lunedì 26 ottobre 2015

Quindi ti prego di capire


1 Luglio 2013 – Madre Della salvezza: quello di cui sono stata testimone, non potrebbe mai essere messo su carta, tanto vili furono le crudeltà inflitte sul Suo Corpo Divino

Bambina mia, quando soffri per Mio Figlio, è bene gridare di dolore, perché dopo tutto, sei solo un essere umano. Quando ho assistito alla flagellazione di Mio Figlio e poi alla Sua terrificante crocifissione, ero fuori di Me dal dolore. E, come ho visto il Suo pietoso Corpo sopportare ciò che nessun animale sarebbe in grado di tollerare in un macello, sono svenuta così tante volte che a malapena riuscivo a stare in piedi.
Quanto ha sofferto, nessuno lo saprà mai, perché quello di cui sono stata testimone non potrebbe mai essere messo su carta, tanto vili furono le crudeltà inflitte sul Suo Corpo Divino. Questo è il motivo per cui viene data così poca descrizione degli insulti degradanti che hanno inflitto su di Lui, poiché sarebbe così sconvolgente da macchiare il Suo Santo Nome nello scriverla.

Tu, bambina Mia, soffri, ma solo una piccola frazione del Suo dolore. Devi sapere che, sebbene sei nel dolore fisico, Mio Figlio permette che la Sua sofferenza si manifesti solo in coloro che Egli
sceglie. Quando lo fa, vi aiuta a sfidare, sconfiggere e distruggere il potere del male, attraverso il dono del vostro libero arbitrio al Mio prezioso Figlio. Nel fare questo, consacrate la vostra anima,
così come il vostro corpo, e questo è un regalo molto speciale per Lui – un dono, che Gli permette di salvare gli altri.

Quindi ti prego di capire che quando Mio Figlio aumenta la tua sofferenza e quando egli soffre veramente dentro di te, questa è una grazia, che non devi rifiutare. Abbracciala. Capirai presto
quanto questa sia potente. Quando Mio Figlio manifesta le Sue ferite nel corpo di un’anima eletta, esso porta con sé una terribile persecuzione. Questo è quando il maligno attacca con grave e
violenta rabbia. Avrai paura all’inizio, ma ora che capisci, accetterai questo e proteggerai te stessa semplicemente attraverso la recita, almeno tre volte al giorno, del Mio Santissimo Rosario.

Bambina mia, assicurati di non consentire alla paura di portarti via da questo lavoro, perché questo è ciò che il maligno vuole. Devi stare in piedi, resistere e rimanere in silenzio, quando l’odio si
accumula contro di te. Queste prove sono da aspettarsele in una Missione di queste dimensioni. 

Sii in pace e sappi che tutti gli angeli e i santi sono con te e ti guidano.

La tua amata Madre
Madre di Dio
Madre della Salvezza

domenica 25 ottobre 2015

UNA COMPAGNIA SEMPRE RIFORMANDA



UNA COMPAGNIA SEMPRE RIFORMANDA







E' una grande gioia che sia qui con noi il Cardinal Ratzinger, Prefetto della Congregazione della dottrina della fede. Il suo compito lo costituisce come un altissimo punto di riferimento per la salvaguardia del bene preziosissimo per il popolo di Dio, la fede nel Cristo vivo. La presenza del Cardinal Ratzinger ci è graditissima occasione per ricordare il grande momento dell'82, quando Papa Giovanni Paolo Il venne da noi ed ebbe la bontà di rispondere alle nostre domande. In particolare, la persona del Cardinale, le sue riflessioni ed i suoi scritti, a cominciare dalla "Introduzione al Cristianesimo", non cessano per noi di essere un prezioso alimento e un grande aiuto a vivere un'esperienza di fede, capace di vivere la realtà e la storia, così come ci è stato insegnato.


La parola al Cardinale Ratzinger.

Joseph Ratzinger. Cari amici, grazie per questa accoglienza così calorosa; conoscete il titolo della mia conferenza: "Una compagnia sempre riformanda". Non c'è bisogno di molta immaginazione per indovinare che la compagnia di cui qui voglio parlare è la Chiesa

Forse si è evitato di menzionare nel titolo il termine "Chiesa", solo perché esso provoca spontaneamente, nella maggior parte degli uomini di oggi, reazioni di difesa. 

Essi pensano: "Di Chiesa abbiamo già sentito parlare fin troppo e per lo più non si è trattato di niente di piacevole". La parola e la realtà della Chiesa sono cadute in discredito. E perciò anche una simile riforma permanente non sembra poter cambiare qualcosa. 

0 forse il problema è solamente che finora non è stato scoperto il tipo di riforma che potrebbe fare della Chiesa una compagnia che valga davvero la pena di essere vissuta? 

Ma chiediamoci innanzitutto: perché la Chiesa riesce sgradita a così tante persone, e addirittura anche a credenti, anche a persone che fino a ieri potevano essere annoverate tra le più fedeli o che, pur tra sofferenze, lo sono in qualche modo ancora oggi? I motivi sono tra loro molto diversi, anzi opposti, a seconda delle posizioni. 

Alcuni soffrono perché la Chiesa si è troppo adeguata ai parametri del mondo d'oggi; altri sono infastiditi perché ne resta ancora troppo estranea. Per la maggior parte della gente, la scontentezza nei confronti della Chiesa comincia col fatto che essa è un'istituzione come tante altre, e che come tale limita la mia libertà. La sete di libertà è la forma in cui oggi si esprimono il desiderio di liberazione e la percezione di non essere liberi, di essere alienati. L'invocazione di libertà aspira ad un'esistenza che non sia limitata da ciò che è già dato e che mi ostacola nel mio pieno sviluppo, presentandomi dal di fuori la strada che io dovrei percorrere. 

Ma dappertutto andiamo a sbattere contro barriere e blocchi stradali di questo genere, che ci fermano impedendoci di andare oltre. Gli sbarramenti che la Chiesa innalza si presentano quindi come doppiamente pesanti, poiché penetrano fin nella sfera più personale e più intima. Le norme di vita della Chiesa sono infatti ben di più che una specie di regole del traffico, affinché la convivenza umana eviti il più possibile gli scontri. Esse riguardano il mio cammino interiore, e mi dicono come devo comprendere e configurare la mia libertà. Esse esigono da me decisioni, che non si possono prendere senza il dolore della rinuncia. 

Non si vuole forse negarci i frutti più belli del giardino della vita? Non è forse vero che con la ristrettezza di così tanti comandi e divieti ci viene sbarrata la strada di un orizzonte aperto? E il pensiero, non viene forse ostacolato nella sua grandezza, come pure la volontà? Non deve forse la liberazione essere necessariamente l'uscita da una simile tutela spirituale? E l'unica vera riforma, non sarebbe forse quella di respingere tutto ciò? Ma allora cosa rimane ancora di questa compagnia?

L'amarezza contro la Chiesa ha però anche un motivo specifico. Infatti, in mezzo ad un mondo governato da dura disciplina e da inesorabili costrizioni, si leva verso la Chiesa ancora e sempre una silenziosa speranza: essa potrebbe rappresentare in tutto ciò come una piccola isola di vita migliore, una piccola oasi di libertà, in cui di tanto in tanto ci si può ritirare. L'ira contro la Chiesa o la delusione nei suoi confronti hanno perciò un carattere particolare, poiché silenziosamente ci si attende da essa di più che da altre istituzioni mondane. In essa si dovrebbe realizzare il sogno di un mondo migliore. Quanto meno, si vorrebbe assaporare in essa il gusto della libertà, dell'essere liberati: quell'uscir fuori dalla caverna, di cui parla Gregorio Magno ricollegandosi a Platone.

Tuttavia, dal momento che la Chiesa nel suo aspetto concreto si è talmente allontanata da simili sogni, assumendo anch'essa il sapore di una istituzione e di tutto ciò che è umano, contro di essa sale una collera particolarmente amara. E questa collera non può venir meno, proprio poiché non si può estinguere quel sogno che ci aveva rivolti con speranza verso di essa. 
Siccome la Chiesa non è così come appare nei sogni, si cerca disperatamente di renderla come la si desidererebbe: un luogo in cui si possano esprimere tutte le libertà, uno spazio dove siano abbattuti i nostri limiti, dove si sperimenti quell'utopia che ci dovrà pur essere da qualche parte. 
Come nel campo dell'azione politica si vorrebbe finalmente costruire il mondo migliore, così si pensa, si dovrebbe finalmente (magari come prima tappa sulla via verso di esso) metter su anche la Chiesa migliore: una Chiesa di piena umanità, piena di senso fraterno, di generosa creatività, una dimora di riconciliazione di tutto e per tutti. 

Riforma inutile

Ma in che modo dovrebbe accadere questo? Come può riuscire una simile riforma? Orbene; dobbiamo pur cominciare, si dice. Lo si dice spesso con l'ingenua presunzione dell'illuminato, il quale è convinto che le generazioni fino ad ora non abbiano ben compreso la questione, oppure che siano state troppo timorose e poco illuminate; noi però abbiamo ora finalmente nello stesso tempo sia il coraggio che l'intelligenza. Per quanta resistenza possano opporre i reazionari e i "fondamentalisti" a questa nobile impresa, essa deve venir posta in opera. 
Almeno c'è una ricetta oltremodo illuminante per il primo passo. La Chiesa non è una democrazia. Da quanto appare, essa non ha ancora integrato nella sua costituzione interna quel patrimonio di diritti della libertà che l'Illuminismo ha elaborato e che da allora è stato riconosciuto come regola fondamentale delle formazioni sociali e politiche. Così sembra la cosa più normale del mondo recuperare una buona volta quanto era stato trascurato e cominciare coll'erigere questo patrimonio fondamentale di strutture di libertà. Il cammino conduce - come si suol dire - da una Chiesa paternalistica e distributrice di beni ad una Chiesa-comunità. Si dice che nessuno più dovrebbe rimanere passivo ricevitore dei doni che fanno esser cristiano. Tutti devono invece diventare attivi operatori della vita cristiana. La Chiesa non deve più venir calata giù dall'alto. No! Siamo noi che "facciamo" la Chiesa, e la facciamo sempre nuova. Così essa diverrà finalmente la "nostra" Chiesa, e noi i suoi attivi soggetti responsabili. L'aspetto passivo cede a quello attivo. La Chiesa sorge attraverso discussioni, accordi e decisioni. Nel dibattito emerge ciò che ancora oggi può esser richiesto, ciò che oggi può ancora essere riconosciuto da tutti come appartenente alla fede o come linea morale direttiva. Vengono coniate nuove "formule di fede" abbreviate. In Germania, a un livello abbastanza elevato, è stato detto che anche la Liturgia non deve più corrispondere ad uno schema previo, già dato, ma deve sorgere invece sul posto, in una data situazione ad opera della comunità per cui viene celebrata. Anche essa non deve più essere niente di già precostituito, ma invece qualcosa di fatto da sé, qualcosa che sia espressione di se stessi. Su questa via si rivela essere un pò di ostacolo, per lo più, la parola della Scrittura, alla quale però non si può rinunciare del tutto. Si deve allora affrontarla con molta libertà di scelta. Non sono molti però i testi che si lasciano impiegare in modo tale da adattarsi senza disturbi a quell'auto-realizzazione, alla quale la liturgia ora sembra essere destinata.

In quest'opera di riforma, in cui ora finalmente anche nella Chiesa l'"autogestione" deve sostituire l'esser guidati da altri, sorgono però presto delle domande. Chi ha qui propriamente il diritto di prendere le decisioni? Su quale base ciò avviene? Nella democrazia politica, a questa domanda si risponde con il sistema della rappresentanza: nelle elezioni i singoli scelgono i loro rappresentanti, i quali prendono le decisioni per loro. Questo incarico è limitato nel tempo; è circoscritto anche contenutisticamente in grandi linee dal sistema partitico, e comprende solo quegli ambiti dell'azione politica che dalla Costituzione sono assegnati alle entità statali rappresentative. Anche a questo proposito rimangono delle questioni: la minoranza deve chinarsi alla maggioranza, e questa minoranza può essere molto grande. Inoltre, non è sempre garantito che il rappresentante che ho eletto agisca e parli davvero nel senso da me desiderato, cosicché anche la maggioranza vittoriosa, osservando le cose più da vicino, ancora una volta non può considerarsi affatto interamente come soggetto attivo dell'evento politico. Al contrario, essa deve accettare anche "decisioni prese da altri", onde perlomeno non mettere in pericolo il sistema nella sua interezza.

Più importante per la nostra questione è però un problema generale. Tutto quello che gli uomini fanno, può anche essere annullato da altri. Tutto ciò che proviene da un gusto umano può non piacere ad altri. Tutto ciò che una maggioranza decide può venire abrogato da un'altra maggioranza. Una Chiesa che riposi sulle decisioni di una maggioranza diventa una Chiesa puramente umana. Essa è ridotta al livello di ciò che è plausibile, di quanto è frutto della propria azione e delle proprie intuizioni ed opinioni. L'opinione sostituisce la fede. Ed effettivamente, nelle formule di fede coniate da sé che io conosco, il significato dell'espressione "credo" non va mai al di là del significato "noi pensiamo". La Chiesa fatta da sé ha alla fine il sapore del "se stessi", che agli altri "se stessi" non è mai gradito e ben presto rivela la propria piccolezza. Essa si è ritirata nell'ambito dell'empirico, e così si è dissolta anche come ideale sognato.

L'essenza della vera riforma

L'attivista, colui che vuole costruire tutto da sé, è il contrario di colui che ammira (l'"ammiratore"). Egli restringe l'ambito della propria ragione e perde così di vista il Mistero. Quanto più nella Chiesa si estende l'ambito delle cose decise da sé e fatte da sé, tanto più angusta essa diventa per noi tutti. In essa la dimensione grande, liberante, non è costituita da ciò che noi stessi facciamo, ma da quello che a noi tutti è donato. 
Quello che non proviene dal nostro volere e inventare, bensì è un precederci, un venire a noi di ciò che è inimmaginabile, di ciò che "è più grande del nostro cuore". 

La reformatio, quella che è necessaria in ogni tempo, non consiste nel fatto che noi possiamo rimodellarci sempre di nuovo la "nostra" Chiesa come più ci piace, che noi possiamo inventarla, bensì nel fatto che noi spazziamo via sempre nuovamente le nostre proprie costruzioni di sostegno, in favore della luce purissima che viene dall'alto e che è nello stesso tempo l'irruzione della pura libertà. 

Lasciatemi dire con un'immagine ciò che io intendo, un'immagine che ho trovato in Michelangelo, il quale riprende in questo da parte sua antiche concezioni della mistica e della filosofia cristiane. Con lo sguardo dell'artista, Michelangelo vedeva già nella pietra che gli stava davanti l'immagine-guida che nascostamente attendeva di venir liberata e messa in luce. Il compito dell'artista - secondo lui - era solo quello di toglier via ciò che ancora ricopriva l'immagine. Michelangelo concepiva l'autentica azione artistica come un riportare alla luce, un rimettere in libertà, non come un fare. 

La stessa idea applicata però all'ambito antropologico, si trovava già in san Bonaventura, il quale spiega il cammino attraverso cui l'uomo diviene autenticamente se stesso, prendendo lo spunto dal paragone con l'intagliatore di immagini, cioè con lo scultore. 

Lo scultore non fa qualcosa, dice il grande teologo francescano. La sua opera è invece una ablatio: essa consiste nell'eliminare, nel togliere via ciò che è inautentico. In questa maniera, attraverso la ablatio, emerge la nobilis forma, cioè la figura preziosa. 
Così anche l'uomo, affinché risplenda in lui l'immagine di Dio, deve soprattutto e prima di tutto accogliere quella purificazione, attraverso la quale lo scultore, cioè Dio, lo libera da tutte quelle scorie che oscurano l'aspetto autentico del suo essere, facendolo apparire solo come un blocco di pietra grossolano, mentre invece inabita in lui la forma divina.

Se la intendiamo giustamente, possiamo trovare in questa immagine anche il modello guida per la riforma ecclesiale. Certo, la Chiesa avrà sempre bisogno di nuove strutture umane di sostegno, per poter parlare e operare ad ogni epoca storica. Tali istituzioni ecclesiastiche, con le loro configurazioni giuridiche, lungi dall'essere qualcosa di cattivo, sono al contrario, in un certo grado, semplicemente necessarie e indispensabili. Ma esse invecchiano, rischiano di presentarsi come la cosa più essenziale, e distolgono così lo sguardo da quanto è veramente essenziale. Per questo esse devono sempre di nuovo venir portate via, come impalcature divenute superflue. 
Riforma è sempre nuovamente una ablatio: un toglier via, affinché divenga visibile la nobilis forma, il volto della Sposa e insieme con esso anche il volto dello Sposo stesso, il Signore vivente. 
Una simile ablatio, una simile "teologia negativa", è una via verso un traguardo del tutto positivo. 
Solo così il Divino penetra, e solo così sorge una congregatio, un'assemblea, un raduno, una purificazione, quella comunità pura a cui aneliamo: una comunità in cui un "io" non sta più contro un altro "io", un "sé" contro un altro "sé". Piuttosto quel donarsi, quell'affidarsi con fiducia, che fa parte dell'amore, diventa il reciproco ricevere tutto il bene e tutto ciò che è puro. E così per ciascuno vale la parola del Padre generoso, il quale al figlio maggiore invidioso richiama alla memoria quanto costituisce il contenuto di ogni libertà e di ogni utopia realizzata: "Tutto ciò che è mio è tuo..." (Lc 15,31; cfr. Gv 17,1).

La vera riforma è dunque una ablatio, che come tale diviene congregatio. Cerchiamo di afferrare in modo un pò più concreto quest'idea di fondo. In un primo approccio avevamo contrapposto all'attivista l'ammiratore, e ci eravamo espressi in favore di quest'ultimo. Ma che cosa esprime questa contrapposizione? L'attivista, colui che vuol sempre fare, pone la sua propria attività al di sopra di tutto. Ciò limita il suo orizzonte all'ambito del fattibile, di ciò che può diventare oggetto del suo fare. Propriamente parlando egli vede soltanto degli oggetti. Non è affatto in grado di percepire ciò che è più grande di lui, poiché ciò porrebbe un limite alla sua attività. Egli restringe il mondo a ciò che è empirico. L'uomo viene amputato. L'attivista si costruisce da solo una prigione, contro la quale poi egli stesso protesta ad alta voce. 

Invece l'autentico stupore è un "No" alla limitazione dentro ciò che è empirico, dentro ciò che è solamente l'aldiqua. Esso prepara l'uomo all'atto della fede, che gli spalanca d'innanzi l'orizzonte dell'Eterno, dell'Infinito. E solamente ciò che non ha limiti è sufficientemente ampio per la nostra natura, solamente l'illimitato è adeguato alla vocazione del nostro essere. Dove questo orizzonte scompare, ogni residuo di libertà diventa troppo piccolo e tutte le liberazioni, che di conseguenza possono venir proposte, sono un insipido surrogato, che non basta mai. 
La prima, fondamentale ablatio, che è necessaria per la Chiesa, è sempre nuovamente l'atto della fede stessa. Quell'atto di fede che lacera le barriere del finito e apre così lo spazio per giungere sino allo sconfinato. La fede ci conduce "lontano, in terre sconfinate", come dicono i Salmi. Il moderno pensiero scientifico ci ha sempre più rinchiusi nel carcere del positivismo, condannandoci così al pragmatismo.
Per merito suo si possono raggiungere molte cose; si può viaggiare fin sulla luna e ancora più lontano, nell'illimitatezza del cosmo. Tuttavia, nonostante questo, si rimane sempre allo stesso punto, perché la vera e propria frontiera, la frontiera del quantitativo e del fattibile, non viene oltrepassata. Albert Camus ha descritto l'assurdità di questa forma di libertà nella figura dell'imperatore Caligola: tutto è a sua disposizione, ma ogni cosa gli è troppo stretta. Nella sua folle bramosia di avere sempre di più, e cose sempre più grandi, egli grida: Voglio avere la luna, datemi la luna! Ora, nel frattempo, è divenuto per noi possibile avere in qualche modo anche la luna. Ma finché non si apre la vera e propria frontiera, la frontiera fra terra e cielo, tra Dio e il mondo, anche la luna è solamente un ulteriore pezzetto di terra, e il raggiungerla non ci porta neanche di un passo più vicini alla libertà e alla pienezza che desideriamo.
La fondamentale liberazione che la Chiesa può darci è lo stare nell'orizzonte dell'Eterno, è l'uscir fuori dai limiti del nostro sapere e del nostro potere. La fede stessa, in tutta la sua grandezza e ampiezza, è perciò sempre nuovamente la riforma essenziale di cui noi abbiamo bisogno; a partire da essa noi dobbiamo sempre di nuovo mettere alla prova quelle istituzioni che nella Chiesa noi stessi abbiamo fatto. Ciò significa che la Chiesa deve essere il ponte della fede, e che essa - specialmente nella sua vita associazionistica intramondana - non può divenire fine a se stessa. 
Diffusa oggi qua e là, anche in ambienti ecclesiastici elevati, l'idea che una persona sia tanto più cristiana quanto più è impegnata in attività ecclesiali. 
Si spinge ad una specie di terapia ecclesiastica dell'attività, del darsi da fare; a ciascuno si cerca di assegnare un comitato o, in ogni caso, almeno un qualche impegno all'interno della Chiesa. 
In un qualche modo, così si pensa, ci deve sempre essere un'attività ecclesiale, si deve parlare della Chiesa o si deve fare qualcosa per essa o in essa. 

Ma uno specchio che riflette solamente se stesso non è più uno specchio; una finestra che invece di consentire uno sguardo libero verso il lontano orizzonte, si frappone come uno schermo fra l'osservatore ed il mondo, ha perso il suo senso. Può capitare che qualcuno eserciti ininterrottamente attività associazionistiche ecclesiali e tuttavia non sia affatto un cristiano. Può capitare invece che qualcun altro viva solo semplicemente della Parola e del Sacramento e pratichi l'amore che proviene dalla fede, senza essere mai comparso in comitati ecclesiastici, senza essersi mai occupato delle novità di politica ecclesiastica, senza aver fatto parte di sinodi e senza aver votato in essi, e tuttavia egli è un vero cristiano. Non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana. 

E per questo tutto ciò che è fatto dall'uomo, all'interno della Chiesa, deve riconoscersi nel suo puro carattere di servizio e ritrarsi davanti a ciò che più conta e che è l'essenziale. La libertà, che noi ci aspettiamo con ragione dalla Chiesa e nella Chiesa non si realizza per il fatto che noi introduciamo in essa il principio della maggioranza. Essa non dipende dal fatto che la maggioranza più ampia possibile prevalga sulla minoranza più esigua possibile. Essa dipende invece dal fatto che nessuno può imporre il suo proprio volere agli altri, bensì tutti si riconoscono legati alla parola e alla volontà dell'Unico, che è il nostro Signore e la nostra libertà. 
Nella Chiesa l'atmosfera diventa angusta e soffocante se i portatori del ministero dimenticano che il Sacramento non è una spartizione di potere, ma è invece espropriazione di me stesso in favore di Colui, nella persona del quale io devo parlare ed agire. Dove alla sempre maggiore responsabilità corrisponde la sempre maggiore autoespropriazione, lì nessuno è schiavo dell'altro; lì domina il Signore e perciò vale il principio che: "Il Signore è lo Spirito. Dove però c'è lo Spirito del Signore ivi c'è la libertà" (2Cor 3, 17).


Quanti più apparati noi costruiamo, siano anche i più moderni, tanto meno c'è spazio per lo Spirito, tanto meno c'è spazio per il Signore, e tanto meno c'è libertà. Io penso che noi dovremmo, sotto questo punto di vista, iniziare nella Chiesa a tutti i livelli un esame di coscienza senza riserve. A tutti i livelli questo esame di coscienza dovrebbe avere conseguenze assai concrete, e recare con sé una ablatio che lasci di nuovo trasparire il volto autentico della Chiesa. Esso potrebbe ridare a noi tutti il senso della libertà e del trovarsi a casa propria in maniera completamente nuova.

Morale, perdono ed espiazione: il centro personale della riforma

Guardiamo un attimo, prima di andare avanti, a quanto fin qui abbiamo messo in luce. Abbiamo parlato di un doppio "toglimento", di un atto di liberazione, che è un duplice atto: di purificazione e di rinnovamento. 
Da prima il discorso ha toccato la fede, che infrange le mura del finito e libera lo sguardo verso le dimensioni dell'Eterno, e non solo lo sguardo, ma anche la strada. La fede è infatti non soltanto riconoscere ma operare; non soltanto una frattura nel muro, ma una mano che salva, che tira fuori dalla caverna. 
Da ciò abbiamo tratto la conseguenza, per le Istituzioni, che l'essenziale ordinamento di fondo della Chiesa ha sì bisogno sempre di nuovi sviluppi concreti e di concrete configurazioni - affinché la sua vita si possa sviluppare in un tempo determinato - ma che però queste configurazioni non possono diventare la cosa essenziale. La Chiesa infatti non esiste allo scopo di tenerci occupati come una qualsiasi associazione intramondana e di conservarsi in vita essa stessa, ma esiste invece per divenire in noi tutti accesso alla vita eterna

Ora dobbiamo compiere un passo ulteriore, e applicare tutto questo non più al livello generale e oggettivo quale era finora, ma all'ambito personale. Infatti anche qui, nella sfera personale, è necessario un "toglimento" che ci liberi. 
Sul piano personale non è sempre e senz'altro la "forma preziosa", cioè l'immagine di Dio inscritta in noi, a balzare all'occhio. 
Come prima cosa noi vediamo invece soltanto l'immagine di Adamo, l'immagine dell'uomo non del tutto distrutto, ma pur sempre decaduto. Vediamo le incrostazioni di polvere e sporcizia, che si sono posate sopra l'immagine. Noi tutti abbiamo bisogno del vero Scultore, il quale toglie via ciò che deturpa l'immagine, abbiamo bisogno del perdono, che costituisce il nucleo di ogni vera riforma

Non è certamente un caso che nelle tre tappe decisive del formarsi della Chiesa, raccontate dai Vangeli, la remissione dei peccati giochi un ruolo essenziale
C'è in primo luogo la consegna delle chiavi a Pietro. La potestà a lui conferita di legare e sciogliere, di aprire e chiudere, di cui qui si parla, è, nel suo nucleo, incarico di lasciar entrare, di accogliere in casa, di perdonare (Mt 16,19). 
La stessa cosa si trova di nuovo nell'Ultima Cena, che inaugura la nuova comunità a partire dal corpo di Cristo e nel corpo di Cristo. Essa diviene possibile per il fatto che il Signore versa il suo sangue "per i molti, in remissione dei peccati" (Mt 26,28). 
Infine il Risorto, nella sua prima apparizione agli Undici, fonda la comunione della sua pace nel fatto che egli dona loro la potestà di perdonare (Gv 20,19-23). La Chiesa non è una comunità di coloro che "non hanno bisogno del medico", bensì una comunità di peccatori convertiti, che vivono della grazia del perdono, trasmettendola a loro volta ad altri. 

Se leggiamo con attenzione il Nuovo Testamento, scopriamo che il perdono non ha in sé niente di magico; esso però non è nemmeno un far finta di dimenticare, non è "un fare come se non", ma invece un processo di cambiamento del tutto reale, quale lo Scultore lo compie. Il toglier via la colpa rimuove davvero qualcosa; l'avvento del perdono in noi si mostra nel sopraggiungere della penitenza. Il perdono è in tal senso un processo attivo e passivo: la potente parola creatrice di Dio su di noi opera il dolore del cambiamento e diventa così un attivo trasformarsi. 

Perdono e penitenza, grazia e propria personale conversione non sono in contraddizione, ma sono invece due facce dell'unico e medesimo evento. Questa fusione di attività e passività esprime la forma essenziale dell'esistenza umana. Infatti tutto il nostro creare comincia con l'essere creati, con il nostro partecipare all'attività creatrice di Dio. 

Qui siamo giunti ad un punto veramente centrale: credo infatti che il nucleo della crisi spirituale del nostro tempo abbia le sue radici nell'oscurarsi della grazia del perdono. Notiamo però dapprima l'aspetto positivo del presente: la dimensione morale comincia nuovamente a poco a poco a venir tenuta in onore. Si riconosce, anzi è divenuto evidente, che ogni progresso tecnico è discutibile e ultimamente distruttivo, se ad esso non corrisponde una crescita morale. Si riconosce che non c'è riforma dell'uomo e dell'umanità senza un rinnovamento morale. Ma l'invocazione di moralità rimane alla fine senza energia, poiché i parametri si nascondono in una fitta nebbia di discussioni. In effetti l'uomo non può sopportare la pura e semplice morale, non può vivere di essa: essa diviene per lui una "legge", che provoca il desiderio di contraddirla e genera il peccato. 

Perciò là dove il perdono, il vero perdono pieno di efficacia, non viene riconosciuto o non vi si crede, la morale deve venir tratteggiata in modo tale che le condizioni del peccare per il singolo uomo non possano mai propriamente verificarsi. 

A grandi linee si può dire che l'odierna discussione morale tende a liberare gli uomini dalla colpa, facendo sì che non subentrino mai le condizioni della sua possibilità. Viene in mente la mordace frase di Pascal: "Ecce patres, qui tollunt peccata mundi!". Ecco i padri, che tolgono i peccati del mondo. Secondo questi "moralisti", non c'è semplicemente più alcuna colpa. Naturalmente, tuttavia, questa maniera di liberare il mondo dalla colpa è troppo a buon mercato. Dentro di loro, gli uomini così liberati sanno assai bene che tutto questo non è vero, che il peccato c'è, che essi stessi sono peccatori e che deve pur esserci una maniera effettiva di superare il peccato. Anche Gesù stesso non chiama infatti coloro che si sono già liberati da sé e che perciò - come essi ritengono - non hanno bisogno di Lui, ma chiama invece coloro che si sanno peccatori e che perciò hanno bisogno di Lui. 

La morale conserva la sua serietà solamente se c'è il perdono, un perdono reale, efficace; altrimenti essa ricade nel puro e vuoto condizionale. Ma il vero perdono c'è solo se c'è il "prezzo d'acquisto", l'"equivalente nello scambio", se la colpa è stata espiata, se esiste l'espiazione. La circolarità che esiste tra "morale - perdono -espiazione" non può essere spezzata; se manca un elemento cade anche tutto il resto. Dall'indivisa esistenza di questo circolo dipende se per l'uomo c'è redenzione oppure no. Nella Torah, nei cinque libri di Mosé, questi tre elementi sono indivisibilmente annodati l'uno all'altro e non è possibile perciò da questo centro compatto appartenente al Canone dell'Antico Testamento scorporare, alla maniera illuminista, una legge morale sempre valida, abbandonando tutto il resto alla storia passata. 
Questa modalità moralistica di attualizzazione dell'Antico Testamento finisce necessariamente in un fallimento; in questo punto preciso stava già l'errore di Pelagio, il quale ha oggi molti più seguaci di quanto non sembri a prima vista. Gesù ha invece adempiuto a tutta la Legge, non solamente ad una parte di essa e così l'ha rinnovata dalla base. Egli stesso, che ha patito espiando ogni colpa, è espiazione e perdono contemporaneamente, e perciò è anche l'unica sicura e sempre valida base della nostra morale. 

Non si può disgiungere la morale dalla cristologia, poiché non la si può separare dall'espiazione e dal perdono. In Cristo tutta quanta la Legge è adempiuta, e quindi la morale è diventata una vera, adempibile esigenza rivolta nei nostri confronti. A partire dal nucleo della fede, si apre così sempre di nuovo la via del rinnovamento per il singolo, per la Chiesa nel suo insieme e per l'umanità. 

La sofferenza, il martirio e la gioia della Redenzione

Su questo ci sarebbe ora molto da dire. 
Cercherò però solo, molto brevemente, di accennare come conclusione, ancora a ciò che nel nostro contesto mi appare come la cosa più importante. 

Il perdono e la sua realizzazione in me, attraverso la via della penitenza e della sequela, è in primo luogo il centro del tutto personale di ogni rinnovamento. Ma proprio perché il perdono concerne la persona nel suo nucleo più intimo, esso è in grado di raccogliere in unità, ed è anche il centro del rinnovamento della comunità. Se infatti vengono tolte via da me la polvere e la sporcizia, che rendono irriconoscibile in me l'immagine di Dio, allora in tal modo io divengo davvero anche simile all'altro, il quale è anche lui immagine di Dio, e soprattutto io divengo simile a Cristo, che è l'immagine di Dio senza limite alcuno, il modello secondo il quale noi tutti siamo stati creati. 

Paolo esprime questo processo in termini assai drastici: "La vecchia immagine è passata, ecco ne è sorta una nuova; non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20). Si tratta di un processo di morte e di nascita. Io sono strappato al mio isolamento e sono accolto in una nuova comunità-soggetto; il mio "io" è inserito nell`io" di Cristo e così è unito a quello di tutti i miei fratelli. Solamente a partire da questa profondità di rinnovamento del singolo nasce la Chiesa, nasce la comunità che unisce e sostiene in vita e in morte. Solamente quando prendiamo in considerazione tutto ciò, vediamo la Chiesa nel suo giusto ordine di grandezza.

La Chiesa: essa non è soltanto il piccolo gruppo degli attivisti che si trovano insieme in un certo luogo per dare avvio ad una vita comunitaria. La Chiesa non è nemmeno semplicemente la grande schiera di coloro che alla domenica si radunano insieme per celebrare l'Eucarestia. E infine, la Chiesa è anche di più che Papa, vescovi e preti, di coloro che sono investiti del ministero sacramentale. 

Tutti costoro che abbiamo nominato fanno parte della Chiesa, ma il raggio della compagnia in cui entriamo mediante la fede, va più in là, va persino al di là della morte. Di essa fanno parte tutti i Santi, a partire da Abele e da Abramo e da tutti i testimoni della speranza di cui racconta l'Antico Testamento, passando attraverso Maria, la Madre del Signore, e i suoi apostoli, attraverso Thomas Becket e Tommaso Moro, per giungere fino a Massimiliano Kolbe, a Edith Stein, a Piergiorgio Frassati. Di essa fanno parte tutti gli sconosciuti e i non nominati, la cui fede nessuno conobbe tranne Dio; di essa fanno parte gli uomini di tutti i luoghi e tutti i tempi, il cui cuore si protende sperando e amando verso Cristo, "l'autore e perfezionatore della fede", come lo chiama la lettera agli Ebrei (12,2). 

Non sono le maggioranze occasionali che si formano qui o là nella Chiesa a decidere il suo e il nostro cammino. Essi, i Santi, sono la vera, determinante maggioranza secondo la quale noi ci orientiamo. Ad essa noi ci atteniamo! Essi traducono il divino nell'umano, l'eterno nel tempo. Essi sono i nostri maestri di umanità, che non ci abbandonano nemmeno nel dolore e nella solitudine, anzi anche nell'ora della morte camminano al nostro fianco.

Qui noi tocchiamo qualcosa di molto importante. 
Una visione del mondo che non può dare un senso anche al.dolore e renderlo prezioso non serve a niente. Essa fallisce proprio là dove fa la sua comparsa la questione decisiva dell'esistenza. 
Coloro che sul dolore non hanno nient'altro da dire se non che si deve combatterlo, ci ingannano. 
Certamente bisogna fare di tutto per alleviare il dolore di tanti innocenti e per limitare la sofferenza. 
Ma una vita umana senza dolore non c'è, e chi non è capace di accettare il dolore, si sottrae a quelle purificazioni che sole ci fanno diventar maturi. 
Nella comunione con Cristo il dolore diventa pieno di significato, non solo per me stesso, come processo di ablatio, in cui Dio toglie da me le scorie che oscurano la sua immagine, ma anche al di là di me stesso esso è utile per il tutto, cosicché noi tutti possiamo dire con San Paolo: "Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa" (Col 1,24). Thomas Becket, che insieme con l'Ammiratore e con Einstein ci ha guidato nelle riflessioni di questi giorni, ci incoraggia ancora ad un ultimo passo.

La vita va più in là della nostra esistenza biologica.
Dove non c'è più motivo per cui vale la pena morire, là anche la vita non val più la pena. Dove la fede ci ha aperto lo sguardo e ci ha reso il cuore più grande, ecco che qui acquista tutta la sua forza di illuminazione anche quest'altra frase di San Paolo: "Nessuno di noi vive per se stesso, e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore" (Rom 14,7-8).
Quanto più noi siamo radicati nella compagnia con Gesù Cristo e con tutti coloro che a Lui appartengono, tanto più la nostra vita sarà sostenuta da quella irradiante fiducia cui ancora una volta San Paolo ha dato espressione: "Di questo io sono certo: né morte né vita, né angeli né potestà, né presente né futuro, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore" (Rom 8,38-39).

Cari amici, da simile fede noi dobbiamo lasciarci riempire!
Allora la Chiesa cresce come comunione nel cammino verso e dentro la vera vita, e allora essa si rinnova di giorno in giorno.
Allora essa diventa la grande casa con tante dimore; allora la molteplicità dei doni dello Spirito può operare in essa.
Allora noi vedremo "com'è buono e bello che i fratelli vivano insieme. E' come rugiada dell'Ermon, che scende sul monte di Sion; là il Signore dona benedizione e vita in eterno" (Sal 133,1.3).
*

GIANCARLO CESANA: Mi sembra proprio che la presenza del Cardinale Ratzinger concluda questo Meeting in un modo grande. Mi limito a ricordare il percorso che il Meeting ha inteso compiere attraverso l'usuale e immaginifica proposta dei tre personaggi simbolo: l'Ammiratore, Einstein e Thomas Becket.
Lo stupore originale dell'uomo di fronte alla realtà è fattore di sviluppo della ragione e di domanda riguardo al proprio destino.
La fede, riconoscimento del Mistero nella storia, insieme compie ed esalta la ricerca dell'uomo; lungi dal negare la ragione, la fede diventa respiro grande ed inimmaginabile.
Per la fede si dà la vita perché essa è la vita della vita, il martirio è testimonianza. Questa è la nostra esperienza che vogliamo comunicare a tutti, attraverso l'espressione di gratuità che è il Meeting.

La missione, come ha detto lo stesso Cardinale, è comunicazione da esperienza a esperienza. Voglio ringraziare tutti coloro che con la loro dedizione, soprattutto nei lavori più umili, hanno reso tale comunicazione possibile. Tutto quello che ci è stato dato è per essere comunicato, la missione è lo scopo. Da laici cristiani, ce ne assumiamo la responsabilità attraverso la concreta condivisione di tutti i bisogni e le risorse dell'uomo, attraverso la cultura, l'economia e, perché no, la politica. E soprattutto, col lavoro cerchiamo di costruire esempi incontrabili di umanità cambiata dall'avvenimento cristiano. Con la nostra vita e le nostre opere, noi vogliamo solo servire e rendere testimonianza a Cristo e alla sua Chiesa. Questo è tutto, veramente tutto quello per cui noi viviamo: credo che con questo Meeting abbiamo costretto a prenderlo in considerazione. Grazie. 


Sabato 1 settembre 1990, ore 17.00

Incontro con Sua Em. Card. Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazioneper la Dottrina della Fede. Modera Giancarlo Cesana.

AMDG et BVM


« Il mio sudore ...

APOTEGMA. II.
- Che il premio delle fatiche è maggiore
e più certo presso Dio, che presso gli uomini.



Ad un suo fratello uterino che di rimpetto a una chiesa derideva la sua nudità e povertà e in tempo d'un gran freddo per mezzo d'un amico lo richiedeva che gli vendesse un poco di sudore, Francesco d'Assisi rispose di no, dicendo: « Il mio sudore lo venderò a miglior prezzo al Signore ».

“Gli attacchi contro il matrimonio e la famiglia provengono da un mondo ateo e neo-comunista”

Il Vescovo Athanasius Schneider dichiara: “Gli attacchi contro il matrimonio e la famiglia provengono da un mondo ateo e neo-comunista”

Siamo onorati di presentare ai nostri lettori due sermoni di Sua Eccellenza il Vescovo Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, Kazakhstan e vescovo titolare di Celerina. Lo scorso fine settimana il Vescovo Schneider si è recato negli Stati Uniti per presiedere a eventi e a ordinazioni sacerdotali per i Canonici Regolari della Nuova Gerusalemme. Vi preghiamo di leggere i testi dei suoi due vigorosi e puntuali sermoni pubblicati qui sotto.  
La famiglia – Chiesa domestica, Front Royal, Virginia
Miei cari fratelli e sorelle in Cristo! 
Viviamo un un’epoca in cui una delle creazioni più belle da parte di Dio, vale a dire quella del matrimonio e della famiglia, si trova sotto un attacco massiccio da parte dei nuovi atei, della dittatura ideologica mondiale neo-comunista che si è appropriata della quasi totalità del potere politico e mediatico. Tuttavia, è enigmatico scoprire persino nei ranghi del clero, ai nostri giorni, dei collaboratori in quest’opera di attacco generale contro il matrimonio e la famiglia. La famiglia cristiana si trova di fronte a un nuovo Golia.

Ma è proprio in questo momento che siamo chiamati ad essere fedeli all’immutabile verità della nostra fede cattolica ed apostolica che i nostri padri e i nostri avi ci hanno trasmesso. Abbiamo l’opportunità di essere coraggiosi testimoni della divina verità e della bellezza del matrimonio e della famiglia. Per questo fine abbiamo ricevuto i doni dello Spirito Santo, in particolar modo nel sacramento della confermazione. Per duemila anni, questa virtù ha dotato i fedeli della capacità di preferire la morte al tradimento dei voti battesimali, al peccato, al tradimento dei voti matrimoniali, al tradimento dei voti sacerdotali o religiosi.

Nella sua Enciclica sul Matrimonio e la Famiglia, Papa Leone XIII affermò già nel 1880: “La legge della Chiesa è stata in alcune epoche così diversa dalla legge civile che Ignazio martire (Polic., 5), Giustino (Apoll. 1, 15), Atenagora (Legat., 32, 33) e Tertulliano (Coron, 13) denunciarono pubblicamente come ingiusti e adulteri dei matrimoni che erano stati sanciti dalle leggi imperiali” (Arcanum Divinae, n. 21).

La famiglia e l’intera società umana fioriranno solamente a condizione che la divina verità sul matrimonio e la famiglia venga osservata, come ha insegnato Papa Leone XIII: “Sin dall’inizio del mondo, infatti, è stato stabilito da Dio che le cose istituite da Lui e dalla natura devono essere sperimentate da noi come le più vantaggiose e salutari, tanto più quando esse rimangono immutate nella loro piena integrità. […] Se l’impulsività o la malvagità del comportamento umano si azzardano a cambiare o a perturbare l’ordine delle cose che è stato costituito con perfetta previdenza, i disegni di infinita saggezza e utilità allora o cominceranno a diventare dannosi o cesseranno di essere vantaggiosi, in parte perché a causa del cambiamento che hanno subìto avranno perso il loro potere di apportare benefìci, in parte perché Dio sceglierà di infliggere punizioni all’orgoglio e alla sfrontatezza dell’uomo. Ora, quanti negano che il matrimonio sia santo e lo relegano, spogliato di ogni santità, alla categoria di cosa secolare e comune, sradicano in questo modo i fondamenti della natura, non solo opponendosi ai disegni della Provvidenza ma distruggendo anche – nella misura in cui sono in grado di farlo – l’ordine che Dio ha stabilito. Nessuno si dovrebbe pertanto meravigliare se da queste minacce insane ed empie dovesse sorgere una serie di mali perniciosi fino al grado più estremo, tanto per la salvezza delle anime come per quella della società” (Arcanum Divinae, 25).

“Si dice che gli antichi romani siano rimasti inorriditi dal primo esempio di divorzio, ma ben presto tutto il loro senso della decenza cominciò a svanire; il debole freno alle passioni venne rimosso e il voto del matrimonio venne infranto così spesso che sembra credibile quanto alcuni scrittori hanno affermato, vale a dire che le donne tenevano il computo degli anni non in base al numero degli anni in carica dei consoli, ma a quello dei loro mariti” (Arcanum Divinae, 30).

Ai nostri giorni vi sono famiglie, giovani, sacerdoti e vescovi che sono spesso emarginati, ridicolizzati e perseguitati dal potere dittatoriale dell’ideologia del genere del neo-marxismo mondiale, per il fatto di rimanere fedeli ai comandamenti divini. Tuttavia vi sono anche famiglie, giovani, sacerdoti e vescovi che vengono emarginati e ridicolizzati persino in alcuni ambienti ecclesiastici a causa della loro fedeltà all’integrità della fede cattolica e del culto divino secondo la tradizione dei nostri avi.

Per rimanere fedele alla sua vocazione, la famiglia cattolica deve praticare specialmente la preghiera giornaliera. Papa Pio XII disse alle coppie recentemente sposate:
“Vi chiediamo di tenere a cuore questa bella tradizione delle famiglie cattoliche: la preghiera comune della sera. Le famiglie si riuniscono alla fine di ogni giorno per implorare le benedizioni divine e per onorare la Vergine Immacolata per mezzo della preghiera del rosario per tutti quelli che dormono sotto lo stesso tetto. Le dure e inesorabili esigenze della vita moderna non vi concedono il privilegio di poter dedicare dei momenti devoti di gratitudine a Dio, o di poter leggere – secondo un’antica pratica – una breve biografia del santo che la Chiesa ci propone ogni giorno come modello e come protettore speciale. Sforzatevi di santificare questo pur breve momento della giornata dedicandolo a Dio, per lodarLo e per presentarGli i vostri desideri, le vostre necessità, le vostre sofferenze e le vostre occupazioni. Il centro della vostra casa dev’essere il Crocifisso o l’immagine del Sacro Cuore di Gesù: che Cristo regni sulla vostra casa e vi ruinisca intorno a Lui ogni giorno” (Discorso alle coppie recentemente sposate, 12 febbraio 1941).
Miei cari fratelli e sorelle, la famiglia cattolica ha una vocazione che ai giorni nostri è talvolta dimenticata. Si tratta della vocazione ad essere il primo seminario sacerdotale (cfr. Concilio Vaticano II, Optatam totius, n. 2). Papa Pio XII ammonì i genitori cattolici con queste parole:
“Se un giorno Dio vi concederà il grande onore di chiamare qualcuno dei vostri figli al Suo servizio, riconoscete il valore e il privilegio inerenti alle tante grazie che tale chiamata comporta. […] Voi ponete i fiori e i frutti del vostro matrimonio sull’altare, per vivere consacrati al Signore. […] Non vi lasciate intimorire dal dono della santa vocazione che è scesa dal cielo per posarsi sui vostri figli. Se voi credete, e se l’amore vi ha innalzato a nuovi livelli, non è un conforto e una gioia vedere vostro figlio sull’altare, vestito coi paramenti sacri, offrire il sacrificio della messa e pregare per sua madre e suo padre? Non è una grande consolazione, che fa palpitare d’amore il cuore di una madre per sua figlia, il vederla consacrata a Cristo, servirLo e amarLo con tutto il suo essere?” (Lettera alle coppie sposate, 25 marzo 1942).
Cari padri, care madri, cari nonni e nonne, dite: “Signore, se Tu vuoi, chiama uno dei miei figli, o dei miei nipoti, al sacerdozio”. Voi ragazzi e ragazze, che sentite nel vostro cuore la vocazione al matrimonio e a fondare una chiesa domestica, potete anche pregare così: “Signore, se Tu vuoi, chiama uno dei miei futuri figli al sacerdozio”. E qualcuno di voi, bambini e ragazzi, potrebbe dire, forse oggi stesso: “Signore, sono pronto a seguirti, se vuoi chiamarmi al sacerdozio”.

Che meravigliosa vocazione essere veri cattolici! Che meravigliosa vocazione combattere per l’integrità della fede e dei divini comandamenti! Che meravigliosa vocazione essere una famiglia cattolica, una chiesa domestica! Che meravigliosa vocazione essere casti ragazzi e caste ragazze! Che meravigliosa vocazione essere un seminarista e un sacerdote con un cuore puro e ardente!

Non vi lasciate spaventare dal Golia dei nostri giorni, che è la dittatura del nuovo mondo anti-cristiano. Il dono della fortezza dello Spirito Santo vi renderà capaci di sconfiggere il Golia dei nostri giorni con le cinque pietre della fionda di Davide.

O Santo Spirito, fai fiorire di nuovo molte chiese domestiche, che ci forniranno le cinque pietre di Davide per vincere Golia, vale a dire, buoni padri e buone madri di famiglia, figli puri, ragazzi puri, sacerdoti puri e vescovi intrepidi. Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat!

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Ordinazione sacerdotale, 17 ottobre 2015, Charles Town

Cari candidati al sacerdozio, cari fratelli e sorelle in Cristo!

Il Nostro Signore Gesù Cristo ci ha concesso oggi la grande grazia di celebrare il sacramento della santa ordinazione sacerdotale. In questo sacramento si verifica un miracolo di onnipotenza e di amore divini. Tramite l’imposizione delle mani del vescovo, lo Spirito Santo discende nelle anime dei candidati e vi imprime un potere e una dignità che supera tutti i poteri di questo mondo e tutti gli onori umani. Questo potere e questa dignità è il sacerdozio di Cristo.

Gesù Cristo, Dio incarnato, è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini. Non c’è altra via di salvezza all’infuori di Lui. Per mezzo del Suo sacrificio sulla Croce, Gesù ha offerto in una volta sola un atto d’adorazione, di ringraziamento, di espiazione, di propiziazione per i peccati e di impetrazione di infinito valore. Non esiste, nell’intero universo, nella storia intera e in tutta l’eternità alcun atto che possa essere più gradito e che possa rendere più onore al Dio Trino che il sacrificio della Croce. E questo atto di sacrificio di Gesù sulla Croce è l’unico vero atto sacerdotale nel senso pieno della parola.

Il sacerdozio di Cristo e il Suo sacrificio sulla Croce sono così grandi che non cesseranno mai. Gesù, l’eterno Sommo Sacerdote, è sempre vivo (cfr. Ebr 7, 25), e pertanto il Suo sacrificio redentore è sempre vivo e presente in tutti i momenti, in tutte le generazioni, in tutti i luoghi: “L’Agnello è ritto ed è vivo, anche se immolato” (Ap 5, 6). Il sacerdozio di Cristo non cesserà mai: esso è così grande che rimane per tutta l’eternità, poiché appartiene alla Seconda Persona della Santissima Trinità.

Nella Sua ineffabile saggezza e nel Suo immenso amore misericordioso, Gesù ha voluto condividere il Suo unico ed eterno sacerdozio con uomini deboli. E così Egli ha istituito durante l’ultima cena – quando ha offerto come il vero Melchisedek in modo sacramentale a Dio Padre il Suo corpo e il Suo sangue sotto le specie del pane e del vino (cfr. Sal 109, 4) – il sacramento dell’ordinazione sacerdotale. L’intera vita di un sacerdote cattolico ha pertanto il suo significato e la sua finalità nella celebrazione del sacrificio di Cristo per la glorificazione della maestà divina e per la salvezza del mondo e di tutte le anime.

Ogni battezzato partecipa del sacerdozio di Cristo, anche se in un modo generale o comune. Questo sacerdozio generale o comune si realizza principalmente nell’offerta della propria vita, delle proprie sofferenze e delle proprie petizioni in unione spirituale col sacrificio che il sacerdote ordinato come un “altro Cristo” (alter Christus) offre nella celebrazione della santa messa. Anche se entrambe derivano dall’unico sacerdozio di Cristo, le due realizzazioni del sacerdozio di Cristo differiscono l’una dall’altra. Secondo i piani della sapienza divina, queste due categorie di sacerdozio sono collegate l’una all’altra. Il sacerdozio comune trova una delle sue realizzazioni più nobili nel sacramento del matrimonio. Il sacerdozio comune è stato creato da Dio per far fondare e vivere la famiglia cristiana, la chiesa domestica (così si esprimeva già Sant’Agostino, cfr. De bono viduitatis e il Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 11). La famiglia come chiesa domestica è da parte sua il primo seminario, secondo l’insegnamento del Magistero (cfr. Vaticano II, Optatam totius, 2).

Uno dei frutti più belli che una famiglia cristiana, una chiesa domestica, possa offrire a Dio, consiste nel darGli un figlio come sacerdote. Possiamo dire che in un certo senso il sacerdozio comune, la famiglia cristiana, è stato fondato da Dio perché ci fosse sempre una continuità di sacerdozi ordinati, perché ci fossero sempre nella Chiesa e nel mondo veri sacerdoti di Cristo, perché ci fosse sempre un “altro Cristo” (alter Christus) che offrisse quotidianamente l’infinito sacrificio redentore di Cristo come un dolce e profumato aroma agli occhi della Divina Maestà, per la delizia di tutta la corte celeste e per la salvezza del mondo.

Qui possiamo riconoscere la ragione più profonda per cui il sacerdote cattolico non debba sposarsi ma debba rimanere vergine e celibe. Il sacerdozio ordinato e sacramentale è celibato, è come un fragrante fiore verginale che è germogliato dal giardino del sacerdozio comune, dalla famiglia cristiana, ed è derivato dal casto amore coniugale dei genitori cattolici. Molti anni fa, nella casa di un sacerdote deceduto in Polonia, venne trovato un piccolo scrigno con questa iscrizione: “Da aprirsi dopo la mia morte”. Lo scrigno venne aperto e vi ci si trovò una ghirlanda di mirto con questa nota: “Questa è la ghirlanda matrimoniale di mia madre. L’ho portata con me in varie nazioni in memoria di quel santo momento in cui mia madre ha fatto voto non solo di fedeltà ma anche di rettitudine all’altare di Dio. Ella ha mantenuto il suo voto, ed ha avuto il coraggio di avere me dopo il nono figlio. Dopo Dio, è a lei che debbo la mia vita e la mia vocazione al sacerdozio. Mettete questa ghirlanda, la ghirlanda matrimoniale di mia madre, nella mia tomba”. Siamo anche a conoscenza di quest’episodio della vita di Papa Pio X: dopo la sua consacrazione episcopale il giovane vescovo Giuseppe Sarto visitò la sua vecchia madre, le mostrò il suo anello episcopale e le chiese: “Mamma, non è bello quest’anello?”. La madre sollevò la mano in cui portava la sua fede d’oro e rispose: “Se io non avessi portato fedelmente questo mio anello, tu non avresti mai portato il tuo”.

Cari candidati al sacerdozio, non dimenticatelo mai: sarete sacerdoti per offrire quotidianamente l’ineffabile sacrificio redentore di Cristo, per essere strumenti viventi dell’Eterno Sommo Sacerdote, affinché per mezzo delle vostre voci e delle vostre mani le grazie redentrici del sacrificio di Cristo possano fluire su questo mondo, che è così profondamente infangato nei peccati. La disposizione interiore delle vostre anime, dei vostri cuori, delle vostre menti dovrà corrispondere ogni giorno di più alle terribili e divine parole che pronuncerete: “Questo è il Mio Corpo”. Voi appartenete totalmente ed esclusivamente a Gesù Sommo Sacerdote. Non appartenete più a voi stessi, né a nessun’altra creatura.

Tutto il vostro amore deve essere verginale, casto, sacerdotale, abnegato, paternale; ciò significa che il vostro amore dev’essere in modo eminente pastorale, il che significa a sua volta: prendersi cura delle anime, salvare anime. A questo proposito avete ricevuto la santa vocazione, a questo proposito ricevete oggi il marchio indelebile del sacerdozio di Cristo, a questo proposito le vostre famiglie vi offrono oggi a Dio come bei fiori del giardino della loro chiesa domestica.

Che la Nostra Signora, la Madre dell’Eterno Sommo Sacerdote, conservi voi e il vostro sacerdozio nel Suo Cuore Immacolato e implori per voi la grazia di concedere alla Chiesa, per mezzo del vostro sacerdozio, molte nuove e sante vocazioni sacerdotali e molte sante famiglie cattoliche. O Cuore Immacolato di Maria, sii il nostro rifugio, sii la nostra salvezza. Amen.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio - Dall'originale inglese pubblicato da Rorate Caeli]

AVE MARIA!

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SANCTE MICHAEL ARCANGELE
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