domenica 13 settembre 2015

IL PIU’ GRANDE SACRAMENTO! SI’ IL PIU’ GRANDE!

IL PIU’ GRANDE SACRAMENTO! 
SI’ IL PIU’ GRANDE!

Istituendo il Sacramento della Riconciliazione o Confessione, Gesù Cristo ha manifestato chiaramente il modo in cui vuole perdonare i peccati degli uomini. Quali sono le condizioni affinché ci beneficiamo della sua incommensurabile misericordia? Senza di Esso non potremmo ricevere l'Eucaristia! Eppure molti rifuggono da questo secondo battesimo.

Don Carlos Adriano Santos dos Reis, EP

Era un giovedì soleggiato e umido nella città di San Paolo, quasi alla fine dell'anno. La Cattedrale della Sede aprì le sue porte ai fedeli molto presto, come al solito. Alle nove alcuni sacerdoti cominciarono a camminare per i corridoi laterali del grande edificio in direzione dei confessionali, davanti ai quali vari fedeli attendevano il loro arrivo.
– Perché queste file dentro la Chiesa? – chiese a uno di loro un curioso osservatore.
– Stiamo aspettando per confessarci.
– Come sarebbe?
– Questa fila è per la Confessione, affinché il sacerdote ci ascolti. Lei è cattolico?
– Sì… Tempo fa ho sentito parlare di questo. Solamente nella mia Prima Comunione. Come funziona?
– La Confessione è affinché Dio perdoni i nostri peccati. Ci inginocchiamo lì nel confessionale, vicino al sacerdote, e lui perdona in nome di Dio.
– Ah! E… Dio perdona proprio?
– Sì, chiaro, purché ci sia pentimento.
– Ho fatto tante cose sbagliate nella vita…
Seguì un silenzio prolungato, mentre il visitatore cambiava a poco a poco espressione e si astraeva dalle cose intorno a lui. Era entrato nella Cattedrale mosso da mera curiosità e si sentiva ora invitato a cambiar vita. Era tanto tempo che non si confessava, e non si ricordava più come si faceva. Trenta, quarant'anni?
– Anch'io posso mettermi in fila? Qualsiasi persona avrebbe percepito il dramma interiore di questo sconosciuto, che Dio chiamava alla conversione.
– Sì, entri qui prima di me. Un passo decisivo era stato fatto nella vita di quell'uomo verso la salvezza della sua anima. Si mise vicino agli altri, in attesa del suo turno, ma non riusciva più a parlare, poiché le lacrime correvano a torrenti sul suo volto.


"Forse che io ho piacere della morte del malvagio?"

Casi come questo non sono rari ai nostri giorni. Quanti e quanti uomini hanno fatto bene la loro Prima Comunione, ma dopo, purtroppo, portati dalle preoccupazioni della vita, si sono lasciati trascinare dalle attrazioni del mondo e si sono dimenticati completamente dei loro doveri verso Dio!
Continuano a essere cattolici, sì, ma cattolici la cui fede è diventata come una brace soffocata sotto la coltre di cenere spessa dei peccati. E conservano appena nella memoria alcuni frammenti delle loro prime lezioni di Catechismo, apprese durante l'infanzia.
Dio, però, non li dimentica. A un certo momento Gesù Cristo bussa paternamente alla porta delle loro anime con un affettuoso invito a fare una buona Confessione.
Che cosa terribile sarebbe che una persona, a causa dei suoi gravi peccati, fosse condannata alle prigioni eterne, dove i reprobi sono castigati con l'allontanamento da Dio, per il quale siamo stati creati, e soffrono terribili tormenti, senza un solo istante di sollievo!
Egli, però, sommamente misericordioso, non desidera per il peccatore questo destino: "Forse che io ho piacere della morte del malvagio – oracolo del Signore Dio – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?" (Ez 18, 23). Dio vuole perdonarci, e per questo stabilisce questa condizione: la confessione dei nostri peccati a uno dei suoi ministri.


Dio perdona attraverso il sacerdote

La Confessione è uno dei più palpabili segni della bontà di Dio. Gravemente offeso da chi pecca mortalmente, Egli ha il potere di fulminare con una sentenza di eterna condanna il peccatore, e facendolo, praticherebbe soltanto un atto di giustizia. Ci ha lasciato, tuttavia, questo Sacramento per mezzo del quale perdona al penitente tutti i peccati, per quanto gravi e numerosi essi siano.
È molto noto l'episodio della prima apparizione del Divino Maestro ai suoi discepoli, dopo la Resurrezione. Per paura di essere, anche loro, perseguitati e condannati, erano riuniti in una sala con le porte chiuse, quando all'improvviso apparve loro Gesù. Alitando su di loro, il nostro Redentore disse: "Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non li perdonerete, non saranno perdonati" (Gv 20, 22- 23). Era istituito il Sacramento della Confessione!
Così, dai primordi della Chiesa i fedeli hanno cercato gli Apostoli per confessare loro le proprie colpe, e ricevere da loro l'assoluzione. Questo potere di perdonare, dato da Cristo alla sua Chiesa, è conferito ai presbiteri attraverso il Sacramento dell'Ordine. Ed è così che è passato di generazione in generazione attraverso i secoli fino ai nostri giorni.



Requisiti per una buona Confessione

È chiaro che Dio potrebbe perdonare i peccati in un altro modo, ma ha espresso chiaramente la sua volontà di farlo attraverso un sacerdote nel Sacramento della Riconciliazione: "In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato anche in Cielo e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in Cielo" (Mt 18, 18), disse Gesù agli Apostoli.



Como beneficiarci di questo Sacramento?

Dio sommamente misericordioso è anche giusto. Egli vuole che, perché utilizziamo bene questo meraviglioso mezzo, ci sottoponiamo ad alcune condizioni senza le quali la Confessione non solo non ci servirà a nulla, ma diventerebbe nociva per l'anima.

Quali sono questi requisiti? Sintetizzando, la Chiesa ci insegna che cinque cose sono imprescindibili per una buona Confessione

fare un buon esame di coscienza, 

aver dolore dei peccati, 

fare il proposito di non commetterli più, 

confessarli 

e compiere la penitenza imposta dal confessore.

Ma in che cosa consiste precisamente ognuna di queste richieste?

L'esame di coscienza 

Il fedele desideroso di ottenere il perdono delle sue colpe, deve prima ascoltare la sua anima, per sapere quali peccati ancora non sono stati confessati. Non è necessario riportare alla memoria i peccati di tutta la vita, ma solo quelli commessi dall'ultima Confessione ben fatta.1

Un episodio narrato nelle Sacre Scritture dimostra bene l'importanza dell'esame di coscienza: il Re Davide aveva commesso due peccati: adulterio e omicidio. Inviato da Dio, il profeta Natan soffiò per mezzo di un severo ammonimento la mancanza dell'esame di coscienza da parte del re. E solo così costui cadde in sé e fu capace di pentirsi e chiedere perdono (cfr. II Sm 12, 1-13).

In questo episodio dell'Antico Testamento, possiamo verificare un altro buon motivo per l'esame di coscienza: ci aiuta a provare dolore per i nostri peccati, cioè, ci aiuta a pentirci. Se ci soffermiamo a conoscere seriamente ognuna delle offese fatte a Dio, ci disponiamo a sentire per loro una vera tristezza e, così, a ottenere il perdono.

L'esame di coscienza deve esser fatto con cura, senza precipitazione. È importante ricordare i peccati commessi con pensieri, parole, atti e omissioni, percorrendo, per questo fine, i Comandamenti della legge di Dio e della Chiesa, la lista dei peccati capitali e gli obblighi del nostro stesso stato. L'esame deve comprendere anche i cattivi costumi da esser corretti, e le occasioni di peccato da essere evitate.

Ma la Chiesa, da buona madre, ci raccomanda anche di evitare di lasciarci condurre dall'esagerata preoccupazione di aver dimenticato una colpa o circostanza. Una volta, Santa Margherita Alacoque, inquieta e turbata, stava facendo con eccessiva cura il suo esame di coscienza per la Confessione. Le apparve allora Nostro Signore stesso e la tranquillizzò: "Perché ti tormenti? Fa' quello che puoi. Io amo i cuori contriti che si accusano sinceramente dei peccati che conoscono, con la volontà di non dispiacerMi più".

Qualunque persona, sia per mancanza di memoria, sia per rilassamento, può sentir difficoltà a ricordare i peccati ancora non confessati. Senza l'aiuto di Dio, nessuno riesce a far nulla bene. Per questo, è molto appropriato cominciare l'esame di coscienza con una preghiera, chiedendoGli, attraverso la Madonna o il nostro Angelo Custode, di illuminare la nostra mente perché riconosciamo tutte le nostre colpe e ci dia la forza per detestarle.

Quante volte ho peccato? Ecco un'importante domanda da farsi. Un soldato ricevette in combattimento tre gravi ferite. Portato all'ospedale, mostrò al medico solo due delle sue ferite; nascose la terza, mosso da uno stupido sentimento di vergogna. A nulla valse che il medico avesse guarito le due lesioni che conosceva, poiché il soldato morì in seguito dell'aggravamento della terza.
Ora, anche la Confessione è un atto di guarigione. Se vogliamo stringere nuovamente la nostra amicizia con Dio, e avere l'anima guarita dalle piaghe dei nostri peccati, dobbiamo chiedere perdono di tutti quanti loro indistintamente. Per questo, trattandosi di peccati mortali – colpe in materia grave, con piena conoscenza e pieno consenso della volontà –, si deve investigare tutto; ossia, nella misura delle possibilità, quante volte è stato praticato un determinato atto peccaminoso, e in che circostanze

È rilevante riferire nella Confessione le situazioni che aggravano il peccato. Per esempio, rubare a un povero è più grave che a un ricco. Trattare male i genitori, cui dobbiamo la vita, è più grave che fare lo stesso a un compagno di scuola. Le circostanze aggravanti devono esser indicate perché il sacerdote, per perdonare, deve conoscere con chiarezza i peccati. Come un medico, quando visita un paziente, ha bisogno prima di valutare bene il quadro della malattia, per poter applicare la medicina più adeguata. Se omettiamo queste informazioni per malizia, la Confessione sarà mal fatta, pertanto, nessun peccato sarà perdonato.


Il dolore dei peccati

La cosa più importante perché il penitente ottenga il perdono di Dio è il pentimentoossia, provare disgusto per la colpa commessa e una volontà ferma di non ricadere più in essa. Naturalmente, non c'è necessità di versare lacrime per il dolore dei peccati, ma è necessario nell'intimo del cuore essere dispiaciuti di aver offeso Dio, più che se ci fosse capitata qualsiasi altra disgrazia.
Senza pentimento, la Confessione non ha nessun valore. Non è possibile ottenere il perdono di Dio senza odiare la colpa commessa, senza la disposizione di non ripeterla mai piùQuest'atteggiamento dell'anima deve estendersi a tutti i peccati mortali, senza eccezione alcuna. E per ottenere il perdono delle nostre colpe nella Confessione, basta un pentimento per paura dei castighi che il peccato comporta – l'attrizione –, sebbene la cosa migliore sia che ci pentiamo per aver offeso Dio – la contrizione.

Il pentimento comprende anche la fiducia nella misericordia divina, poiché, il dolore dei peccati senza questa virtù potrebbe portare alla disperazione.

Il fermo proposito

Essendoci, di fatto, pentimento per i peccati commessi, si produrrà nell'anima il proposito, la ferma volontà, risolutamente determinata, di non ripeterli mai più e di fuggire dalle occasioni prossime, di evitare tutto quello che induce al male: può essere una persona, un oggetto, un luogo o anche una circostanza che mi mette in pericolo di offendere Dio.


L'umile accusa?

Si narra che, un giorno, Sant'Antonino di Firenze si trovava in una chiesa e si accorse della presenza di un demonio molto vicino alla fila della Confessione. Disgustato, l'Arcivescovo si diresse dall'angelo malvagio e gli chiese:
– Che stai facendo tu qui?
– Guarda, pratico qui una buona azione.
– Come è possibile questo?
– Sì, sono venuto a fare una restituzione. Normalmente i cristiani hanno vergogna di peccare e, per questo, prima che essi pratichino una cattiva azione, io cerco di toglierla dal loro spirito. Ma ora che stanno per confessarsi, conviene che io la restituisca affinché davanti al confessore essi omettano le loro colpe...

Una Confessione mal fatta può portare un'anima a condannarsi, ed è questo che il demonio vuole. A volte, può accadere di essere tentati di tacere i nostri peccati al confessore, o di non raccontarli direttamente. Affinché questo non succeda, è interessante ricordare anche come debba essere l'accusa dei peccati nel Sacramento della Confessione.
Primo è necessario, seguendo lo stesso principio dell'esame di coscienza, raccontare al sacerdote tutti i peccati mortali commessi dopo l'ultima Confessione ben fatta. Se uno nasconde un solo peccato grave di proposito nella Confessione, oltre a non ricevere il perdono di nessuno, finisce per commetterne un altro, perché sta offendendo qualcosa di sacro istituito da Cristo stesso. Ossia, è a Gesù stesso che si sta mentendo.
La Confessione deve essere sincera. Il penitente deve accusare al sacerdote i suoi peccati con obiettività, evitando superflue lungaggini, che possono perfino pregiudicare la chiarezza della materia. La mancanza di sincerità quanto alla maniera di accusare i peccati è un'altra tentazione del demonio contro cui è imprescindibile stare in guardia. E anche le scuse possono essere occasione di tentazione: giustificare i peccati, creando attenuanti, non riconoscendosi interamente colpevole delle proprie mancanze o dando la colpa agli altri.

Infine, la penitenza

Alla fine della Confessione, il sacerdote impone la penitenza detta anche soddisfazione. In genere è una preghiera o un'opera buona, che il confessore ordina al penitente come espiazione dei suoi peccati.
Col nostro senso di giustizia, sappiamo che a ogni offesa deve corrispondere una riparazione proporzionale. Il principio si applica anche a Dio: se offeso, anche Lui merita una riparazione. Se l'offesa contro Dio è grave, il peccatore merita l'inferno, poiché la punizione riparatrice deve esser proporzionale all'offesa: in questo caso, eterna. 
Ma la Confessione sacramentale, oltre a perdonare la colpa del penitente, perdona la pena eterna, che è commutata con una pena temporale. Per questo, quando uno si confessa, i suoi peccati sono completamente perdonati, ma il suo debito con Dio ancora non è stato interamente pagato. Per questo il sacerdote impone la penitenza dopo la Confessione: essa ha l'obiettivo di riparare il male commesso contro Dio. Tuttavia, può succedere che sia perdonata la pena temporale anche nella stessa Confessione; quando il penitente ha uno straordinario dolore per i suoi peccati.

È chiaro che Gesù stesso, con le sue sofferenze e la sua morte in Croce, ha soddisfatto la divina giustizia quanto ai nostri peccati, pagando già il nostro debito riguardo a Dio. Per questo nella Confessione è perdonata la nostra colpa e la punizione eterna. Ma Dio esige, con ogni diritto, che anche noi, quando ci è possibile, facciamo qualcosa a soddisfazione dei nostri peccati. E questa piccola soddisfazione è anche pretesa per la comprensione della gravità delle nostre colpe, affinché ci serva da rimedio ai peccati e ci preservi da ricadute.


Dio perdona coloro che si confessano bene

Tutto nella vita deve esser preso sul serio e più ancora le cose relazionate con Dio. Per questo, dobbiamo praticare con molta fedeltà gli insegnamenti della Chiesa riguardo al Sacramento della Confessione, sempre fiduciosi che, attraverso questo, sono perdonati tutti i nostri peccati, siamo aiutati a non ricadere in loro e ci è restituita la pace di coscienza.

Una volta, si presentò a Sant'Antonio da Padova un grande peccatore per confessarsi. Il poveretto era così confuso che quasi non riusciva a parlare. Piangeva e singhiozzava con tanta veemenza che non riusciva a esprimere al Santo nessuna delle sue colpe. Per aiutarlo, il confessore gli suggerì dolcemente che facesse un esame di coscienza scritto:
– Va', scrivi i tuoi peccati e, poi, torna a confessarli.
Il penitente seguì il consiglio. Poi, lesse nel confessionale le sue colpe, proprio come le aveva scritte. Non appena terminò la Confessione, grande miracolo! Il foglio dove il peccatore aveva scritto meticolosamente le sue offese a Dio diventò completamente bianco, poiché tutto quello che era stato scritto era scomparso!

Questo prodigio ci consola molto e ci incoraggia ad approssimarci con rettitudine e fiducia al Sacramento della Penitenza, che è capace di distruggere in noi il peggior male che esiste, il peccato. Nostro Signore istituì questo Sacramento per tutti i membri peccatori della sua Chiesa, dando loro una nuova possibilità di incontrarsi con Dio e di restaurare l'amicizia con Lui.  

 Solamente la Confessione ben fatta perdona di fatto i peccati. Se uno, per malizia o vergogna, non si accusasse di uno o più peccati, la sua Confessione non sarebbe valida.

(Rivista Araldi del Vangelo, Maggio/2014, n. 133, pp. 33 - 37)

AVE MARIA!

LA TAZZINA DI SAN GIUSEPPE

SANTA CATERINA DA BOLOGNA
E LA TAZZA DI SAN GIUSEPPE


Santa Caterina da‘ Vigri (1413-1463) nacque da una famiglia di universitari, il che spiega la sua perfetta conoscenza del latino. A Ferrara si unì a una pia istituzione che, dopo il suo ingresso, optò per la regola delle Clarisse. Diventata maestra delle novizie, venne poi chiamata a presiedere al convento fondato a Bologna dalla  sua Congregazione. Nel 1456 fece ritorno alla sua città natale, accolta fra gli altri dal  cardinale Bessarione. 

Sotto la sua amministrazione le vocazioni si moltiplicarono e la casa, posta sotto il patronato del Corpus Domini, conobbe una notevole espansione. Ammalatasi, affidò al suo confessore il manoscritto del trattato  Le armi necessarie alla battaglia spirituale, opera che aveva redatto da tempo ma che aveva preferito non rendere pubblica. E‘ stata canonizzata da Clemente XI il 22 maggio 1712. Quando era monaca nel convento di Ferrara  le furono affidate le mansioni di portinaia. ... 

... Mentr’era addetta a quest’ufficio, si presentò un giorno a chiedere l’elemosina alla porta del monastero (che a quell’epoca non era stato ancora sottoposto a clausura) un venerabile vecchio in veste di pellegrino, che disse di venire di Palestina. E‘ facile immaginare quante domande dovette rivolgere Caterina all’anziano visitatore sulla terra santificata dalla nascita, dall’insegnamento e dalla passione  e morte di Gesù Redentore; e con quanta avidità stesse ad ascoltarne le risposte, che denotavano una effettiva e profonda conoscenza dei Santi Luoghi.

Prima di accomiatarsi il vecchio pellegrino estrasse dalla bisaccia una scodellina, che non era di porcellana nè di maiolica ma di un materiale trasparente sconosciuto tra noi, e gliela mostrò assicurandola ch’era quella in cui la Beata Vergine Maria dava a bere al suo Divino Figliuolo, quand’era pargoletto. E come Caterina osservava incantata quell’oggetto, con una curiosità mista di rispetto e venerazione, il buon vecchio disse che gliel’avrebbe lasciata in custodia per qualche giorno, e sarebbe tornato a ritirarla prima di proseguire il viaggio.

Immaginiamo la gioia di Caterina nel ricevere quel caro deposito, e come dovette ringraziare la Provvidenza che aveva fatto capitare nelle sulle mani una così preziosa reliquia. Fatto sta che il pellegrino non si presentò nè il giorno dopo né mai più a ritirare quella scodellina, ch’essa conservò sempre con venerazione, convinta ch’era un regalo che il suo Sposo Divino le aveva inviato a mezzo di San Giuseppe, in cui credette d’identificare il misterioso pellegrino.


Non sappiamo se ebbe qualche rivelazione in proposito; ma è certo che da quel momento manifestò una speciale devozione per il Santo Patriarca. Quando dovette lasciare Ferrara per andare ad assumere come Abbadessa il governo del nuovo monastero del Corpus Domini di Bologna, consegnò quella reliquia alle sue consorelle, a condizione che la restituissero al pellegrino, nel caso che si fosse presentato per ritirarla; in caso contrario, fosse custodita con grande venerazione e l’esponessero al pubblico il 19 marzo, festa del Santo.


 Le cronache affermano che molte guarigioni miracolose avvennero in Ferrara al semplice contatto di quella reliquia; e anzi aggiungono questo curioso particolare; che, quando l’infermo doveva guarire, la scodellina emanava un soave profumo; invece, se doveva morire, non rendeva nessun odore. Come di tutte le manifestazioni  miracolose, la Chiesa ci lascia liberi di prestarvi credito o meno, giacché non sono articoli di fede. E Sant’Agostino dice:  E‘ più importante meditare il significato di certi fatti che discuterne l’autenticità.


*


Figlia di uno stimato giurista bolognese, Caterina Vigri (8 settembre 1413-9 marzo 1463) sui  9 anni deve trasferirsi con la famiglia a Ferrara: suo padre va al servizio di Niccolò III d’Este, che sta costruendo il ducato di Ferrara, Modena e Reggio. E lei è nominata damina d’onore di Margherita figlia di Niccolò. 

La città di Ferrara sta diventando in quegli anni una meraviglia, richiama artisti da ogni parte, vengono illustri pittori e architetti italiani (e uomo addirittura vi è nato: Cosmè Tura) , così come letterati francesi e artisti fiamminghi dell’arazzo. Caterina va agli studi, si appassiona alla musica, alla pittura e alla poesia (anche latina,m presto). Ma d’un tratto tutto finisce, verso i suoi 14 anni: le muore il padre, la madre si risposa, e riecco lei a Bologna, sola, abbattuta, in cerca di pace nella comunità fondata dalla gentildonna Lucia Mascheroni. Ma presto il rifugio diventa luogo di sofferenza e travaglio, per una sua gravissima cristi interiore: una “notte dello spirito” che dura cinque anni. ...

... Allora torna a Ferrara, ma non più a corte: nel monastero detto del Corpus Domini. Qui la damina si fa lavandaia, cucitrice, fornaia. Preghiera e lavoro, mai perdere tempo, dice la Regola delle clarisse che qui si osserva. E a lei va bene: lava i piatti, dipinge, fa le pulizie, scrive versi in italiano e in latino, insegna preghiere nuove, canti nuovi. Con lei il monastero è un mondo di preghiera e di gioia, silenzio e gioia, fatica e gioia. 
Diventa famoso, tanto che ne vogliono uno così anche a Bologna, dove va a fondarlo appunto Caterina, come badessa. Porta con sé la madre, rimasta ancora vedova. Siamo nel 1456: anche questo monastero s’intitola al Corpus Domini. Caterina compone testi di formazione e di devozione, e poi un racconto in latino della Passione (cinquemila versi), un breviario bilingue. Si dice che abbia apparizioni e rivelazioni, e intorno a lei comincia a formarsi un clima di continuo miracolo. 

Ma anche restando con i piedi per terra, è straordinario quel suo dono di trasformare la penitenza in gioia, l’obbedienza in scelta. C’è in lei una capacità di convincimento enorme. Garantisce lei che la perfezione è per tutti: alla portata di chiunque la voglia davvero.  Già in vita l’hanno chiamata santa. E questa voce si diffonde sempre più dopo la sua morte, tra moltissimi che non l’hanno mai vista, e la conoscono solo dai racconti di prodigi in vita e in morte. A quattro mesi dal decesso, dice una relazione dell’epoca, durante un’esumazione, sul suo viso riapparvero un po’ i colori naturali. Santa da subito per tutti, dunque, anche se la canonizzazione avverrà solo nel 1712, con Clemente XI. 

Il suo corpo non è sepolto. Si trova collocato tuttora sopra un seggio, come quello di una persona viva, in una cella accanto alla chiesa che a Bologna è chiamata ancora oggi “della santa”. Sul seggio della santa vi è un cartello con la scritta in latino:  “Et gloria eius in te videbitur” (In te Caterina si vedrà la gloria di Dio”). Tale frase era stata cantata da un angelo a testimonianza dalla santità di questa monaca clarissa.  

Un’altra volta in chiesa ode il canto degli angeli, infatti al momento in cui il Sacerdote letto il Prefazio diceva:  Sanctus, Sanctus…, in quello stesso istante essa udì cantare la stessa parola dall’angelica “baronia”, che precedeva innanzi a tanto divino ed eccellentissimo Sacramento. La melodia del canto angelico era così stupendamente dolce e soave, che subito, al primo suono, la sua anima sembrava uscirle dal corpo; se non le mancò del tutto, fu solo perché non giunse a udire la fine del canto.
Don Marcello Stanzione

AMDG et BVM

"Di dove sei Tu?"

La sua grazia è la nostra forza

Anche se ci sentiamo fragili, poveri e incapaci 
di far fronte alle difficoltà e al male del mondo, 
il  potere di Dio agisce sempre e 
realizza meraviglie proprio nella debolezza.


Il Natale del Signore illumina ancora una volta con la sua luce le tenebre che spesso avvolgono il nostro mondo e il nostro cuore, e porta speranza e gioia. Da dove viene questa luce? Dalla grotta di Betlemme, dove i pastori trovarono "Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia" (Lc 2, 16).

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Di fronte a questa Santa Famiglia sorge un'altra e più profonda domanda: come può quel piccolo e debole Bambino avere portato una novità così radicale nel mondo da cambiare il corso della storia? Non c'è forse qualcosa di misterioso nella sua origine che va al di là di quella grotta? Di fronte a questa Sacra Famiglia sorge un interrogativo più profondo: come può quel Bambino piccolo e fragile aver portato una tanto radicale novità al mondo, al punto da mutare il corso della Storia? Esiste forse qualcosa di misterioso nella sua origine, che va al di là di quella grotta?


"Di dove sei Tu?"

Sempre di nuovo riemerge così la domanda sull'origine di Gesù, la stessa che pone il Procuratore Ponzio Pilato durante il processo: "Di dove sei tu?" (Gv 19, 29). Eppure si tratta di un'origine ben chiara. Nel Vangelo di Giovanni, quando il Signore afferma: "Io sono il pane disceso dal cielo", i Giudei reagiscono mormorando: "Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: ‘Sono disceso dal cielo?'" (Gv 6, 42). E, poco più tardi, i cittadini di Gerusalemme si oppongono con forza di fronte alla pretesa messianicità di Gesù, affermando che si sa bene "di dov'è; il Cristo, invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia" (Gv 7, 27).
Gesù stesso fa notare quanto sia inadeguata la loro pretesa di conoscere la sua origine, e con questo offre già un orientamento per sapere da dove venga: "Non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete" (Gv 7, 28). Certo, Gesù è originario di Nazaret, è nato a Betlemme, ma che cosa si sa della sua vera origine?
Nei quattro Vangeli emerge con chiarezza la risposta alla domanda "da dove" viene Gesù: la sua vera origine è il Padre, Dio. Egli proviene totalmente da Lui, ma in un modo diverso da qualsiasi profeta o inviato da Dio che l'ha preceduto.


Il mistero di Dio che Si fa uomo

Questa origine dal mistero di Dio, "che nessuno conosce", è contenuta già nei racconti dell'infanzia dei Vangeli di Matteo e di Luca, che stiamo leggendo in questo tempo natalizio. L'angelo Gabriele annuncia: "Lo Spirito scenderà su di te, e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e chiamato Figlio di Dio" (Lc 1, 35).
Ripetiamo queste parole ogni volta che recitiamo il Credo, la Professione di fede: "et incarnatus est de Spiritu Sancto, ex Maria Virgine", "per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria". A questa frase ci inginocchiamo perché il velo che nascondeva Dio, viene, per così dire, aperto e il suo mistero insondabile e inaccessibile ci tocca: Dio diventa l'Emmanuele, "Dio con noi".

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"Ciò che accade in Maria, attraverso l'azione
dello stesso Spirito divino, è una nuova
creazione: Dio, che ha chiamato l'essere
dal nulla, con l'Incarnazione dà vita ad
un nuovo inizio dell'umanità"
Benedetto XVI durante l'Udienza 
Generale del 2/1/2013. 
Quando ascoltiamo le Messe composte dai grandi maestri di musica sacra, come la Messa dell'Incoronazione di Mozart, notiamo subito come sia sottolineata in modo particolare questa frase, quasi a voler cercare di esprimere con il linguaggio universale della musica ciò che le parole non possono manifestare: il mistero grande di Dio che si incarna, si fa uomo.

Se consideriamo attentamente l'espressione "per opera dello Spirito Santo nato nel seno della Vergine Maria", troviamo che essa include quattro soggetti che agiscono. In modo esplicito vengono menzionati lo Spirito Santo e Maria, ma è sottointeso "Egli", cioè il Figlio, che si è fatto carne nel seno della Vergine.

Nella Professione di fede, il Credo, Gesù viene definito con diversi appellativi: "Signore, ... Cristo, unigenito Figlio di Dio... Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero... della stessa sostanza del Padre" (Credo niceno-costantinopolitano). Vediamo allora che "Egli" rinvia ad un'altra persona, quella del Padre. Il primo soggetto di questa frase è dunque il Padre che, con il Figlio e lo Spirito Santo, è l'unico Dio.

"Nel seno della Vergine Maria"

Questa affermazione del Credo non riguarda l'essere eterno di Dio, ma piuttosto ci parla di un'azione a cui prendono parte le tre Persone divine e che si realizza "ex Maria Virgine". Senza di lei l'ingresso di Dio nella storia dell'umanità non sarebbe giunto al suo fine e non avrebbe avuto luogo quello che è centrale nella nostra Professione di fede: Dio è un Dio con noi. Così Maria appartiene in modo irrinunciabile alla nostra fede nel Dio che agisce, che entra nella storia. Ella mette a disposizione tutta la sua persona, "accetta" di diventare luogo dell'abitazione di Dio.
A volte, anche nel cammino e nella vita di fede possiamo avvertire la nostra povertà, la nostra inadeguatezza di fronte alla testimonianza da offrire al mondo. Ma Dio ha scelto proprio un'umile donna, in uno sconosciuto villaggio, in una delle provincie più lontane del grande impero romano. Sempre, anche nelle difficoltà più ardue da affrontare, dobbiamo avere fiducia in Dio, rinnovando la fede nella sua presenza e azione nella nostra storia, come in quella di Maria. Nulla è impossibile a Dio! Con Lui la nostra esistenza cammina sempre su un terreno sicuro ed è aperta ad un futuro di ferma speranza.

Professando nel Credo: "per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria", affermiamo che lo Spirito Santo, come forza del Dio Altissimo, ha operato in modo misterioso nella Vergine Maria il concepimento del Figlio di Dio. L'evangelista Luca riporta le parole dell'arcangelo Gabriele: "Lo Spirito scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra" (1, 35).

Inizio della nuova creazione

Due richiami sono evidenti: il primo è al momento della creazione. All'inizio del Libro della Genesi leggiamo che "lo spirito di Dio aleggiava sulle acque" (1, 2); è lo Spirito creatore che ha dato vita a tutte le cose e all'essere umano.
Ciò che accade in Maria, attraverso l'azione dello stesso Spirito divino, è una nuova creazione: Dio, che ha chiamato l'essere dal nulla, con l'Incarnazione dà vita ad un nuovo inizio dell'umanità. I Padri della Chiesa più volte parlano di Cristo come del nuovo Adamo, per sottolineare l'inizio della nuova creazione dalla nascita del Figlio di Dio nel seno della Vergine Maria. Questo ci fa riflettere su come la fede porti anche in noi una novità così forte da produrre una seconda nascita.

Infatti, all'inizio dell'essere cristiani c'è il Battesimo che ci fa rinascere come figli di Dio, ci fa partecipare alla relazione filiale che Gesù ha con il Padre. E vorrei far notare che il Battesimo si riceve, noi "siamo battezzati" - è un passivo - perché nessuno è capace di rendersi figlio di Dio da sé: è un dono che viene conferito gratuitamente.

San Paolo richiama questa figliolanza adottiva dei cristiani in un passo centrale della sua Lettera ai Romani, dove scrive: "Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: ‘Abbà! Padre!'. Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio" (8, 14-16), non servi.

Maria è la nuova Arca dell'Alleanza

Solo se ci apriamo all'azione di Dio, come Maria, solo se affidiamo la nostra vita al Signore come ad un amico di cui ci fidiamo totalmente, tutto cambia, la nostra vita acquista un nuovo senso e un nuovo volto: quello di figli di un Padre che ci ama e mai ci abbandona.
Abbiamo parlato di due elementi: uno è l'elemento primo, lo Spirito sulle acque, lo Spirito Creatore. C'è però un altro elemento nelle parole dell'Annunciazione.

L'angelo dice a Maria: "La potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra". E' un richiamo alla nube santa che, durante il cammino dell'esodo, si fermava sulla tenda del convegno, sull'arca dell'alleanza, che il popolo di Israele portava con sé, e che indicava la presenza di Dio (cfr. Es 40, 34-38). Maria, quindi, è la nuova tenda santa, la nuova arca dell'alleanza: con il suo "sì" alle parole dell'arcangelo, Dio riceve una dimora in questo mondo, Colui che l'universo non può contenere prende dimora nel grembo di una vergine.

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"Sempre, anche nelle difficoltà più ardue da affrontare, dobbiamo avere
fiducia in Dio, rinnovando la fede nella sua presenza e azione
nella nostra storia, come in quella di Maria"
Vista della Sala Paolo VI durante l'Udienza Generale del 2/1/2013

Ritorniamo allora alla questione da cui siamo partiti, quella sull'origine di Gesù, sintetizzata dalla domanda di Pilato: "Di dove sei tu?" Dalle nostre riflessioni appare chiara, fin dall'inizio dei Vangeli, qual è la vera origine di Gesù: Egli è il Figlio Unigenito del Padre, viene da Dio. Siamo di fronte al grande e sconvolgente mistero che celebriamo in questo tempo di Natale: il Figlio di Dio, per opera dello Spirito Santo, si è incarnato nel seno della Vergine Maria.
Questo è un annuncio che risuona sempre nuovo e che porta in sé speranza e gioia al nostro cuore, perché ci dona ogni volta la certezza che, anche se spesso ci sentiamo deboli, poveri, incapaci davanti alle difficoltà e al male del mondo, la potenza di Dio agisce sempre e opera meraviglie proprio nella debolezza. La sua grazia è la nostra forza (cfr. II Cor 12, 9-10).

(Udienza Generale, 2/1/2013)
(Rivista Araudi del Vangelo, Febbraio/2013, n. 118, p. 6 - 8)
AVE MARIA!

sabato 12 settembre 2015

“La dignità sacerdotale supera anche quella angelica – scrive san Tommaso d’Aquino (3 p., q. 22, art. 1).

La dignità del Sacerdozio visto da Sant'Alfonso Maria De Liguori

Il consiglio di San Paolo, nella 2a Lettera a Timoteo di lavorare incessantemente per il Regno di Dio, riassume bene la vita di san Alfonso (1696-1787), questo santo che è il patrono dei teologi moralisti. 

Egli aveva fatto il voto di non permettersi alcuna inutile perdita di tempo. La sua vita si è prolungata al di là del 90mo anno. A 16 anni, aveva già conseguito i gradi accademici del diritto civile e del diritto canonico, ma, avvocato brillante in carriera del foro di Napoli,  a trent’anni subì un pesante insuccesso di carattere professionale, perdendo per un semplice cavillo una causa in tribunale.  Egli valutò i pericoli e la vanità del mondo e intelligentemente si volse verso gli studi ecclesiastici ed il sacerdozio deponendo la sua spada ai piedi della statua della Madonna nella Chiesa della Mercede. 
Sacerdote, professore ; apostolo, vescovo santo, egli fondò un nuovo ordine religioso, la Congregazione dei Sacerdoti del Santissimo Redentore, per l’evangelizzazione delle campagne e degli ambienti rurali e delle periferie delle città. 

A Napoli arrivò ad ideare le Cappelle Serotine. Ossia il raduno al suono serale dell’Angelus nelle piazzette per consentire alla gente dei bassifondi, ai cosiddetti “lazzaroni”, ma anche agli operai e agli artigiani di riunirsi alla sera per partecipare alla preghiera e parlare di Dio. La sua oratoria trascinava le folle per le quali usava un linguaggio semplice e comprensibile e quando serviva, utilizzava anche la letteratura e la poesia per far penetrare il messaggio di Dio. 
Sant’Alfonso è anche noto per le sue doti di compositore di musiche e canti popolari tra i quali spicca la celebre pastorale natalizia “ Tu scendi dalle stelle”, composta nel corso di una missione popolare a Nola.

Egli è anche autore di una cinquantina di canzoncine popolari per le feste religiose più significative. Costretto dal  Pontefice, dovette accettare l’episcopato, e con grande zelo per le anime, con scienza e  santità, egli governò la sua diocesi, si ritirò in ragione delle deficienze della sua salute e, in mezzo ai suoi religiosi redentoristi, nel lavoro, nell’austerità, nella sopportazione generosa delle sofferenze fisiche, egli trascorse l’ultima parte della sua esistenza. 

E’ interessante, nello speciale anno sacerdotale indetto dal papa Benedetto XVI,  leggere che cosa il nostro santo scrive sulla dignità del sacerdote che per lui è superiore a quella degli angeli:  “Dunque la dignità del sacerdote è la più nobile fra tutte. Scrive sant’Ambrogio: “Non c’è nulla di più eccelso in questo mondo” (De dignitate Sacerdotis). “Supera tutte le dignità di re, imperatori e degli stessi angeli” – conferma san Bernardo (Sermo ad Pastor. In Syn.). “La dignità del sacerdote – nota sant’Ambrogio – supera quella dei re, quanto l’oro il piombo. L’oro non è tanto più prezioso del piombo, quanto invece è più alta la dignità del Sacerdozio sulla dignità regale”. E questo perché il potere dei re si limita ai corpi dei sudditi, ai beni materiali, quello dei sacerdoti invece si estende sui beni spirituali, sull’anima.

“Quanto più l’anima è importante nel corpo – scrive san Clemente Alessandrino (Constit. Ap. 1.2, c. 34) – tanto più eccellente è il sacerdozio su un regno”. E san Giovanni Crisostomo conferma (De Jac. 1.3): “I principi hanno potere sui vincoli del corpo; i sacerdoti anche sull’anima”.

“La dignità sacerdotale supera anche quella angelica – scrive san Tommaso d’Aquino (3 p., q. 22, art. 1). E san Gregorio Nazianzeno (Sermo 26 de Sanct. Petr.) osserva che “il sacerdozio è venerato anche dagli angeli”. “Tutti gli angeli del cielo – nota anche san Pier Damiani (Sermo 26 de Sanct. Petr.) – non possono assolvere neppure un solo peccato. Infatti assistono sì le persone a loro affidate e fanno anche in modo che, se si trovano in peccato, ricorrano ai sacerdoti per l’assoluzione, ma “benché assistano, in attesa del potere del Sacerdote, tuttavia, non godono del potere di assolvere”

Lo stesso Arcangelo san Michele, se si trovasse accanto a un moribondo che lo invoca, potrà pure allontanare i demoni, ma non liberare quel suo devoto dalle catene del peccato, se non accorre un sacerdote che lo assolva. 
Il Serafico San Francesco d’Assisi era solito dire: “Se vedessi un angelo del paradiso e un sacerdote, prima genufletterei davanti al sacerdote, poi davanti all’angelo”.

Il potere del sacerdote supera anche quello di Maria Santissima. La divina Madre, infatti, può pregare per una persona e, pregando, ottenere ciò che vuole, ma non assolverla da una pur minima colpa. 
Scrive papa Innocenzo III (Nova quaedam de Poen. Rem.): “Benché la beata Vergine sia superiore agli Apostoli, tuttavia solo a questi sono state affidate le chiavi del Regno dei cieli”. E san Bernardino da Siena (Tom. I, Sermo 20, art. 2, c. 7) esclama: “Vergine benedetta, perdonami, non intendo minimamente offenderti, ma il sacerdote prevale su di te!”. Maria, infatti, ha concepito Cristo una volta sola, ma il sacerdote – diciamo -, consacrando lo concepisce quante volte vuole. Sicché se la persona del Redentore non fosse ancora venuta su questa terra, il sacerdote, con le parole della consacrazione, genererebbe la persona dell’uomo-Dio.

Come a Dio fu sufficiente dire “Fiat” (Sal 32, 9) e il mondo fu, così al sacerdote basta dire sul pane e sul vino: “Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue” e il pane non è più pane, il vino non più vino, ma sostanza del corpo di Cristo. “Il potere sacerdotale – scrive san Bernardino da Siena (Tom. I, Sermo 20, art. 2, c. 7) – è come quello delle tre divine persone, giacché per la transustanziazione del pane si richiede tanta potenza quanta la creazione del mondo”
“O venerabile santità nelle mie mani! – scrive sant’Agostino (In Ps. 37) – O felice opera! Chi mi creò (se è lecito dirlo), mi diede potere di creare lui! Chi creò senza di me, egli stesso ha creato se stesso mediante me!”. “Con la parola Dio creò dal nulla cielo e terra, così, --dice san Girolamo (Sermo de corpore Christi) – la parola del sacerdote crea Cristo”.
Don Marcello Stanzione

AMDG et BVM

IL MONACO ITINERANTE BERNARDO E SAN MICHELE

IL MONACO 


ITINERANTE

BERNARDO

E SAN 

MICHELE



IL MONACO ITINERANTE BERNARDO E SAN MICHELEDi un certo interesse è l’itinerario descritto dal monaco francese Bernardo che, verso l’865, intraprese il viaggio verso Gerusalemme insieme ad altri due monaci, uno spagnolo ed un beneventano. Bernardo  con i suoi compagni volle iniziare il viaggio da Roma per prendere dal papa Niccolò (858-867) una speciale benedizione e la licenza di compiere un pellegrinaggio devozionale verso i luoghi santi (loca sanctorum). 

Il primo luogo santo visitato fui proprio la chiesa di san Michele sul Gargano che Bernardo descrisse con brevi ed essenziali note di carattere tecnico.                                                                                                                                               
“La chiesa, infatti -. Dice – si trova sotto una cavità rocciosa, coperta superiormente da querce piene di ghiande (sarà arrivato nel mese di settembre) e può contenere cinquanta persone; l’ingresso è posto a nord di fronte all’altare dove si possono celebrare le sacre funzioni senza  possibilità di depositare dei doni. Davanti all’altare vi è un vaso sospeso dove invece si possono mettere i vari doni mentre ad oriente si può ammirare un’immagine dello stesso Angelo Michele. Altri altari sono presenti nella grotta ed il luogo santo è tenuto da un abate di nome Benignato insieme a molti confratelli”. ...

... Dal Gargano, percorrendo centocinquanta miglia arrivarono a Bari, una città che, pur essendo munita di robuste mura a Sud e difesa a Nord dal mare, era occupata dai saraceni. Qui si rivolse al principe Sultano per chiedere con due lettere il visto per poter proseguire via mare il viaggio. Le lettere, dove stavano indicate le generalità del pellegrini ed il motivo del viaggio, erano indirizzate una al principe di Alessandria e l’altra al principe di Babilonia. Era sempre opportuno prendere delle precauzioni. Carlo Magno aveva concluso un trattato di pace con il sultano di Bagdad con cui veniva concesso il libero passaggio dei pellegrini verso i luoghi santi; in quel periodo sia i franchi che i saraceni avevano un pericolo in comune: quello dell’imperatore di Bisanzio (Con tutti gli accordi, dopo qualche anno nell’869 questo sultano ed i suoi saraceni stavano a Bari e saccheggiarono il santuario di san Michele sul Gargano spogliandolo di ogni bene). 

Dopo Bari, camminando per novanta miglia, giunsero al porto di Taranto dove vi erano sei navi con nove mila prigionieri cristiani beneventani dirette verso vari porti dell’Africa. Bernardo ed i suoi compagni di viaggio s’imbarcarono su una nave che, dopo trenta giorni di navigazione, giunse ad Alessandria d’Egitto. 
In questa città – annota Bernardo – fuori della porta orientale vi è un monastero dedicato a san Marco a ricordo della predicazione svolta tra queste popolazioni; ma il corpo dell’evangelista non c’è più perché i veneziani lo tolsero furtivamente per condurlo a Venezia. Dopo aver ricevuto dal principe di Alessandria un nuovo permesso per continuare il viaggio e tredici denari, navigando lungo il Nilo per sei giorni i nostri pellegrini giunsero alla città Babilonia (?), (nel luogo dove Giuseppe aveva costruito sedici granai durante la carestia) e furono condotti dal principe Adelacham. Questi, non curante delle lettere di permesso del principe di Alessandria, mise in prigione Bernardo ed i suoi amici. Dopo sei giorni furono liberati per intervento del patriarca Michele a cui obbedivano tutti i vescovi ed i monaci dell’Egitto. Allora il principe saraceno rifece il permesso di viaggiare mettendo il proprio sigillo e consegnando loro dei denari. 

Navigando sempre sul Nilo, giunsero alla città di Fartamea nel luogo dove si rifugiò san Giuseppe con Maria dopo essere stati avvisati dall’angelo del Signore. Qui concordò il prezzo con i  cammellieri per attraversare il deserto, un luogo senza erba o alberi da frutta, un paesaggio che somigliava ad una campagna coperta di neve. Dopo sei giorni di  viaggio giunsero alla città di Gaza, la città di Sansone, ricchissima di ogni bene, e passando dal castello di Emmaus, arrivarono finalmente alla santa città di Gerusalemme dove trovarono alloggio in un “Hospiotale” per pellegrini. 

Egli incomincia la descrizione di Gerusalemme e dei luoghi santi richiamando i vari episodi evangelici cui fanno riferimento. All’interno della città quattro chiese si distinguono per importanza: la prima ad oriente, dove fu trovata la croce del Signore, è chiamata basilica di Costantino; la seconda a sud; la terza ad occidente dove si trova il Santo Sepolcro con nove colonne di cui quattro di fronte allo stesso monumento e con le pareti che ricordano il posto dove l’angelo annunziò la resurrezione. Egli tralasciò ulteriori descrizioni a quello che aveva scritto Beda il Venerabile all’inizio dell’VIII secolo ma volle descrivere la cerimonia del sabato santo. Al mattino in chiesa dopo l’ufficio, si inizia a cantare il Kyrie eleison, si accendono le lampade che pendono sopra il Santo sepolcro ed il patriarca distribuisce le fiaccole  ad ognuno per illuminare uniformemente tutto l’ambiente. 

In mezzo a queste chiese vi è un luogo chiamato “paradiso” a cielo aperto con pareti raggianti di  oro e con pavimento rifinito di pietre preziose dove confluiscono quattro catene provenienti dalle quattro chiese poste nei punti cardinali in un punto , che sta a significare il mondo. Vi sono altre chiese nella città di Gerusalemme, tra cui Bernardo ricorda la chiesa di san Simeone dove il Signore lavò i piedi ai suoi discepoli e dove fu portato il corpo di Maria, la chiesa in onore di santo Stefano nel luogo dove è stato lapidato, la chiesa in onore del beato Pietro nel luogo dove negò di conoscere il Signore. Annota che a nord vi è il tempio di Salomone diventato una sinagoga saracena, mentre a sud il luogo dove l’angelo del Signore liberò Pietro dal carcere. Ad un miglio da Gerusalemme nella valle di Giosafat vi è  la città di Getsemani, luogo di nascita di santa Maria con una chiesa grandissima in  suo onore e con un’altra chiesa rotonda, senza tetto, dove è il suo sepolcro. Sempre a Getsemani vi è la chiesa con quattro altari rotondi dove il Signore fu tradito e la chiesa in onore di san Leone nel luogo dove il Signore fu sottoposto a giudizio. 

Poi giunsero al Monte Oliveto da cui si osserva il luogo della preghiera del Signore al padre. Lateralmente al predetto monte si osserva anche il luogo dove i farisei condussero la donna sorpresa in adulterio. Vi è qui la chiesa in onore di san Giovanni in cui è riportata la frase, su una lastra marmorea, che il Signore scrisse per terra. 

Alla sommità del detto monte, un miglio dalla valle di Giosafat, vi è il luogo dell’ascensione del Signore al padre. Si trova una chiesa rotonda, senza tetto, dove al centro con un altare, è ricordato il luogo dell’ascensione e dove sono celebrate le solennità delle messe. 

Poi prima di arrivare a Betania che si trova ad un miglio verso sud del monte Oliveto discendendo il monte si incontra un monastero nella cui chiesa si trova il sepolcro di Lazzaro: lì vicino a nord, vi è la piscina dove, per ordine del Signore, Lazzaro resuscitato si lavò (si dice che Lazzaro resuscitando abbia vissuto come vescovo ad Efeso per quaranta anni). Nella discesa del monte Oliveto verso una pianura ad occidente si osserva una pietra su cui discese il Signore stando in groppa ad una asinella. Inoltre nella valle di Giosafat, vi è la piscina di Siloe. 

Poi passarono per Bethlemme dove nacque il Signore, distante sei miglia., videro il campo dove lavorava Abacuc quando l’angelo del Signore gli comandò di portare la spada a Daniele nella meridionale Babilonia, dove regnò Nabucodonosor, adesso abitata da bestie e serpenti. Bethlemme ha una chiesa molto grande in onore di santa Maria dove al centro è riportata un’iscrizione sulla pietra; l’ingresso è posto a sud ed uscendo ad est si può  vedere la mangiatoia del Signore in direzione dell’iscrizione. Nel luogo dove il Signore nacque vi è l’altare dove vengono celebrate le messe. Vicino a questa chiesa a sud vi è la chiesa dei beati Martiri Innocenti. Infine ad un miglio distante da Bethlemme si trova il monastero dei Santi Pastori, ai quali l’angelo apparve nella natività del Signore. 

Alla fine a trenta miglia da Gerusalemme ad oriente vi è il Giordano con il soprastante monastero di san Giovanni Battista. Ma in questi luoghi vi sono ancora molti monasteri. Inoltre vi è nella parte pianeggiante ad ovest della città di Gerusalemme la chiesa di santa Mamilla, in cui vi sono molti corpi di martiri uccisi dai saraceni che la santa ha diligentemente ricomposti. 

Terminata la vista a Gerusalemme, via mare tornarono in Italia ed arrivarono al Monte Aureo (identificato come Olevano sul Tusciano in provincia di Salerno) dove vi è una grotta  con sette altari. E’ presente sopra una grande foresta: in questa grotta nessuno riesce ad entrare per l’oscurità tenebrosa presente a meno che non si accendono delle fiaccole. Qui fu abate don Valentino. Da Monte Aureo arrivarono a Roma dalla parte orientale nel luogo chiamato Laterano, dove vi è una chiesa ben fatta, sede apostolica, in onore di san Giovanni Battista. Dalla parte opposta ad occidente vi è la chiesa del beato Pietro, principe degli apostoli, dove le sue spoglie riposano , una chiesa che  nella sua grandezza e nei suoi ornamenti non ha uguale in tutto l’universo. 

A Roma inoltre riposano innumerevoli corpi dei santi. Lasciata l’Italia i nostri pellegrini si diressero verso la Francia alle due Tombe, un luogo posto su un monte che s’inoltra per due leghe nel mare. Alla sommità di questo monte vi è la chiesa in onore di san Michele ed invece alle pendici dello stesso vi il mare che straripa due volte, al mattino e alla sera, e le persone non possono salire il monte fin quando il mare non si ritira.  Però nella festa di san Michele lo straripamento del mare è contenuto da muri a destra e a sinistra. E in questo giorno solenne tutti possono salire al monte per pregare in qualsiasi ora, negli altri giorni questo non è possibile. 

Si conclude così l’Itinerario del monaco Bernardo, un pellegrinaggio iniziato con un luogo sacro dedicato a san Michele sul Monte Gargano e terminato con la visita dell’altro sacro monte dedicato a san Michele in Normandia.

Don Marcello Stanzione 
AMDG et BVM