ASSUNZIONE
DELLA BEATA VERGINE MARIA
predicata da sant'Antonio
Temi del sermone
- “Come vaso d’oro massiccio”.
– “Luogo della nostra santificazione”, e “Bellezza dell’altissimo cielo è il firmamento”.
– “Cipresso svettante verso l’alto”.
esordio - la dignità della Vergine gloriosa
1. “Come un vaso d’oro massiccio, ornato di ogni specie di pietre preziose; come olivo che che sta gemmando e come cipresso svettante verso l’alto” (Eccli 50,10-11).
Dice Geremia: “Soglio della gloria dell’altezza fin dal principio, luogo della nostra santificazione, aspettazione di Israele” (Ger 17,12-13). Il soglio, come a direseggio solido, è chiamato così dal verbo “sedersi”. Soglio di gloria è la beata Maria, che in tutto fu solida e integra: in lei fu la gloria del Padre, cioè il Figlio sapiente, anzi la stessa Sapienza, Gesù Cristo, quando da lei assunse la carne. Leggiamo nel salmo: “Affinché la gloria abiti nella nostra terra” (Sal 84,10). La gloria dell’altezza, cioè degli angeli, abitò in terra, cioè nella nostra carne. La Vergine Maria fu il soglio della gloria, cioè di Gesù Cristo che è la gloria dell’altezza, vale a dire degli angeli. Infatti dice l’Ecclesiastico: “Firmamento dell’altezza è la sua bellezza, bellezza del cielo nella visione della gloria” (Eccli 43,1).
Gesù Cristo è il “firmamento” ( da firmus), nel senso di sostegno, dell’altezza, cioè della sublimità angelica, che egli stesso ha confermato, mentre l’[angelo] apostata precipitava con i suoi seguaci. Leggiamo in Giobbe: “Tu forse hai fabbricato con lui i cieli, che sono saldissimi, quasi fusi”, o fondati, “nel bronzo”? (Gb 37,18). Come dicesse: Non è stata forse la Sapienza del Padre che ha fabbricato i cieli, cioè la natura angelica? Infatti, “In principio Dio creò il cielo” (Gn 1,1): per “cielo” si intende ciò che nel cielo è contenuto. Quando gli angeli ribelli furono trascinati via con le catene dell’inferno (cf. 2Pt 2,4), gli angeli fedeli, che restarono uniti al sommo Bene, furono confermati nella stabilità come nel bronzo. Nella perennità del bronzo è raffigurata l’eterna stabilità degli angeli fedeli. Gesù Cristo, “firmamento” della sublimità angelica, è anche la loro bellezza. Infatti egli sazia della bellezza della sua umanità quelli che ha confermato con la potenza della sua divinità. C’è anche lo splendore del cielo, cioè di tutte le anime che abitano nei cieli; splendore che consiste nella visione della gloria. Mentre infatti contemplano faccia a faccia la gloria del Padre, risplendono essi stessi di gloria. Ecco dunque quanto grande è la dignità della Vergine gloriosa, che meritò di essere Madre di colui che è il “firmamento” e la bellezza degli angeli, e lo splendore di tutti i santi.
2. “Soglio di gloria dell’altezza fin dal principio”, cioè dalla creazione del mondo, Maria fu predestinata a essere Madre di Dio con potenza, secondo lo spirito di santificazione (cf. Rm 1,4). E continua: “Luogo della nostra santificazione, aspettazione di Israele”. La Beata Vergine fu il luogo della nostra santificazione, cioè del Figlio di Dio che ci ha santificati. Di questo luogo, egli stesso dice in Isaia: “L’abete, il bosso e il pino verranno insieme ad ornare il luogo della mia santificazione; e glorificherò il luogo dove ho posto i miei piedi” (Is 60,13). L’abete è così chiamato (lat. abies da abeo, vado via) perché più di tutti gli alberi si spinge in alto, e raffigura i contemplativi. Il bosso invece che non si spinge in alto e non produce frutto, ma ha un verde perenne, sta ad indicare i neocredenti, che si mantengono nella viva fede di un verde perenne. Il pino è un albero che deve il suo nome alla forma acuminata delle sue foglie: gli antichi infatti lo definitivano “acuto”; esso indica i penitenti che, consci dei loro peccati, con l’acutezza della contrizione pungono il loro cuore, per farne sgorgare il sangue delle lacrime.
Tutti costoro, cioè i contemplativi, i fedeli e i penitenti, in questa solennità vengono ad “onorare” con la devozione, con la lode e la celebrazione la Vergine Maria, che fu il luogo della santificazione di Gesù Cristo, nella quale egli stesso si è santificato. Infatti dice Giovanni: “Per loro io santifico me stesso” (Gv 17,19), di una santificazione creata, “affinché anch’essi siano santificati nella verità (Gv 17,19), cioè in me, che in me stesso, Verbo, santifico me stesso uomo, vale a dire per mezzo di me, Verbo, riempio me stesso di tutti i beni.
“E santificherò il luogo dei miei piedi”. I piedi del Signore raffigurano la sua umanità; di essi Mosè dice: “Quelli che si avvicinano ai suoi piedi riceveranno la sua dottrina” (Dt 33,3). Nessuno può avvicinarsi ai piedi del Signore, se prima, come è detto nell’Esodo, non si è tolto i calzari, cioè le opere morte, dai piedi (cf. Es 3,5), vale a dire dagli affetti della mente. Avvicìnati dunque a piedi nudi e riceverai il suo insegnamento. Dice infatti Isaia: “A chi comunicherà egli la scienza e a chi darà l’intelligenza delle cose udite? A quelli che sono divezzati dal latte e staccati dalle mammelle” (Is 28,9). Chi si allontana dal latte della concupiscenza del mondo e si stacca dalle mammelle della gola e della lussuria, sarà degno di essere ammaestrato nella scienza divina in questa vita, e di sentirsi dire nella vita futura: “Venite, benedetti del Padre mio!” (Mt 25,34).
Il luogo dei piedi del Signore fu la Vergine Maria, dalla quale egli ricevette l’umanità; e oggi ha glorificato quel “luogo” perché ha esaltato Maria al di sopra dei cori degli angeli. Per questo ti è chiaro che la beata Vergine fu assunta in cielo anche con il corpo, che fu il luogo dei piedi del Signore. Leggiamo nel salmo: “Álzati, Signore, e vieni nel luogo del tuo riposo, tu e l’arca della tua santificazione” (Sal 131,8). Il Signore si alzò quando salì alla destra del Padre. Si alzò anche l’arca della sua santificazione quando, in questo giorno, la Vergine Madre fu assunta all’etero talamo, alla gloria celeste. Sta scritto nella Genesi che l’arca si fermò sopra i monti dell’Armenia (cf. Gn 8,4). Armenia s’interpreta “monte staccato”, e raffigura la natura angelica che è detta monte in relazione agli angeli che restarono fedeli, e staccato in riferimento a quelli che precipitarono nell’inferno. L’arca del vero Noè, che ci ha fatto riposare dalle nostre fatiche, nella terra maledetta dal Signore (cf. Gn 5,29), si fermò in questo giorno sopra i monti dell’Armenia, vale a dire sopra i cori degli angeli.
A lode della beata Vergine, che è l’aspettazione di Israele, cioè del popolo cristiano, e per il maggior decoro di così grande solennità, illustrerò la citazione riportata all’inizio: “Come vaso di oro massiccio, ornato di ogni specie di pietre preziose; come olivo che sta gemmando e come cipresso svettante verso l’alto”(Eccli 50,10-11).
Santità e gloria della Beata Vergine Maria
3. Osserva queste tre entità: il vaso, l’olivo, il cipresso. La beata Vergine fu un “vaso” per l’umiltà, “d’oro” per la povertà, “massiccio” per la verginità, “ornato di ogni specie di pietre preziose” per i privilegi e i doni ricevuti. La concavità del vaso lo rende atto a ricevere ciò che vi si versa, e quindi raffigura l’umiltà che accoglie la grazia delle celesti infusioni. L’orgoglio invece impedisce tali infusioni. Il Signore, nell’Esodo, comandò che nell’altare fosse praticata una cavità, per riporvi le ceneri del sacrificio (cf. Es 27,4). Nell’incàvo dell’umiltà si deposita la cenere, cioè il ricordo della nostra caducità. Per questo Geremia dice del penitente: “Porrà la sua bocca nella sepoltura” (Lam 3,29), parlerà cioè della sepoltura che seguirà la sua morte. E leggiamo ancora nella Genesi che Abramo seppellì Sara in una caverna doppia, che guardava verso Mambre (cf. Gn 23,19). La doppia caverna raffigura l’umiltà del cuore e quella del corpo, nella quale il giusto deve seppellire la sua anima, fuori dal tumulto delle cose temporali, e questa umiltà deve guardare verso Mambre, che significa “chiarezza”, e indica lo splendore della vita eterna e non quello della gloria mondana. Al primo guardò l’umiltà della beata Vergine, e quindi meritò di essere guardata (cf. Lc 1,48).
E poiché l’umiltà si custodisce e si conserva con la povertà, è detta vaso d’oro. Giustamente la povertà è detta “d’oro”, perché rende ricchi e splendenti coloro che la praticano. Dov’è la vera povertà, vi è ciò che è sufficiente. Dove c’è l’abbondanza c’è anche l’indigenza. Per questo dice il Filosofo: “Succede raramente che l’abbondanza non produca qualche danno” (Walther, Carmina). E ancora: “Non reputo povero colui al quale basta ciò che ha, per quanto poco sia” (Seneca). E Bernardo scrive: “In cielo c’era grande abbondanza di tutte le cose: soltanto la povertà non si trovava. Essa abbondava invece sulla terra e l’uomo non conosceva il suo valore. Venne dunque il Figlio di Dio a cercarla per renderla preziosa con il suo apprezzamento”.
Di quest’oro [della povertà] leggiamo nella Genesi che “nella terra di Hevilath c’è l’oro, e l’oro di quel paese è purissimo (Gn 2,11-12). Hevilath si interpreta “partoriente” e indica la beata Vergine che, dando alla luce il Figlio di Dio, lo avvolse nelle fasce dell’aurea povertà. O splendido oro della povertà! Chi non ti possiede, anche se ha tutto il resto, non ha nulla! I beni temporali gonfiano, e gonfiando svuotano. Nella povertà c’è la gioia, nelle ricchezze c’è la tristezza e il lamento. Dice infatti Salomone: “È meglio un boccone di pane secco con la gioia, che un vitello ingrassato con la discordia, o una casa piena di vittime (Pro 17,1), cioè di ricchezze rapinate ai poveri con la violenza.
E ancora: “La mente tranquilla è come un perenne banchetto. Il poco con il timore del Signore è meglio di grandi tesori che non saziano” (Pro 15,15-16); e “Meglio abitare in un deserto – cioè nella povertà –, che con una donna litigiosa e irascibile” (Pro 21,19), cioè nell’abbondanza delle cose materiali. E infine: “È meglio sedere in un angolo del terrazzo – cioè nell’umiltà della povertà – che avere una moglie litigiosa e la casa in comune con altri” (Pro 21,9).
E poiché l’umiltà e la povertà della beata Vergine Maria furono ornate con l’illibatezza, si aggiunge: “Vaso d’oro massiccio”. La beata Vergine fu “massiccia” per la verginità, e quindi poté contenere la sapienza. Invece “il cuore dello stolto”, come dice Salomone, è come un vaso incrinato che non può contenere la sapienza (cf. Eccli 21,17). Questo vaso è stato oggi adornato di ogni specie di pietre preziose, cioè con ogni privilegio di doni celesti. Ricevette le ricompense di tutti i santi, colei che generò il Creatore e il Redentore di tutti. Su questo vaso, ornato di ogni pietra preziosa, concorda ciò che leggiamo nel libro di Ester, dove si racconta che “dovendo costei entrare alla presenza del re, non cercò ornamenti muliebri: l’eunuco Egai, custode delle vergini, le fece indossare l’abbigliamento che egli stesso scelse. Ella era molto avvenente e di incredibile bellezza, e appariva amabile e graziosa agli occhi di tutti. Fu dunque introdotta nella stanza del re Assuero. E il re la amò più di tutte le altre donne e pose sul suo capo il diadema del regno” (Est 2,15-17).
Ester significa “nascosta”, Egai “solenne”, Assuero “beatitudine”. Ester è figura della beata Vergine Maria, che restò nascosta e riparata da ogni parte, e l’angelo stesso la trovò nel nascondimento. Egai, il custode delle vergini, è figura di Cristo. Conviene veramente che alle vergini sia assegnato un tale custode, che è solenne e casto: solenne, e festoso, per non rattristare i pusillanimi; casto per non offendere l’illibatezza delle vergini, ma per custodirla e difenderla. Ed è bene che queste due qualità siano unite, perché di solito avviene che l’affetto si guasti con l’eccessiva allegria (familiarità), oppure che il casto sentimento si accompagni ad una esagerata severità.
Cristo ebbe in sommo grado queste due qualità ed è quindi il perfetto custode delle vergini. Come Egai, Cristo “corse festoso incontro alle donne, dicendo: Salute a voi!” (Mt 28,9). Ma fece questo solo dopo la risurrezione, quando era già con il corpo immortale. Prima infatti fu così riservato che mai si legge abbia salutato donne. Anche gli apostoli, dice Giovanni, si meravigliarono che stesse parlando con una donna (cf. Gv 4,27). Cristo adornò la nostra Ester, cioè la Vergine Maria, tanto più riccamente in quanto per nulla essa cercò ornamenti femminili; e non volle avere né se stessa né alcun altro come “ornatore”, ma si affidò totalmente alla volontà del “Custode”, dal quale fu adornata in modo così sublime, che oggi viene esaltata al di sopra degli angeli.
Questa nostra Ester fu molto avvenente quando fu salutata dall’angelo; fu di incredibile bellezza quando fu adombrata dallo Spirito Santo, fu graziosa e amabile agli occhi di tutti quando concepì il Figlio di Dio. Dopo aver concepito il Figlio di Dio, il suo volto divenne così splendente per il fulgore della grazia, che neppure Giuseppe poteva fissare lo sguardo su di lei. E ciò non deve far meraviglia. Se gli israeliti, come dice san Paolo, non potevano guardare in faccia Mosè, a motivo dello splendore pure effimero del suo volto (cf. 2Cor 3,7); e se l’Esodo dice che “Aronne e gli israeliti, vedendo il volto di Mosè raggiante di luce, dopo aver conversato con il Signore, ebbero timore di avvicinarsi a lui” (Es 34,29-30): tanto meno Giuseppe osava avvicinarsi e fissare lo sguardo sul volto della Vergine gloriosa, reso fulgente dai raggi del vero Sole che portava in grembo. Il vero Sole era come coperto da una nube, ma sprigionava dei raggi di aureo fulgore attraverso gli occhi e il volto della Madre sua. Questo volto è adorno di tutte le grazie, ed è stupendo agli occhi degli angeli: essi desiderano fissarvi lo sguardo (cf. 1Pt 1,12), perché brilla come il sole quando risplende in tutto il suo fulgore (cf. Ap 1,16). E la beata Vergine è graziosa e amabile a tutto l’universo, perché è stata trovata degna di portare il Salvatore di tutti.
Questa nostra gloriosa Ester è condotta oggi per mano degli angeli alla presenza del re Assuero, cioè alla dimora celeste nella quale, sopra un trono di stelle, siede il Re dei re, la Beatitudine degli angeli, Cristo Gesù, che ha amato la Vergine gloriosa più di tutte le donne, perché da lei ha preso umana carne, ed ella più di tutte le donne ha trovato davanti a lui grazia e misericordia.
O incomparabile dignità di Maria, o ineffabile sublimità di grazia, o imperscrutabile abisso di misericordia! Quando mai ad angelo o a uomo fu o sarà data tanta grazia e tanta misericordia, quanta ne fu data alla beata Vergine, che Dio Padre ha voluto fosse la Madre del suo Figlio, uguale a se stesso e generato prima di tutti i secoli? Sarebbe considerata una grazia grandissima e una dignità sublime, se una povera donna qualunque potesse avere un figlio dall’imperatore. Veramente superiore ad ogni grazia fu quella di Maria, che ebbe il Figlio con l’Eterno Padre, e quindi oggi ha meritato di essere coronata in cielo.
Perciò aggiunge: “E le pose sul capo il diadema regale”. E nel Cantico dei Cantici leggiamo: “Uscite, figlie di Sion, e ammirate il re Salomone con il diadema con il quale l’ha incoronato la madre sua, nel giorno del suo sposalizio” (Ct 3,11). La beata Vergine Maria ha incoronato il Figlio di Dio con il diadema dell’umana carne nel giorno del suo sposalizio, cioè del concepimento del Figlio, per il quale la natura divina fu unita, come uno sposo, alla natura umana nel talamo della stessa Vergine; e perciò il Figlio ha incoronato oggi la Madre sua con il diadema della gloria celeste. Uscite dunque e ammirate la madre di Salomone, con il diadema con il quale l’ha incoronata il suo Figlio, nel giorno della sua Assunzione. Giustamente perciò diciamo: “Come un vaso di oro massiccio, ornato di ogni specie di pietra preziosa”.
4. “Come ulivo che sta gemmando”. L’ulivo è la pianta, l’oliva è il frutto, l’olio è il succo. L’ulivo produce dapprima un fiore profumato, dal quale si forma l’oliva, che prima è verde, poi rossa, e quindi arriva a maturazione. La beata Anna [madre di Maria] fu quasi la pianta di ulivo, dalla quale germogliò il candido fiore dal profumo incomparabile, cioè la Vergine Maria, che fu verde nel concepimento e nella natività del Figlio di Dio. Si dice verde (viridis) in quanto conserva la forza (vim). La beata Vergine nel concepimento e nella nascita del Salvatore restò verde, conservò la forza, il valore della verginità: restò vergine prima del parto e nel parto; fu rossa nella passione del Figlio, quando la spada trapassò la sua anima (cf. Lc 2,35); pervenne a maturazione nella odierna solennità, gemmando, cioè sbocciando nella letizia, nella beatitudine della gloria celeste.
Perciò, partecipando alla sua letizia, cantiamo nell’introito della messa di oggi: “Rallegriamoci tutti nel Signore...” In questa messa si legge il brano del vangelo che incomincia: “Gesù entrò in un villaggio...” (Lc 10,38). Villaggio, in latino castellum, o castrum, fortificazione, suona quasi come casto, vale a dire che in esso viene spenta la lussuria. Il nemico, assaltando in continuità la fortificazione dall’esterno, impedisce agli abitanti di abbandonarsi al riposo, di darsi cioè alla lussuria. Il persistere della lotta contro la fortificazione stronca lo stimolo della libidine3.
Osserva che la fortificazione consta di una cerchia di mura e di una torre posta al centro. La fortificazione è la Vergine Maria che rifulse della castità più perfetta, e quindi in lei entrò il Signore. La muraglia di difesa, intorno alla torre posta al centro, fu la sua verginità. La torre a difesa della muraglia fu l’umiltà. La torre è chiamata così perché è (in lat.) teres, cioè diritta e alta. L’umiltà della Vergine Maria fu diritta e alta: diritta, perché guardò solo a colui che a sua volta guardò alla sua umiltà (cf. Lc 1,48); alta, perché quando lei proferì le parole dell’umiltà: “Ecco, la serva del Signore” (Lc 1,38), fu eletta Regina del cielo.
La Vergine Maria fu anche Marta e Maria. Fu Marta, quando avvolse in fasce Gesu bambino, quando lo adagiò nel presepio, quando lo allattò al suo seno ripieno di cielo, quando si rifugiò con lui in Egitto e quando ritornò in patria; fu Maria, mentre “custodiva – come dice Luca – tutte queste parole, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19).
5. “Come cipresso svettante verso l’alto”. La beata Vergine Maria, come un cipresso si spinge oggi più in alto di tutti gli angeli.
A questo proposito leggiamo in Ezechiele: “Sopra il firmamento che sovrastava le teste dei [quattro] esseri viventi apparve qualcosa come una pietra di zaffiro in forma di trono, e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane” (Ez 1,26). Nei quattro esseri viventi sono raffigurati tutti i santi, ornati delle quattro virtù, edotti nella dottrina dei quattro vangeli. Nel firmamento sono indicate le schiere angeliche, confermate dalla potenza dell’Onnipotente. Nel trono è indicata la Vergine Maria, nella quale il Signore si umiliò quando assunse da lei umana carne. Il Figlio dell’uomo è Gesù Cristo, Figlio di Dio e dell’uomo. Ecco allora che nella gloria celeste, che sovrasta la testa dei quattro esseri viventi, cioè di tutti i santi, c’è il firmamento, vale a dire gli angeli; e al di sopra degli angeli il trono, cioè la beata Vergine; e sopra il trono il Figlio dell’uomo, Gesù Cristo.
Sul tema del “trono” vedi il sermone della V domenica dopo Pentecoste sul vangelo: “Mentre le folle facevano ressa intorno a Gesù...”. Per la pietra di zaffiro, vedi poi il sermone dell’Annunciazione, parte II: “Io come rugiada”.
Ti preghiamo, o nostra Signora, inclita Madre di Dio, esaltata al di sopra dei cori degli angeli, di riempire il vaso del nostro cuore con la grazia celeste; di farci splendere dell’oro della sapienza; di sostenerci con la potenza della tua intercessione; di ornarci con le pietre preziose delle tue virtù; di effondere su di noi, o oliva benedetta, l’olio della tua misericordia, con il quale coprire la moltitudine dei nostri peccati, ed essere così trovati degni di venir innalzati alle altezze della gloria celeste e vivere felici in eterno con i beati comprensori.
Ce lo conceda Gesù Cristo, tuo Figlio, che oggi ti ha esaltata al di sopra dei cori degli angeli, ti ha incoronata con il diadema del regno, e ti ha posta sul trono dell’eterno splendore. A lui sia onore e gloria per i secoli eterni. E tutta la chiesa risponda: Amen. Alleluia!
AVE MARIA!