martedì 7 luglio 2015

Affrettatevi!


Voi tutti che avete sete, venite a dissetarvi a questa fonte. Affrettatevi! 

Perché aspettate anche un momento soltanto? 

Temete per caso di offendere la bontà del vostro Redentore, ricorrendo al Cuore di sua Madre? 

Non sapete che Maria nulla è, nulla può e nulla ha che non sia di Gesù, per Gesù e in Gesù? 

E che è Gesù che è tutto, può tutto e fa tutto in Lei? 

Ignorate che Gesù non solo risiede e Si manifesta continuamente nel Cuore di Maria, ma è Lui stesso il cuore del Cuore di Lei e che, pertanto, andare al Cuore di Maria è onorare Gesù, invocare il Cuore di Maria è invocare Gesù?

Dal Lezionario di San Giovanni Eudes

NON PREDICANO I NOVISSIMI, NON ASCOLTATELI!



Ma questo è ancora Cristianesimo? 


 Per la salvezza eterna dell'uomo, di ogni uomo, e non per renderlo cosciente di una salvezza già avvenuta: per questo c'è la Chiesa. 

 La differenza sta tutta qui. Ormai il Cattolicesimo in mezzo a noi ha preso un'altra forma, questo fatto è sotto gli occhi di tutti. La preoccupazione non è più la salvezza delle anime. Chi frequenta ancora le chiese, difficilmente sentirà predicare questo che è il cuore del cristianesimo: Nostro Signore Gesù Cristo è l'unico Redentore, occorre pentirsi e cambiare vita, essere battezzati e accostarsi ai sacramenti, occorre vivere in grazia di Dio per la salvezza dell'anima nostra. No, di tutto questo non si parla più. E lo vedremo in questo “Anno della fede”, nel quale, ahimè, si sarà preoccupati di celebrare le date della Chiesa, ma non si affermerà la preoccupazione della salvezza delle anime. 

  Perché tutto questo? Semplicemente perché dopo il Concilio si è di fatto prodotta una mutazione della fede cattolica, i cui tragici frutti cogliamo pienamente in questi tempi. 

  Hanno in testa molti, troppi, quasi tutti, che la salvezza delle anime è già avvenuta, e che ora bisogna solo rendere coscienti gli uomini di questo dono dall'alto. È una Chiesa, questa, che ha spostato tutto sull'umano, sull'antropologia, sul benessere della persona, sulla ricerca della felicità. 

 Ma questo è ancora Cristianesimo? Gesù non è venuto perché senza di Lui non possiamo salvarci? Non è morto in Croce per liberarci dal potere del Demonio e per riaprirci il Paradiso? Non ha comandato ai suoi discepoli di predicare il Vangelo sino agli estremi confini della terra e di battezzare?: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, chi non crederà sarà condannato” ...non è scritto così? 

  Invano attenderete, nei dibattiti televisivi sul Concilio, che l'ecclesiastico di turno vi parli della questione della salvezza eterna. Ma se non è in gioco questo, che ci sta a fare l'ecclesiastico di turno e la Chiesa stessa? Capita di vedere un Cardinale, quello di Milano, su “LA7”, sfoderare un irenismo ridicolo e cieco sulla situazione della Chiesa (“Quando visito le chiese, sono sempre piene”... “Non è vero che c'è crisi”), sentirlo parlare di un fumoso cristianesimo in un discorso che assomiglia più ad una lezione di antropologia, reagire infastidito alle chiare affermazioni del Prof. De Mattei sulla spaventosa crisi seguita al Vaticano II, mentre il laico di turno, nel caso Giuliano Ferrara, ricorda che occorre parlare anche dell'Inferno, oltre che della “pienezza umana” portata da Cristo. Siamo a questo punto: quelli fuori della Chiesa ricordano alla Chiesa l'essenziale, che essa non predica più. 

  Ma attenti tutto questo è più che drammatico, perché cambiare la prospettiva vuol dire cambiare tutto. 

 Se lo scopo è rendere migliore, più cosciente la vita di quaggiù, e non la salvezza eterna, siamo di fronte ad una modificazione profonda del Cristianesimo, siamo di fronte ad una nuova religione, che non è più quella di Nostro Signore Gesù Cristo. Siamo di fronte alla religione dell'uomo, e non alla religione di Dio. 

 Un grande sacerdote santo, il Père Emmanuel Andrè, chiamava tutto questo “Naturalismo”: tutto è ridotto alla natura, all'uomo. È il più grande e devastante cancro del Cattolicesimo. E lo stesso Pére Emmanuel diceva che occorre, di fronte a questo male, essere “uomini di Dio, uomini di reazione”: entrambe le cose... di Dio e di reazione. Sì: occorre PREGARE E REAGIRE, dire basta!, non avere più a che fare con coloro che stanno affossando la Chiesa e la fede Cattolica. 

 Sono nostri pastori coloro che custodiscono il cattolicesimo, non coloro che lo svendono trasformandolo in antropologia religiosa per entrare nei salotti culturali di questa stanca società occidentale. Come fare per sapere se i pastori sono degni di essere ascoltati e seguiti? È semplice: se parlano ancora della salvezza eterna, se parlano dei Novissimi: Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso. Se nel loro parlare tutto questo non compare mai, diffidate, hanno già cambiato la fede.

<<SPIRITO SANTO, ISPIRAMI.
AMORE DI DIO, CONSUMAMI.
NEL VERO CAMMINO, CONDUCIMI.
MARIA MADRE MIA, GUARDAMI.
CON GESU’ BENEDICIMI.
DA OGNI MALE, DA OGNI ILLUSIONE,
DA OGNI PERICOLO, PRESERVAMI.>>


Non fu mai abolita.


Editoriale di "Radicati nella fede", foglio di collegamento della chiesa di Vocogno e della cappella dell'Ospedale di Domodossola dove si celebra la Messa tradizionale.
[Radicati nella fede, n° 8 agosto 2012]

 "Il Summorum Pontificum, un'arma a 

doppio taglio. 

 Non vogliamo fare una critica al documento del Santo Padre, state tranquilli, vogliamo solo dire che può essere usato differentemente, a seconda delle intenzioni che si hanno. 
  Di fatto abbiamo assistito a un fenomeno strano, in questi cinque anni: alSummorum Pontificum si sono richiamati tutti o quasi, sia quelli che volevano il ritorno della Tradizione nelle chiese della cattolicità, sia quelli che volevano arginarla, perché non desse fastidio al nuovo corso di violenta modernizzazione, ormai introdotto da quasi mezzo secolo. 

 Tutto questo noi lo constatammo già nel luglio del 2007. Entusiasti iniziammo a celebrare nel Vetus Ordo (la messa tradizionale), lieti della liberalizzazione miracolosamente operata da Benedetto XVI, e le curie intervennero per dire che quello che facevamo non era l'intenzione vera del Santo Padre. Vi risparmiamo tutti i “tira e molla” di quel tempo, con le diatribe su cosa fosse “messa privata” e su cosa non lo fosse: si arrivò a pretendere che i sacerdoti avessero la libertà di celebrare la messa “antica”, da soli, a porte chiuse, con al massimo un inserviente ben preparato... più “privata” di così si muore, è il caso di dirlo!... si arrivò ad esigere i dati di tutti i richiedenti e assistenti alla messa tradizionale, alla faccia della “privacy”, si tentò di vietare catechismo e predicazione. Tutto questo veniva fatto richiamandosi ai vari cavilli giuridici del documento papale, ai cavilli giuridici, non alla sostanza. 

 Poi ci si risolse a screditare dietro le quinte i fedeli della tradizione, con le parole magiche... ”sono dei disobbedienti”, senza specificare oltre. 

 In una Chiesa dove regna il caos su tutto, dove pochissimi accettano ancora tutte le verità del Credo senza esclusione, dove i comandamenti sono accolti o rifiutati a piacimento, dove i parroci non possono chiedere quasi più nulla ai fedeli, pena l'essere sottoposti al giudizio pubblico, dove il Papa è criticato per gusti personali (simpatico-antipatico), dove anche nei confessionali la legge morale è sovente inventata dal sacerdote di turno, più o meno “aperto” alle nuove esigenze umane, è molto strano che gli unici “disobbedienti” siano i sacerdoti e i fedeli amanti della Tradizione! 

 Non è che la questione dell'obbedienza la si tiri fuori solo per fermare il ritorno alla Tradizione? Quanti fedeli sono stati spaventati così, sibilando loro “attento, sono dei disobbedienti”? Ma quelli che così hanno sibilato, si sono poi curati delle loro anime? ...temiamo di no, l'unico desiderio loro era quello di staccarli dalla Tradizione. 

 C'è una cosa che resta il punto centrale del motu proprio Summorum Pontificum, la sostanza: “La messa tradizionale non fu mai abolita” questo è il punto chiaro. Da qui bisogna partire per capirci. Non è una concessione, la messa tradizionale, è una realtà, fa parte della vita della Chiesa. È quindi questione di giustizia non fermarla, la messa di sempre, non impedirne i frutti, né con i mezzi espliciti dei divieti, né con quelli subdoli dell'instillare i dubbi. 

 Non fu mai abolita. E allora, lasciatela libera di operare il bene di sempre in tutti i campi della vita. Non fu mai abolita, è stata la messa di secoli e secoli di cristianità, ha fatto i santi della Chiesa... ma allora di cosa avete paura? Sì, di cosa avete paura? Se la fede della Chiesa è quella di sempre, perché avere paura della messa di sempre? A meno che qualcuno pensi che la fede cambi a seconda delle epoche, ma questa è un'altra storia, si chiama modernismo, è un'eresia bella e buona, anzi è l'insieme di tutte le eresie. 

 E allora, disobbediente è chi pensa che bisogna modernizzare la fede: e questa è la disobbedienza, la sola gravissima, quella non contro le leggi umane, ma contro la fede."

AVE MARIA!

Ninnananna di Maria

1. Ninnananna di Maria




       Ho guardato stupito Maria che allatta colui che nutre tutti i popoli, ma s’è fatto bimbo. Dimorò nel seno d’una fanciulla, colui che di sé riempie il mondo.

       Una figlia di poveri è diventata madre del Ricchissimo, che si fece portare dall’amore. C’è un fuoco nel seno della vergine, ma la vergine non vien bruciata da quella fiamma.

       Un carbone acceso ha abbracciato Maria; essa lo porta in braccio e non ne è lesa. La fiamma riveste il corpo ed è portata sulle mani da Maria.

       Un gran sole si è raccolto e nascosto in una nube splendida. Una fanciulla è diventata madre di colui che ha creato l’uomo e il mondo.

       Essa portava un bambino, lo carezzava, lo abbracciava, lo vezzeggiava con le più belle parole e lo adorava dicendogli: «Dimmi, maestro mio, di abbracciarti».

       Poiché sei mio figlio, ti cullerò con le mie cantilene; sono tua madre, ma ti onorerò. Figlio mio, ti ho generato, ma sei più antico di me; mio Signore, ti ho portato in seno, ma tu mi reggi in piedi.

       La mia mente è sconvolta da timore, dammi la forza di lodarti. Non so dire come tu stia zitto, quando so che in te rintronano i tuoni.

       Sei nato da me come un bimbo, ma sei forte come un gigante; sei l’Ammirabile come ti chiamò Isaia, quando profetizzò di te.

       Ecco sei tutto con me, eppure stai tutto nascosto nel Padre tuo. Tutte le altezze del cielo son piene della tua maestà, eppure il mio seno non è stato troppo piccolo per te.

       La tua casa è in me e nei cieli. Ti loderò coi cieli. I celesti mi guardano con ammirazione e mi chiamano benedetta.

       Mi sostenga il cielo col suo abbraccio, perché più di esso io sono stata onorata. Il cielo, infatti, non ti è stato madre; ma tu lo facesti tuo trono.

       La madre del re quant’è più venerabile del suo trono! Ti benedirò, Signore, perché hai voluto che fossi tua madre, ti celebrerò con belle cantilene.

       O gigante che sorreggi la terra e volesti ch’essa ti sorreggesse, sii benedetto. Gloria a te, o ricco, che ti sei fatto figlio d’una poverella.

       Il mio magnificat per te, che sei più antico di tutti, eppure, fatto bambino, scendesti in me. Siedi sulle mie ginocchia; eppure su di te sta sospeso il mondo, le più alte vette e gli abissi più profondi.

       Stringi il mio seno e sorreggi la terra, i mari e tutto ciò ch’è in essi. Ecco il tuo cocchio è nei cieli, ed io ti porto sulle mie braccia.

       Tu stai con me, e tutti i cori degli angeli ti adorano. Mentre te ne stai stretto tra le mie braccia, sei portato dai Cherubini.

       I cieli son pieni della tua gloria, eppure il seno d’una figlia della terra ti tiene tutto. Tra i celesti abiti nel fuoco, e non bruci i terrestri.

       I Serafini ti proclamano tre volte santo: cosa potrei, Signore, dirti di più? I Cherubini ti benedicono tremando e puoi essere onorato dai miei canti?

       Mi senta adesso e venga da me l’antica Eva, l’antica nostra madre; si sollevi il suo capo, il capo che fu abbassato sotto la vergogna dell’orto.

       Scopra il suo viso e si rallegri con te, perché hai portato via la sua vergogna; senta la parola di pace piena, perché una sua figlia ha pagato il suo debito.

       Il serpente, che la sedusse, è stato stritolato da te, germoglio che sei nato dal mio seno. Il Cherubino e la sua spada per te sono stati rimossi, perché Adamo possa tornare nel paradiso, dal quale era stato espulso.

       Eva e Adamo ricorrano a te e prendano da me il frutto della vita; per te si farà dolce quella loro bocca, che il frutto vietato aveva fatto amara.

       I servi espulsi tornino per te, perché possano ottenere quei beni dei quali erano stati spogliati. Sarai tu per loro una veste di gloria, per ricoprire la loro nudità».

      

       Efrem, Hymn. 18, 1-23





LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

lunedì 6 luglio 2015

Benedetto XVI riceve due Lauree “honoris causa”

Benedetto XVI riceve due Lauree “honoris causa”: il testo integrale del discorso del Papa Emerito


Parole di ringraziamento di Benedetto XVI, Papa emerito, in occasione del conferimento del dottorato “honoris causa” da parte della Pontificia Università “Giovanni Paolo II” di Cracovia e dell’Accademia di Musica di Cracovia (Polonia), 04.07.2015

Questa mattina a Castel Gandolfo, il Papa emerito Benedetto XVI, ha ricevuto il dottorato honoris causa da parte della Pontificia Università “Giovanni Paolo II” di Cracovia e dell’Accademia di Musica di Cracovia (Polonia). A conferire le due Lauree è stato il Card. Stanisław Dziwisz, Arcivescovo di Cracovia, Gran Cancelliere della Pontificia Università “Giovanni Paolo II”.
Riportiamo di seguito le parole di ringraziamento che Benedetto XVI ha pronunciato nel corso della cerimonia:

Testo in lingua italiana

Eminenza!

Eccellenze!

Magnificenze!

Illustri Signori Professori!

Signore e Signori!

In questo momento non posso che esprimere il mio più grande e cordiale ringraziamento per l’onore che mi avete riservato conferendomi il doctoratus honoris causa. Ringrazio il Gran Cancelliere la cara Eminenza il Cardinale Stanisław Dziwisz e le autorità Accademiche di tutti e due gli Atenei. 
Mi rallegra soprattutto il fatto che in questo modo è divenuto ancor più profondo il mio legame con la Polonia, con Cracovia, con la patria del nostro grande santo Giovanni Paolo II. Perché senza di lui il mio cammino spirituale e teologico non è neanche immaginabile. 
Con il suo esempio vivo egli ci ha anche mostrato come possano andare mano nella mano la gioia della grande musica sacra e il compito della partecipazione comune alla sacra liturgia, la gioia solenne e la semplicità dell’umile celebrazione della fede.

Negli anni del post-concilio, su questo punto si era manifestato con rinnovata passione un antichissimo contrasto. 
Io stesso sono cresciuto nel Salisburghese segnato dalla grande tradizione di questa città. Qui andava da sé che le messe festive accompagnate dal coro e dall’orchestra fossero parte integrante della nostra esperienza della fede nella celebrazione della liturgia. 
Rimane indelebilmente impresso nella mia memoria come, ad esempio, non appena risuonavano le prime note della Messa dell’incoronazione di Mozart, il cielo quasi si aprisse e si sperimentasse molto profondamente la presenza del Signore. - E grazie anche a voi, che mi avete fatto sentire Mozart, e anche al Coro: dei grandi canti! - Accanto a questo, tuttavia, era comunque già presente anche la nuova realtà del Movimento liturgico, soprattutto tramite uno dei nostri cappellani che più tardi divenne vice-reggente e poi rettore del Seminario maggiore di Frisinga. Durante i miei studi a Monaco di Baviera, poi, molto concretamente sono sempre più entrato all’interno del Movimento liturgico attraverso le lezioni del professor Pascher, uno dei più significativi esperti del Concilio in materia liturgica, e soprattutto attraverso la vita liturgica nella comunità del seminario. 
Così a poco a poco divenne percepibile la tensione fra la participatio actuosa conforme alla liturgia e la musica solenne che avvolgeva l’azione sacra, anche se non la avvertii ancora così forte.

Nella Costituzione sulla liturgia del Concilio Vaticano II è scritto molto chiaramente: «Si conservi e si incrementi con grande cura il patrimonio della musica sacra» (114). 
D’altro canto il testo evidenzia, quale categoria liturgica fondamentale, la participatio actuosa di tutti i fedeli all’azione sacra. Quel che nella Costituzione sta ancora pacificamente insieme, successivamente, nella recezione del Concilio, è stato sovente in un rapporto di drammatica tensione. 
Ambienti significativi del Movimento liturgico ritenevano che, per le grandi opere corali e financo per le messe per orchestra, in futuro ci sarebbe stato spazio solo nelle sale da concerto, non nella liturgia. Qui ci sarebbe potuto esser posto solo per il canto e la preghiera comune dei fedeli. 
D’altra parte c’era sgomento per l’impoverimento culturale della Chiesa che da questo sarebbe necessariamente scaturito
In che modo conciliare le due cose? Come attuare il Concilio nella sua interezza? Queste erano le domande che si imponevano a me e a molti altri fedeli, a gente semplice non meno che a persone in possesso di una formazione teologica.

A questo punto forse è giusto porre la domanda di fondo: Che cos’è in realtà la musica? Da dove viene e a cosa tende?

Penso si possano localizzare tre “luoghi” da cui scaturisce la musica.

Una sua prima scaturigine è l’esperienza dell’amore. Quando gli uomini furono afferrati dall’amore, si schiuse loro un’altra dimensione dell’essere, una nuova grandezza e ampiezza della realtà. Ed essa spinse anche a esprimersi in modo nuovo. La poesia, il canto e la musica in genere sono nati da questo essere colpiti, da questo schiudersi di una nuova dimensione della vita.

Una seconda origine della musica è l’esperienza della tristezza, l’essere toccati dalla morte, dal dolore e dagli abissi dell’esistenza. Anche in questo caso si schiudono, in direzione opposta, nuove dimensioni della realtà che non possono più trovare risposta nei soli discorsi.

Infine, il terzo luogo d’origine della musica è l’incontro con il divino, che sin dall’inizio è parte di ciò che definisce l’umano. A maggior ragione è qui che è presente il totalmente altro e il totalmente grande che suscita nell’uomo nuovi modi di esprimersi
Forse è possibile affermare che in realtà anche negli altri due ambiti – l’amore e la morte – il mistero divino ci tocca e, in questo senso, è l’essere toccati da Dio che complessivamente costituisce l’origine della musica. Trovo commovente osservare come ad esempio nei Salmi agli uomini non basti più neanche il canto, e si fa appello a tutti gli strumenti: viene risvegliata la musica nascosta della creazione, il suo linguaggio misterioso. Con il Salterio, nel quale operano anche i due motivi dell’amore e della morte, ci troviamo direttamente all’origine della musica sacra della Chiesa di Dio. Si può dire che la qualità della musica dipende dalla purezza e dalla grandezza dell’incontro con il divino, con l’esperienza dell’amore e del dolore. Quanto più pura e vera è quest’esperienza, tanto più pura e grande sarà anche la musica che da essa nasce e si sviluppa.

A questo punto vorrei esprimere un pensiero che negli ultimi tempi mi ha preso sempre più, tanto più quanto le diverse culture e religioni entrano in relazione fra loro. Nell’ambito delle diverse culture e religioni è presente una grande letteratura, una grande architettura, una grande pittura e grandi sculture. E ovunque c’è anche la musica. E tuttavia in nessun’altro ambito culturale c’è una musica di grandezza pari a quella nata nell’ambito della fede cristiana: da Palestrina a Bach, a Händel, sino a Mozart, Beethoven e Bruckner. La musica occidentale è qualcosa di unico, che non ha eguali nelle altre culture. E questo - mi sembra - ci deve far pensare.

Certo, la musica occidentale supera di molto l’ambito religioso ed ecclesiale. E tuttavia essa trova comunque la sua origine più profonda nella liturgia nell’incontro con Dio.
In Bach, per il quale la gloria di Dio rappresenta ultimamente il fine di tutta la musica, questo è del tutto evidente. La risposta grande e pura della musica occidentale si è sviluppata nell’incontro con quel Dio che, nella liturgia, si rende presente a noi in Cristo Gesù. Quella musica, per me, è una dimostrazione della verità del cristianesimo. Laddove si sviluppa una risposta così, è avvenuto un incontro con la verità, con il vero creatore del mondo. Per questo la grande musica sacra è una realtà di rango teologico e di significato permanente per la fede dell’intera cristianità, anche se non è affatto necessario che essa venga eseguita sempre e ovunque. D’altro canto è chiaro però anche che essa non può scomparire dalla liturgia e che la sua presenza può essere un modo del tutto speciale di partecipazione alla celebrazione sacra, al mistero della fede.

Se pensiamo alla liturgia celebrata da san Giovanni Paolo II in ogni continente, vediamo tutta l’ampiezza delle possibilità espressive della fede nell’evento liturgico; e vediamo anche come la grande musica della tradizione occidentale non sia estranea alla liturgia, ma sia nata e cresciuta da essa e in questo modo contribuisca sempre di nuovo a darle forma. Non conosciamo il futuro della nostra cultura e della musica sacra. Ma una cosa è mi sembra chiara: dove realmente avviene l’incontro con il Dio vivente che in Cristo viene verso di noi, lì nasce e cresce nuovamente anche la risposta, la cui bellezza viene dalla verità stessa.

L’attività delle due università che mi conferiscono – mi hanno conferito - questo dottorato honoris causa – per il quale posso ancora dire grazie di tutto cuore - rappresenta un contributo essenziale affinché il grande dono della musica che proviene dalla tradizione della fede cristiana resti vivo e sia di aiuto perché la forza creativa della fede anche in futuro non si estingua. 

Per questo ringrazio di cuore tutti voi, non solo per l’onore che mi avete riservato, ma anche per tutto il lavoro che svolgete a servizio della bellezza della fede. Il Signore vi benedica tutti.