dunque in questa vita, abbiamo da vivere in una continua guerra, e per salvarci abbiamo da combattere e vincere. "Nessuno, dice S. Giovanni Crisostomo, potrà essere coronato senza vittoria" (Serm. I De Martyr.). 

Noi siamo molto deboli, ed i nemici sono molti, ed assai potenti: come potremmo loro far fronte, e superarli? Animiamoci, e dica ciascuno, come diceva l'Apostolo: Tutte le cose mi sono possibili, in Colui che è mio conforto (Fil 4,13).Tutto potremo con l'orazione, per mezzo della quale il Signore ci darà quella forza che noi non abbiamo. 


Scrisse Teodoreto, che l'orazione è onnipotente; ella è una, ma può ottenere tutte le cose. E S. Bonaventura asserì che per la preghiera si ottiene l'acquisto di ogni bene, e lo scampo da ogni male (In Luc. 2). 

Diceva san Lorenzo Giustiniani, che noi per mezzo della preghiera ci fabbrichiamo una torre fortissima dove saremo difesi e sicuri da tutte le insidie e violenze dei nemici (De cast. connub. c. XXII). 

Sono forti le potenze dell'inferno, ma la preghiera è più forte di tutti i demoni, dice san Bernardo (Serm. 49, De modo bene viv. 5). Sì, perché con l'orazione l'anima acquista l'aiuto divino, che supera ogni potenza creata. 

Così si animava Davide nei suoi timori: Io, diceva, chiamerò il mio Signore in aiuto, e sarò liberato da tutti i nemici (Sal 17,4). 
Insomma, dice S. Giovanni Crisostomo, l'orazione è un'arma valevole a vincere ogni assalto dei demoni, è una difesa, che ci conserva in qualunque pericolo; è un porto, che ci salva da ogni tempesta; ed è un tesoro insieme, che ci provvede d'ogni bene (In Ps. 145).

SANCTA MARIA, MATER DEI
ORA PRO NOBIS PECCATORIBUS

L'abito




Viene alla mente ciò che scriveva nel 1982 il beato Giovanni Paolo II al cardinale Ugo Poletti, allora vicario per la diocesi di Roma. 

Dopo aver sottolineato che l’abito ecclesiastico è un segno "che esprime il nostro ‘non essere del mondo’ " e "testimonianza della speciale appartenenza a Dio", così continuava:

 “L'abito ecclesiastico, come quello religioso, ha un particolare significato:

per il sacerdote diocesano esso ha principalmente il carattere di segno, che lo distingue dall'ambiente secolare nel quale vive; 

per il religioso e per la religiosa esso esprime anche il carattere di consacrazione e mette in evidenza il fine escatologico della vita religiosa. 

L'abito, pertanto, giova ai fini dell'evangelizzazione ed induce a riflettere sulle realtà che noi rappresentiamo nel mondo e sul primato dei valori spirituali che noi affermiamo nell'esistenza dell'uomo.

Per mezzo di tale segno, è reso agli altri più facile arrivare al Mistero, di cui siamo portatori, a Colui al quale apparteniamo e che con tutto il nostro essere vogliamo annunciare”.

AMDG et BVM

S. Agata diceva: La mia mente è saldamente fondata in Cristo: 14. le vostre parole sono venti, le vostre promesse piogge, le vostre minacce fiumi, che per quanto imperversino contro i fondamenti della mia casa, essa non potrà cadere, fondata com’è sopra pietra ben ferma.

PASSIONE DELLA 
BEATISSIMA VERGINE E MARTIRE AGATA


1. Narriamo la storia della passione della beatissima vergine e martire Agata, che soffrì nella provincia di Sicilia, nella città di Catania, il giorno delle none di Febbraio, al tempo di Decio imperatore, quando egli fu Console per la terza volta.  2. Quinziano consolare della provincia di Sicilia, venendo a conoscenza della fama intemerata di Agata, vergine consacrata a Dio, per diversi intenti e con molta insistenza cercava come arrivare a lei.  3. Infatti con ogni mezzo eccitava il depravato suo animo svegliando in sé le passioni dei vizi corrispondenti:  4. E come avido di gloria terrena, bramando di accrescere il suo prestigio, fece arrestare la serva di Dio, appunto perché nata da nobilissima famiglia,  5. mostrando così al popolo che era capace – egli nato come era da ignobile origine – di sottomettere al suo volere perfino le persone più ragguardevoli;  6. come libidinoso poi, voleva eccitare la concupiscenza dei suoi occhi all’aspetto della vergine bellissima;  7. come avaro sfrenava la sua cupidigia verso le ricchezze di lei:  8. e come idolatra e servo dei demoni, infiammato dalla sua empietà, non poteva neanche sentire il nome di Cristo.  9. Travolto così dalla furia passionale fece arrestare dai suoi apparitori la beata Agata, come abbiamo già detto,  10. e la fece consegnare a una matrona di nome Afrodisia, che aveva nove figlie corrottissime, come era stata la loro madre. 11. Ciò fece perché esse per trenta giorni continuamente con blandizie la tentassero e ne mutassero i sentimenti:  12. ed ora promettendole gioie, ora minacciandole guai, speravano di distogliere la sua santa mente dal buon proposito.  13. Ad esse S. Agata diceva: La mia mente è saldamente fondata in Cristo:  14. le vostre parole sono venti, le vostre promesse piogge, le vostre minacce fiumi, che per quanto imperversino contro i fondamenti della mia casa, essa non potrà cadere, fondata com’è sopra pietra ben ferma.

15. Dicendo queste cose piangeva tutto il giorno e pregava:  16. E come l’assetato nell’ardore dell’estate desidera le fresche acque, così ella desiderava di giungere alla corona del martirio e sostenere per Cristo molti supplizi.  17. Accorgendosi Afrodisia che l’animo di lei restava immobile, andò da Quinziano.  18. E gli disse: È più facile rammollire i sassi, e cambiare il ferro nella morbidezza del piombo, che distogliere l’animo di questa fanciulla dall’idea cristiana.  19. Infatti io e le mie figliole, senza mai cessare, succedendoci a vicenda,  20. giorno e notte, nient’altro abbiamo fatto se non provarci a piegare il suo animo ad acconsentire al buon consiglio.  21. Io financo le ho offerto gemme ed ornamenti rari, e vestiti tessuti d’oro:  22. io le ho promesso palazzi e ville, le ho messo dinanzi mobili preziosi e servi d’ogni sesso ed età:  23. ma come terra, che calpesta coi piedi, ella invece tutto, tutto disprezza.

24. Allora Quinziano irato comandò che fosse condotta al suo tribunale e sedendo d’ufficio, così cominciò a parlare: – Di che condizioni sei tu?  25. La beata Agata rispose : Non solo nata libera, ma di nobile famiglia, come lo attesta la mia parentela.  26. Il consolare Quinziano disse: – E se attesti di esser libera e nobile perché mostri di vivere e vestire da schiava?  27. S. Agata disse: – Perché sono serva di Cristo, per questo mostro di essere schiava.  28. Quinziano disse: Ma se sei veramente libera e nobile, perché volerti far schiava?  29. S. Agata disse: La massima libertà sta qui: nel dimostrare di essere servi di Cristo.  30. Quinziano disse: E che perciò? Noi che disprezziamo la servitù di Cristo e veneriamo gli dei non abbiamo libertà?  31. S. Agata rispose: La vostra libertà vi trascina a tanta schiavitù, che non solo vi fa servi del peccato, ma  anche vi sottomette ai legni e alle pietre.  32. Quinziano disse: Tutto ciò che con pazze parole avrai bestemmiato, severe pene sapranno vendicarlo.  33. Ma prima di passare ai tormenti dimmi perché disprezzi la santità degli dei?  34. S. Agata disse: Non dire degli dei, ma piuttosto dici dei demoni. Demoni sono infatti questi, la cui immagine voi raffigurate in statue e le cui facce di gesso e di marmo coprite di oro.  35. Quinziano disse: Scegli ora una delle due, a tuo piacere, o da insipiente incorrere in varie pene con i condannati, o da sapiente e nobile, come la natura ti ha fatto, sacrifica agli dei onnipotenti, che sono veri dei come dimostra la loro vera divinità.

36. S. Agata rispose: Ti auguro che tua moglie sia quale fu la tua dea Venere, e tu sii tale quale fu Giove, tuo dio.  37. Quinziano ciò udendo comandò che fosse schiaffeggiata e le disse: Non ti rischiare a cianciare temerariamente in disprezzo del giudice.  38. S. Agata rispose: Hai detto che sono tuoi dei, quelli che la vera divinità dimostra di esser tali: sia dunque tua moglie tale quale Venere, e tu come Giove, perché anche voi possiate essere computati nel numero dei vostri dei.  39. Quinziano disse: È ben chiaro che tu scegli di soffrire vari tormenti, poiché mi insulti con ripetute offese.  40. S. Agata rispose: Mi meraviglio che tu, uomo saggio, sii giunto a tanta insipienza da stimare tuoi dei quelli, la cui vita non vorresti fosse imitata da tua moglie e da dire allo stesso tempo che ti fa ingiuria chi ti augura di vivere secondo il loro esempio.  41. Se infatti sono veri dei, bene ti ho augurato dicendoti che la tua vita sia tale quale si dice sia stata la loro. Se poi hai in orrore la loro compagnia, sei d’accordo con me.  42. Ed allora dillo chiaro che essi sono tanto pessimi tanto vilissimi, che volendo offendere qualcuno basta augurargli di esser tale, quale fu la esecrabile loro vita.  43. Quinziano disse: A che questo profluvio di parole? O sacrifichi agli dei, o ti si farà perire con vari supplizi.  44. S. Agata rispose: Se mi condanni alle fiere, queste, all’udire il nome di Cristo, si faranno mansuete; se mi darai alle fiamme, gli Angeli dal cielo mi appresteranno rugiada di salvezza, se mi darai ferite e percosse, ho dentro di me lo Spirito Santo, che mi darà forza di disprezzare ogni tuo tormento.  45. Allora Quinziano, scuotendo il capo, diede ordine di rinchiuderla nel carcere tenebroso dicendo: Pensa bene e pentiti, così potrai sfuggire gli orribili tormenti che ti dilanieranno tutta. 46. Agata rispose: Tu ministro di Satana, tu, pentiti, così potrai scansare i tormenti eterni.  47. E poiché lo confutava a voce alta innanzi al pubblico Quinziano ordinò che con grande prestezza la portassero via al carcere.  48. S. Agata poi piena di letizia e di fierezza entrò nel carcere e come invitata a nozze, accesa di gioia raccomandava a Dio con preghiere il suo combattimento. 

49. Il giorno dopo l’empio Quinziano comandò che fosse ricondotta alla sua presenza e le disse: Che cosa hai deciso per, la tua salvezza?  50. S. Agata rispose: La mia salvezza è Cristo.  51. Quinziano disse: Fino a quando, trascini ancora o infelice questa tua vana idea? Rinunzia a Cristo, e comincia ad adorare gli dei, e provvedi alla tua giovinezza, evitando una amara morte. 52. S. Agata disse: Tu nega i tuoi dei, che sono pietre e legni, e adora il vero Dio, il tuo creatore che ti ha fatto; se lo disprezzerai sarai preda di severissime pene e del fuoco eterno.  53. Allora Quinziano adirato comandò che fosse sospesa e straziata su un grande eculeo.  54. Mentre la tormentavano Quinziano le disse: Abbandona quest’idea del tuo animo, così salverai la tua vita.  55. S. Agata rispose: Io in queste pene provo tanta gioia: come chi sente una buona notizia, o come chi vede colui che da gran tempo ha bramato, o come chi trova molti tesori, così anch’io, posta in queste sofferenze di poca durata, gioisco.  56. Infatti non può il frumento esser conservato nel granaio, se prima il suo guscio non viene aspramente stritolato e ridotto in frantumi: così l’anima mia non può entrare nel paradiso del Signore con la palma del martirio, se prima non farai minutamente dai carnefici dilaniare il mio corpo.











Scene del martirio di S. Agata
 

57. Allora furioso Quinziano comandò che fosse torturata nella mammella e poi che le venisse lentamente strappata del tutto.  58. La beata Agata disse: Empio, crudele e disumano tiranno, non ti vergogni di strappare in una donna ciò che tu stesso succhiasti nella madre tua?  59. Ma io ho altre mammelle intatte nell’intimo dell’anima mia con le quali nutrisco tutti i miei sentimenti, e fin dalla infanzia le ho consacrate a Cristo Signore.  60. Allora Quinziano ordinò che fosse nuovamente condotta nel carcere e che nessun medico si permettesse di avvicinarla, e che non le si desse né acqua né pane.  61. Rinchiusa che fu nel carcere, ecco che circa la mezzanotte venne un vecchio (che era preceduto da un fanciullo con un lume) portando nella sua mano vari medicamenti,  62. Il quale, affermando di esser medico, cominciò a rivolgerle queste parole: Sebbene lo stolto consolare ti abbia troppo afflitto con tormenti corporali, tu con le tue risposte gli hai influito più gravi pene,  63. E poiché egli ti ha torturato e fatto strappare il seno, la sua ubertà gli è cambiata in fiele, e l’anima sua è riservata ad amarezza eterna.  64. E poiché io ero presente quando tu soffrivi tali cose, osservai e mi accorsi che la tua mammella può ricevere cura e salvezza.

65. Allora S. Agata gli disse: Mai ho apprestato al mio corpo medicina terrena e non conviene che perda ora quello che ho conservato fin dalla prima età.  66. Il vecchio le dice: Anch’io sono cristiano e conosco bene l’arte medica: non vorrei che tu abbia rossore di me.  67. Gli dice S. Agata: E che rossore posso io avere di te, che sei già vecchio e troppo avanzato in età? E poi quantunque io sia una ragazza, il mio corpo è talmente lacerato, che le mie stesse piaghe non permettono che alcuno stimolo sensuale ecciti il mio animo in modo che il mio pudore possa essere turbato.  68. Ma ti ringrazio o buon padre, perché ti sei degnato avere per me tanta sollecitudine: e ti ripeto che il mio corpo non sarà mai toccato da medicine fatte da uomini.  69. Le disse quel vecchio: Ma perché non permetti che io ti curi?  70. Agata rispose: Perché ho per salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale con la sola parola cura ogni cosa e la sola sua voce tutto ristora: questi se vuole può rendermi sana.  71. Allora sorridendo il vecchio le disse: Ed è proprio lui che mi mandò da te: io non sono che il suo Apostolo; e nel nome di lui sappi che devi essere sanata. Ciò detto disparve dai suoi occhi.  72. Allora prostrandosi in preghiera S. Agata disse: Ti ringrazio, o Signore Gesù Cristo, che ti sei ricordato di me, e mi mandasti il tuo Apostolo che mi ha confortato ed ha risanate le mie membra.  73. Finita la sua preghiera, osservando tutte le ferite del suo corpo, s’accorse che era salva in tutte le sue membra: infatti perfino la sua mammella era rifatta.  74. Intanto per tutta la notte nel carcere continuò a rifulgere una luce tale che i custodi scapparono impauriti e lasciarono il carcere aperto.  75. Allora le persone che erano chiuse là dentro dicevano a S. Agata di scappare.  76. Essa però rispose: Lungi da me questo pensiero: che io perda la mia corona e metta in angustie coloro che mi custodivano. Anzi, aiutata dal mio Signore Gesù Cristo, persevererò a testimoniare Colui che mi ha fatto salva e che mi ha consolato.

77. Dopo quattro giorni avvenne che Quinziano diede ordine che fosse nuovamente presentata al suo tribunale e le disse: Fino a quando ti farai pazza a resistere agli ordini degli invitti imperatori? Sacrifica agli dei, se no, sappi che sarai sottoposta a più gravi tormenti.  78. S. Agata rispose: Tutte le tue parole sono stolte, vane ed inique, i tuoi comandi appestano persino l’aria. Per questo sei misero e senza intelletto. Chi infatti vorrà invocare in suo aiuto una pietra e non il vero e sommo Dio, che si è degnato di curarmi tutte le piaghe da te fattemi, e perfino di ridonare al mio corpo perfettamente integra la mia mammella?  79. Disse Quinziano: Ma chi è che ti ha curato?  80. S. Agata rispose: Cristo il Figlio di Dio.  81. Quinziano disse: Ancora osi nominare Cristo?  82. Agata rispose: Io confesso Cristo con le labbra e col cuore non cesso giammai di invocarlo.  83. Quinziano disse: Vedrò ora se il tuo Cristo ti curerà. E comandò che fossero sparsi a terra acuti cocci, e sotto i cocci fossero messi carboni ardenti, e Agata vi fosse rivoltata a corpo nudo.  84. Mentre l’ordine veniva eseguito, subito il luogo, dove il santo corpo veniva rivoltato fu scosso e una parte di parete crollò e seppellì il consigliere del giudice, di nome Silvano, e l’amico di lui, di nome Falconio, col consiglio dei quali egli perpetrava scelleratezze.  85. Anche tutta la città di Catania fu scossa dalla veemenza del terremoto. Perciò tutti corsero al tribunale del giudice e cominciarono a tumultuare grandemente, perché tormentava con empi strazi la santa di Dio, e per questo tutti si trovavano in grave pericolo.  86. Allora Quinziano cercò di scappare, impaurito da un lato dal terremoto e dall’altro dalla sommossa del popolo.  87. Perciò comandò che fosse nuovamente portata nel carcere, ed egli dandosi alla fuga da una porticina segreta lasciò il popolo alle porte.  88. Sant’Agata entrata poi nuovamente nel carcere, allargò le sue braccia al Signore, e disse: Signore che mi hai creato e custodito dalla mia infanzia, e che nella giovinezza mi hai fatto agire virilmente;  89. che togliesti da me l’amore del secolo, che preservasti il mio corpo dalla polluzione, che mi facesti vincere i tormenti del carnefice, il ferro, il fuoco e le catene, che mi donasti fra i tormenti la virtù della pazienza;  90. Ti prego di accogliere ora il mio spirito: perché è già tempo che io lasci questo mondo per tuo comando e giunga alla tua misericordia. Dette queste parole alla presenza di molti con forte grido, rese lo spirito.

91. Ciò udendo le folle devote vennero con grande celerità e, portando via il corpo di lei, lo riposero in un sepolcro nuovo.  92. Avvenne poi, mentre il suo corpo veniva unto con aromi e con molta cura seppellito, che si avvicinò un giovane vestito di seta,  93. seguito da più di cento fanciulli, tutti adorni e belli, e nessuno mai prima lo aveva visto in Catania, né dopo alcuno lo vide, né altri si trovò che dicesse di conoscerlo. 94. Questi dunque venendo, entrò nel luogo, dove si componeva il corpo di lei e le pose vicino al capo una tavoletta di marmo, nella quale c’è scritto: MENTE SANTA, SPONTANEO ONORE A DIO E LIBERAZIONE DELLA PATRIA.  96. Chiuso poi il sepolcro se ne partì, e come abbiamo detto non fu più né visto né sentito parlare di lui nella contrada o in tutta la regione Siciliana.  97. Donde arguimmo che fosse il suo Angelo. 98. E quelli che avevano visto questa scrittura, divulgandola resero premurosi e ferventi tutti i Siciliani: tanto che sia i giudei, sia i gentili concordi ed insieme con i cristiani cominciarono a venerare il sepolcro di lei.

99. Allora Quinziano con i componenti del suo ufficio prese con furia la strada per andare ad investigare i poderi di lei, ed arrestare tutti quelli della sua parentela: ma per giudizio di Dio perì nel mezzo del fiume.  100. Difatti, mentre attraversava il fiume con una barca, due cavalli impennandosi e ricalcitrando l’uno gli si avventò coi morsi, l’altro, colpitolo con un calcio, lo scaraventò nel fiume Simeto: e non si è trovato più il suo corpo fino al giorno d’oggi.  101. Per questo crebbe il timore e la venerazione per S. Agata, e nessuno mai osò molestare alcuno della sua parentela. 

102. Perché poi si confermasse con evidenza quella scrittura che l’angelo del Signore aveva posato, dopo un anno, circa il giorno del natale di lei, il monte Etna eruttò un grande incendio, e come un fiume ardente così il fuoco impetuoso, liquefacendo e pietre e terra, veniva alla città di Catania.  103. Allora una moltitudine di abitanti dei villaggi, fuggendo scese dal monte, e vennero al sepolcro di lei, e preso il velo, onde era coperto il suo sepolcro, lo opposero contro il fuoco che veniva verso di loro: e nello stesso momento ristette il fuoco per virtù divina.  104. Il fuoco era cominciato il primo di Febbraio e cessò il 5 dello stesso mese, che è il giorno della sepoltura di lei:  105. affinché il Signore Nostro Gesù Cristo comprovasse che dal pericolo della morte e dal fuoco li aveva liberati per i meriti e le preghiere di S. Agata: a Lui perciò onore e gloria e potestà nei secoli dei secoli. Amen.




Per trovare la Verità bisogna UNIRE L'INTELLETTO CON L'AMORE e guardare le cose non solo con occhi sapienti, ma con occhi buoni. Perché vale più la bontà della sapienza. Colui che ama giunge sempre ad avere una traccia verso la Verità.

242. A Tiberiade con Maria di Magdala. Il romano Crispo e la ricerca della Verità.

Quando la barca si ferma nel porticciuolo di Tiberiade, accorrono a vedere chi giunge alcuni sfaccendati che passeggiavano presso il moletto.  Vi sono persone di ogni ceto e di ogni nazionalità. 

Perciò le lunghe vesti ebraiche di tutti i colori, le zazzere e le barbe imponenti degli israeliti, si mescolano alle vesti di lana candida, più corte e sbracciate, e ai visi glabri, dai capelli corti, dei romani robusti, e a quelle ancor più ridotte che coprono i corpi snelli ed effeminati dei greci, che sembra abbiano assimilato fin nelle pose l'arte della loro nazione lontana, come statue di dèi scese sulla Terra in corpi di uomini avvolti in tuniche molli, volti classici sotto chiome arricciate e profumate, braccia cariche di braccialetti che scintillano nelle movenze studiate. 

Molte donne di piacere sono mescolate a questi due ultimi generi di persone, perché i romani e gli elleni non si peritano di esporre i loro amori sulle piazze e per le vie, mentre i palestinesi se ne astengono, salvo poi praticare allegramente il libero amore con donne di piacere dentro le loro case. Ciò appare nettamente perché le cortigiane, nonostante gli occhiacci che fanno loro gli interpellati, chiamano famigliarmente per nome diversi ebrei fra i quali non manca un infiocchettato fariseo. 

Gesù si dirige verso la città, proprio là dove la folla più elegante si raduna più fitta. 
La folla elegante, ossia romana e greca per lo più, con qualche pizzico di cortigiani di Erode e di altri che credo ricchi mercanti della costa fenicia, verso Sidone e Tiro, perché parlano di quelle città e di empori e navi. Le terme hanno i portici esterni pieni di questa folla elegante e oziosa, che perde così il suo tempo discutendo su argomenti molto piccini, quali il favorito discobolo o l'atleta più agile e armonico nella lotta greco-romana. 

Oppure cicaleggiano di mode e di banchetti, e prendono appuntamenti per gite allegre andando ad invitare le più belle cortigiane o le dame che escono profumate e arricciate dalle terme o dai palazzi, riversandosi in questo centro di Tiberiade, marmoreo, artistico come un salone. Naturalmente il passaggio del gruppo suscita curiosità intensa, e questa diventa addirittura morbosa quando vi è chi riconosce Gesù per averlo visto a Cesarea, e vi è chi riconosce la Maddalena per quanto proceda tutta ammantellata e col velo bianco molto calato sulla fronte e sulle guance, di modo che per essere così velata, e a capo chino per giunta, ben poco del suo viso si vede.

«È il Nazzareno che ha guarito la bambina di Valeria», dice un romano.
«Mi piacerebbe vedere un miracolo», gli risponde un altro romano.
«Io lo vorrei sentire parlare. Dicono che è un gran filosofo. Gli diciamo che parli?», chiede un greco.
«Non te ne impicciare, Teodate. Predica nuvole. Sarebbe piaciuto al tragedo per una satira», risponde un altro greco.
«Non inquietarti, Aristobulo. Pare che ora scenda dalle nuvole e vada al solido. Vedi che ha scorta di femmine giovani e belle?», scherza un romano.

«Ma quella è Maria di Magdala! », urla un greco e poi chiama: «Lucio! Cornelio! Tito! Ma guardate là Maria!».
«Ma non è lei! Maria così! Sei ebbro?».
«È lei, ti dico. Non posso ingannarmi anche se è così mascherata».

Romani e greci si affollano verso il gruppo apostolico che taglia per sbieco la piazza piena di portici e fontane. Anche donne si uniscono a questi curiosi, ed è proprio una donna che va quasi sotto il volto di Maria per vederla meglio e resta di sasso vedendo che è proprio lei.
Chiede: «Che fai in questa guisa?», e ride di scherno.

35

Maria si ferma, si raddrizza, alza una mano e si scopre il volto gettando indietro il velo. È la Maria di Magdala signora potente su tutto ciò che è spregevole e padrona, già padrona delle sue impressioni, che appare.
«Sono io, sì», dice con la sua splendida voce e con dei lampi negli occhi bellissimi. «Sono io. E mi disvelo perché non abbiate a pensare che mi vergogno di essere con questi santi».
«Oh! Oh! Maria coi santi! Ma vieni via! Non avvilire te stessa!», dice la donna.
«Avvilita fui fino ad ora. Adesso non più».
«Ma sei folle? O è un capriccio?», dice.

Un romano dice scherzando e ammiccando con gli occhi: «Vieni con me. Sono più bello e più allegro di quella prèfica coi baffi che mortifica la vita e ne fa un funerale».
«Bella è la vita! Un trionfo! Un'orgia di gioia. Vieni. Io saprò superare tutti per farti felice», dice un giovane brunetto dal volto volpino, pur essendo bello, e fa per toccarla.
«Indietro! Non mi toccare. Hai detto bene: la vita che voi fate è un'orgia. E delle più vergognose. Ne ho nausea».
«Oh! Oh! Fino a poco fa era la tua vita, però», risponde il greco.
«Ora fa la vergine!», ghigna un erodiano.
«Tu rovini i santi! Il tuo Nazzareno perderà l'aureola con te. Vieni con noi», insiste un romano.
«Venite voi con me dietro a Lui. Cessate di essere animali e divenite almeno uomini».

Un coro di risate e di beffe le risponde.
Solo un vecchio romano dice: «Rispettate una donna. È libera di fare ciò che vuole. Io la difendo».
«Il demagogo! Sentilo! Ti ha fatto male il vino di ieri sera?», chiede un giovane.
«No. È ipocondriaco perché gli duole la schiena», gli risponde un altro.
«Vai dal Nazzareno che te la gratti».
«Vado perché mi gratti il fango che ho preso in contatto con voi», risponde l'anziano.
«Oh! Crispo che si è corrotto a sessant'anni!», ridono in molti facendogli cerchio intorno.
Ma l'uomo detto Crispo non si preoccupa di essere beffato e si dà a camminare dietro alla Maddalena, che raggiunge il Maestro messosi all'ombra di un edificio bellissimo che si stende in forma di esedra su due lati di una piazza. 

E Gesù è già alle prese con uno scriba che lo rimprovera di essere in Tiberiade e con quella compagnia.
«E tu perché vi sei? Questo per essere a Tiberiade. E anche ti dico che pure a Tiberiade, anzi più qui che altrove, vi sono anime da salvare», gli risponde Gesù.

«Non sono salvabili: sono gentili, pagani, peccatori».
«Per i peccatori Io sono venuto. Per far conoscere il Dio vero. A tutti. Anche per te sono venuto».

«Non ho bisogno di maestri né di redentori. Io sono puro e dotto».
«Almeno lo fossi tanto da conoscere il tuo stato!».

«E Tu da sapere quanto ti pregiudichi con la compagnia di una meretrice».
«Ti perdono anche in suo nome. Ella, nella sua umiltà, annulla il suo peccato. Tu, per la tua superbia, raddoppi le tue colpe».

«Non ho colpe».
«Hai la capitale. Sei senza amore».
Lo scriba dice: «Raca!», e volge le spalle.

«Per mia colpa, Maestro!», dice la Maddalena. E vedendo il pallore di Maria Vergine geme: «Perdonami. Io faccio insultare tuo Figlio. Mi ritirerò…»
«No. Tu resti dove sei. Lo voglio Io», dice Gesù con voce incisiva e un balenare tale negli occhi, un che di dominio in tutta la sua persona che lo fa quasi inguardabile. E poi più dolcemente: «Tu resti dove sei. E se qualcuno non sopporta la tua vicinanza, questo qualcuno se ne va, lui soltanto».

E Gesù si riavvia dirigendosi verso la parte occidentale della città.

«Maestro!», chiama il romano corpulento e vecchiotto che ha difeso la Maddalena.

Gesù si volge. «Ti chiamano Maestro, e io pure ti chiamo così. Desideravo sentirti parlare. Sono un mezzo filosofo e un mezzo gaudente. Ma forse Tu potresti fare di me un onesto uomo».
Gesù lo guarda fisso e dice: «Io lascio la città dove regna la bassezza della animalità umana ed è sovrano lo scherno». E riprende a camminare. L'uomo dietro, sudando e faticando perché il passo di Gesù è sollecito e lui è grosso e vecchiotto, appesantito anche dai vizi. Pietro, che si volta indietro, ne avverte Gesù.

«Lascialo camminare. Non te ne occupare».
Dopo poco è l'Iscariota che dice: «Ma quell'uomo ci segue. Non va bene!».
«Perché? Per pietà o per altro motivo?».
«Pietà di lui? No. Perché più in distanza ci segue lo scriba di prima con altri giudei».

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«Lasciali fare. Ma era meglio se avevi pietà di lui che di te».
«Di Te, Maestro».
«No: di te, Giuda. Sii schietto nel capire i tuoi sentimenti e nel confessarli».
«Io veramente ho pietà anche del vecchio. Si fatica, sai, a starti dietro», dice Pietro che suda.
«A seguire la Perfezione si fatica sempre, Simone».

L'uomo li segue instancabile, cercando di stare vicino alle donne, alle quali però non rivolge mai la parola.
La Maddalena piange silenziosamente sotto al suo velo.
«Non piangere, Maria», conforta la Madonna prendendole la mano. «Dopo il mondo ti rispetterà. Sono i primi giorni quelli più penosi».
«Oh! non per me! Ma per Lui. Se gli dovessi fare del male non me lo perdonerei. Hai sentito lo scriba che cosa ha detto? Io lo pregiudico».

«Povera figlia! Ma non sai che queste parole fischiano come tanti serpenti intorno a Lui da quando tu ancora non pensavi di venire a Lui? Mi ha detto Simone che lo accusarono di questo fino dallo scorso anno, per avere guarito una lebbrosa, un tempo peccatrice, vista nel momento del miracolo e poi mai più, vecchia più
di me che gli sono madre. Ma non sai che dovette fuggire dall'Acqua Speciosa perché una tua disgraziata sorella era andata là per redimersi? Come vuoi che l'accusino se Egli è senza peccato? Con menzogne. E in che trovarle? Nella sua missione fra gli uomini. L'atto buono viene agitato come prova di colpa. E qualunque cosa facesse mio Figlio, sarebbe sempre colpa per loro. Se si chiudesse in un eremo sarebbe colpevole di trascurare il popolo di Dio. Scende fra il popolo di Dio ed è colpevole di farlo. Per loro è sempre colpevole».

«Sono odiosamente cattivi, allora!».

«No. Sono ostinatamente chiusi alla Luce. Egli, il mio Gesù, è l'eterno Incompreso. E sempre, e sempre più lo sarà».

«E non ne soffri? Mi sembri tanto serena».

«Taci. È come se il mio cuore fosse fasciato di spine roventi. Ad ogni respiro io ne sono punta. Ma che Egli non lo sappia! Mi faccio vedere così per sostenerlo con la mia serenità. Se non lo conforta la sua Mamma, dove potrà trovare conforto il mio Gesù? Su quale seno potrà curvare il capo senza trovare ferita o calunnia per farlo? È dunque ben giusto che io, al disopra delle spine che già mi lacerano il cuore, e delle lacrime che bevo nelle ore di solitudine, posi un morbido manto di amore, metta un sorriso, a qualunque costo, per lasciarlo più quieto, più quieto finché... finché l'onda dell'odio sarà tale che nulla più gioverà. Neanche l'amore della Mamma...».

Maria ha due righe di pianto sul volto pallido. Le due sorelle la guardano commosse.

«Ma Egli ha noi che lo amiamo. Gli apostoli poi...», dice Marta per consolarla.

«Ha voi, sì. Ha gli apostoli... Ancora molto inferiori al loro compito... E il mio dolore è più forte perché so che Egli nulla ignora...».

«Allora saprà anche che io lo voglio ubbidire fino all'immolazione se occorre?», chiede la Maddalena.

«Lo sa. Sei una grande gioia sul suo duro cammino».

«Oh! Madre!», e la Maddalena prende la mano di Maria e la bacia con espansione.

Tiberiade finisce nelle ortaglie del suburbio. Oltre è la via polverosa che conduce a Cana, limitata da un lato da frutteti, dall'altro da una serie di prati e di campi arsi dall'estate. Gesù si inoltra in un frutteto e sosta all'ombra delle piante folte. Lo raggiungono le donne e poi il trafelato romano, che proprio non ne può più.
Si mette un poco scosto, non parla, ma guarda.

«Mentre riposiamo, prendiamo il cibo», dice Gesù. «Là vi è un pozzo e presso un contadino. Andate a chiedergli acqua».

Va Giovanni e il Taddeo. Tornano con una brocca gocciolante d'acqua, seguiti dal contadino che offre degli splendidi fichi. «Dio te ne compensi nella salute e nel raccolto».

«Dio ti protegga. Sei il Maestro, vero?».
«Lo sono».

«Parli qui?».
«Non c'è chi lo desidera».

«Io, Maestro. Più dell'acqua che è così buona per chi ha sete», grida il romano.
«Hai sete?».

«Tanto. Ti sono venuto dietro dalla città».
«Non mancano in Tiberiade fontane d'acqua fresca».

«Non fraintendermi, Maestro, o fare mostra di fraintendermi. Ti sono venuto dietro per sentirti parlare».
«Ma perché?».

«Non so perché e come. E’ stato vedendo lei (e accenna la Maddalena). Non so. Qualche cosa che mi ha detto: "Quello ti dirà ciò che ancora non sai". E sono venuto».

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«Date all'uomo acqua e fichi. Che si ristori il corpo».

«E la mente?».
«La mente ha ristoro nella Verità».

«È per quello che ti sono venuto dietro. Ho cercato la Verità nello scibile. Ho trovato la corruzione. Nelle dottrine anche migliori c'è sempre un che di non buono. Io mi sono avvilito fino a divenire un nauseato e nauseante uomo senza altro futuro che l'ora che vivo».

Gesù lo guarda fissamente mentre mangia pane e fichi che gli hanno portato gli apostoli. Il pasto è presto finito. Gesù, rimanendo seduto, principia a parlare come se facesse una semplice lezione ai suoi apostoli.


Rimane vicino anche il contadino.

//  «Molti sono quelli che cercano la Verità per tutta la vita senza giungere a trovarla. Sembrano folli che vogliano vedere pur tenendo una cavezza di bronzo sui loro occhi e annaspano cercando convulsamente, tanto che sempre più si allontanano dalla Verità, oppure la nascondono rovesciando su essa cose che la loro
ricerca folle smuove e fa precipitare. Non può che accadere loro così, perché cercano là dove la Verità non può essere. 

Per trovare la Verità bisogna unire l'intelletto con l'amore e guardare le cose non solo con occhi sapienti, ma con occhi buoni. Perché vale più la bontà della sapienza. Colui che ama giunge sempre ad avere una traccia verso la Verità. 

Amare non vuole dire godere di una carne e per la carne. Quello non è amore. È sensualità. Amore è l'affetto da animo ad animo, da parte superiore a parte superiore, per cui nella compagna non si vede la schiava ma la generatrice dei figli, solo quello, ossia la metà che forma con l'uomo un tutto che è capace di creare una vita, più vite; ossia la compagna che è madre e sorella e figlia dell'uomo, che è debole più di un neonato o più forte di un leone a seconda dei casi, e che come madre, sorella, figlia, va amata con rispetto confidente e protettore. 
Ciò che non è quanto Io dico, non è amore. È vizio. Non conduce all'alto ma al basso. Non alla Luce ma alle Tenebre. Non alle stelle ma al fango. 

Amare la donna per sapere amare il prossimo. Amare il prossimo per sapere amare Dio. Ecco trovata la via della Verità. La Verità è qui, uomini che la cercate. La Verità è Dio. La chiave per comprendere lo scibile è qui. La dottrina che è senza difetto non è che quella di Dio. 
Come può l'uomo dare risposta ai suoi "perché", se non ha Dio che gli risponde? 
Chi può svelare i misteri del creato, anche solo e semplicemente quelli, se non il Fattore supremo che ha fatto questo creato? 

Come comprendere il prodigio vivente che è l'uomo, essere in cui si fonde la perfezione animale con quella perfezione immortale che è l'anima, per cui dèi siamo se abbiamo in noi viva l'anima, ossia libera da quelle colpe che avvilirebbero il bruto e che pure l'uomo compie, e si vanta di compierle? 

Io vi dico le parole di Giobbe, o cercatori della Verità: "Interroga i giumenti e ti istruiranno, gli uccelli e te lo indicheranno. Parla alla terra e ti risponderà, ai pesci e te lo faranno sapere". Sì, la terra, questa terra verdeggiante e fiorita, queste frutta che si gonfiano sulle piante, questi uccelli che prolificano, queste correnti di venti che distribuiscono le nubi, questo sole che non erra il suo sorgere da secoli e millenni, tutto parla di Dio, tutto spiega Dio, tutto svela e disvela Iddio. Se la scienza non si appoggia su Dio diviene errore che non eleva ma avvilisce. 

Il sapere non è corruzione se è religione. Chi sa in Dio non cade perché sente la sua dignità, perché crede nel suo futuro eterno. Ma bisogna cercare il Dio reale. Non le fantasie che dei non sono ma solo deliri di uomini ancora avvolti nelle fasce della ignoranza spirituale, per cui non c'è ombra di sapienza nelle loro religioni e ombra di verità nelle loro fedi. 

Ogni età è buona per divenire sapienti. Anzi, ancora in Giobbe questo è detto: "Sul far della sera ti sorgerà una specie di luce meridiana, e quando ti crederai finito sorgerai come la stella del mattino. Sarai pieno di fiducia per la speranza che ti attende". Basta la buona volontà di trovare la Verità, e prima o poi essa si lascerà trovare. Ma una volta che trovata sia, guai a chi non la segue, imitando i cocciuti di Israele che, avendo già in mano il filo conduttore per trovare Dio - tutte le cose che di Me sono dette nel Libro - non vogliono arrendersi alla Verità e la odiano, accumulando sul loro intelletto e sul loro cuore le macie dell'odio e delle formule, e non sanno che per troppo peso la terra si aprirà sotto il loro passo che crede essere di trionfatore e non è che passo di schiavo dei formalismi, dell'astio, degli egoismi, ed essi saranno ingoiati, precipitando là dove vanno i colpevoli coscienti di un paganesimo più colpevole ancora di quello che dei popoli si sono dati, da se stessi, per avere una religione su cui regolare se stessi. No, che Io, così come non respingo chi si pente fra i figli di Israele, così non respingo neppure questi idolatri che credono in ciò che fu loro dato da credere, e che dentro, nell'interno, gemono: "Dateci la Verità!". Ho detto. Ora riposiamo in questo verde, se l'uomo lo concede. A sera andremo a Cana».  //


«Signore, io ti lascio. Ma poiché non voglio profanare la scienza che Tu mi hai dato, partirò questa sera da Tiberiade. 

Lascio questa terra. Mi ritiro col mio servo sulle coste della Lucania. Ho là una casa. 

Molto mi hai dato. Di più comprendo che Tu non possa dare al vecchio epicureo. Ma in quello che mi hai dato ho già tanto
da ricostruire un pensiero. 

E... Tu prega il tuo Dio per il vecchio Crispo. L'unico tuo ascoltatore di Tiberiade.

Prega perché prima della stretta di Libitina io possa riudirti e, con la capacità che credo poter creare in me sulle tue parole, capirti meglio e capire meglio la Verità. Salve, Maestro».

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E saluta alla romana. Ma poi, passando presso le donne sedute un poco in disparte, si inchina a Maria di Magdala e le dice: «Grazie, Maria. Bene fu che ti conoscessi. Al tuo vecchio compagno di festini tu hai dato il tesoro cercato. Se giungerò dove tu già sei, lo dovrò a te. Addio».


E se ne va. La Maddalena si stringe le mani sul cuore, con un viso stupito e radioso. Poi a ginocchi si trascina davanti a Gesù.
«Oh! Signore! Signore! È dunque vero che io posso portare al bene? Oh! mio Signore! Ciò è troppa bontà!». E curvandosi col viso fra l'erba bacia i piedi di Gesù bagnandoli di nuovo col pianto, ora riconoscente, della grande amorosa di Magdala.


AVE MARIA!





mercoledì 4 novembre 2015