mercoledì 5 agosto 2015

IL BACIO


BACIO. (inizio)


I. La nozione. La letteratura mistica, ispirandosi al Cantico dei Cantici interpretato religiosamente, ha attribuito al b. una valenza soprannaturale massima.

S. Giovanni della Croce scrive: " Mi baci con il b. della sua bocca... affinché con la bocca della mia anima ti baci... Questo avviene quando l'anima gode di quei beni divini (le verità divine) con gustosa e intima pace e con grande libertà di spirito, senza che la parte sensitiva o il demonio, per mezzo di questa, valgano ad impedirlo ".1

Il b. tra l'anima e Dio, " sola a solo ", ha luogo di solito nel matrimonio spirituale. Allora viene sperimentata la fruizione della sapienza e scienza dell'amore teandrico. Anche Teresa d'Avila chiede: " Signor mio, l'unica cosa che chiedo in questa vita è che tu mi baci con il b. della tua bocca, poiché - ella spiega - il b. è segno di pace e di amicizia ".2

II. Nella terminologia mistica c'è un duplice significato. Può essere un tocco sostanziale di Dio all'anima che le fa sperimentare il più alto grado di orazione contemplativa; però è una grazia attuale di tempo limitato e che si esaurisce, lasciando la persona nel desiderio di risperimentarlo. 

Quando il b. invece designa uno stato di intimità vitale tra l'anima e Cristo, tra l'anima e Dio, allora può essere descritto come una condizione stabile di pace e di rapporto amoroso che rende la persona estranea alle turbolenze del mondo, tranquilla nell'area della propria sensualità, felice in Dio. S. Giovanni della Croce 3 lo riconosce come l'elemento più significativo del matrimonio spirituale, la cui essenziale componente è l'unione tra lo Sposo (Cristo, Dio) e la sposa (la persona in grazia contemplativa). 

Nel b. lo Sposo comunica direttamente alla sposa l'effluvio silenzioso dell'amore divinizzante, persuadendola che tutto le è stato perdonato, che è fatta oggetto di predilezione ed è elevata ad efficace strumento di salvezza dei fratelli; le fa gustare la bellezza delle verità che si riferiscono alla vita di Cristo e della Chiesa.

Note: 1 Notte oscura II, 2.8.12; 2 Pensieri dell'amor di Dio, 3,15; 3 Cantico spirituale 22,7.

Bibl. 
S. Bernardo, Sermone III: Del bacio del piede, della mano e della bocca del Signore, in Id., Sermoni sul Cantico dei Cantici, Torino 1947, 85-89; R. Giachetti, Il bacio, Milano 1984; A. Solignac, Osculum, in DSAM XI, 1012-1026.

G.G. Pesenti

La costruzione, richiede lavoro, la consacrazione suppone gioia.




Il nuovo comandamento è un nuovo cantico

       La celebrazione di questa assemblea è la consacrazione della casa della preghiera. Questa è la casa delle nostre preghiere e noi stessi la casa di Dio.

       Se noi siamo la casa di Dio, noi siamo edificati in questo mondo, affinché siamo consacrati alla fine dei tempi.

       L’edificio, anzi la costruzione, richiede lavoro, la consacrazione suppone gioia.

       Ciò che qui avveniva, quando questa casa si innalzava, avviene nel modo in cui i credenti si radunano nel Cristo.

       Col credere, infatti, quasi si recidono dalle selve e dai monti, legna e pietre: quando sono catechizzati, invero, quando sono battezzati e formati, vengono appianati, levigati ed ordinati come [se fossero] tra le mani dei fabbri e degli artisti.

       Tuttavia non edificano la casa del Signore se non quando sono armonizzati per mezzo della carità.

       Questa legna e queste pietre, se non fossero unite tra loro con la carità, se non combaciassero facilmente, se non si amassero in qualche modo, aderendo tra di loro vicendevolmente, nessuno entrerebbe qui.

       Infine, quando tu vedi in qualche fabbrica pietre e legni tra di loro ben compatti, vi entri sicuro, non temi pericolo.

       Volendo, quindi, il Cristo Signore entrare, ed abitare in noi, come se dicesse nell’edificare: Io vi do un nuovo comandamento, che vi amiate gli uni gli altri (Jn 13,34).

       Vi do, disse, un comandamento.

       Eravate, infatti, antichi, e non mi innalzavate, ancora una casa, e giacevate nel vostro errore.

       Dunque, per essere liberati dalla vostra antica rovina, amatevi vicendevolmente.

       Consideri, quindi, la vostra Carità che questa casa sia ancora da edificarsi, come fu predetto e promesso, sulla traccia della terra.  

       Edificandosi, infatti, la casa dopo la schiavitù, come contiene un altro Salmo, veniva detto:

       Cantate al Signore un cantico nuovo; cantate al Signore, tutta la terra! (Ps 95,1).

       Ciò che qui ha detto - Cantico nuovo - lo disse al Signore, Comandamento nuovo... Che cosa ha, infatti, il nuovo cantico, se non l’amore nuovo?

       Il cantare è proprio di colui che ama. La voce di questo cantore, è il fervore del santo amore.

       Dio si deve amare per se stesso, e il prossimo per Dio.        

       Amiamo, amiamo gratuitamente: noi, infatti, amiamo Dio, di cui niente troviamo di meglio.

       Amiamolo per se stesso, e noi in Lui, tuttavia per se stesso.

       Ama veramente l’amico, chi ama Dio nell’amico, o perché è in lui o perché sia in lui.

       Questo è il vero amore: se noi amiamo per un’altra cosa, odiamo piuttosto di amare...

       Dunque, finché attendiamo volentieri alla nuova costruzione di questa santa chiesa, che oggi consacriamo al Nome Divino, troviamo che la più grande lode è dovuta da noi anche al nostro Dio, e un discorso conveniente alla Santità vostra dalla consacrazione della Divina casa.

       Allora il nostro discorso sarà conveniente, se avrà in sé qualcosa di edificazione, che giovi all’utilità delle vostre anime, mentre Dio edifica la sua casa dentro di voi.

       Ciò che noi vediamo materialmente accaduto nelle pareti, avvenga spiritualmente nelle vostre menti; e ciò che qui vediamo portato a compimento sulle pietre e sui legni, venga perfezionato nei vostri cuori con l’aiuto della grazia di Dio.

       Innalziamo, dunque, un ringraziamento al Signore, nostro Dio, in un modo particolare, dal quale viene ogni dono ottimo, e ogni dono perfetto, e lodiamo la sua bontà con tutto l’entusiasmo del cuore, poiché per costruire questa casa della preghiera visitò l’animo dei suoi fedeli, risvegliò l’affetto, porse l’aiuto, ispirò perfino i volenterosi affinché volessero; aiutò gli sforzi di , buona volontà affinché agissero; e per questo Dio che opera nei suoi e il volere e il perfezionare a causa della buona volontà (Ph 2,13) queste cose egli stesso iniziò, ed egli stesso le perfezionò.

       E poiché non permette mai che siano vane le opere buone alla sua presenza, concederà ai suoi fedeli, ai quali, mentre agiscono, offrì il favore della sua virtù, una degna ricompensa per una così grande attività.

       Agostino, Sermo 336, 11, 6

Ma i cristiani d'oggi sanno più queste verità. Quale amore hanno essi per il vero Tempio di Dio?



 


Siamo noi il tempio di Dio

       Abbiamo anche oggi, o fratelli, una festa e una festa speciale. E questo è facile da dire; ma se insistete a chiedermi di quale santo essa sia, la risposta non è più così facile. Quando, infatti, si celebra la memoria di un apostolo, di un martire, o di un confessore, non è difficile dire di chi, come potrebbe essere di san Pietro, di Stefano glorioso, del nostro santo Padre Benedetto, o di un altro dei grandi principi della corte celeste. Ma oggi non si tratta di nessuno di questi; ma c’è una festa e non piccola. E, se volete sentirlo, è la festa della casa di Dio, del tempio di Dio, della città del re eterno, della sposa di Cristo...

       Dov’è questa casa di Dio, tempio, città, sposa di Cristo? Lo dico con timore e rispetto: Siamo noi. Noi, dico, ma nel cuore di Dio. Noi, ma per sua degnazione, non per merito nostro. E non s’arroghi l’uomo, per magnificar se stesso, ciò ch’è di Dio; perché Dio, reclamando il suo, umilierà l’orgoglioso. Perché, anche se per una certa infantile pretesa vogliamo essere salvati gratuitamente, non è quella la via della salvezza. La dissimulazione della propria miseria impedisce la misericordia di Dio, e non c’è posto per divina degnazione, dov’è già presunzione di dignità; è l’umile confessione della sofferenza che attira la compassione. Questa sola fa che il padre di famiglia ci nutra col suo pane e viviamo in abbondanza nella sua casa. Eccoci, dunque, casa di Dio, cui non manca mai il cibo della vita. E ricordati ch’egli chiama la sua casa, casa di preghiera (Mt 21,13). E questo s’accorda con la parola del Profeta, il quale afferma che dobbiamo essere nutriti, attraverso la preghiera, s’intende, col pane delle lagrime e che nelle lagrime ci sarà dato da bere (Ps 79,6). Del resto secondo lo stesso Profeta, come abbiamo già detto, questa casa vuole santità (Ps 92,5): cioè la purità della continenza deve unirsi alle lagrime della penitenza e così quella che è casa diventa anche tempio. Siate santi, perché io, il Signore vostro, sono santo (Lv 11,44) e: Non sapete che i vostri corpi son tempio dello Spirito Santo, e che lo Spirito Santo abita in voi? Se qualcuno oserà profanare il tempio di Dio, Dio lo disperderà (1Co 3,16-17).

       Ma basta poi la sola santità? Secondo l’Apostolo ci vuole anche la pace. Cercate la pace con tutti, e la santità, senza di cui nessuno vedrà Dio (He 12,14). È questa che tiene i fratelli unanimemente insieme e costruisce al nostro re, vero e pacifico, la città nuova, che sarà chiamata anch’essa Gerusalemme, che vuol dire visione di pace. Dov’è raccolta, infatti, una moltitudine, senza un patto di pace, senza osservanza di legge, acefala, senza disciplina e senza governo, lì non c’è un popolo, ma un’orda, non una cittadinanza, ma una baraonda: ha tutte le caratteristiche di una Babilonia, ma di Gerusalemme non ne ha niente...

       È il re che dice anche: Ti ho fatta mia sposa sulla mia parola, deliberatamente e legalmente, ti ho fatta mia sposa per la mia misericordia (Os 2,20). Se non si è diportato da sposo, se non ti ha amato da sposo, se s’è dimostrato geloso di te, non accettare d’essere chiamata sposa.

       Dunque, fratelli, se è vero che siamo casa del gran padre di famiglia per l’abbondanza del cibo, se siam tempio di Dio per la santificazione, se siamo il popolo del gran re per l’armonia della vita comune, se siamo sposa dello sposo immortale per l’amore ch’egli ha per noi, penso che non ci sia nulla che m’impedisca di dire che questa è la nostra festa.

       Bernardo di Chiarav., In dedicat. Eccl. sermo V, 1, 8-10

APPELLO DI GESU' A TUTTI I SACERDOTI DEL MONDO - "UNA VITA SOTTO LO SGUARDO DI DIO"

martedì 4 agosto 2015

Madonna della Neve

Madonna della Neve



La Vergine Maria, oggetto di iperdulìa, è stata invocata in tutti i secoli cristiani, con tante denominazioni legate alle sue virtù, al suo ruolo di corredentrice del genere umano e come Madre di Gesù il Salvatore; inoltre alle sue innumerevoli apparizioni, per i prodigi che si sono avverati con le sue immagini, per il culto locale tributatole in tante comunità.


E per ogni denominazione ella è stata raffigurata con opere d’arte dei più grandi come dei più umili artisti, inoltre con il sorgere di tantissime chiese, santuari, basiliche, cappelle, ecc. a lei dedicate, si può senz’altro dire, che non c’è nel mondo cristiano un paese, una città, un villaggio, che non abbia un tempio o una cappella dedicata a Maria, nelle sue innumerevoli denominazioni.

Il titolo di Madonna della Neve, contrariamente a titoli più recenti come Madonna degli abissi marini, Madonna delle cime dei monti, Madonna delle grotte, ecc. quello di Madonna della Neve affonda le sue origini nei primi secoli della Chiesa ed è strettamente legato al sorgere della Basilica di S. Maria Maggiore in Roma.

Nel IV secolo, sotto il pontificato di papa Liberio (352-366), un nobile e ricco patrizio romano di nome Giovanni, insieme alla sua altrettanto ricca e nobile moglie, non avendo figli decisero di offrire i loro beni alla Santa Vergine, per la costruzione di una chiesa a lei dedicata.

La Madonna gradì il loro desiderio e apparve in sogno ai coniugi la notte fra il 4 e il 5 agosto, tempo di gran caldo a Roma, indicando con un miracolo il luogo dove doveva sorgere la chiesa.

Infatti la mattina dopo, i coniugi romani si recarono da papa Liberio a raccontare il sogno fatto da entrambi, anche il papa aveva fatto lo stesso sogno e quindi si recò sul luogo indicato, il colle Esquilino e lo trovò coperto di neve, in piena estate romana.

Il pontefice tracciò il perimetro della nuova chiesa, seguendo la superficie del terreno innevato e fece costruire il tempio a spese dei nobili coniugi.

Questa la tradizione, anche se essa non è comprovata da nessun documento; la chiesa fu detta ‘Liberiana’ dal nome del pontefice, ma dal popolo fu chiamata anche “ad Nives”, della Neve.

L’antica chiesa fu poi abbattuta al tempo di Sisto III (432-440) il quale in ricordo del Concilio di Efeso (431) dove si era solennemente decretata la Maternità Divina di Maria, volle edificare a Roma una basilica più grande in onore della Vergine, utilizzando anche il materiale di recupero della precedente chiesa.

In quel periodo a Roma nessuna chiesa o basilica raggiungeva la sontuosità del nuovo tempio, né l’imponenza e maestosità; qualche decennio dopo, le fu dato il titolo di Basilica di S. Maria Maggiore, per indicare la sua preminenza su tutte le chiese dedicate alla Madonna.

Nei secoli successivi la basilica ebbe vari interventi di restauro strutturali e artistici, fino a giungere, dal 1750 nelle forme architettoniche che oggi ammiriamo.

Dal 1568 la denominazione ufficiale della festa liturgica della Madonna della Neve, è stata modificata nel termine “Dedicazione di Santa Maria Maggiore” con celebrazione rimasta al 5 agosto; il miracolo della neve in agosto non è più citato in quanto leggendario e non comprovato.

Ma il culto per la Madonna della Neve, andò comunque sempre più affermandosi, tanto è vero che tra i secoli XV e XVIII ci fu la massima diffusione delle chiese dedicate alla Madonna della Neve, con l’instaurarsi di tante celebrazioni locali, che ancora oggi coinvolgono interi paesi e quartieri di città.

A Roma il 5 agosto, nella patriarcale Basilica di S. Maria Maggiore, il miracolo veniva ricordato, non so se ancora oggi si fa, con una pioggia di petali di rose bianche, cadenti dall’interno della cupola durante la solenne celebrazione liturgica.


Il culto come si è detto, ebbe grande diffusione e ancora oggi in Italia si contano ben 152 fra chiese, santuari, basiliche minori, cappelle, parrocchie, confraternite, intitolate alla Madonna della Neve.

Ogni regione ne possiede un buon numero, per lo più concentrate in zone dove la neve non manca, fra le regioni primeggiano il Piemonte con 31, la Lombardia con 19, la Campania con 17. Non conoscendo usi, costumi e tradizioni dei tanti paesi italiani che portano viva devozione alla Madonna della Neve, mi soffermo solo a segnalare tre località dalla mia provincia di Napoli, il cui culto e celebrazione è molto solenne, coinvolgendo la comunità dei fedeli anche in grandi manifestazioni esterne e folcloristiche.

Basilica parrocchia di S. Maria della Neve, patrona del quartiere orientale di Napoli chiamato Ponticelli, la cui devozione iniziò con la bolla di papa Leone X del 22 maggio 1520.
L’antico santuario è stato proclamato Basilica Minore il 27 luglio 1988. Da più di cento anni la solenne processione esterna è effettuata con un alto carro (nel contesto della radicata tradizione napoletana delle macchine da festa), alla cui sommità è posta la statua della Madonna.

Basilica Santuario Maria SS. della Neve in Torre Annunziata (Napoli). L’immagine in terracotta bruna di tipo greco della veneratissima Madonna della Neve, è custodita nella omonima Basilica Minore; essa ha origine con il rinvenimento a mare, presso lo ‘scoglio di Rovigliano’, dell’immagine da parte di pescatori, tra il XIV e XV secolo; le fu dato il nome di Santa Maria ad Nives, perché il ritrovamento era avvenuto un 5 agosto.

La grande processione, che coinvolge tutta la popolosa città, inizia dal porto, dopo che la sacra immagine arriva dal mare con una barca, simulando l’originario rinvenimento.

I torresi, noti nel mondo per la lavorazione della pasta e per il lavoro degli uomini nell’ambito marinaro, sono devotissimi della Madonna, che li liberò da una delle violente eruzioni del Vesuvio, alle cui falde è adagiata Torre Annunziata, il 22 ottobre 1822.

Collegiata di S. Maria Maggiore o della Neve di Somma Vesuviana (Napoli). La Collegiata fu istituita con il titolo di S. Maria Maggiore verso l’anno 1600, al posto di precedenti denominazioni della chiesa, risalenti al Medioevo.

Nella stessa Collegiata è attiva la Confraternita della Madonna della Neve, con confratelli e consorelle, lo Statuto è del 1° settembre 1762; ai confratelli spetta il compito di portare in processione la statua della Madonna.

Nel contesto delle manifestazioni esterne, c’è la “festa delle lucerne”, che si svolge ogni quattro anni nei giorni 3-4-5 agosto; le strade dell’antico borgo medioevale Casamale vengono invase da tanti telai di forme geometriche varie, su ciascuno dei quali sono poggiate circa 50 lucerne, così da dare l’impressione di un fiume sfavillante che percorre il borgo.

Ad accrescere l’effetto visivo, in fondo alla serie di figure geometriche, si colloca un grande specchio, che prolunga con il suo riflesso la suggestiva scia luminosa.

A questo si aggiungono delle zucche vuote illuminate internamente, delle vasche con oche vive, apparati di fiori con l’immagine della Madonna; al passaggio della statua della Vergine in processione, da terrazzi non visibili dalla strada, giungono dall’alto i canti-nenia di gruppi di donne.

Alla processione annuale prendono parte in costumi tipici, i cosiddetti “mesi dell’anno” con l’ausilio di animali da trasporto, componendo con più persone, le figurazioni che rappresentano lo scorrere dell’anno e le varie attività del mondo contadino.

In molte zone d’Italia, in omaggio alla Madonna della Neve, si usa mettere alle neonate i nomi di Bianca, Biancamaria, o più raro il nome Nives.


Autore: 
Antonio Borrelli
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AVE MARIA!
"AVE, GIGLIO BIANCO DELLA TRINITA',
 Rosa splendente che abbellisci il Cielo, Ave! Da Te ha voluto nascere, da Te ha voluto prendere il latte Colui che governa il Cielo e la Terra. Deh! nutri le nostre anime con i Tuoi divini influssi, o Maria!"