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mercoledì 5 agosto 2015

La costruzione, richiede lavoro, la consacrazione suppone gioia.




Il nuovo comandamento è un nuovo cantico

       La celebrazione di questa assemblea è la consacrazione della casa della preghiera. Questa è la casa delle nostre preghiere e noi stessi la casa di Dio.

       Se noi siamo la casa di Dio, noi siamo edificati in questo mondo, affinché siamo consacrati alla fine dei tempi.

       L’edificio, anzi la costruzione, richiede lavoro, la consacrazione suppone gioia.

       Ciò che qui avveniva, quando questa casa si innalzava, avviene nel modo in cui i credenti si radunano nel Cristo.

       Col credere, infatti, quasi si recidono dalle selve e dai monti, legna e pietre: quando sono catechizzati, invero, quando sono battezzati e formati, vengono appianati, levigati ed ordinati come [se fossero] tra le mani dei fabbri e degli artisti.

       Tuttavia non edificano la casa del Signore se non quando sono armonizzati per mezzo della carità.

       Questa legna e queste pietre, se non fossero unite tra loro con la carità, se non combaciassero facilmente, se non si amassero in qualche modo, aderendo tra di loro vicendevolmente, nessuno entrerebbe qui.

       Infine, quando tu vedi in qualche fabbrica pietre e legni tra di loro ben compatti, vi entri sicuro, non temi pericolo.

       Volendo, quindi, il Cristo Signore entrare, ed abitare in noi, come se dicesse nell’edificare: Io vi do un nuovo comandamento, che vi amiate gli uni gli altri (Jn 13,34).

       Vi do, disse, un comandamento.

       Eravate, infatti, antichi, e non mi innalzavate, ancora una casa, e giacevate nel vostro errore.

       Dunque, per essere liberati dalla vostra antica rovina, amatevi vicendevolmente.

       Consideri, quindi, la vostra Carità che questa casa sia ancora da edificarsi, come fu predetto e promesso, sulla traccia della terra.  

       Edificandosi, infatti, la casa dopo la schiavitù, come contiene un altro Salmo, veniva detto:

       Cantate al Signore un cantico nuovo; cantate al Signore, tutta la terra! (Ps 95,1).

       Ciò che qui ha detto - Cantico nuovo - lo disse al Signore, Comandamento nuovo... Che cosa ha, infatti, il nuovo cantico, se non l’amore nuovo?

       Il cantare è proprio di colui che ama. La voce di questo cantore, è il fervore del santo amore.

       Dio si deve amare per se stesso, e il prossimo per Dio.        

       Amiamo, amiamo gratuitamente: noi, infatti, amiamo Dio, di cui niente troviamo di meglio.

       Amiamolo per se stesso, e noi in Lui, tuttavia per se stesso.

       Ama veramente l’amico, chi ama Dio nell’amico, o perché è in lui o perché sia in lui.

       Questo è il vero amore: se noi amiamo per un’altra cosa, odiamo piuttosto di amare...

       Dunque, finché attendiamo volentieri alla nuova costruzione di questa santa chiesa, che oggi consacriamo al Nome Divino, troviamo che la più grande lode è dovuta da noi anche al nostro Dio, e un discorso conveniente alla Santità vostra dalla consacrazione della Divina casa.

       Allora il nostro discorso sarà conveniente, se avrà in sé qualcosa di edificazione, che giovi all’utilità delle vostre anime, mentre Dio edifica la sua casa dentro di voi.

       Ciò che noi vediamo materialmente accaduto nelle pareti, avvenga spiritualmente nelle vostre menti; e ciò che qui vediamo portato a compimento sulle pietre e sui legni, venga perfezionato nei vostri cuori con l’aiuto della grazia di Dio.

       Innalziamo, dunque, un ringraziamento al Signore, nostro Dio, in un modo particolare, dal quale viene ogni dono ottimo, e ogni dono perfetto, e lodiamo la sua bontà con tutto l’entusiasmo del cuore, poiché per costruire questa casa della preghiera visitò l’animo dei suoi fedeli, risvegliò l’affetto, porse l’aiuto, ispirò perfino i volenterosi affinché volessero; aiutò gli sforzi di , buona volontà affinché agissero; e per questo Dio che opera nei suoi e il volere e il perfezionare a causa della buona volontà (Ph 2,13) queste cose egli stesso iniziò, ed egli stesso le perfezionò.

       E poiché non permette mai che siano vane le opere buone alla sua presenza, concederà ai suoi fedeli, ai quali, mentre agiscono, offrì il favore della sua virtù, una degna ricompensa per una così grande attività.

       Agostino, Sermo 336, 11, 6

sabato 8 novembre 2014

Domenica 9 Novembre 2014, Dedicazione della Basilica Lateranense, festa


Maria Valtorta

Domenica 9 Novembre 2014, Dedicazione della Basilica Lateranense, festa

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 2,13-22.
Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco.
Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi,
e ai venditori di colombe disse: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato».
I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divora.
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?».
Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».
Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?».
Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Traduzione liturgica della Bibbia

Corrispondenza nel "l'Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 53 pagina 331.

La cacciata dei mercanti dal Tempio.
24 ottobre 1944.
[...].
Vedo Gesù che entra con Pietro, Andrea, Giovanni e Giacomo, Filippo e Bartolomeo, nel recinto del Tempio.
Vi è grandissima folla entro e fuori di esso. Pellegrini che giungono a frotte da ogni parte della città. Dall’alto del colle su cui il tempio è costruito, si vedono le vie cittadine, strette e contorte, formicolare di gente. Pare che tra il bianco crudo delle case si sia steso un nastro semovente dai mille colori. Sì, la città ha l’aspetto di un bizzarro giocattolo, fatto di nastri variopinti fra due fili bianchi e tutti convergenti al punto dove splendono le cupole della Casa del Signore.

Nell’interno poi è... una vera fiera. Ogni raccoglimento di luoghi sacri è annullato. Chi corre e chi chiama, chi contratta gli agnelli e urla e maledice per il prezzo esoso, chi spinge le povere bestie belanti nei recinti (sono rudimentali divisioni di corde o di pioli, al cui ingresso sta il mercante, o proprietario che sia, in attesa dei compratori). Legnate, belati, bestemmie, richiami, insulti ai garzoni non solleciti nelle operazioni di adunata e di cernita delle bestie e ai compratori che lesinano sul prezzo o che se ne vanno, maggiori insulti a quelli che, previdenti, hanno portato, di loro, l’agnello.
Intorno ai banchi dei cambiavalute, altro vocio. Si capisce che, non so se in ogni momento o in questo pasquale, si capisce che il Tempio funzionava da ... Borsa, e borsa nera. I valore delle monete non era fisso. Vi era quello legale, di certo vi sarà stato, ma i cambiavalute ne imponevano un altro, appropriandosi di un tanto, messo a capriccio, per il cambio delle monete. E le assicuro che non scherzavano nelle operazioni di strozzinaggio!... Più uno era povero e veniva da lontano, e più era pelato. I vecchi più dei giovani, quelli provenienti da oltre Palestina più dei vecchi.

Dei poveri vecchierelli guardavano e riguardavano il loro peculio messo da parte con chissà che fatica in tutta l’annata, se lo levavano e se lo rimettevano in seno cento volte, girando dall’uno all’altro cambiavalute e finivano magari per tornare dal primo, che si vendica della loro iniziale diserzione, aumentando l’aggio del cambio... e le grosse monete lasciavano, tra dei sospiri, le mani del proprietario e passavano fra le grinfie dell’usuraio e venivano mutate in monete più spicciole. Poi altra tragedia di scelte, di conti e sospiri davanti ai venditori di agnelli, i quali, ai vecchietti mezzi ciechi, appioppavano gli agnelli più grami.
Vedo tornare due vecchietti, lui e lei, spingendo un povero agnelletto che deve essere stato trovato difettoso dai sacrificatori. Pianti, suppliche, mali garbi, parolacce si incrociano senza che il venditore si commuova.
“Per quello che volete spendere, galilei, è fin troppo bello quanto vi ho dato. Andatevene! O aggiungete altri cinque denari per averne uno più bello.”
“In nome di Dio! Siamo poveri e vecchi! Vuoi impedirci di fare la Pasqua, che è l’ultima forse? Non ti basta quello che hai voluto per una piccola bestia?”

“Fate largo, lerciosi. Viene a me Giuseppe l’Anziano. Mi onora della sua preferenza. Dio sia con te! Vieni, scegli!”
“Entra nel recinto, e prende un magnifico agnello, quello che è chiamato Giuseppe l’Anziano, ossia il d’Arimatea. Passa pomposo nella veste, e superbo, senza guardare i poverelli gementi alla porta, anzi all’apertura del recinto. Li urta, quasi, specie quando esce coll’agnello grasso e belante.
Ma anche Gesù è ormai vicino. Anche Lui ha fatto il suo acquisto, e Pietro, che probabilmente ha contrattato per Lui, si tira dietro un agnello discreto.
Pietro vorrebbe andare subito verso il luogo dove si sacrifica. Ma Gesù piega a destra, verso i due vecchietti sgomenti, piangenti, indecisi, che la folla urta e il venditore insulta.
Gesù, tanto alto da avere il capo dei due nonnetti all’altezza del cuore, pone una mano sulla spalla della donna e chiede: “Perché piangi, donna?”
La vecchietta si volge e vede questo giovane alto, solenne nel suo bell’abito bianco e nel mantello pure di neve, tutto nuovo e mondo. Lo deve scambiare per un dottore sia per la veste che per l’aspetto e, stupita, perché dottori e sacerdoti non fanno caso alla gente, né tutelano i poveri contro l’esosità dei mercanti, dice le ragioni del loro pianto.
Gesù si rivolge all’uomo degli agnelli. “Cambia questo agnello a questi fedeli. Non è degno dell’altare, come non è degno che tu ti approfitti di due vecchierelli perché deboli e indifesi.”

“E Tu chi sei?”
“Un giusto.”
“La tua parlata e quella dei tuoi compagni ti dicono galileo. Può essere mai in Galilea un giusto?”
“Fa quello che ti dico e sii giusto tu.”
“Udite! Udite il galileo difensore dei suoi pari! Egli vuole insegnare a noi del Tempio! L’uomo ride e beffeggia, contraffacendo la cadenza galilea, che è più cantante e ricca di dolcezza della giudaica, almeno così mi pare.
Della gente si fa intorno, e altri mercanti e cambiavalute prendono le difese del consocio contro Gesù.
Fra i presenti vi sono due o tre rabbini ironici. Uno di questi chiede: “Sei Tu dottore?” in un modo tale da far perdere la pazienza a Giobbe.
“Lo hai detto.”
“Che insegni?”


“Questo insegno: a rendere la Casa di Dio casa di orazione e non un posto di usura e di mercato. Questo insegno.”

Gesù è terribile. Pare l’arcangelo posto sulla soglia del Paradiso perduto. Non ha spada fiammeggiante tra le mani, ma ha i raggi negli occhi, e fulmina derisori e sacrileghi. In mano non ha nulla. Solo la sua santa ira. E con questa, camminando veloce e imponente fra banco e e banco, sparpaglia le monete così meticolosamente allineate per qualità, ribalta tavoli e tavolini, e tutto cade con fracasso al suolo, fra un gran rumore di metalli rimbalzanti e legni percossi e grida d’ira, di sgomento, di approvazione. Poi, strappate di mano a dei garzoni del bestiame, delle funi con cui essi tenevano a posto bovi, pecore, e agnelli, ne fa una sferza ben dura, in cui i nodi per formare i lacci scorsoi divengono flagelli, e l’alza e la rotea e l’abbassa, senza pietà. Sì, le assicuro: senza pietà.
La impensata gradine percuote teste e schiene. I fedeli si scansano ammirando la scena; i colpevoli, inseguiti fino alla cinta esterna, se la danno a gambe lasciando per terra denaro e indietro bestie e bestiole in un grande arruffio di gambe, di corna, di ali; chi corre, chi vola via; e muggiti, belati, scruccolii di colombi e tortore, insieme a risate e urla di fedeli dietro agli strozzini in fuga, soverchiano persino il lamentoso coro degli agnelli, sgozzati in un altro cortile di certo.
Accorrono sacerdoti insieme a rabbini e farisei. Gesù è ancora in mezzo al cortile, di ritorno da suo inseguimento. La sferza è ancora nella sua mano.

“Chi sei? Come ti permetti di fare questo, turbando le cerimonie prescritte? Da quale scuola provieni? Noi non ti conosciamo, né sappiamo chi sei.”
“Io sono Colui che posso. Tutto Io posso. Disfate pure questo Tempio vero ed Io lo risorgerò per dar lode a Dio. Non Io turbo la santità della Casa di Dio e delle cerimonie, ma voi la turbate permettendo che la sua dimora divenga sede agli usurai ed ai mercanti. La mia scuola è la scuola di Dio. La stessa che ebbe tutto Israele per bocca dell’Eterno parlante a Mosè. Non mi conoscete? Mi conoscerete. Non sapete da dove Io vengo? Lo saprete.”

E volgendosi al popolo, senza più curarsi dei sacerdoti, alto nell’abito bianco, col mantello aperto e fluente dietro le spalle, a braccia aperte come un oratore nel più vivo della sua orazione, dice:

“Udite, voi di Israele! Nel Deuteronomio è detto: ‘’Tu costituirai dei giudici e dei magistrati a tutte le porte... ed essi giudicheranno il popolo con giustizia, senza propendere da nessuna parte. Tu non avrai riguardi personali, non accetterai donativi, perché i donativi accecano gli occhi dei savi ed alterano le parole dei giusti. Con giustizia seguirai ciò che è giusto per vivere e possedere la terra che il Signore tuo ti avrà data.’’

Udite, o voi di Israele! Nel Deuteronomio è detto: ‘’I sacerdoti e i leviti e tutti quelli della tribù di Levi non avranno parte né eredità col resto di Israele, perché devono vivere coi sacrifizi del Signore e colle offerte che a Lui sono fatte; nulla avranno tra i possessi dei loro fratelli, perché il Signore è la loro eredità.’’
Udite, o voi di Israele! Nel deuteronomio è detto: ‘’Non presterai ad interesse al tuo fratello né denaro, né grano, né qualsiasi altra cosa. Potrai prestare ad interesse allo straniero; al tuo fratello invece presterai senza interesse quello che gli bisogna’’.
Questo ha detto il Signore.

Ora voi vedete che senza giustizia verso il povero si siede in Israele. Non nel giusto, ma nel forte si propende, ad esser povero, esser popolo, vuol dire essere oppresso. Come può il popolo dire: ‘’Chi ci giudica è giusto’’ se vede che solo i potenti sono rispettati e ascoltati, mentre il povero non ha chi lo ascolti? Come può il popolo rispettare il Signore, se vede che non lo rispettano coloro che più dovrebbero farlo? E’ rispetto al Signore la violazione del suo comando? E perché allora i sacerdoti in Israele hanno possessi e accettano donativi da pubblicani e peccatori, i quali così fanno per avere benigni i sacerdoti, così come questi fanno per avere ricco scrigno?

Dio è l’eredità dei suoi sacerdoti. Per essi, Egli, il Padre di Israele, è più che mai Padre, e provvede al cibo come è giusto. Ma non più di quanto sia giusto. Non ha promesso ai suoi servi del Santuario borsa e possessi. Nell’eternità avranno il Cielo per la loro giustizia, come lo avranno Mosé ed Elia e Giacobbe e Abramo, ma su questa terra non devono avere che veste di lino e diadema di incorruttibile oro: purezza e carità, e che il corpo sia servo allo spirito che è servo del Dio vero, e non sia il corpo colui che è signore sullo spirito e contro Dio.

M’è stato chiesto con quale autorità Io faccio questo Ed essi con quale autorità profanano il comando di Dio e all’ombra delle sacre mura permettono usura contro i fratelli di Israele, venuti per ubbidire al comando divino? M’è stato chiesto da quale scuola Io provengo ed ho risposto: ‘’Dalla scuola di Dio’’. Sì, Israele, Io vengo e ti riporto a questa scuola santa e immutabile.

Chi vuol conoscere la Luce, la Verità, la Vita, chi vuole risentire la voce di Dio parlante al suo popolo, a Me venga. Avete seguito Mosé attraverso i deserti, o voi di Israele. Seguitemi, ché Io vi porto, attraverso a ben più tristo deserto, incontro alla vera Terra beata. Per mare aperto al comando di Dio ad essa vi traggo. Alzando il mio Segno, da ogni male Io vi guarisco.
L’ora della Grazia è venuta. L’hanno attesa i Patriarchi e sono morti nell’attenderla. L’hanno predetta i Profeti e sono morti con questa speranza. L’hanno sognata i giusti e sono morti confortati da questo sogno. Ora è sorta.
Venite. ‘’Il Signore sta per giudicare il suo popolo e per fare misericordia ai suoi servi’’, come ha promesso per bocca di Mosè.”

La gente, assiepata intorno a Gesù, è rimasta a bocca aperta ad ascoltarlo. Poi commenta le parole del nuovo Rabbi e interroga i suoi compagni.
Gesù si avvia verso un altro cortile, separato da questo da un porticato. Gli amici lo seguono e la visione ha fine.

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/