sabato 15 agosto 2015

DETTI dei PADRI del DESERTO

Detti dei Padri del Deserto

1) Di Dio      2) Dell' hesychia    3) Dell'Orazione    4) "Fuge, Tace, Quiesce"   5)   Dell'umiltà      6) Della custodia della mente

DI DIO

« Se l'uomo non dice nel suo cuore: « Dio e io siamo soli al mondo", non avrà mai riposo », disse l'abate Alonio.

Diceva l'abate Mios: « Obbedienza per obbedienza. Se uno obbedisce a Dio, Dio gli obbedisce »

« Se l'uomo lo volesse, una sola giornata, dal mattino alla notte, gli basterebbe per raggiungere la misura della divinità », disse l'abate Monio.

Un anziano disse: « Se vuoi vivere, o uomo, secondo la legge di Dio, avrai per protettore l'autore stesso di quella legge ».
Un anziano diceva: « Se il tuo pensiero dimora in Dio, la forza di Dio dimora in te ».

Un anziano disse: « Non feci mai un passo senza sapere dove posassi il piede. Mi fermavo a riflettere,  senza cedere, sino a che Dio non mi prendesse per mano».

Un anziano ha detto: «Quanto uno si sarà reso folle per il Signore, altrettanto il Signore lo renderà saggio ».

L'abate Iperechio ha detto: « Abbi sempre nello spirito il Regno dei Cieli, e presto l'avrai in eredità ».

L'abate Mosè disse: « Tutto quello che può pensare un uomo su quanto è sotto il cielo e su quanto è sopra il cielo, è inutile. Solo colui che persevera nel ricordo di Gesù è nella verità »

Un anziano disse: « Lo sforzo e la sollecitudine di non peccare hanno un solo scopo: non scacciare dalla nostra anima Dio che vi abita ».

Gregorio disse: « Che la tua opera sia pura per la presenza del Signore e non per l'ostentazione».

Si domandò al nostro santo padre Atanasio, l'arcivescovo di Alessandria: « In qual modo il Figlio è uguale al Padre?». Rispose: « Come la vista nei due occhi »

Un anziano disse: « Faccio ciò di cui l'uomo ha bisogno: temere il giudizio di Dio, odiare il peccato, amare la virtù, e pregare Dio senza intermissione ».

Un anziano disse: « Giuseppe d'Arimatea prese il Corpo di Gesù e lo mise in una sindone monda e in un sepolcro nuovo, cioè in un uomo nuovo. Che ciascuno abbia gran cura di non peccare per non oltraggiare Dio che abita in lui, e per non scacciarlo dalla sua anima. La manna fu data a Israele per nutrirsi nel deserto, ma al vero Israele è stato dato il Corpo di Cristo».

Un anziano diceva: « Un uomo non può essere buono anche se ne ha la volontà e se vi si applica con tutte le sue forze, se Dio non abita in lui, poichè nessuno è buono se non Dio».

Un anziano disse: «Dio abita in colui nel quale non penetra niente di estraneo ».

Un anziano diceva: «Sopporta obbrobrio e afflizione per il nome di Gesù con umiltà e cuore contrito. E mostra davanti a lui la tua debolezza ed egli diverrà la tua forza».

L'abate Amun disse: « Sopporta ogni uomo come Dio ti sopporta ».

Un anziano disse: « Se l'uomo fa la volontà del Signore, non finisce mai di udire la voce interiore ».

L'abate Giacomo disse [a un fratello]: « Forza il tuo cuore a venire dal Signore ». E il fratello disse: « Come, padre mio? ». L'anziano gli rispose:
« Come Gesù forzò i suoi discepoli a salire sulla barca, nello stesso modo tu forza il tuo cuore a venire dal Signore ».

L'abate Giovanni ha detto: « Questa parola è scritta nel Vangelo: "Quando Gesù chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro, le sue mani e i suoi piedi erano legati e il suo viso cinto da un lino; Gesù lo sciolse e lo congedò. Noi dunque abbiamo le mani e i piedi legati e il nostro viso è stato coperto con un lino dalle mani del nemico? Se dunque ascoltiamo Gesù, Egli ci slegherà da tutto questo e ci libererà dalla schiavitù di tutti questi cattivi pensieri. Saremo allora figli del Signore, riceveremo le promesse in eredità e saremo figli del Regno Eterno».


   DELL'HESYCHIA

I sacerdoti della regione visitarono le celle dei monaci dei dintorni. Li abitava Pastor. L'abate Anub si presentò e gli disse: « Invitiamo questi sacerdoti ad accettare qui oggi i doni di Dio, preparando una agape ». Pastor che era ritto in piedi stette lungo tempo così, senza rispondere. L'abate Anub si ritirò contristato. Quelli che erano seduti accanto a lui gli domandarono perché non avesse risposto. « Questo non mi riguarda», rispose loro, « perché sono già morto; un morto tace. Non consideratemi quindi come fossi tra voi».

Alcuni fratelli andarono a visitare un santo anziano che abitava in un luogo deserto. Trovarono presso la sua cella dei bambini che custodivano le greggi e parlavano tra loro in modo fastidioso. I fratelli videro l'anziano, gli palesarono i propri pensieri e trassero beneficio dalle sue risposte. Poi gli dissero: « Padre, perché accetti d'avere intorno questi bambini e non gli ordini di cessare tanto baccano? ». L'anziano rispose: « Fratelli, credetemi, vi sono giorni in cui vorrei dare questo ordine, ma mi fermo, dicendo: « Se non sopporto questa bazzecola, come potrei sopportare una più grande prova, se Dio permette che mi si presenti? ». Così non dico niente, per abituarmi a sopportare tutto ciò che accade ».

Un fratello interrogò un anziano: « Quale è la cultura dell'anima che porta frutti? ». L'anziano rispose: «La cultura dell'anima consiste in questo: l' hesychia (che significa: calma, pace...) del corpo, molte preghiere corporali, non fare attenzione alle colpe degli uomini ma solamente alle proprie. Se l'uomo persevera in tutto questo, la sua anima non tarderà a produrre frutti »

Fu domandato a un anziano: « Come avviene che io mi scoraggi senza tregua? ». « Perché non hai ancora visto la meta», rispose.

Un  novizio volle un giorno rinunciare al mondo. Disse all'anziano: "Voglio diventare monaco". L'anziano rispose: " Non ce la farai". L'altro disse: "Ce la farò". L'anziano disse: "Se realmente lo vuoi, va', rinuncia al mondo, poi vieni ad abitare nella tua cella. Egli se ne andò, donò ciò che possedeva, tenne per sé cento monete e tornò dall'anziano. L'anziano gli disse: « Va' ad abitare nella tua cella ». Andò ad abitarvi. Mentre era là i suoi pensieri gli dissero: « La porta è vecchia e deve essere sostituita ». Andò dunque a dire all'anziano: «I miei pensieri mi dicono: La porta è vecchia e deve essere sostituita ». L'anziano gli rispose: « Tu non hai ancora rinunciato al mondo; va', rinuncia al mondo, e poi abita qui». Se ne andò, donò novanta monete, ne tenne dieci e disse all'anziano: « Ecco, ho rinunciato al mondo ». L'anziano gli disse: « Va', abita nella tua cella ». Andò ad abitarvi. Mentre era là i suoi pensieri gli dissero: «Il tetto è vecchio e deve essere rifatto ». Andò dall'anziano: « I miei pensieri mi dicono: Il tetto è vecchio e deve essere rifatto ». L'anziano gli disse: « Va', rinuncia al mondo ». Il fratello se ne andò, donò le dieci monete e tornò dall'anziano: « Ecco che ho rinunciato al mondo ». Mentre era nella sua cella i suoi pensieri gli dissero: «Ecco, tutto è vecchio, verrà il leone e mi mangerà». Espose i suoi pensieri all'anziano che gli disse: « Vorrei che tutto cadesse su di me e che il leone venisse a mangiarmi, per essere liberato dalla vita. Va', dimora nella tua cella e prega Dio».

Un anacoreta divenne vescovo. Pio e pacifico, non correggeva nessuno, sopportando con pazienza le colpe e i peccati di ciascuno. Ora, il suo economo non amministrava correttamente gli affari della Chiesa e alcuni vennero a dire al vescovo: « Perché non rimproveri questo economo così negligente? ». Il vescovo differì il rimprovero. L'indomani gli accusatori dell'economo ritornarono dal vescovo, irritati contro di lui. Il vescovo, avvertito, si nascose in qualche parte e arrivando non lo trovarono. Lo cercarono a lungo, lo scoprirono alfine e gli dissero: «Perché ti sei nascosto? ». Egli rispose: « Perché ciò che sono riuscito ad ottenere in sessanta anni, a forza di pregare Dio, voi volete rubarmelo in due giorni ».

Un anziano diceva: «I santi che possiedono Dio ricevono in retaggio, per la loro impassibilità, sia le cose di quaggiù che quelle future, poiché le une e le altre sono di Cristo, e quelli che possiedono il Cristo hanno anche i suoi beni. Colui che ha il mondo, cioè le passioni, anche se ha il mondo non ha niente, se non le passioni che lo dominano ».

L'abate Agatone dava sovente questo consiglio al suo discepolo: « Non appropriarti mai di un oggetto che non vorresti cedere immediatamente a chiunque ».

Fu domandato a un vegliardo: « Che vuoi dire rendere conto di una parola inutile? ». Rispose: « Ogni parola detta intorno a un oggetto materiale è pettegolezzo inutile, non vi sono che le parole dette per la salvezza dell'anima che non siano pettegolezzo. D'altronde è meglio scegliere il silenzio totale, perché, mentre tu dici il bene, viene anche il male ».

Un anziano disse: «Se tu abiti nel deserto come esicasta (dal greco ἡσυχασμός hesychasmos, da ἡσυχία hesychia, calma, pace, tranquillità, assenza di preoccupazione), non considerarti come uno che faccia qualcosa di grande, ma piuttosto reputati come un cane che sia stato scacciato dalla folla e legato perché mordeva e assaliva la gente ».

L'abate Antonio predisse all'abate Amun: « Tu farai molti progressi nel timor di Dio ». Poi lo condusse fuori dalla cella e gli mostrò una pietra: « Mettiti a ingiuriare questa pietra », gli disse, « e colpiscila senza smettere ». Quando Amun ebbe terminato, sant'Antonio domandò se la pietra gli avesse risposto qualcosa. « No », disse Amun. « Ebbene! anche tu », aggiunse l'anziano, « devi raggiungere questa perfezione e pensare che non ti si fa nessuna offesa ».

L'abate Macario diceva: « Queste tre cose sono capitali ed è bene presentarsele senza tregua: In ogni momento ci si deve ricordare della mortesi deve morire ad ogni uomo, e il pensiero deve essere costantemente unito a Nostro Signore. Difatti, se non si ha ad ogni momento presente la propria morte non si sarà capaci di morire ad ogni uomo; e se non si è capaci di morire ad ogni uomo non si sarà capaci di essere costantemente davanti a Dio».

Un anziano diceva: «Fuggite l'amore che ispirano le cose periture perché passa con loro e perisce con loro ».
Disse un anziano: « Lascio cadere il fuso e metto la morte dinanzi ai miei occhi prima di sollevarlo di nuovo».

Paisio, il fratello dell'abate Pastor, contrasse un'amicizia particolare con un monaco di fuori. L'abate Pastor non voleva; si levò e corse a dire all'abate Ammona: «Mio fratello Paisio ha un'amicizia particolare con uno e ciò non mi lascia riposo». «Abba Pastor, tu vivi ancora! », gli rispose Ammona. «Torna alla tua cella e mettiti bene in cuore che sei già nella tomba da un anno».

Fu domandato a un anziano: « Perché ho paura quando cammino nel deserto? ». « Perché vivi ancora», rispose.

L'abate Macario diceva ancora: «Lotta per tutte le morti. Per la morte del corpo: vale a dire, se non hai la morte dello spirito, lotta per la morte del corpo. E allora la morte dello spirito ti sarà data in soprammercato. E quella morte ti farà morire ad ogni uomo, e in seguito potrai acquistare la capacità di essere costantemente vivente con Dio nel silenzio».


   DELL'ORAZIONE

Non appena ti levi dopo il sonno, subito, in primo luogo, la tua bocca renda gloria a Dio e intoni cantici e salmi poiché la prima preoccupazione alla quale lo spirito si apprende fin dall'aurora, esso continua a macinarla come una mola per tutto il giorno, sia grano, sia zizzania. Perciò sii sempre il primo a gettar grano, prima che il tuo nemico getti zizzania.

Accadde un giorno che gli anziani si recassero dall'abate Abraham il profeta della regione. Lo interrogarono sull'abate Banè, dicendo: « Ci siamo intrattenuti con abba Banè sulla clausura nella quale egli si trova adesso; ci ha detto queste gravi parole: Egli stima tutta l'ascesi e tutte le elemosine che ha fatto nel suo passato come una profanazione». E il santo vegliardo Abraham rispose loro e disse: «Ha parlato rettamente». Gli anziani si rattristarono per via della loro vita che era anch'essa a quel modo. Ma l'abate Abraham disse loro: « Perché affliggervi? Durante il tempo, in effetti, nel quale abba Banè distribuiva le elemosine, sarà arrivato a nutrire forse un villaggio, una città, una contrada. Ma ora è possibile a Banè levare le sue due mani affinché l'orzo cresca in abbondanza nel mondo intero. Gli è anche possibile, ora, chiedere a Dio di rimettere i peccati di tutta questa generazione ». E gli anziani, dopo averlo udito, si rallegrarono che vi fosse un supplice che intercedeva per loro.

Un fratello si recò presso un anziano che abitava al Monte Sinai e gli domandò: «Padre, dimmi come si deve pregare, perché ho molto irritato Iddio». L'anziano gli disse: «Figliuolo, io quando prego parlo così: Signore, accordami di servirti come ho servito Satana e di amarti come ho amato il peccato».

Se sei lento ad alzarti la notte per la liturgia, non dare nutrimento al tuo corpo, perché la Scrittura dice: « Il pigro non mangi neppure ». E io ti dico: come nel mondo colui che ruba incorre in una severa condanna, uguale condanna è riservata da Dio a chiunque non si alzi per la sua liturgia, salvo nel caso di malattia o di grande lavoro, benché dal malato come dal lavoratore Dio esiga una liturgia spirituale, perché essa può essere offerta a Dio facendo a meno del corpo.

L'abate Evagrio diceva: « Se ti vien meno il coraggio, prega. Prega con timore e tremore, con ardore, sobrietà e vigilanza. Così bisogna pregare, soprattutto a motivo dei nostri nemici invisibili che sono malvagi e accurati nel male, perché principalmente su questo punto essi ci porranno ostacoli ».

L'abate Macario, interrogato su come si debba pregare, rispose: «Non è necessario parlare molto nella preghiera, ma stendiamo sovente le mani  e diciamo: « Signore abbi pietà di noi, come tu vuoi e come tu sai". Quando la tua anima è in angustiata, di': «"Aiutami". E Dio ci farà misericordia, perché sa quello che a noi conviene ».

Gli anziani dicevano: «La preghiera è lo specchio del monaco».

Un fratello andò a visitare uno dei padri della laura di Suca sopra Gerico e gli disse: « Allora, Abba, come stai? ». L'anziano rispose: « Male». Il fratello disse: « Perché, Abba? ». L'anziano rispose: « Perché sono trent'anni che mi tengo ritto davanti a Dio durante la mia preghiera, e ora maledico me stesso dicendo a Dio: «Non aver pietà di tutti quelli che commettono iniquità», e « Maledetti quelli che si allontanano dai tuoi comandamenti». E io che sono un bugiardo dico ogni giorno a Dio: « Danna tutti quelli che mentono". E io che ho del rancore contro mio fratello, dico a Dio: "Perdonami come anche noi perdoniamo». Ed io che metto ogni mia preoccupazione nel mangiare, dico: "Ho dimenticato di mangiare il mio pane». E dormendo sino al mattino, vado salmodiando: "Nel mezzo della notte mi sono svegliato per confessarti ». Non possiedo assolutamente alcuna compunzione e dico: "Ho penato nel mio pianto e le lacrime hanno preso il posto del pane giorno e notte». E mentre ho nel cuore pensieri perversi, dico a Dio: « La meditazione del mio cuore è davanti a te sempre». Ed io che non digiuno assolutamente, dico: "I miei ginocchi si sono indeboliti causa il digiuno". E pieno d'orgoglio e di godimento della carne mi rendo ridicolo salmodiando: "Guarda la mia umiltà e la mia pena e rimettimi tutti i miei peccati». E io che non sono ancora pronto dico: "Il mio cuore è pronto, o Dio». E, in una parola, tutto il mio Uffizio e la mia preghiera tornano a me in rimprovero e in vergogna ». Il fratello disse all'anziano: «Penso, Abba, che Davide disse tutto ciò per se stesso ». Allora l'anziano disse piangendo: « Che dici, fratello? Di certo, se noi non osserviamo ciò che salmodiamo di fronte a Dio, andiamo in perdizione ».

Se fai il tuo lavoro manuale nella cella e viene l'ora della preghiera, non dire: « Finirò i miei ramoscelli e il piccolo cesto e dopo mi alzerò », ma alzati subito e rendi a Dio il debito della preghiera; diversamente prenderai a poco a poco l'abitudine di trascurare la tua preghiera e il tuo Uffizio e la tua anima diventerà deserta di ogni opera spirituale e corporale. Poiché è dall'alba che si mostra la tua volontà.

Un anziano diceva: « Non far mai nulla senza pregare e non avrai rimpianti».
   
L'abate Epifane diceva: « Conosci te stesso, e non cadrai mai. Procura lavoro alla tua anima, cioè la preghiera continua e l'amore di Dio, prima che un altro non le procuri cattivi pensieri; e prega affinché lo spirito d'errore si allontani da te ».

Un anziano diceva: « Come una sola bocca non può pronunciare nello stesso momento due parole tal che siano riconosciute e capite, così è della preghiera impura che un uomo fa udire davanti a Dio ».

I fratelli dicono: « Quale è la preghiera pura?»Il vecchio dice: « Quella che è breve in parole e grande in opere. Poiché se le opere non superano la richiesta non sono che parole vuote, semente che non dà frutto. Se non fosse così, perché ci accadrebbe di chiedere senza ricevere, mentre la grazia sovrabbonda di misericordia? Diverso è, del resto, il modo dei penitenti, diverso il modo degli umili; i penitenti sono mercenari, gli umili, figli ».


                      "FUGE, TACE, QUIESCE"

L'abate Pastor diceva: « Quali che siano le tue pene, la vittoria su di esse sta nel silenzio ».

Un giorno che i fratelli si erano riuniti a Scete, alcuni anziani vollero mettere alla prova l'abate Mosè: si fecero sprezzanti e gli dissero: « Perché questa specie di etiope viene tra noi? ».
L'abate tacque udendo queste parole. Di ritorno dall'assemblea, quelli che lo avevano ingiuriosamente trattato gli dissero: « Non sei turbato? ». Egli rispose: « Sono turbato, ma non dico niente ».

Un fratello disse all'abate Pastor: « Se vedo qualche cosa, a tuo parere, posso parlarne?». L'anziano rispose: « Sta scritto: "Chi risponde prima d'aver ascoltato, fa una sciocchezza, per sua confusione". Parla dunque se ti si interroga; altrimenti, taci».

Un anziano disse: « La xenìteia (=fuga dal mondo) abbracciata per Dio è buona se è accompagnata dal silenzio, poiché con la libertà di parola non vi è più xenìteia».

Alcuni fratelli di Scete vollero vedere l'abate Antonio. Salirono su una barca, e li trovarono un anziano che anche lui voleva andare da Antonio, ma i fratelli non ne sapevano niente. Seduti sulla barca conversavano sui detti dei padri, sulle Scritture e sui loro lavori manuali. L'anziano invece stava in silenzio. Giunti al porto, si accorsero che anche l'anziano andava dall'abate. Arrivati da Antonio, questi disse:
«Avete trovato un buon compagno di strada in questo anziano! ». E al vecchio: « E tu ti sei trovato con dei buoni fratelli, Padre! ». L'anziano rispose: d'accordo, ma la loro casa non ha porte: entra chi vuole nella stalla e slega l'asino! ». Parlava così perché i fratelli dicevano tutto quello che passava loro per la testa.

Quando l'abate Arsenio abitava a Canope, una vergine di famiglia senatoriale molto ricca e timorata di Dio venne da Roma per vederlo. Accolta dall'arcivescovo Teofilo, ella gli domandò d'insistere con l'anziano, perché la ricevesse. L'arcivescovo si recò da quest'ultimo e gli disse: « Una dama di famiglia senatoriale viene da Roma e desidera vederti». Ma l'anziano non la volle vedere. Quando seppe la risposta, la dama fece sellare la sua cavalcatura e disse: «Ho fiducia che Dio mi permetterà di vederlo, perché non sono venuta a vedere un uomo: ce ne sono molti nella nostra città. Sono venuta a vedere un profeta». Quando ella arrivò presso la cella dell'anziano, per una divina disposizione egli si trovava sulla soglia. Vedendolo, la donna si gettò ai suoi piedi. Indignato, egli la rialzò e le disse fissandola: « Ebbene! se vuoi vedere il mio volto, guardalo! ». Ma ella, confusa, non lo guardò. Il vegliardo aggiunse: « Non hai inteso parlare delle mie opere? Quelle bisogna guardare! Perché hai osato fare una simile traversata? Non sai di essere una donna e che non devi affatto uscire? Ritornerai a Roma adesso, per raccontare che hai visto Arsenio e per fare del mare una via che porterà altre donne? ». « Se è volontà di Dio che io ritorni a Roma », ella rispose, « non permetterò a nessuna donna di venir qui. Prega per me e ricordati sempre di me ». Ed egli rispose: «Prego Dio di cancellare il tuo ricordo dal mio cuore ». A queste parole ella si ritirò turbata. E rientrata a Roma si ammalò di dolore. L'arcivescovo, avvertito, andò a consolarla e s'informò del suo male. « Ah », ella gli disse, « se soltanto non fossi stata là! Ho detto al vegliardo: "Ricordati di me", ed egli mi ha risposto: « Io prego Dio di cancellare il tuo ricordo dal mio cuore! ». Ne muoio di dolore ». « Non sai di essere una donna », gli rispose l'arcivescovo, « e che il nemico combatte i santi per mezzo della donna? Per questo il vegliardo ti ha parlato così. Ma pregherà di continuo per la tua anima». Così guarì il suo cuore, ed ella se ne ritornò a casa con gioia.

L'abate Arsenio, quando era ancora a Palazzo, così pregò: «Signore, conducimi verso la salvezza». Udì allora una voce che gli disse: « Arsenio, fuggi gli uomini e sarai salvo ». Dopo che fu entrato nella vita monastica, pregò ancora nello stesso modo, e intese la voce dire: « Arsenio, fuggi, taci e pratica l' hesychia. Sono queste le radici del non peccare».

L'arcivescovo Teofilo, di beata memoria, venne un giorno con un magistrato dall'abate Arsenio. L'arcivescovo lo interrogò per ascoltare la sua parola. L'anziano stette un momento in silenzio, poi disse: « Se vi dico una parola, voi la osserverete? ». Lo promisero. L'anziano disse allora: « Se voi sentite dire: là sta Arsenio, non andatevi! ».

Un anziano ha detto: « Bisogna fuggire tutti gli artefici d'iniquità senza eccezione, siano amici o parenti, posseggano dignità di sacerdoti o di principi; perché evitare la loro compagnia ci procurerà l'intimità e l'amicizia di Dio».

« A che cosa mi serve piacere agli uomini, se irrito il Signore mio Dio? Testimone il divino Apostolo che disse: « Se piacessi ancora a degli uomini, non sarei il servo di Cristo". Preghiamo dunque dinanzi al Signore, dicendo: « "Gesù, nostro Dio, guardaci dalle loro lodi e dalle loro critiche". E non facciamo niente per piacer loro, perché le loro lodi non possono farci entrare nel Regno dei Cieli, né le loro critiche hanno il potere di impedirci d'entrare nella vita eterna, seppure non hanno proprio quello di farci entrare in essa. Sappiate dunque, o prediletti, che noi dovremo rendere conto di ogni parola inutile; fuggiamo dunque, come si fugge davanti a un serpente ».

L'abate Arsenio arrivò un giorno presso un canneto agitato dal vento. L'anziano disse ai fratelli: «Che cosa è che si muove così?». « Sono le canne», risposero. « In verità, se qualcuno si mantiene nell'hesychia e ascolta il grido di un uccello, il suo cuore non possiede più l'hesychia. Più ancora voi, che siete agitati come queste canne».    

Disse un anziano: « E' la stessa cosa, per un monaco, voler entrare in lite con un avversario o con il diavolo».

Disse un anziano: « Senza la sorveglianza delle labbra è impossibile all'uomo progredire anche in una sola virtù; poiché la prima delle virtù è la sorveglianza delle labbra ».

Un anziano diceva: « Il silenzio è pieno di ogni vita, ma la morte è nascosta nei copiosi discorsi ».

L'abate Isaia disse: « Ama tacere piuttosto che parlare, poiché il silenzio tesaurizza, ma il parlare disperde ».


                  DELL'UMILTÀ

Un fratello interrogò un anziano: « Che devo fare, poiché la vanagloria mi attanaglia?». L'anziano gli rispose: « Hai ragione, perché sei tu che hai fatto il cielo e la terra »  Il fratello, toccato dalla compunzione, disse: « Perdonami, non ho fatto nulla »

Un fratello domandò all'abate Poemen se era meglio vivere in disparte o con il prossimo. Il vecchio rispose: « Colui che biasima sempre e solo se stesso può vivere in qualsiasi luogo. Ma se glorifica se stesso, allora non reggerà in nessun luogo ».

Un anziano disse: «Non colui che denigra se stesso è umile, ma colui che riceve con gioia le ingiurie, gli affronti e le critiche del prossimo ».

L'abate Pastor disse: « L'uomo deve respirare incessantemente l'umiltà e il timor di Dio, come il soffio che inala ed espelle attraverso le narici ».

L'arcivescovo Teofilo si recò un giorno al Monte di Nitria e l'abate del Monte gli venne incontro. « Abba », gli chiese l'arcivescovo, « che hai trovato di più vantaggioso in questa via?». L'anziano rispose: « Accusarmi e riprendermi senza tregua ». « Non vi è in effetti, altra via», replicò l'arcivescovo.

L'abate Antonio disse all'abate Pastor: « La grande opera dell'uomo è di gettare la colpa su se stesso dinanzi a Dio e attendersi la tentazione sino all'ultimo soffio della sua vita ».

Un fratello interrogò l'abate Sisoe: « Vedo, esaminandomi, che il ricordo di Dio non mi lascia mai ». L'anziano gli disse: « Non è una gran cosa che la tua anima sia con Dio. Sarebbe grande se tu ti accorgessi che sei inferiore a tutte le creature. Questo pensiero unito al lavoro corporale: ecco ciò che corregge e conduce all'umiltà ».

Un anziano diceva: « Se noi ci applichiamo all'umiltà, non avremo bisogno del castigo. Molti mali ci vengono a causa dell'orgoglio. Difatti, se l'angelo di Satana è stato dato all'Apostolo per castigarlo, per paura che egli si sollevi, maggior ragione, a noi che viviamo nell'orgoglio, è Satana stesso che sarà dato, per farci calpestare sino a che ci umiliamo ».

L'abate Antonio scrutava la profondità dei giudizi di Dio; e domandò: «Signore perché alcuni muoiono dopo breve vita, mentre altri giungono all'estrema vecchiezza? Perché alcuni mancano di tutto, e altri abbondano di ogni bene? Perché i malvagi sono ricchi, e i buoni schiacciati dalla povertà? ». Una voce gli rispose: « Antonio, occupati  di te stesso: questi sono i giudizi di Dio e non ti è utile capirli.

L'abate Evagrio disse: « Il principio della salvezza è condannare se stessi ».

L'abate Mosè disse al fratello Zaccaria: « Dimmi che cosa devo fare». A queste parole, l'altro si gettò ai suoi piedi dicendo: « Padre proprio tu mi interroghi? ». L'anziano riprese: « Credi, Zaccaria, figlio mio, ho visto lo Spirito Santo discendere su di te; per questo sono costretto a interrogarti ». Si tolse allora Zaccaria il cappuccio, lo mise sotto i piedi, e calpestandolo disse: « Se non si è così calpestati non si può  essere monaci».           

Una volta l'abate Teodoro mangiava con i fratelli. Prendevano le coppe con rispetto e senza nulla dire, neanche il consueto "Perdonatemi". Allora l'abate Teodoro disse: «I monaci hanno perduto il loro titolo di nobiltà (eugenia): la parola "Perdonatemi" ».

L'abate Pastor ha detto: « Prosternarsi davanti a Dio, non
darsi alcuna importanza, mandare a spasso la propria volontà: ecco gli attrezzi con i quali l'anima può lavorare».

L'abate Pastor ha detto: «Non darti importanza ma legati a colui che si comporta bene».

L'abate Olimpo di Scete era schiavo. Scendeva ogni anno ad Alessandria a portare il suo guadagno ai padroni. Questi gli venivano incontro per salutarlo, ma l'anziano metteva dell'acqua in una bacinella e la presentava per lavar loro i piedi. « No, Padre, non darti pena! », gli dicevano i suoi padroni. « So di essere vostro schiavo », rispondeva, « e vi ringrazio di lasciarmi libero di servire Dio. In cambio, vi laverò i piedi, e voi riceverete ciò che ho guadagnato » G1i altri insistevano, e poiché non volevano cedere, Olimpo diceva loro: « Credetemi: se non volete prendere il mio danaro, rimango qui a servirvi». Allora i padroni, pieni di deferenza, gli lasciavano fare quello che voleva; e alla sua partenza lo riaccompagnavano con onore e gli donavano il necessario perché distribuisse in vece loro delle elemosine. Tutto questo lo rese celebre a Scete.

L'abate Pastor disse: « Un fratello domandò all'abate Alonio che cosa fosse il disprezzo di sé. L'anziano rispose: "Consiste nell'abbassarsi al di sotto degli animali, e sapere che essi non saranno condannati »

L'abate Pastor ha detto: « L'umiltà è la terra che il Signore ha richiesto per compiere il sacrificio ».

Un anziano disse: « Da qualunque prova tu sia colto, non incriminare se non te solo, dicendo: "M'è accaduto per mia colpa, causa i miei peccati"».  

Un giorno alcune persone se ne andarono in Tebaide a visitare un anziano. Portavano con loro un uomo tormentato dal demonio, affinché l'anziano lo guarisse. Dopo essersi fatto a lungo pregare l'anziano disse al demonio: «Esci da questa creatura di Dio! ». Il demonio rispose: «Me ne vado, ma voglio farti una domanda: "Dimmi: chi sono i capri e chi gli agnelli?"». L'anziano gli rispose: « I capri, sono io; quanto agli agnelli, lo sa Iddio ». A queste parole il demonio urlò: « Mi ritiro a causa della tua umiltà!». E subito se ne andò.

Un fratello domandò a un anziano: « Indicami una sola cosa da custodire, perché io ne viva! ». L'anziano gli disse: "Se puoi essere ingiuriato e sopportarlo, è una gran cosa, che supera tutte le virtù».

Un anziano ha detto: « La terra sulla quale il Signore ha comandato di lavorare è l'umiltà »

Un anziano ha detto: « Sei giunto a serbare il silenzio? Non credere, tuttavia, di aver compiuto un atto di virtù. Di' piuttosto: « Sono indegno di parlare ».

Un anziano ha detto: « Se il mugnaio non copre gli occhi dell'animale che gira la macina, questi si volterà e mangerà il frutto del suo lavoro. Così, per una disposizione divina, noi abbiamo ricevuto un velo che ci impedisce di vedere  il bene che facciamo, di  beatificare noi stessi e di perdere così la nostra ricompensa. E' anche per questo che di tanto in tanto siamo abbandonati ai pensieri impuri e non vediamo più che questi; ci condanniamo così ai nostri stessi occhi, e questi pensieri sono per noi un velo che copre il poco bene che facciamo. In effetti, quando l'uomo si accusa, non perde la sua ricompensa».

Un fratello disse a un anziano: « Se un fratello mi rivolge parole profane, mi permetti tu, Abba, di dirgli di non farlo? ». L'anziano gli disse: « No ». E il fratello disse: « Perché? ». L'anziano disse: « Poiché neppur noi siamo capaci di osservare questo, e c'è da temere che, dicendo al prossimo di non farlo, siamo trovati noi in procinto di farlo». Il fratello disse: « Che si deve dunque fare? ». L'anziano gli disse: « Se sappiamo tacere, l'esempio basta al prossimo".

Fu domandato a un anziano: « Che cosa è l'umiltà? ». Egli disse: « Che, se tuo fratello pecca contro di te, tu lo perdoni prima che egli ti testimoni il suo pentimento».  

Un fratello era assalito da molto tempo dal demone dell'impurità e malgrado molti sforzi non riusciva a sbarazzarsene. Una volta, mentre era alla Sinassi, si sentì come d'abitudine tormentato dalla passione; decise dunque di trionfare sulla macchinazione del demonio e di chiedere ai fratelli di pregare per lui affinché fosse liberato. E, sprezzando ogni vergogna, si mise nudo davanti a tutti i fratelli e mostrò l'azione di Satana: «Pregate per me, padri e fratelli miei», disse, «perché sono quattordici anni che sono così combattuto »; e subito il combattimento si allontanò da lui, grazie all'umiltà che aveva mostrato.

Uno dei padri ha detto: «I Padri entravano nell'interiore attraverso l'austerità, e noi, se possiamo, entriamo nel bene attraverso l'umiltà ».

Un anziano che abitava in Egitto diceva sempre: « Non c'è strada più breve che quella dell'umiltà».

L'abate Sisoe ha detto: «Colui che lavora e pensa aver fatto qualche cosa, riceve quaggiù la sua ricompensa ».

Disse un anziano: « L'umiltà non è uno dei piatti del festino, ma il condimento che insaporisce tutti i piatti ».

Ho udito riferire di un anziano che diceva: « A chi possiede l'umiltà di spirito, è data una corona sulla propria dimora e un coperchio sulla propria marmitta ».

L'abate Poemen ha detto: « L'anima non è umiliata in niente se tu non le razioni il pane, cioè se tu non la riduci a nutrirsi solamente del necessario».

Si raccontava di un anziano che viveva nell'esicasmo nelle parti basse del paese e che aveva al suo servizio un laico cristiano. Accadde che il figlio di costui si ammalò. Il padre supplicò per molto tempo l'anziano d'andare a pregare per suo figlio e l'anziano partì con lui. Correndo avanti, il laico entrò nella sua casa e gridò: « Venite incontro all'anacoreta ». Quando l'anziano li vide venire da lontano con le fiaccole, gli venne l'idea di togliersi i vestiti, di tuffarsi nel fiume e di mettersi a lavarli restando nudo. Quando il suo servitore lo vide, pieno di vergogna disse alla gente: « Andatevene, perché l'anziano ha perduto il senno ». Poi andò da lui e gli domandò: « Abba, perché hai fatto questo? Tutti dicono: "L'anziano ha il diavolo in corpo" ». L'altro rispose: « Ecco precisamente quello che volevo ». 

Un vescovo d'una certa città cadde nella fornicazione per opera del demonio. Un giorno in cui cui si riuniva in chiesa e nessuno era a conoscenza del suo peccato, egli lo confessò davanti a tutto il popolo e disse: « Ho peccato ». Poi depose il suo pallio sull'altare e disse: « Non posso più essere il vostro vescovo». Tutti piansero e gridarono: «Che questo peccato ricada su di noi, ma conserva l'episcopato ». Egli rispose: « Voi volete che conservi l'episcopato, fate dunque ciò che vi dico ». Fece chiudere le porte della chiesa, poi si distese faccia a terra davanti a una porta laterale e disse: « Colui che passerà senza calpestarmi con i piedi non parteciperà a Dio ». Fecero come lui chiedeva, e quando l'ultimo fu uscito, una voce venne dal cielo e disse: «Per la sua grande umiltà, gli ho rimesso il suo peccato ».

L'abate Giovanni, discepolo dell'abate Giacomo, disse: « Mio fratello Macario mi ha detto, mentre moriva: "Due cose che ho fatto in questo mondo mi tormentano: ho comprato una stuoia per un fratello e ne ho preteso su due piedi il prezzo, e tessendo ho fatto due paia di tovaglioli che ho lasciato inferiori alla misura, perché mancava un po' di filo" ».

Un fratello interrogò uno dei padri su un pensiero blasfemo: « Abba, la mia anima è oppressa da un pensiero blasfemo, abbi pietà di me e dimmi da dove esso mi viene e ciò che devo fare ». L'anziano rispose: « Questo pensiero ci viene perché noi sparliamo, disprezziamo e critichiamo; esso è soprattutto una conseguenza dell'orgoglio, della volontà propria, della negligenza nella preghiera, della collera e del furore, tutte cose che sono, precisamente, i segni dell'orgoglio. Difatti l'orgoglio ci fa entrare nelle passioni che ho enumerato, e da  esse nasce il pensiero blasfemo. E se questo pensiero indugia nell'anima, il demone della blasfemia lo consegna al demone  dell'impurità. Sovente lo conduce sino allo smarrimento dei sensi, e se l'uomo non li ritrova è perduto »

Si domandò ad abba Elia: « Con che cosa saremo salvati in questi tempi? ». Egli rispose: « Ci salveremo per il fatto di non aver stima di noi stessi».
   
             
DELLA CUSTODIA DELLA MENTE

L'abate Sisoe diceva: « Rettifica le inclinazioni del tuo corpo e per il cuore non ti sarà richiesto  nulla ».

Si domandò un giorno all'abate Agatone: « Che cosa è meglio: l'ascesi corporale o la custodia della mente? ». «Gli uomini», rispose, « sono come gli alberi; il lavoro del corpo ne è il fogliame e la custodia della mente ne è il frutto: ora, tutti gli alberi che non danno frutto, sta scritto, saranno tagliati e gettati nel fuoco.  In vista dei frutti, dunque, bisogna sorvegliare quello che accade in noi, vale a dire, custodire la nostra mente. Abbiamo anche bisogno dell'ombra e della bellezza del fogliame, che rappresentano l'ascesi corporale ». Del resto l'abate Agatone era molto accorto e infaticabile nel lavoro; bastava a se stesso in tutto; assiduo al lavoro manuale, si accontentava di poco cibo e di semplici vesti.

Un anziano disse: « Credete forse che Satana voglia introdurre in voi tutti i pensieri? No, è per mezzo di un pensiero solo che vince l'anima e spera condurla a perdizione. Egli abbandona in essa quell'unico pensiero, non occorre altro. Atténti dunque a non mostrar compiacenza verso un solo cattivo pensiero ».
   
Disse un anziano: « Compito del monaco è veder giungere fin da lontano i propri pensieri ».

Si racconta che vi era alle Celle un anziano di dura ascesi. Un giorno che recitava l'Uffizio, un sant'uomo venne alla sua cella, e dall'esterno lo udì che si adirava contro i propri pensieri. « Fino a quando », diceva, « per una sola parola continuerò a perdere tutto il resto? ». Quello che stava fuori immaginò che l'anziano stesse disputando con qualcun altro: bussò, onde entrare e riportare tra di loro l'accordo. Entrando, però, vide che oltre il vecchio non c'era nessuno. E poiché con lui parlava schietto, gli domandò: « Abba, con chi ti accapigliavi?». « Con i miei pensieri », gli fu risposto. « Ecco, ho mandato a memoria quattordici libri, e fuori di qui non ho udito che una sola, povera parola. E quando mi sono ritrovato a compiere l'opera di Dio, tutto avevo dimenticato: solo quell'unica, povera parola era nella mia mente al momento di adempiere all'Uffizio. Ecco perché mi accapigliavo con i miei pensieri ».

Un fratello interrogò uno dei padri: « Ci si macchia se si pensano cose riprovevoli? ». Dopo aver esaminato la cosa tra loro, alcuni padri dissero: «sì certamente ci si macchia ». Altri invece dissero: «No, se ci si macchiasse la salvezza diventerebbe impossibile perché noi siamo deboli; al contrario, è possibile salvarsi dal momento che noi non compiamo, corporalmente, ciò che pensiamo ». Il fratello che aveva posto la domanda giudicò che queste risposte discordanti dei padri non gli erano sufficienti. Se ne andò da un anziano di maggiore esperienza e lo consultò su questo punto. L'anziano gli rispose: « Si chiedono compiti a ciascuno secondo la sua misura ». - Il fratello insistette: « Te ne prego nel nome del Signore, spiegami questa parola ». Il vegliardo disse: « Supponiamo che si trovi qui un vaso e che non lo si possa vedere senza desiderarlo. Due fratelli entrano; uno ha ottenuto grandi virtù con l'ascesi della vita, l'altro poche. Se lo spirito del monaco perfetto si turba nel vedere questo vaso e se si dice: "Voglio averlo immediatamente, ma ricaccia il desiderio, non resta macchiato. Quanto a colui che non è ancora giunto a un alto grado di virtù, se brama questo vaso e ne rimugina a lungo il pensiero perchè il desiderio ve lo spinge, ma di fatto non lo ruba, neppure lui si macchia".

Un fratello disse all'abate Sisoe: « Perché le mie «  passioni non si allontanano? ». « Gli strumenti delle passioni sono in te », gli rispose, « ma se renderai loro i loro pegni, se ne andranno ».

L'abate Geronte di Petra disse: « Molti di coloro che sono tentati dalle voluttà del corpo non peccano con il corpo, ma commettono impurità nel pensiero. E pur conservando la verginità del corpo commettono impurità nella loro anima. Dunque, miei diletti, fate come sta scritto: "Ciascuno custodisca il suo cuore con attenta vigilanza ».  

Un fratello domandò all'abate Arsenio: « Che cosa devo fare, Abba? Un pensiero mi angustia: poiché non riesci né a digiunare né a lavorare, visita almeno gli ammalati. Questo merita ricompensa ». L'anziano riconobbe in ciò la semente del diavolo: « Su», gli rispose, « mangia, bevi, dormi; soltanto, non uscire dalla tua cella ». Sapeva infatti che la fedeltà alla cella rende il monaco tale quale deve essere. Tre giorni dopo, il fratello fu colto dall'accidia. Trovando poi qualche piccola palma, la spezzò, e il giorno dopo si mise a farne una corda. Quando ebbe fame, si disse: « Ecco qualche altra piccola  palma: terminiamole e poi mangerò ». Fatto questo, si disse ancora: «Voglio leggere un poco, e poi mangio». E, dopo aver letto: « Recitiamo qualche breve salmo, e dopo mangeremo senza scrupoli ». E così, con l'aiuto di Dio, progrediva a poco a poco, sino a diventare ciò che doveva essere, e padroneggiando i suoi cattivi pensieri, ne trionfò.

Un fratello, perseguitato dal pensiero di lasciare il monastero, se ne aperse con il suo abate. Questi rispose: « Rimani in cella, da' il tuo corpo in pegno ai quattro muri della tua cella. Non preoccuparti di quel pensiero. Che il tuo pensiero vada dove vuole, ma che il tuo corpo non esca dalla cella »

L'abate Ammon interrogò l'abate Pastor sui pensieri impuri e i vani desideri del cuore umano. L'abate rispose: « Un'ascia può vantarsi di far qualcosa senza colui che se ne serve per tagliare?  Ebbene tu non coltivare questi pensieri ed essi saranno senza effetto su di te ».

Anche l'abate Giuseppe interrogò l'abate Pastor sui pensieri impuri. L'abate Pastor gli rispose: « Se si chiude un serpente o uno scorpione in un vaso e poi lo si tappa, dopo un certo tempo finirà per soffocare. Lo stesso avviene per i cattivi pensieri che il demonio fa germogliare in noi; a poco a poco soffocati dalla pazienza di colui che li ha avuti ».

Un fratello visitò l'abate Pastor e gli disse: « Mi vengono molti pensieri e mi mettono in pericolo». L'anziano lo portò allora all'aria aperta e gli disse: « Distendi il tuo abito e chiudici dentro il vento! Il fratello gli rispose: « Questo non lo posso fare! ».   «Dunque», rispose l'anziano, « se non puoi far questo , ancor meno potrai impedire il sorgere di quei pensieri; ma ciò che puoi fare è resistere loro ».

Un fratello interrogò un anziano: « Che fare? Una moltitudine di pensieri mi fa guerra e non so come resistere ». Disse l'anziano: « Non lottare mai contro tutti, ma contro uno solo. Poiché tutti i pensieri dei monaci hanno una testa sola. Bisogna dunque esaminare quale sia realmente quell'unico pensiero e quale la sua natura, poi lottare contro di esso. Allora tutti gli altri pensieri perderanno la loro forza ».

Quando l'abate Pastor si preparava a uscire per l'Uffizio, sedeva dapprima in disparte per circa un'ora onde sbrogliare i propri pensieri. Poi usciva.
« A ogni pensiero che ti sopravviene », dicevano i vecchi, « tu domanda: « Sei dei nostri o vieni dal nemico?". E non potrà non confessartelo».

Un anziano ha detto: « L'oblio è la radice di tutti i mali».

Un fratello assillato dai cattivi pensieri era molto addolorato e, per grande umiltà, diceva: « Io, con tali pensieri, non sono in grado di ottenere salvezza ». Se ne andò dunque presso un grande anziano e gli raccomandò di pregare perché questi pensieri gli fossero tolti. L'anziano gli disse: « Questo non ti è utile, figlio mio». Ma lui insisteva con violenza. E come costui ebbe pregato, Dio tolse la lotta al fratello; e subito egli cadde nella presunzione e nell'orgoglio. E se ne andò a pregare l'anziano che gli ritornassero i pensieri e l'umiltà che aveva.    
Se tu sei assillato dai pensieri impuri, non nasconderli, ma raccontali subito al tuo padre spirituale e così dominali. Poiché, nella misura in cui si nascondono i propri pensieri, essi si moltiplicano e prendono forza. Allo stesso modo di un serpente che esce dalla sua tana e subito fugge correndo, così i pensieri malvagi una volta palesati dileguano subito. E come un verme in un legno, così i cattivi pensieri corrompono il cuore. Chi palesa i propri pensieri è rapidamente guarito; chi li nasconde fa peccato d'orgoglio. Poiché, se non hai abbastanza fiducia in qualcuno per svelargli le tue lotte, questa è la prova che non hai  l'umiltà. Poiché colui che è umile tutti appaiono come santi e buoni, mentre considera se stesso come l'unico peccatore. D'altronde, se qualcuno invoca Dio con tutto il suo cuore e interroga un uomo sui propri pensieri, l'uomo gli risponde o piuttosto è Dio che per la mediazione dell'uomo risponde come si deve, lui che aprì la bocca dell'asina di Balaam, anche se l'interrogato è indegno e peccatore.

Un fratello domandò a un anziano: « Che devo fare, Abba, per combattere i pensieri che vengono dalle passioni? ». Egli rispose: «Prega il Signore, affinché gli occhi della tua anima  vedano gli aiuti che Dio manda all'uomo per fargli da baluardo e proteggerlo.

Un fratello domandò a un anziano: « Che devo fare quando i miei pensieri mi turbano? ». Egli rispose: di' loro: "Ciò mi riguarda? Che ho da fare con voi?". E avrai i1 riposo. Non contarti per niente, butta la tua voiontà dietro te, sii senza alcuna preoccupazione, e i pensieri fuggiranno lontano da te ».

Un fratello interrogò un anziano e gli disse: « Che vuoi che faccia di questi cattivi pensieri che penetrano nel mio cuore? ». L'anziano gli rispose: « Vedi il vestito che riponi in una cassapanca e dimentichi là, senza toglierlo né sbatterlo: sarà perduto, non sarà più di alcuna utilità a nessuno. Ma se tu sbatti il vestito e lo porti costantemente, non si rovinerà ma durerà. Così è per i cattivi pensieri, se tu parli loro e te ne compiaci, essi spingeranno sempre più la loro radice nel tuo cuore, cresceranno e non se ne andranno più. Se, al contrario, tu non gli parli e se, anziché compiacertene, li hai in odio, periranno e usciranno dal tuo cuore ».

Un anziano parlò intorno ai pensieri impuri: « E' per negligenza che noi li tolleriamo; perché se fossimo convinti che Dio abita in noi, mai vi introdurremmo qualcosa di estraneo: il Signore Cristo, che vive in noi e con noi è testimone della nostra vita. Per questo noi che lo portiamo e lo contempliamo, non dobbiamo trascurarci ma santificarci, poiché egli stesso è santo. Teniamoci sulla Pietra, e il fiume potrà rovesciare contro di noi le sue onde, si sarà senza timore e non si potrà cadere. Canta l'anima tranquilla: "Quelli che hanno fiducia nel Signore, somigliano al monte Sion: mai sarà scosso colui che abita Gerusalemme" ».

(tratto da Detti e fatti dei Padri del deserto, Rusconi Libri).

AMDG et BVM

ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA predicata da sant'Antonio

ASSUNZIONE
DELLA BEATA VERGINE MARIA
predicata da sant'Antonio
Temi del sermone

 - “Come vaso d’oro massiccio”.
– “Luogo della nostra santificazione”, e “Bellezza dell’altissimo cielo è il firmamento”.
– “Cipresso svettante verso l’alto”.

esordio - la dignità della Vergine gloriosa
 
1. “Come un vaso d’oro massiccio, ornato di ogni specie di pietre preziose; come olivo che che sta gemmando e come cipresso svettante verso l’alto” (Eccli 50,10-11).
Dice Geremia: “Soglio della gloria dell’altezza fin dal principio, luogo della nostra santificazione, aspettazione di Israele” (Ger 17,12-13). Il soglio, come a direseggio solido, è chiamato così dal verbo “sedersi”. Soglio di gloria è la beata Maria, che in tutto fu solida e integra: in lei fu la gloria del Padre, cioè il Figlio sapiente, anzi la stessa Sapienza, Gesù Cristo, quando da lei assunse la carne. Leggiamo nel salmo: “Affinché la gloria abiti nella nostra terra” (Sal 84,10). La gloria dell’altezza, cioè degli angeli, abitò in terra, cioè nella nostra carne. La Vergine Maria fu il soglio della gloria, cioè di Gesù Cristo che è la gloria dell’altezza, vale a dire degli angeli. Infatti dice l’Ecclesiastico: “Firmamento dell’al­tezza è la sua bellezza, bellezza del cielo nella visione della gloria” (Eccli 43,1).
Gesù Cristo è il “firmamento” ( da firmus), nel senso di sostegno, dell’altezza, cioè della sublimità angelica, che egli stesso ha confermato, mentre l’[angelo] apostata precipitava con i suoi seguaci. Leggiamo in Giobbe: “Tu forse hai fabbricato con lui i cieli, che sono saldissimi, quasi fusi”, o fondati, “nel bronzo”? (Gb 37,18). Come dicesse: Non è stata forse la Sapienza del Padre che ha fabbricato i cieli, cioè la natura angelica? Infatti, “In principio Dio creò il cielo” (Gn 1,1): per “cielo” si intende ciò che nel cielo è contenuto. Quando gli angeli ribelli furono trascinati via con le catene dell’inferno (cf. 2Pt 2,4), gli angeli fedeli, che restarono uniti al sommo Bene, furono confermati nella stabilità come nel bronzo. Nella perennità del bronzo è raffigurata l’eterna stabilità degli angeli fedeli. Gesù Cristo, “firmamento” della sublimità angelica, è anche la loro bellezza. Infatti egli sazia della bellezza della sua umanità quelli che ha confermato con la potenza della sua divinità. C’è anche lo splendore del cielo, cioè di tutte le anime che abitano nei cieli; splendore che consiste nella visione della gloria. Mentre infatti contemplano faccia a faccia la gloria del Padre, risplendono essi stessi di gloria. Ecco dunque quanto grande è la dignità della Vergine gloriosa, che meritò di essere Madre di colui che è il “firmamento” e la bellezza degli angeli, e lo splendore di tutti i santi.

2. “Soglio di gloria dell’altezza fin dal principio”, cioè dalla creazione del mondo, Maria fu predestinata a essere Madre di Dio con potenza, secondo lo spirito di santificazione (cf. Rm 1,4). E continua: “Luogo della nostra santificazione, aspettazione di Israele”. La Beata Vergine fu il luogo della nostra santificazione, cioè del Figlio di Dio che ci ha santificati. Di questo luogo, egli stesso dice in Isaia: “L’abete, il bosso e il pino verranno insieme ad ornare il luogo della mia santificazione; e glorificherò il luogo dove ho posto i miei piedi” (Is 60,13). L’abete è così chiamato (lat. abies da abeo, vado via) perché più di tutti gli alberi si spinge in alto, e raffigura i contemplativi. Il bosso invece che non si spinge in alto e non produce frutto, ma ha un verde perenne, sta ad indicare i neocredenti, che si mantengono nella viva fede di un verde perenne. Il pino è un albero che deve il suo nome alla forma acuminata delle sue foglie: gli antichi infatti lo definitivano “acuto”; esso indica i penitenti che, consci dei loro peccati, con l’acutezza della contrizione pungono il loro cuore, per farne sgorgare il sangue delle lacrime.
Tutti costoro, cioè i contemplativi, i fedeli e i penitenti, in questa solennità vengono ad “onorare” con la devozione, con la lode e la celebrazione la Vergine Maria, che fu il luogo della santificazione di Gesù Cristo, nella quale egli stesso si è santificato. Infatti dice Giovanni: “Per loro io santifico me stesso” (Gv 17,19), di una santifi­cazione creata, “affinché anch’essi siano santificati nella verità (Gv 17,19), cioè in me, che in me stesso, Verbo, santifico me stesso uomo, vale a dire per mezzo di me, Verbo, riempio me stesso di tutti i beni.
“E santificherò il luogo dei miei piedi”. I piedi del Signore raffigurano la sua umanità; di essi Mosè dice: “Quelli che si avvicinano ai suoi piedi riceve­ranno la sua dottrina” (Dt 33,3). Nessuno può avvicinarsi ai piedi del Signore, se prima, come è detto nell’Esodo, non si è tolto i calzari, cioè le opere morte, dai piedi (cf. Es 3,5), vale a dire dagli affetti della mente. Avvicìnati dunque a piedi nudi e riceverai il suo insegnamento. Dice infatti Isaia: “A chi comunicherà egli la scienza e a chi darà l’intelli­genza delle cose udite? A quelli che sono divezzati dal latte e staccati dalle mammelle” (Is 28,9). Chi si allontana dal latte della concupiscenza del mondo e si stacca dalle mammelle della gola e della lussuria, sarà degno di essere ammaestrato nella scienza divina in questa vita, e di sentirsi dire nella vita futura: “Venite, benedetti del Padre mio!” (Mt 25,34).
Il luogo dei piedi del Signore fu la Vergine Maria, dalla quale egli ricevette l’umanità; e oggi ha glorificato quel “luogo” perché ha esaltato Maria al di sopra dei cori degli angeli. Per questo ti è chiaro che la beata Vergine fu assunta in cielo anche con il corpo, che fu il luogo dei piedi del Signore. Leggiamo nel salmo: “Álzati, Signore, e vieni nel luogo del tuo riposo, tu e l’arca della tua santificazione” (Sal 131,8). Il Signore si alzò quando salì alla destra del Padre. Si alzò anche l’arca della sua santificazione quando, in questo giorno, la Vergine Madre fu assunta all’etero talamo, alla gloria celeste. Sta scritto nella Genesi che l’arca si fermò sopra i monti dell’Armenia (cf. Gn 8,4). Armenia s’interpreta “mon­te staccato”, e raffigura la natura angelica che è detta monte in relazione agli angeli che restarono fedeli, e staccato in riferimento a quelli che precipitarono nell’inferno. L’arca del vero Noè, che ci ha fatto riposare dalle nostre fatiche, nella terra maledetta dal Signore (cf. Gn 5,29), si fermò in questo giorno sopra i monti dell’Ar­menia, vale a dire sopra i cori degli angeli.
A lode della beata Vergine, che è l’aspettazione di Israele, cioè del popolo cristiano, e per il maggior decoro di così grande solennità, illustrerò la citazione riportata all’inizio: “Come vaso di oro massiccio, ornato di ogni specie di pietre preziose; come olivo che sta gemmando e come cipresso svettante verso l’alto”(Eccli 50,10-11).

Santità e gloria della Beata Vergine Maria


3. Osserva queste tre entità: il vaso, l’olivo, il cipresso. La beata Vergine fu un “vaso” per l’umiltà, “d’oro” per la povertà, “massiccio” per la verginità, “ornato di ogni specie di pietre preziose” per i privilegi e i doni ricevuti. La concavità del vaso lo rende atto a ricevere ciò che vi si versa, e quindi raffigura l’umiltà che accoglie la grazia delle celesti infusioni. L’orgoglio invece impedisce tali infusioni. Il Signore, nell’Esodo, comandò che nell’altare fosse praticata una cavità, per riporvi le ceneri del sacrificio (cf. Es 27,4). Nell’incàvo dell’umiltà si deposita la cenere, cioè il ricordo della nostra caducità. Per questo Geremia dice del penitente: “Porrà la sua bocca nella sepoltura” (Lam 3,29), parlerà cioè della sepoltura che seguirà la sua morte. E leggiamo ancora nella Genesi che Abramo seppellì Sara in una caverna doppia, che guardava verso Mambre (cf. Gn 23,19). La doppia caverna raffigura l’umiltà del cuore e quella del corpo, nella quale il giusto deve seppellire la sua anima, fuori dal tumulto delle cose temporali, e questa umiltà deve guardare verso Mambre, che significa “chiarezza”, e indica lo splendore della vita eterna e non quello della gloria mondana. Al primo guardò l’umiltà della beata Vergine, e quindi meritò di essere guardata (cf. Lc 1,48).
E poiché l’umiltà si custodisce e si conserva con la povertà, è detta vaso d’oro. Giustamente la povertà è detta “d’oro”, perché rende ricchi e splendenti coloro che la praticano. Dov’è la vera povertà, vi è ciò che è sufficiente. Dove c’è l’abbondanza c’è anche l’indigenza. Per questo dice il Filosofo: “Succede raramente che l’abbondanza non produca qualche danno” (Walther, Carmina). E ancora: “Non reputo povero colui al quale basta ciò che ha, per quanto poco sia” (Seneca). E Bernardo scrive: “In cielo c’era grande abbondanza di tutte le cose: soltanto la povertà non si trovava. Essa abbondava invece sulla terra e l’uomo non conosceva il suo valore. Venne dunque il Figlio di Dio a cercarla per renderla preziosa con il suo apprezzamento”.
Di quest’oro [della povertà] leggiamo nella Genesi che “nella terra di Hevilath c’è l’oro, e l’oro di quel paese è purissimo (Gn 2,11-12). Hevilath si interpreta “partoriente” e indica la beata Vergine che, dando alla luce il Figlio di Dio, lo avvolse nelle fasce dell’aurea povertà. O splendido oro della povertà! Chi non ti possiede, anche se ha tutto il resto, non ha nulla! I beni temporali gonfiano, e gonfiando svuotano. Nella povertà c’è la gioia, nelle ricchezze c’è la tristezza e il lamento. Dice infatti Salomone: “È meglio un boccone di pane secco con la gioia, che un vitello ingrassato con la discordia, o una casa piena di vittime (Pro 17,1), cioè di ricchezze rapinate ai poveri con la violenza.
E ancora: “La mente tranquilla è come un perenne banchetto. Il poco con il timore del Signore è meglio di grandi tesori che non saziano” (Pro 15,15-16); e “Meglio abitare in un deserto – cioè nella povertà –, che con una donna litigiosa e irasci­bile” (Pro 21,19), cioè nell’abbondanza delle cose materiali. E infine: “È meglio sedere in un angolo del terrazzo – cioè nell’umiltà della povertà – che avere una moglie litigiosa e la casa in comune con altri” (Pro 21,9).
E poiché l’umiltà e la povertà della beata Vergine Maria furono ornate con l’illiba­tez­za, si aggiunge: “Vaso d’oro massiccio”. La beata Vergine fu “massiccia” per la vergini­tà, e quindi poté contenere la sapienza. Invece “il cuore dello stolto”, come dice Salomone, è come un vaso incrinato che non può contenere la sapienza (cf. Eccli 21,17). Questo vaso è stato oggi adornato di ogni specie di pietre prezio­se, cioè con ogni privilegio di doni celesti. Ricevette le ricompense di tutti i santi, colei che generò il Creatore e il Redentore di tutti. Su questo vaso, ornato di ogni pietra preziosa, concorda ciò che leggiamo nel libro di Ester, dove si racconta che “dovendo costei entrare alla presenza del re, non cercò ornamenti muliebri: l’eunuco Egai, custode delle vergini, le fece indossare l’abbiglia­mento che egli stesso scelse. Ella era molto avvenente e di incredibile bellezza, e appariva amabile e graziosa agli occhi di tutti. Fu dunque introdotta nella stanza del re Assuero. E il re la amò più di tutte le altre donne e pose sul suo capo il diadema del regno” (Est 2,15-17).
Ester significa “nascosta”, Egai “solenne”, Assuero “beatitudine”. Ester è figura della beata Vergine Maria, che restò nascosta e riparata da ogni parte, e l’angelo stesso la trovò nel nascondimento. Egai, il custode delle vergini, è figura di Cristo. Conviene veramente che alle vergini sia assegnato un tale custode, che è solenne e casto: solenne, e festoso, per non rattristare i pusillanimi; casto per non offendere l’illi­batezza delle vergini, ma per custodirla e difenderla. Ed è bene che queste due qualità siano unite, perché di solito avviene che l’affetto si guasti con l’eccessiva allegria (familiarità), oppure che il casto sentimento si accompagni ad una esagerata severità.
Cristo ebbe in sommo grado queste due qualità ed è quindi il perfetto custode delle vergini. Come Egai, Cristo “corse festoso incontro alle donne, dicendo: Salute a voi!” (Mt 28,9). Ma fece questo solo dopo la risurrezione, quando era già con il corpo immortale. Prima infatti fu così riservato che mai si legge abbia salutato donne. Anche gli apostoli, dice Giovanni, si meravigliarono che stesse parlando con una donna (cf. Gv 4,27). Cristo adornò la nostra Ester, cioè la Vergine Maria, tanto più riccamente in quanto per nulla essa cercò ornamenti femminili; e non volle avere né se stessa né alcun altro come “ornatore”, ma si affidò totalmente alla volontà del “Custode”, dal quale fu adornata in modo così sublime, che oggi viene esaltata al di sopra degli angeli.
Questa nostra Ester fu molto avvenente quando fu salutata dall’angelo; fu di incredibile bellezza quando fu adombrata dallo Spirito Santo, fu graziosa e amabile agli occhi di tutti quando concepì il Figlio di Dio. Dopo aver concepito il Figlio di Dio, il suo volto divenne così splendente per il fulgore della grazia, che neppure Giuseppe poteva fissare lo sguardo su di lei. E ciò non deve far meraviglia. Se gli israeliti, come dice san Paolo, non potevano guardare in faccia Mosè, a motivo dello splendore pure effimero del suo volto (cf. 2Cor 3,7); e se l’Esodo dice che “Aronne e gli israeliti, vedendo il volto di Mosè raggiante di luce, dopo aver conversato con il Signore, ebbero timore di avvicinarsi a lui” (Es 34,29-30): tanto meno Giuseppe osava avvicinarsi e fissare lo sguardo sul volto della Vergine gloriosa, reso fulgente dai raggi del vero Sole che portava in grembo. Il vero Sole era come coperto da una nube, ma sprigionava dei raggi di aureo fulgore attraverso gli occhi e il volto della Madre sua. Questo volto è adorno di tutte le grazie, ed è stupendo agli occhi degli angeli: essi desiderano fissarvi lo sguardo (cf. 1Pt 1,12), perché brilla come il sole quando risplende in tutto il suo fulgore (cf. Ap 1,16). E la beata Vergine è graziosa e amabile a tutto l’universo, perché è stata trovata degna di portare il Salvatore di tutti.
Questa nostra gloriosa Ester è condotta oggi per mano degli angeli alla presenza del re Assuero, cioè alla dimora celeste nella quale, sopra un trono di stelle, siede il Re dei re, la Beatitudine degli angeli, Cristo Gesù, che ha amato la Vergine gloriosa più di tutte le donne, perché da lei ha preso umana carne, ed ella più di tutte le donne ha trovato davanti a lui grazia e misericordia.
O incomparabile dignità di Maria, o ineffabile sublimità di grazia, o imperscrutabile abisso di misericordia! Quando mai ad angelo o a uomo fu o sarà data tanta grazia e tanta misericordia, quanta ne fu data alla beata Vergine, che Dio Padre ha voluto fosse la Madre del suo Figlio, uguale a se stesso e generato prima di tutti i secoli? Sarebbe considerata una grazia grandissima e una dignità sublime, se una povera donna qualunque potesse avere un figlio dall’im­peratore. Veramente superiore ad ogni grazia fu quella di Maria, che ebbe il Figlio con l’Eterno Padre, e quindi oggi ha meritato di essere coronata in cielo.
Perciò aggiunge: “E le pose sul capo il diadema regale”. E nel Cantico dei Cantici leggiamo: “Uscite, figlie di Sion, e ammirate il re Salomone con il diadema con il quale l’ha incoronato la madre sua, nel giorno del suo sposalizio” (Ct 3,11). La beata Vergine Maria ha incoronato il Figlio di Dio con il diadema dell’umana carne nel giorno del suo sposalizio, cioè del concepimento del Figlio, per il quale la natura divina fu unita, come uno sposo, alla natura umana nel talamo della stessa Vergine; e perciò il Figlio ha incoronato oggi la Madre sua con il diadema della gloria celeste. Uscite dunque e ammirate la madre di Salomone, con il diadema con il quale l’ha incoronata il suo Figlio, nel giorno della sua Assunzione. Giustamente perciò diciamo: “Come un vaso di oro massiccio, ornato di ogni specie di pietra preziosa”.

4. “Come ulivo che sta gemmando”. L’ulivo è la pianta, l’oliva è il frutto, l’olio è il succo. L’ulivo produce dapprima un fiore profumato, dal quale si forma l’oliva, che prima è verde, poi rossa, e quindi arriva a maturazione. La beata Anna [madre di Maria] fu quasi la pianta di ulivo, dalla quale germogliò il candido fiore dal profumo incomparabile, cioè la Vergine Maria, che fu verde nel concepimento e nella natività del Figlio di Dio. Si dice verde (viridis) in quanto conserva la forza (vim). La beata Vergine nel conce­pimento e nella nascita del Salvatore restò verde, conservò la forza, il valore della verginità: restò vergine prima del parto e nel parto; fu rossa nella passione del Figlio, quando la spada trapassò la sua anima (cf. Lc 2,35); pervenne a maturazione nella odierna solennità, gemmando, cioè sbocciando nella letizia, nella beatitudine della gloria celeste.
Perciò, partecipando alla sua letizia, cantiamo nell’in­troito della messa di oggi: “Rallegriamoci tutti nel Signo­re...” In questa messa si legge il brano del vangelo che incomincia: “Gesù entrò in un villaggio...” (Lc 10,38). Villaggio, in latino castellum, o castrum, fortificazione, suona quasi come casto, vale a dire che in esso viene spenta la lussuria. Il nemico, assaltando in continuità la fortificazione dall’esterno, impedisce agli abitanti di abbandonarsi al riposo, di darsi cioè alla lussuria. Il persistere della lotta contro la fortificazione stronca lo stimolo della libidine3.
Osserva che la fortificazione consta di una cerchia di mura e di una torre posta al centro. La fortificazione è la Vergine Maria che rifulse della castità più perfetta, e quindi in lei entrò il Signore. La muraglia di difesa, intorno alla torre posta al centro, fu la sua verginità. La torre a difesa della muraglia fu l’umiltà. La torre è chiamata così perché è (in lat.) teres, cioè diritta e alta. L’umiltà della Vergine Maria fu diritta e alta: diritta, perché guardò solo a colui che a sua volta guardò alla sua umiltà (cf. Lc 1,48); alta, perché quando lei proferì le parole dell’umiltà: “Ecco, la serva del Signore” (Lc 1,38), fu eletta Regina del cielo.
La Vergine Maria fu anche Marta e Maria. Fu Marta, quando avvolse in fasce Gesu bambino, quando lo adagiò nel presepio, quando lo allattò al suo seno ripieno di cielo, quando si rifugiò con lui in Egitto e quando ritornò in patria; fu Maria, mentre “custodiva – come dice Luca – tutte queste parole, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19).

5. “Come cipresso svettante verso l’alto”. La beata Vergine Maria, come un cipresso si spinge oggi più in alto di tutti gli angeli.
A questo proposito leggiamo in Ezechiele: “Sopra il firmamento che sovrastava le teste dei [quattro] esseri viventi apparve qualcosa come una pietra di zaffiro in forma di trono, e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane” (Ez 1,26). Nei quattro esseri viventi sono raffigurati tutti i santi, ornati delle quattro virtù, edotti nella dottrina dei quattro vangeli. Nel firmamento sono indicate le schiere angeliche, confermate dalla potenza dell’Onnipotente. Nel trono è indicata la Vergine Maria, nella quale il Signore si umiliò quando assunse da lei umana carne. Il Figlio dell’uomo è Gesù Cristo, Figlio di Dio e dell’uomo. Ecco allora che nella gloria celeste, che sovrasta la testa dei quattro esseri viventi, cioè di tutti i santi, c’è il firmamento, vale a dire gli angeli; e al di sopra degli angeli il trono, cioè la beata Vergine; e sopra il trono il Figlio dell’uomo, Gesù Cristo.
Sul tema del “trono” vedi il sermone della V domenica dopo Pentecoste sul vangelo: “Mentre le folle facevano ressa intorno a Gesù...”. Per la pietra di zaffiro, vedi poi il sermone dell’Annunciazione, parte II: “Io come rugiada”.
Ti preghiamo, o nostra Signora, inclita Madre di Dio, esaltata al di sopra dei cori degli angeli, di riempire il vaso del nostro cuore con la grazia celeste; di farci splendere dell’oro della sapienza; di sostenerci con la potenza della tua intercessione; di ornarci con le pietre preziose delle tue virtù; di effondere su di noi, o oliva benedetta, l’olio della tua misericordia, con il quale coprire la moltitudine dei nostri peccati, ed essere così trovati degni di venir innalzati alle altezze della gloria celeste e vivere felici in eterno con i beati comprensori.
Ce lo conceda Gesù Cristo, tuo Figlio, che oggi ti ha esaltata al di sopra dei cori degli angeli, ti ha incoro­nata con il diadema del regno, e ti ha posta sul trono dell’eterno splendore. A lui sia onore e gloria per i secoli eterni. E tutta la chiesa risponda: Amen. Alleluia!
AVE MARIA!

venerdì 14 agosto 2015

E' successo lo scorso 30 luglio

Statua di Maria SS.ma intatta dopo incendio a Madrid
statua_Maria_El_Goloso_incendio
mercoledì 12 agosto 2015





E' successo lo scorso 30 luglio presso la base militare di El Goloso, che si trova nei pressi della città di Madrid.



Le alte temperature causate dall'ondata di caldo che ha colpito la Spagna, hanno provocato in quei giorni un incendio dentro una struttura militare, bruciando un campo e dei pascoli.



Tuttavia, con grande sorpresa di tutti i presenti, in una zona non ci sono state fiamme né calore. Testimone dell'accaduto, è stato José Maria Zavala, autore di best-seller come "Padre Pio" o "Così si vince il demonio", insieme al personale della base: sono rimasti tutti meravigliati di un evento del genere.



Anche se le fiamme hanno bruciato tutta l'erba intorno, nei pressi della statua della Vergine Maria e dei fiori di ornamento il fuoco non ha provocato nessun danno. Nella foto si può vedere come il resto della terra è tutta bruciata, tranne l'area intorno a Maria.



Coincidenza o no, il fatto è che questa suggestiva immagine della Vergine ha sorpreso tutti. Inoltre, il personale della base ha una particolare devozione a questa statua della Vergine e dicono che è molto "speciale": molti soldati Le sono stati affidati.

AVE MARIA!

RIFLESSIONI SUL TRANSITO DI MARIA SANTISSIMA, SULLA SUA ASSUNZIONE E SULLA SUA REGALITA'.





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SOLENNITA' DELL'ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA, 15 AGOSTO 2012

Il Papa: "L’Assunzione al Cielo di Maria è il mistero della Pasqua di Cristo pienamente realizzato in Lei. Ella è intimamente unita al suo Figlio risorto, vincitore del peccato e della morte, pienamente conformata a Lui. Ma l’Assunzione è una realtà che tocca anche noi, perché ci indica in modo luminoso il nostro destino, quello dell’umanità e della storia. In Maria, infatti, contempliamo quella realtà di gloria a cui è chiamato ciascuno di noi e tutta la Chiesa" ( Parole del Santo Padre alla recita dell'Angelus, 15 agosto 2012)

Il Papa: "Aprendoci a Dio, non perdiamo niente. Al contrario: la nostra vita diventa ricca e grande. E così, fede e speranza e amore si combinano. Ci sono oggi molte parole su un mondo migliore da aspettarsi: sarebbe la nostra speranza. Se e quando questo mondo migliore viene, non sappiamo, non so. Sicuro è che un mondo che si allontana da Dio non diventa migliore, ma peggiore. Solo la presenza di Dio può garantire anche un mondo buono" ( Omelia pronunciata dal Santo Padre in occasione della Santa Messa nella Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, 15 agosto 2012) 

AVE MARIA!