martedì 11 agosto 2015

FLAGELLAZIONE - CORONAZIONE DI SPINE -


Secondo le rivelazioni della 
Beata Anna Caterina Emmerick
CAPITOLO IV


L'orribile flagellazione


Per calmare la plebaglia con una punizione che la impietosisse, Pilato diede ordine di flagellare Gesù, secondo l'uso romano.. Fra il tumulto e il furore popolare Gesù fu condotto dagli sgherri sul piazzale.

Il Signore venne trascinato bruscamente vicino al corpo di guardia del pretorio, dove si trovava la colonna di marmo munita di anelli e ganci; essa era destinata esclusivamente alla flagellazione dei condannati. I sei flagellatori, che svolgevano la funzione di carnefici nel pretorio, provenivano dalle frontiere egiziane, erano bruni, bassi e tarchiati; seminudi e mezzo ebbri, sembravano bestie assetate di sangue. Essi avevano nello sguardo qualcosa di diabolico; vicino a quella colonna avevano fustigato a morte molti altri condannati.
Benché il Salvatore non avesse opposto alcuna resistenza, venne trascinato con le funi, mentre i flagellatori gli assestavano pugni e calci.


Gli strapparono di dosso il manto derisorio di Erode e fecero quasi cadere il Signore a terra. Vidi Gesù tremare e rabbrividire davanti alla colonna. Egli stesso si tolse la veste con le mani gonfie e sanguinanti. Poi pregò e volse per un attimo lo sguardo verso la sua santa Madre immersa nel dolore...
I carnefici, senza cessare le loro orrende imprecazioni, legarono le mani di Gesù a un grande anello fissato alla sommità della colonna dell'infamia. Così facendo, gli tesero talmente le braccia al di sopra della testa che i piedi legati fortemente alla colonna non toccavano completa mente il suolo.


Due di quei bruti, assetati di sangue, iniziarono a flagellare il corpo immacolato di Gesù provocandogli i più atroci tormenti. Non mi è possibile descrivere le tremende atrocità inflitte a nostro Signore.
Le prime verghe di cui si servirono gli aguzzini erano strisce di color bianco, sembravano fatte di legno durissimo o nervi di bue.
Dorso, gambe e braccia venivano lacerati sotto i pesanti colpi del flagello, finché la pelle a brandelli col sangue schizzò al suolo. I gemiti dolorosi di Gesù sofferente erano soffocati dal clamore della plebaglia e dei farisei, che continuavano a gridare: "Fatelo morire! Crocifiggetelo!".


Per imporre il silenzio, e continuare a parlare al popolo, Pilato faceva suonare una tromba. Allora sulla piazza si udivano solo le sue parole, accompagnate dall'orribile sibilo della frusta e dai gemiti del Signore, come anche dalle imprecazioni degli ebbri carnefici...

La maggior parte del popolo manteneva una certa di stanza dal luogo della flagellazione, solo alcuni andavano e venivano dai paraggi della colonna per insultare il Signore... Giovani infami preparavano verghe fresche presso il corpo di guardia, altri cercavano rami spinosi per intrecciare la corona di spine. I servi dei sacerdoti avevano regalato denaro ai flagellatori e avevano dato loro delle brocche colme di un liquore rosso, del quale bevvero fino a ubriacarsi.

Dopo un quarto d'ora i carnefici che avevano flagellato Gesù furono Sostituiti da altri due. Questi ultimi si avventarono contro Gesù con cieco furore, usando anche bastoni nodosi con spine e punte. I colpi dei loro flagelli laceravano la carne del Signore fino a farne sprizzare il sangue sulle braccia dei carnefici. Presto quel santo corpo fu ricoperto di macchie nere e rosse, il sangue colava a terra ed egli si muoveva in un tremito convulso, tra ingiurie e dileggi...

La terza coppia di carnefici si avventò con maggior foga delle altre sul corpo martirizzato di Gesù. Per la fustigazione essi si servirono di cinghie munite di uncini di ferro. Eppure la loro rabbia diabolica non si placò. Gesù venne slegato e poi di nuovo legato, questa volta col dorso contro la colonna. Poiché il Signore non poteva più reggersi, gli passarono delle corde sul petto e lo legarono con le mani dietro la colonna. Ripresero così a fustigarlo. Gesù aveva il corpo ridotto a un'unica piaga e guardava i suoi carnefici con gli occhi pieni di sangue, come se implorasse la grazia. Ma, in risposta ai suoi flebili gemiti, la loro furia aumentò e uno dei carnefici lo colpì al viso con un'asta più flessibile.

L'orribile flagellazione durava già da tre quarti d'ora, quando uno straniero d'infima classe, parente di un cieco sanato da Gesù, si precipitò dietro la colonna con un coltello a forma di falce e gridò con voce indignata: "Fermatevi! Non colpite quest'innocente fino a farlo morire!". Approfittando dello stupore dei carnefici ebbri, lo straniero recise le corde annodate dietro la colonna e subito disparve tra la folla. Gesù cadde al suolo in mezzo al suo sangue; gli aguzzini lo lasciarono e se ne andarono a bere...

Al loro ritorno i flagellatori lo presero a calci per farlo rialzare. Gesù, strisciando, fece per riprendersi la fascia che gli aveva cinto i fianchi, ma i carnefici gliela spingevano sempre più lontana, costringendolo a contorcersi al suolo nel suo sangue e a strisciare come un verme; tutto questo avveniva tra i fischi, i motti e gli insulti della gente. Infine lo rimisero in piedi, gli gettarono la veste sulle spalle e lo sospinsero frettolosamente verso il corpo di guardia. Con la veste egli si asciugava il sangue che gli fuoriusciva copioso dal volto... Quando la crudele flagellazione ebbe fine erano circa le nove del mattino. 

Gesù oltraggiato e coronato di spine.


L'incoronazione di spine fu eseguita nel cortile del corpo di guardia, le cui porte erano aperte; nell'interno si trovavano una cinquantina di aguzzini, servi e furfanti, i quali presero parte attiva ai martìri di Gesù. La folla si accalcava da tutti i lati, finché l'edificio fu isolato dai soldati romani.

Gesù fu spogliato nuovamente e rivestito di un vecchio mantello militare color porpora, che gli arrivava fin sopra alle ginocchia. Il mantello si trovava in un angolo della stanza e con esso venivano coperti i criminali dopo la flagellazione. Il Signore fu fatto sedere al centro del cortile, su un tronco di colonna ricoperto di cocci di vetro e di pietre.

Indicibile fu il tormento di quella incoronazione: intorno al capo di Gesù venne legato un serto intrecciato di tre rami spinosi, alto due palmi, le cui punte erano rivolte verso l'interno. Nel legare posteriormente la corona al santo capo, i carnefici gliela strinsero brutalmente per fare in modo che le spine grosse un dito si conficcassero nella sua fronte e nella nuca. Poi gli infilarono una canna tra le mani legate, si posero in ginocchio davanti a lui e inscenarono l'incoronazione di un re da burla.


Non contenti gli strapparono di mano quella canna, che doveva figurare come scettro di comando, e iniziarono a percuotergliela sulla corona di spine, tanto che gli occhi del Salvatore furono inondati di sangue; al tempo stesso i malfattori lo schiaffeggiavano e gli rivolgevano volgarità di ogni tipo... Il suo corpo era tutto una piaga, tanto che camminava curvo e malfermo. Il povero Gesù giunse sotto la scalinata davanti a Pilato, suscitando perfino in quest'uomo crudele un senso di compassione. Il popolo e i perfidi sacerdoti continuavano a schernirlo...

Santa CHIARA Vergine

S. Clarae Virginis ~ III. classis
Sancta Missa

Divinum Officium             Kalendarium
Ante Missam

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Incipit
In nómine Patris,  et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
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S. Introíbo ad altáre Dei.
M. Ad Deum, qui lætíficat iuventútem meam.
S. Iúdica me, Deus, et discérne causam meam de gente non sancta: ab hómine iníquo et dolóso érue me.
M. Quia tu es, Deus, fortitudo mea: quare me reppulísti, et quare tristis incédo, dum afflígit me inimícus?
S. Emítte lucem tuam et veritátem tuam: ipsa me deduxérunt, et adduxérunt in montem sanctum tuum et in tabernácula tua.
M. Et introíbo ad altáre Dei: ad Deum, qui lætíficat iuventútem meam.
S. Confitébor tibi in cíthara, Deus, Deus meus: quare tristis es, ánima mea, et quare contúrbas me?
M. Spera in Deo, quóniam adhuc confitébor illi: salutáre vultus mei, et Deus meus.
S. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
M. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper: et in saecula sæculórum. Amen.
S. Introíbo ad altáre Dei.
M. Ad Deum, qui lætíficat iuventútem meam.
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V. Adiutórium nostrum  in nómine Dómini.
R. Qui fecit coelum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Ioánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et opere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Ioánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, orare pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur tui omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis tuis, perdúcat te ad vitam ætérnam.
S. Amen,
M. Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Ioánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et opere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Ioánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et te, pater, orare pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris , perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam,  absolutionem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.
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V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus,
Aufer a nobis, quaesumus, Dómine, iniquitátes nostras: ut ad Sancta sanctórum puris mereámur méntibus introíre. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen.
Orámus te, Dómine, per mérita Sanctórum tuórum, quorum relíquiæ hic sunt, et ómnium Sanctórum: ut indulgére dignéris ómnia peccáta mea. Amen.
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Introitus
Ps 44:8
Dilexísti iustítiam, et odísti iniquitátem: proptérea unxit te Deus, Deus tuus, óleo lætítiae præ consórtibus tuis.
Ps 44:2
Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi.
V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen
Dilexísti iustítiam, et odísti iniquitátem: proptérea unxit te Deus, Deus tuus, óleo lætítiae præ consórtibus tuis. 
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Kyrie
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
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Gloria
Gloria in excelsis Deo Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex coeléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Iesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Iesu Christe. Cum Sancto Spíritu  in glória Dei Patris. Amen.
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Oratio
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spiritu tuo.
Orémus.
Exáudi nos, Deus, salutáris noster: ut, sicut de beátæ N. Vírginis tuæ festivitáte gaudémus; ita piæ devotiónis erudiámur afféctu.
Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.
R. Amen.
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Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
2 Cor 10:17-18; 11:1-2
Fratres: Qui gloriátur, in Dómino gloriétur. Non enim, qui seípsum comméndat, ille probátus est; sed quem Deus comméndat. Utinam sustinerétis módicum quid insipiéntiæ meæ, sed et supportáte me: aemulor enim vos Dei æmulatióne. Despóndi enim vos uni viro vírginem castam exhibére Christo.
R. Deo gratias.
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Graduale
Ps 44:5
Spécie tua et pulchritúdine tua inténde, próspere procéde et regna.
V. Propter veritátem et mansuetúdinem et iustítiam: et dedúcet te mirabíliter déxtera tua. Allelúia, allelúia.
Ps 44:15-16
Adducántur Regi Vírgines post eam: próximæ eius afferéntur tibi in lætítia. Allelúia.
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Evangelium
Munda cor meum, ac labia mea, omnípotens Deus, qui labia Isaíæ Prophétæ cálculo mundásti igníto: ita me tua grata miseratióne dignáre mundáre, ut sanctum Evangélium tuum digne váleam nuntiáre. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen.
Iube, Dómine, benedícere. Dóminus sit in corde meo et in lábiis meis: ut digne et competénter annúntiem Evangélium suum. Amen.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Sequéntia  sancti Evangélii secúndum Matthaeum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt 25:1-13
In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis parábolam hanc: Simile erit regnum coelórum decem virgínibus: quæ, accipiéntes lámpades suas, exiérunt óbviam sponso et sponsæ. Quinque autem ex eis erant fátuæ, et quinque prudéntes: sed quinque fátuæ, accéptis lampádibus, non sumpsérunt óleum secum: prudéntes vero accepérunt óleum in vasis suis cum lampádibus. Horam autem faciénte sponso, dormitavérunt omnes et dormiérunt. Média autem nocte clamor factus est: Ecce, sponsus venit, exíte óbviam ei. Tunc surrexérunt omnes vírgines illæ, et ornavérunt lámpades suas. Fátuæ autem sapiéntibus dixérunt: Date nobis de óleo vestro: quia lámpades nostræ exstinguúntur. Respondérunt prudéntes, dicéntes: Ne forte non suffíciat nobis et vobis, ite pótius ad vendéntes, et émite vobis. Dum autem irent émere, venit sponsus: et quæ parátæ erant, intravérunt cum eo ad núptias, et clausa est iánua. Novíssime vero véniunt et réliquæ vírgines, dicéntes: Dómine, Dómine, aperi nobis. At ille respóndens, ait: Amen, dico vobis, néscio vos. Vigiláte ítaque, quia nescítis diem neque horam.
R. Laus tibi, Christe!
S. Per Evangelica dicta, deleantur nostra delicta.
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Credo
omit.
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Offertorium
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus
Ps 44:10
Fíliæ regum in honóre tuo, ástitit regína a dextris tuis in vestítu deauráto, circúmdata varietate. 
Suscipe, sancte Pater, omnipotens ætérne Deus, hanc immaculátam hóstiam, quam ego indígnus fámulus tuus óffero tibi Deo meo vivo et vero, pro innumerabílibus peccátis, et offensiónibus, et neglegéntiis meis, et pro ómnibus circumstántibus, sed et pro ómnibus fidélibus christiánis vivis atque defúnctis: ut mihi, et illis profíciat ad salútem in vitam ætérnam. Amen.
Deus, qui humánæ substántiæ dignitátem mirabíliter condidísti, et mirabílius reformásti: da nobis per huius aquæ et vini mystérium, eius divinitátis esse consórtes, qui humanitátis nostræ fíeri dignátus est párticeps, Iesus Christus, Fílius tuus, Dóminus noster: Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus: per ómnia saecula sæculórum. Amen.
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Offérimus tibi, Dómine, cálicem salutáris, tuam deprecántes cleméntiam: ut in conspéctu divínæ maiestátis tuæ, pro nostra et totíus mundi salute, cum odóre suavitátis ascéndat. Amen.
In spíritu humilitátis et in ánimo contríto suscipiámur a te, Dómine: et sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi, Dómine Deus.
Veni, sanctificátor omnípotens ætérne Deus: et bene  dic hoc sacrifícium, tuo sancto nómini præparátum.
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Lavábo inter innocéntes manus meas: et circúmdabo altáre tuum. Dómine: Ut áudiam vocem laudis, et enárrem univérsa mirabília tua. Dómine, diléxi decórem domus tuæ et locum habitatiónis glóriæ tuæ. Ne perdas cum ímpiis, Deus, ánimam meam, et cum viris sánguinum vitam meam: In quorum mánibus iniquitátes sunt: déxtera eórum repléta est munéribus. Ego autem in innocéntia mea ingréssus sum: rédime me et miserére mei. Pes meus stetit in dirécto: in ecclésiis benedícam te, Dómine.
V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen
Súscipe, sancta Trinitas, hanc oblatiónem, quam tibi offérimus ob memóriam passiónis, resurrectiónis, et ascensiónis Iesu Christi, Dómini nostri: et in honórem beátæ Maríæ semper Vírginis, et beáti Ioannis Baptistæ, et sanctórum Apostolórum Petri et Pauli, et istórum et ómnium Sanctórum: ut illis profíciat ad honórem, nobis autem ad salútem: et illi pro nobis intercédere dignéntur in coelis, quorum memóriam ágimus in terris. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum. Amen.
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S. Oráte, fratres: ut meum ac vestrum sacrifícium acceptábile fiat apud Deum Patrem omnipoténtem.
M. Suscípiat Dóminus sacrifícium de mánibus tuis ad laudem et glóriam nominis sui, ad utilitátem quoque nostram, totiúsque Ecclésiæ suæ sanctæ.
S. Amen.

Secreta
Accépta tibi sit, Dómine, sacrátæ plebis oblátio pro tuórum honóre Sanctórum: quorum se méritis de tribulatióne percepísse cognóscit auxílium.
Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.
R. Amen.
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Praefatio
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et iustum est.

Communis
Vere dignum et iustum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias agere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Per quem maiestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Coeli coelorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admitti iubeas, deprecámur, súpplici confessione dicéntes:

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt coeli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.
Top  Next
Canon
Te igitur, clementíssime Pater, per Iesum Christum, Fílium tuum, Dóminum nostrum, súpplices rogámus, ac pétimus, uti accepta habeas et benedícas, hæc  dona, hæc  múnera, hæc sancta sacrifícia illibáta, in primis, quæ tibi offérimus pro Ecclésia tua sancta cathólica: quam pacificáre, custodíre, adunáre et régere dignéris toto orbe terrárum: una cum fámulo tuo Papa nostro et Antístite nostro et ómnibus orthodóxis, atque cathólicæ et apostólicae fídei cultóribus. 
Meménto, Dómine, famulórum famularúmque tuarum N. et N. et ómnium circumstántium, quorum tibi fides cógnita est et nota devótio, pro quibus tibi offérimus: vel qui tibi ófferunt hoc sacrifícium laudis, pro se suísque ómnibus: pro redemptióne animárum suárum, pro spe salútis et incolumitátis suæ: tibíque reddunt vota sua ætérno Deo, vivo et vero.
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Communicántes, et memóriam venerántes, in primis gloriósæ semper Vírginis Maríæ, Genetrícis Dei et Dómini nostri Iesu Christi: sed et beati Ioseph, eiusdem Virginis Sponsi,
et beatórum Apostolórum ac Mártyrum tuórum, Petri et Pauli, Andréæ, Iacóbi, Ioánnis, Thomæ, Iacóbi, Philíppi, Bartholomaei, Matthaei, Simónis et Thaddaei: Lini, Cleti, Cleméntis, Xysti, Cornélii, Cypriáni, Lauréntii, Chrysógoni, Ioánnis et Pauli, Cosmæ et Damiáni: et ómnium Sanctórum tuórum; quorum méritis precibúsque concédas, ut in ómnibus protectiónis tuæ muniámur auxílio. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum. Amen.
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Hanc igitur oblatiónem servitutis nostræ, sed et cunctae famíliæ tuæ,
quaesumus, Dómine, ut placátus accípias: diésque nostros in tua pace dispónas, atque ab ætérna damnatióne nos éripi, et in electórum tuórum iúbeas grege numerári. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen.
Quam oblatiónem tu, Deus, in ómnibus, quaesumus, bene  díctam, adscríp  tam, ra  tam, rationábilem, acceptabilémque fácere dignéris: ut nobis Cor  pus, et San  guis fiat dilectíssimi Fílii tui, Dómini nostri Iesu Christi. 
Qui prídie quam paterétur, accépit panem in sanctas ac venerábiles manus suas, elevátis óculis in coelum ad te Deum, Patrem suum omnipoténtem, tibi grátias agens, bene  dixit, fregit, dedítque discípulis suis, dicens: Accípite, et manducáte ex hoc omnes. 
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HOC EST ENIM CORPUS MEUM.

Símili modo postquam coenátum est, accípiens et hunc præclárum Cálicem in sanctas ac venerábiles manus suas: tibi grátias agens, bene  dixit, dedítque discípulis suis, dicens: Accípite, et bíbite ex eo omnes.
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HIC EST ENIM CALIX SANGUINIS MEI, NOVI ET AETERNI TESTAMENTI: MYSTERIUM FIDEI: QUI PRO VOBIS ET PRO MULTIS EFFUNDETUR IN REMISSIONEM PECCATORUM.


Hæc quotiescúmque fecéritis, in mei memóriam faciétis.
Unde et mémores, Dómine, nos servi tui, sed et plebs tua sancta, eiusdem Christi Fílii tui, Dómini nostri, tam beátæ passiónis, nec non et ab ínferis resurrectiónis, sed et in coelos gloriósæ ascensiónis: offérimus præcláræ maiestáti tuæ de tuis donis ac datis, hóstiam  puram, hóstiam  sanctam, hóstiam  immaculátam, Panem  sanctum vitæ ætérnæ, et Calicem  salútis perpétuæ.
Supra quæ propítio ac seréno vultu respícere dignéris: et accépta habére, sicúti accépta habére dignátus es múnera púeri tui iusti Abel, et sacrifícium Patriárchæ nostri Abrahæ: et quod tibi óbtulit summus sacérdos tuus Melchísedech, sanctum sacrifícium, immaculátam hóstiam.
Súpplices te rogámus, omnípotens Deus: iube hæc perférri per manus sancti Angeli tui in sublíme altáre tuum, in conspéctu divínæ maiestátis tuæ: ut, quotquot ex hac altáris participatióne sacrosánctum Fílii tui Cor  pus, et Sán  guinem sumpsérimus, omni benedictióne coelésti et grátia repleámur. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum. Amen.
Meménto étiam, Dómine, famulórum famularúmque tuárum N. et N., qui nos præcessérunt cum signo fídei, et dórmiunt in somno pacis. Ipsis, Dómine, et ómnibus in Christo quiescéntibus locum refrigérii, lucis pacis ut indúlgeas, deprecámur. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum. Amen.
Nobis quoque peccatóribus fámulis tuis, de multitúdine miseratiónum tuárum sperántibus, partem áliquam et societátem donáre dignéris, cum tuis sanctis Apóstolis et Martýribus: cum Ioánne, Stéphano, Matthía, Bárnaba, Ignátio, Alexándro, Marcellíno, Petro, Felicitáte, Perpétua, Agatha, Lúcia, Agnéte, Cæcília, Anastásia, et ómnibus Sanctis tuis: intra quorum nos consórtium, non æstimátor mériti, sed véniæ, quaesumus, largítor admítte. Per Christum, Dóminum nostrum. 
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Per quem hæc ómnia, Dómine, semper bona creas, sancti  ficas, viví  ficas, bene  dícis et præstas nobis.
Per ip  sum, et cum ip  so, et in ip  so, est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitáte Spíritus  Sancti,
omnis honor, et glória.
Per omnia saecula saecolorum.
R. Amen.
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Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutione formati audemus dicere:
Pater noster, qui es in caelis, Sanctificetur nomen tuum. Adveniat regnum tuum. Fiat voluntas tua, sicut in coelo et in terra. Panem nostrum quotidianum da nobis hodie. Et dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. Et ne nos inducas in tentationem:
R. Sed libera nos a malo.
S. Amen.
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Líbera nos, quaesumus, Dómine, ab ómnibus malis, prætéritis, præséntibus et futúris: et intercedénte beáta et gloriósa semper Vírgine Dei Genetríce María, cum beátis Apóstolis tuis Petro et Paulo, atque Andréa, et ómnibus Sanctis, da propítius pacem in diébus nostris: ut, ope misericórdiæ tuæ adiúti, et a peccáto simus semper líberi et ab omni perturbatióne secúri.
Per eúndem Dóminum nostrum Iesum Christum, Fílium tuum.
Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus.
V. Per omnia saecula saeculorum.
R. Amen.
Pax Domini sit semper vobiscum.
R. Et cum spiritu tuo.
Haec commíxtio, et consecrátio Córporis et Sánguinis Dómini nostri Iesu Christi, fiat accipiéntibus nobis in vitam ætérnam. Amen.
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Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.
Dómine Iesu Christe, qui dixísti Apóstolis tuis: Pacem relínquo vobis, pacem meam do vobis: ne respícias peccáta mea, sed fidem Ecclésiæ tuæ; eámque secúndum voluntátem tuam pacifícáre et coadunáre dignéris: Qui vivis et regnas Deus per ómnia saecula sæculórum. Amen.
Dómine Iesu Christe, Fili Dei vivi, qui ex voluntáte Patris, cooperánte Spíritu Sancto, per mortem tuam mundum vivificásti: líbera me per hoc sacrosánctum Corpus et Sánguinem tuum ab ómnibus iniquitátibus meis, et univérsis malis: et fac me tuis semper inhærére mandátis, et a te numquam separári permíttas: Qui cum eódem Deo Patre et Spíritu Sancto vivis et regnas Deus in saecula sæculórum. Amen.
Percéptio Córporis tui, Dómine Iesu Christe, quod ego indígnus súmere præsúmo, non mihi provéniat in iudícium et condemnatiónem: sed pro tua pietáte prosit mihi ad tutaméntum mentis et córporis, et ad medélam percipiéndam: Qui vivis et regnas cum Deo Patre in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia saecula sæculórum. Amen.
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Panem coeléstem accipiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
Corpus Dómini nostri Iesu Christi custódiat ánimam meam in vitam ætérnam. Amen.
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Quid retríbuam Dómino pro ómnibus, quæ retríbuit mihi? Cálicem salutáris accípiam, et nomen Dómini invocábo. Laudans invocábo Dóminum, et ab inimícis meis salvus ero.
Sanguis Dómini nostri Iesu Christi custódiat ánimam meam in vitam ætérnam. Amen.
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Communio


Anima Christi, sanctifica me. Corpus Christi, salva me. Sanguis Christi, inebria me. Aqua lateris Christi, lava me. Passio Christi, conforta me. O bone Iesu, exaudi me. Intra tua vulnera absconde me. Ne permittas me separari a te. Ab hoste maligno defende me. In hora mortis meae voca me. Et iube me venire ad te, Ut cum Sanctis tuis laudem te. In saecula saeculorum. Amen. 
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Quod ore súmpsimus, Dómine, pura mente capiámus: et de munere temporáli fiat nobis remédium sempitérnum.
Corpus tuum, Dómine, quod sumpsi, et Sanguis, quem potávi, adhaereat viscéribus meis: et præsta; ut in me non remáneat scélerum mácula, quem pura et sancta refecérunt sacraménta: Qui vivis et regnas in saecula sæculórum. Amen.
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Communio
Matt 25:4; 25:6
Quinque prudéntes vírgines accepérunt óleum in vasis suis cum lampádibus: média autem nocte clamor factus est: Ecce, sponsus venit: exite óbviam Christo Dómino.
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Postcommunio
S. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus.
Satiásti, Dómine, famíliam tuam munéribus sacris: eius, quaesumus, semper interventióne nos réfove, cuius sollémnia celebrámus.
Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.
R. Amen.
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Conclusio
S. Dóminus vobíscum.
M. Et cum spíritu tuo, 
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V. Ite, Missa est.
R. Deo gratias.
Pláceat tibi, sancta Trínitas, obséquium servitútis meæ: et præsta; ut sacrifícium, quod óculis tuæ maiestátis indígnus óbtuli, tibi sit acceptábile, mihíque et ómnibus, pro quibus illud óbtuli, sit, te miseránte, propitiábile. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen.
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Benedícat vos omnípotens Deus,
Pater, et Fílius,  et Spíritus Sanctus.
R. Amen.
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V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spiritu tuo.
Initium  sancti Evangélii secúndum Ioánnem.
R. Gloria tibi, Domine!
Ioann. 1, 1-14. 
Iunctis manibus prosequitur:
In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt. 
Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Ioánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine. 
Erat lux vera, quæ illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his, qui credunt in nómine eius: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. Genuflectit dicens: Et Verbum caro factum est, Et surgens prosequitur: et habitávit in nobis: et vídimus glóriam eius, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiæ et veritatis. 
R. Deo gratias.
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Oratio Leonis XIII
S. Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus et benedictus fructis ventris tui, Iesus.
O. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae. Amen.
S. Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus et benedictus fructis ventris tui, Iesus.
O. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae. Amen.
S. Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus et benedictus fructis ventris tui, Iesus.
O. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae. Amen.

O. Salve Regina, Mater misericordiae, vita, dulcedo, et spes nostra, salve. Ad te clamamus, exsules filii Evae. Ad te suspiramus gementes et fientes in hac lacrymarum valle. Eia ergo, Advocata nostra, illos tuos misericordes oculos ad nos converte. Et Iesum, benedictum fructum ventris tui, nobis, post hoc exilium, ostende. O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria.
S. Ora pro nobis, sancta Dei Genitrix.
O. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

S. Orémus. Deus, refúgium nostrum et virtus, populum ad te clamantem propitius respice; et intercedente gloriosa, et immaculata Virgine Dei Genitrice Maria, cum beato Ioseph, eius Sponso, ac beatis Apostolis tuis Petro et Paulo, et omnibus Sanctis, quas pro conversione peccatorum, pro libertate et exaltatione sanctae Matris Ecclesiae, preces effundimus, misericors et benignus exaudi. Per eundem Christum Dominum nostrum. Amen.

O. Sancte Michaël Archangele, defende nos in proelio; contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium. Imperet illi Deus, supplices deprecamur: tuque, Princeps militiae Caelestis, satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute in infernum detrude. Amen.

S. Cor Iesu sacratissimum.
O. Miserere nobis.
S. Cor Iesu sacratissimum.
O. Miserere nobis.
S. Cor Iesu sacratissimum.
O. Miserere nobis.
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Vita di santa Chiara

Chiara nacque in Assisi nell’anno 1192, in seno ad una famiglia tra le più potenti e nobili della città, dai coniugi Favarone di Offreduccio e Ortolana Fiumi, donna di carità e pietà non comuni.

Chiara crebbe alla scuola di una madre che l’abituò all’amore di Dio e la dedizione al prossimo in attesa di essere poi folgorata da Francesco di Bernardone, che come scrive la stessa Chiara nel capitolo VI della sua Regola, con l’esempio di un modello di vita estremamente ispirato al Vangelo, l’aiutò nella consacrazione della sua vita all’Altissimo.

La notte della domenica delle Palme del 1211, la diciottenne Chiara fuggì dalla casa paterna e, nella chiesina di S. Maria degli Angeli, lo stesso Francesco, circondato dai suoi primi compagni, le recise i biondi capelli, velò il suo capo e la rivestì di un rozzo saio con la ruvida corda dei suoi frati.

Ormai consacrata, Chiara trascorre un breve periodo presso le monache benedettine, sul monte Subasio di Assisi, dove fu raggiunta dalla sorella Agnese, desiderosa di condividerne ideale e vita.

Poi Francesco la condusse a S. Damiano nel luogo dove gli aveva parlato il crocefisso e lì Chiara visse per quarant’anni una straordinaria esperienza di consacrata, fondatrice di una numerosa famiglia religiosa e guida esemplare della prima fraternità delle Sorelle Povere.

Questo mirabile esempio di santità raggiunse le più alte vette di contemplazione ed esperienza mistica.

Da S. Damiano, dopo aver ottenuto dal Papa Innocenzo IV l’approvazione della sua forma di vita, sospirata e attesa per oltre 30 anni, passò da questa vita, l’11 agosto del 1253 in grazia di Dio.

Alla sua morte, le “figlie” sparse per il mondo riempivano già 120 monasteri, tra cui quello delle Damianite di Atri .




 Santa Chiara d'Assisi - Biografia

Santa Chiara d'Assisi, Vergine
Festa 11 agosto
(Solennità per le Clarisse)
S. Chiara nacque ad Assisi nel 1194 da nobile famiglia. Ancor giovinetta, desiderosa di appartenere solo a Cristo, seguendo il consiglio di S. Francesco, suo concittadino, abbandonò il mondo per seguire l'ideale di vita evangelica. Lo stesso Francesco la rivestì di un ruvido saio, e preparò per lei una piccola abitazione accanto alla chiesina di S. Damiano, ove fu raggiunta dalla sorella Agnese e da altre generose fanciulle di Assisi. Nacque così il Secondo Ordine francescano, chiamato delle "Povere dame di S. Damiano", in seguito "Clarisse".
Chiara visse sempre a S. Damiano, nella più assoluta povertà e nella contemplazione. Curò con amore le sue consorelle, lavorò indefessamente, amò Cristo con tutta l'anima.
Morì nel 1253, e fu canonizzata da papa Alessandro IV. Il suo corpo riposa nella Basilica a lei dedicata in Assisi.
 

lunedì 10 agosto 2015

Dottor Takashi Nagai


Lettera

                                 spirituale



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Carissimo/a Amico/a

Nel 1985, furono organizzate cerimonie a Hiroshima e Nagasaki (Giappone), in memoria delle vittime delle bombe atomiche sganciate sulle due città, quarant'anni prima. Un testimone oculare di tali celebrazioni nota: «A Hiroshima, c'è amarezza, rumore, è una cosa molto politicizzata... Il simbolo potrebbe essere un pugno chiuso dalla collera. A Nagasaki, c'è tristezza, ma anche calma, riflessione, nulla è politico, si prega. Non si biasimano gli Stati Uniti, ma si piange piuttosto il peccato della guerra e, in particolare, della guerra nucleare. Il simbolo: mani giunte per pregare». Più di qualsiasi altra cosa, è l'influenza del dottor Takashi Nagai che spiega il clima spirituale che regnava quel giorno a Nagasaki. Un sacerdote diceva di lui: «Se avessimo un po' di quella fede che possedeva Nagai nella provvidenza del Padre eterno e nel valore universale della morte di Cristo, potremmo affrontare ogni evento nella pace». Chi era mai il dottor Nagai?



Takashi Nagai è nato nel 1908 ad Isumo, vicino a Hiroshima, in una famiglia di cinque figli, di religione scintoistica. Nel 1928, entra alla facoltà di medicina di Nagasaki. «Fin dagli studi liceali, scriverà, ero diventato prigioniero del materialismo. Appena entrato alla facoltà di medicina, mi fecero sezionare cadaveri... La struttura meravigliosa dell'insieme del corpo, l'organizzazione minuziosa delle sue minime parti, tutto ciò provocava in me ammirazione. Ma quel che maneggiavo così, non era mai che pura materia. L'anima? Un fantasma inventato da impostori per ingannare la gente semplice».


L'ultimo sguardo di una madre


Un giorno, nel 1930, gli giunge un telegramma di suo padre: «Torna a casa!» Parte con la massima urgenza, presentendo qualche disgrazia. Al suo arrivo, apprende con stupore che sua madre ha avuto un colpo apoplettico e non può più parlare. Le si siede accanto e legge nel suo sguardo un ultimo «arrivederci». Quest'esperienza della morte cambierà la sua vita: «Con quell'ultimo sguardo penetrante, mia madre demolì il quadro ideologico che avevo costruito. Quella donna, che mi aveva messo al mondo e allevato, quella donna che non si era mai concesso un istante di tregua nel suo amore per me, negli ultimi istanti di vita, mi parlò molto chiaramente. Il suo sguardo mi diceva che lo spirito umano continua a vivere dopo la morte. Tutto ciò era come un'intuizione, un'intuizione che aveva il sapore della verità».

Takashi comincia allora la lettura dei «Pensieri» di Pascal, autore francese del XVII secolo, poeta e scienziato. «L'anima, l'eternità... Dio. Il nostro grande predecessore, il fisico Pascal, aveva dunque ammesso seriamente queste cose! si dice. Quell'incomparabile saggio ci credeva veramente! Che cosa poteva essere quella fede cattolica, perchè lo scienziato Pascal potesse accettarla, senza che contraddicesse la scienza?» Pascal spiega che incontriamo Dio attraverso la fede e nella preghiera. Anche se non puoi ancora credere, dice, non trascurare la preghiera nè l'assistenza alla Messa. Sono sempre pronto a verificare un'ipotesi in laboratorio, pensa Nagai, perchè non provare questa preghiera su cui Pascal insiste tanto? Decide di ricercare una famiglia cattolica che accetti di tenerlo a pensione durante gli studi. Questo gli fornirà delle occasioni di conoscere il cattolicesimo e la preghiera cristiana.

Viene accolto dalla famiglia Moriyama. Il Signor Moriyama, mercante di bestiame, discende da una di quelle antiche stirpi cristiane che, attraverso 250 anni di persecuzioni, seppero conservare la fede introdotta in Giappone da San Francesco Saverio. La purezza di quella fede cristiana stupisce il giovane Nagai: umili fattori gli insegnano con il loro esempio quel che Pascal, il grande scienziato, aveva creduto!

Nel marzo del 1932, una grave otite lo rende sordo dall'orecchio destro, e sconvolge pertanto i suoi progetti per il futuro: non potendo più servirsi dello stetoscopio, deve rinunciare alla medicina ordinaria. Orienta allora i propri studi verso la radiologia, che è ai suoi esordi in Giappone. Si rende conto delle enormi possibilità che questa scienza mette a disposizione dei medici per rivelare le malattie.

I Signori Moriyama hanno una figlia, Midori, maestra in un'altra città. Tutti e tre pregano per la conversione di Takashi, pensando che forse Dio l'ha inviato loro per questo. Il 25 dicembre 1932, Midori è dai suoi per la festa di Natale. «Dottore, chiede il Signor Moriyama a Takashi, perchè non viene con noi alla Messa di mezzanotte? – Ma non sono cristiano! – Che importanza ha, i pastori ed i re magi che si recarono alla stalla, non lo erano più di lei. Eppure, quando videro il Bambino, credettero. Non potrà mai credere, se non verrà a pregare in chiesa». Dopo pochi istanti, Nagai si sorprende a rispondere: «Sì, mi piacerebbe accompagnarvi stasera». Cinquemila cristiani riempiono la cattedrale, cantando tutti lo stesso Credo in latino. Nagai è molto impressionato ed incoraggiato nella sua riflessione sulla religione cattolica, senza tuttavia lasciarsi convincere.


Il piccolo catechismo di Midori


Una notte, il Signor Moriyama va a svegliare Takashi: Midori si contorce dal dolore sul suo letto. Ben presto, il giovane medico diagnostica un'appendicite acuta. Sente il Signor Moriyama mormorare: «È la volontà di Dio. Chissà che bene ne risulterà?» Malgrado l'abbondante neve, Takashi corre alla scuola vicina per telefonare all'ospedale: «Pronto, pronto, il 32 00, per cortesia, è urgente... Pronto, qui Nagai. Chi è di turno al pronto soccorso stasera? Bene. Me lo può passare, per favore?» Un amico viene a rispondere e Nagai gli chiede se può praticare immediatamente un'appendicectomia. Alla sua risposta affermativa, Takashi torna a prendere Midori: «Chiamare un taxi richiederebbe troppo tempo, con tutta questa neve. Non possiamo prendere il rischio di aspettare», e, rivolgendosi al Signor Moriyama: «Se vuol precedermi con la lanterna, posso portare facilmente Midori». Durante il percorso, Takashi si rende conto dell'accelerazione ritmica dei battiti del cuore di Midori e del fatto che essa scotta per la febbre. La sua vita è in pericolo. Si affretta. Finalmente, ecco l'ospedale! La sala operatoria è pronta. Sette minuti dopo, tutto è finito. Midori è salva. A titolo di riconoscenza, essa farà di tutto per la conversione del suo salvatore.

L'anno seguente, Takashi è mobilitato nell'esercito giapponese e va a combattere i Cinesi in Manciuria. In un pacco che gli manda Midori, c'è un piccolo catechismo che egli legge con interesse. In capo ad un anno, torna a casa, quasi disperato, essendosi reso conto dei disordini della sua vita e nel ricordo degli orribili spettacoli della guerra. Si reca nella cattedrale di Nagasaki ed ivi incontra un sacerdote giapponese, con cui si intrattiene a lungo. Incoraggiato, Takashi riprende i suoi studi di radiologia e si mette a leggere la Bibbia, la liturgia, le preghiere dei cattolici. Ma le esigenze morali del Vangelo e la necessità di staccarsi dai legami religiosi scintoistici della sua famiglia, ostacolano ancora la sua conversione. Un giorno, in preda ai suoi dubbi, riprende i «Pensieri» di Pascal e cade su una frase che attira la sua attenzione: «Vi è abbastanza luce per coloro che desiderano soltanto vedere, ed abbastanza oscurità per quelli che sono in una disposizione contraria». Improvvisamente, tutto gli diventa chiaro. Si decide, e chiede il battesimo, che riceve nel giugno del 1934. Sceglie il nome di Paolo, in memoria di San Paolo Miki, martire giapponese crocifisso a Nagasaki nel 1597.
Due mesi dopo, sposa Midori. Prima, ha voluto farle conoscere i rischi gravi cui lo espone il suo mestiere. Infatti, i radiologi dell'epoca non avevano mezzi per proteggersi sufficientemente contro i raggi X. Midori ha capito il pericolo per la vita di Takashi, ma abbraccia il suo punto di vista e condivide il suo ideale di «pioniere», per salvare vite umane. Nagai diventerà più che un medico, un apostolo della carità verso il prossimo. Scrive: «Il compito del medico è quello di soffrire e di rallegrarsi con i suoi pazienti, di sforzarsi di diminuire le loro sofferenze, come se fossero le sue proprie. Bisogna simpatizzare con i dolori. Tuttavia, in fin dei conti, non è il medico che guarisce l'ammalato, ma la volontà di Dio. Una volta che si è capito questo, la diagnosi medica ingenera la preghiera».

Mobilitato ancora una volta, dal giugno 1937 al marzo 1940, partecipa come medico alla guerra cino-giapponese. La sua abnegazione nei riguardi di tutti, soldati giapponesi o cinesi, donne, bambini e vecchi, trascinati inesorabilmente in orribili carneficine, ha assunto un'estensione eroica. Al suo ritorno in Giappone, le richieste di radiografie si moltiplicano. Ben presto, Takashi nota tracce inquietanti sulle sue mani; per di più, si sente sovente spossato. Annota nel suo diario che talvolta, quando è completamente sfinito, chiude la porta e va a sedersi davanti alla statua di Maria, nel suo ufficio. Recita il rosario e, a poco a poco, ritrova la pace interiore.


Tre anni di vita


Un collega di Takashi lo convince a sottoporsi lui stesso ad una radiografia. Una mattina del giugno 1945, si decide: «Prepari l'apparecchio, dice al suo assistente. – Ma, dottore, non c'è ancora nessun paziente. – Eccolo il paziente, risponde Nagai mostrandogli il petto. – E il medico? – Eccolo! e lo designa con gli occhi». Alla vista della radiografia, Nagai resta senza parole: sulla parte sinistra, appare una larga placca nera: ipertrofia della milza! Diagnostica una leucemia. Mormora: «Signore, non sono che un servo inutile. Proteggi Midori e i nostri due figli. Avvenga di me quello che Tu vuoi». Il dottor Kageura, capo del reparto di medicina interna, conferma l'analisi: «Leucemia cronica. Durata di vita: tre anni». Ha logorato la propria vita per salvare innumerevoli malati, che nessuno, tranne lui, avrebbe potuto radiografare.



Di ritorno a casa, Takashi rivela tutto a Midori. Essa si inginocchia davanti al crocifisso che la sua famiglia aveva conservato durante i 250 anni di persecuzioni, e prega a lungo, scossa dai singhiozzi, fino a quando ritrova la pace dell'anima. Anche Nagai prega; è invaso dal rimorso, pensando che si è sempre gettato a capofitto nel lavoro, senza pensare a sufficienza alla moglie. Ma Midori si mostra all'altezza della situazione. Il giorno dopo, è un uomo nuovo che riparte al lavoro: l'accettazione totale della tragedia da parte di Midori ed il suo rifiuto di sentir parlare di «negligenza» lo hanno riempito di forza.
9 agosto 1945, alle ore undici e due minuti. Un lampo abbagliante. Una bomba atomica è appena esplosa su Urakami, nel quartiere nord di Nagasaki. Nella guerra che li oppone al Giappone, i capi degli Stati Uniti ricorrono ad una nuova arma terrificante: la bomba A. Una prima bomba è stata sganciata su Hiroshima, una seconda devasta Nagasaki: temperatura 9 000°, 72 000 morti, 100 000 feriti. All'università di medicina, situata a 700 metri dal centro dell'esplosione, Nagai, che sta classificando pellicole radiografiche, viene proiettato al suolo, con il fianco crivellato da schegge di vetro. Il sangue scorre abbondantemente dalla tempia destra... gli oggetti turbinano come le foglie morte d'autunno. Ben presto, un fiotto ininterrotto di feriti: figure insanguinate, con i vestiti strappati, i capelli bruciati, accorrono alla porta dell'ospedale... Una visione apocalittica.


«Il suo rosario!»


L'incendio si avvicina all'ospedale. I pazienti vengono evacuati in cima ad una collina vicina. Nagai si prodiga fino all'estremo delle forze. Alle sedici, l'incendio raggiunge il reparto di radiologia. Tredici anni di ricerche, gli strumenti, la preziosa documentazione, tutto se ne va in fumo. Il 10 agosto trascorre nelle cure ai feriti. L'11, il lavoro si fa un po' meno urgente, e Takashi va alla ricerca di Midori, rimasta a casa, mentre i figli e la nonna sono al sicuro in montagna, fin dal 7 agosto. Ritrova con difficoltà l'ubicazione della sua casa, in un mare di tegole e cenere. Improvvisamente, scopre i resti carbonizzati della moglie. In ginocchio, prega e piange, poi raccoglie le ossa in un recipiente. Qualcosa brilla debolmente fra la polvere delle ossa della mano destra: il rosario!
China il capo: «Dio mio, ti ringrazio di averle permesso di morire pregando. Maria, madre del dolore, ti ringrazio di averla accompagnata nell'ora della morte... Gesù, hai portato la pesante croce fino ad esservi crocifisso. Ora, hai versato una luce di pace sul mistero della sofferenza e della morte, quella di Midori e la mia... Strano destino: avevo proprio creduto che sarebbe stata Midori a condurmi alla sepoltura... Ora i suoi poveri resti riposano fra le mie braccia... La sua voce sembra mormorare: perdona, perdona». Il perdono di Nagai sarà perfetto. Si adopererà per portare i cristiani, scoraggiati dalla perdita della famiglia, a considerare la bomba A come parte integrante della provvidenza divina, che trae sempre il bene dal male.
Il 15 agosto 1945, a mezzogiorno, la radio trasmette un messaggio dell'Imperatore, che annuncia la capitolazione del Giappone. All'inizio di settembre, Nagai è moribondo. Le radiazioni della bomba A hanno aggravato il suo male. Riceve gli ultimi sacramenti e dice: «Muoio contento», poi piomba in un semicoma. Gli viene portata dell'acqua della grotta di Lourdes, costruita non lontano da lì da Padre Massimiliano Kolbe. «Sentii, scriverà, una voce che mi diceva di chiedere a Padre Massimiliano Kolbe di pregare per me. Lo feci. Poi, mi rivolsi a Cristo e gli dissi: «Signore, mi affido alle tue divine mani»». La mattina dopo, Takashi è fuori pericolo ed attribuisce a Padre Kolbe (oggi canonizzato) la remissione di sei anni che gli lascia la sua malattia.


«Voglio essere il primo a viverci!»


Mentre gli abitanti temono di tornare a Urakami, Nagai dichiara: «Voglio essere il primo a viverci!» Si costruisce un rifugio vicino a quella che fu la sua casa: alcune lamiere appoggiate su quel che rimane di un muro. Davanti, due pietre formano un focolare improvvisato al di sopra del quale pende un paiolo. Accanto, una vecchia bottiglia senza collo: la riserva d'acqua. Come vestiti: una delle divise da marinaio distribuite dall'esercito ai sinistrati. Incomincia a sgombrare le macerie della sua casa. Vi scopre il crocifisso che faceva parte dell'altare familiare: «Mi è stato tolto tutto, dice; ho ritrovato solo questo crocifisso».

Il 23 novembre 1945, Nagai viene invitato a prendere la parola in occasione di una Messa da Requiem celebrata accanto alle rovine della cattedrale di Urakami. L'olocausto di Cristo sul Calvario illumina e dà un senso all' «olocausto» di Nagasaki: «La mattina del 9 agosto, dice Takashi, una bomba atomica esplodeva sopra al nostro quartiere. In un attimo, 8 000 cristiani furono chiamati a sè da Dio... A mezzanotte, quella sera, la nostra cattedrale si incendiò all'improvviso e fu distrutta. Nello stesso istante, al Palazzo Imperiale, Sua Maestà l'Imperatore fece conoscere la sua decisione... Il 15 agosto, l'editto imperiale che metteva fine ai combattimenti fu promulgato ufficialmente e il mondo intero scorse la luce della pace. Il 15 agosto è anche la grande festa dell'Assunzione di Maria. Non per nulla la cattedrale di Urakami le era stata consacrata... Non vi è forse una relazione profonda fra l'annientamento di questa città cristiana e la fine della guerra? Nagasaki non era la vittima scelta, l'agnello immacolato, olocausto offerto sull'altare del sacrificio, morta per i peccati di tutte le nazioni durante la seconda guerra mondiale?... Siamo riconoscenti che Nagasaki sia stata scelta per tale olocausto! Siamo riconoscenti perchè, attraverso questo sacrificio, la pace è stata data al mondo, e la libertà religiosa al Giappone».

Nella primavera del 1947, la malattia costringe Takashi a mettersi a letto nella sua capanna. Deve dimettersi dal suo incarico di professore, e, pertanto, si trova senza risorse. «La mia testa funziona ancora, si dice. Gli occhi, gli orecchi, le mani e le dita sono ancora in buono stato». E si mette a scrivere. Per i suoi figli, ancora molto giovani, Makoto e Kayano, redige una raccolta di consigli: «Miei cari figli, amate il vostro prossimo come voi stessi. Ecco il motto che vi lascio. Con esso comincerò questo scritto, probabilmente lo finirò con esso e sempre con esso riassumerò». Il suo semplice esempio sarebbe bastato per imprimere questo messaggio nei loro cuori. Tutta l'esistenza del loro padre, è stata mai altro che un eroico servizio del prossimo, servizio che lo porta oggi alla morte? Nagai vuol consacrare perfino le sue ultime ore a questo servizio.

Coricato sulla schiena, scrive appoggiandosi su una tavoletta da disegno, come quelle degli scolari. Scrive: «Quando mi sono svegliato stamane all'una, non avevo più febbre. Dopo aver bevuto il caffè del termos, ho potuto scrivere fino alle sette, il lavoro è andato avanti bene!» Gli rimarrà ben presto solo la notte per scrivere, perchè, fin dalla mattina, i visitatori arrivano, ma non fa sentir loro nessuna impazienza: «Mi disturbano, scrive, ma poichè hanno la gentilezza di venire, non devo provare a versare un po' di gioia nel loro cuore e a parlar loro della nostra speranza cattolica? Non posso mandarli via».

È in queste condizioni difficili che scrive e pubblica quindici volumi in quattro anni. Che scopo si propone con i suoi scritti? Prima di tutto, quello di fare un resoconto fedele dell'esplosione atomica, attraverso la sua esperienza eccezionale e la sua competenza personale; quindi, quello di operare all'instaurazione della pace. Convinto soprattutto che una pace duratura si può fondare soltanto sullo spirito d'amore che splende nella dottrina cattolica, considera come sua vocazione quella di propagare il messaggio cristiano.


Un'unica garanzia


Alla fine del libro «Le campane di Nagasaki», scrive: «L'umanità sarà felice nell'era atomica, oppure misera? Di quest'arma a doppio taglio nascosta da Dio nell'universo ed ora scoperta dall'uomo, che farne? Un buon uso farebbe progredire a grandi passi la civiltà; un cattivo uso distruggerebbe il mondo. La decisione sta nel libero volere dell'uomo. Egli tiene in mano il proprio destino. Pensandoci, ci si sente assaliti dal terrore e, per conto mio, credo che un vero spirito religioso sia l'unica garanzia in questo campo... In ginocchio nella cenere del deserto atomico, preghiamo perchè Urakami sia l'ultima vittima della bomba. La campana suona... O Maria concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a te».

Nel marzo del 1951, lo stato di salute del medico è allarmante, senza tuttavia che il suo abituale buonumore ne sia intaccato. In aprile, scrive il suo ultimo libro. L'ha appena finito, quando è vittima di una emorragia cerebrale. Lo si trasporta all'ospedale, dove perde i sensi. Rinvenuto, dice ad alta voce: «Gesù, Maria, Giuseppe», poi, più fievolmente: «Rimetto la mia anima nelle vostre mani». Sconvolta, l'infermiera consegna il grande crocifisso della famiglia a Makoto, suo figlio, perchè lo porti a suo padre. Egli lo afferra e, con voce stranamente forte, esclama: «Pregate, per favore, pregate...»; poi, è la fine... in realtà, tutto comincia in Dio, e Nagai ritrova «Midori al suo fianco», come aveva auspicato sei anni prima. È il 1° maggio, inizio del mese di Maria.

Durante i funerali, nella cattedrale di Urakami, il sindaco di Nagasaki procede alla lettura solenne di 300 messaggi di condoglianze, cominciando da quello del Primo Ministro. Alla fine della cerimonia, la folla si mette in cammino alla volta del cimitero, ad un chilometro e mezzo verso sud; l'inizio del corteo vi giunge, mentre la maggior parte dell'assistenza non ha ancora lasciato la cattedrale. Takashi Nagai viene sepolto accanto a Midori. Per la di lei tomba, aveva scelto come epitaffio: Sono la serva del Signore. Avvenga di me quello che hai detto (Luca 1, 38); per la sua: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quel che dovevamo fare (Luca, 17, 10). La sua influenza si estende grazie ai suoi libri (fin dal 1948, si leggevano ovunque in Giappone), che hanno fornito un contributo notevole all'educazione sociale dei suoi concittadini ed all'evangelizzazione del suo paese.

Chiediamo alla Santissima Vergine ed a San Giuseppe, per noi e per tutti coloro che ci sono cari, una vera conversione, un amore per il prossimo spinto fino al sacrificio supremo, ed una santa morte, che ci introduca nell'eterna felicità del Cielo.
Dom Antoine Marie osb

AVE MARIA!

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