"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
giovedì 26 marzo 2015
26. Anguera
4.113 - 17 marzo 2015
Cari figli, vi amo come siete. Vi chiedo di vivere con gioia il Vangelo del mio Gesù. Non permettete che le cose del mondo vi allontanino dal cammino della santità. Con i vostri esempi e parole mostrate al mondo che appartenete al Signore.
Non perdetevi d’animo. Non siete soli. Il mio Gesù è molto vicino a voi. Vivete nel tempo delle grandi tribolazioni, ma non perdete la speranza. Siate strumenti di pace e gioia per tutti quelli che sono lontani. Datemi le vostre mani e io vi condurrò a colui che è la vostra via, verità e vita.
Quando tutto sembrerà perduto il Signore asciugherà le vostre lacrime. La vostra liberazione si avvicina. Inginocchiatevi in preghiera. Non tiratevi indietro.
Nelle mani il Santo Rosario e la Sacra Scrittura. Nel cuore l’amore alla verità. Conosco ciascuno di voi per nome e supplicherò il mio Gesù per voi. Coraggio. Il domani sarà migliore. Confidate nel Signore e tutto finirà bene per voi. Avanti senza paura.
Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
26. La disubbidienza di Eva e l'ubbidienza di Maria
17. La disubbidienza di Eva e l'ubbidienza di Maria
Dice Gesù:
«Non si legge nella Genesi che Dio fece l'uomo dominatore su tutto quanto era sulla terra, ossia su tutto
meno che su Dio e i suoi angelici ministri? Non si legge che fece la donna perché fosse compagna all'uomo
nella gioia e nella dominazione su tutti i viventi? Non si legge che di tutto potevano mangiare fuorché
dell'albero della scienza del Bene e del Male? Perché? Quale sottosenso è nella parola " perché domini "?
Quale in quello dell'albero della scienza del Bene e del Male? Ve lo siete mai chiesto, voi che vi chiedete
tante cose inutili e non sapete chiedere mai alla vostra anima le celesti verità?
(E’ un costante riferimento alla storia delle origini, creazione dell’universo e dell’uomo, colpa di Adamo ed
Eva e sue conseguenze, per la quale rimandiamo una volta per tutte a: Genesi 1-3. Il tema della creazione
rifulgerà nel discorso di Gesù ripetuto da Giovanni nel Vol 4 Cap 244 e in quello pronunciato da Gesù al Vol
8 Cap 506 e 540, e al Vol 10 Cap 651. Il tema del peccato originale è trattato, oltre che nel presente capitolo,
anche nei Cap 5–29–45–47, al Vol 2 Cap 122-126-131-140, al Vol 3 Cap 174-188-195-207, al Vol 4 Cap
242-265-267-286, al Vol 5 Cap 307-317, al Vol 6 Cap 365-381-406-412-414-420, al Vol 7 Cap 477, al Vol 8
Cap 511-515-527-553-554, al Vol 9 Cap 567-593-596-600, al Vol 10 Cap 606-620-635-642-643-645)
La vostra anima, se fosse viva, ve le direbbe, essa che quando è in grazia è tenuta come un fiore fra le mani
dell'angelo vostro, essa che quando è in grazia è come un fiore baciato dal sole e irrorato dalla rugiada per lo
Spirito Santo che la scalda e illumina, che la irriga e la decora di celesti luci. Quante verità vi direbbe la
vostra anima se sapeste conversare con essa, se l'amaste come quella che mette in voi la somiglianza con
Dio, che è Spirito come spirito è la vostra anima. Quale grande amica avreste se amaste la vostra anima in
luogo di odiarla sino ad ucciderla; quale grande, sublime amica con la quale parlare di cose di Cielo, voi che
siete così avidi di parlare e vi rovinate l'un l'altro con amicizie che, se non sono indegne (qualche volta lo
sono) sono però quasi sempre inutili e vi si mutano in frastuono vano o nocivo di parole, e parole tutte di
terra.
Non ho Io detto (Giovanni 14, 23 e Vol 9 Cap 600): " Chi mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio
l'amerà, e verremo presso di lui e faremo in lui dimora "?
L'anima in grazia possiede l'amore e, possedendo
l'amore, possiede Dio, ossia il Padre che la conserva, il Figlio che l'ammaestra, lo Spirito che la illumina.
Possiede quindi la Conoscenza, la Scienza, la Sapienza. Possiede la Luce. Pensate perciò quali conversazioni
sublimi potrebbe intrecciare con voi la vostra anima. Sono quelle che hanno empito i silenzi delle carceri, i
silenzi delle celle, i silenzi degli eremitaggi, i silenzi delle camere degli infermi santi. Sono quelle che hanno
confortato i carcerati in attesa di martirio, i claustrati alla ricerca della Verità, i romiti anelanti alla
conoscenza anticipata di Dio, gli infermi alla sopportazione, ma che dico?, all'amore della loro croce.
Se sapeste interrogare la vostra anima, essa vi direbbe che il significato vero, esatto, vasto quanto il creato, di
quella parola " domini " è questo: "Perché l'uomo domini su tutto. Su tutti i suoi tre strati. (Come li intende
anche San Paolo in: 1 Tessalonicesi 5, 23.
L’opera Valtortiana presenta con frequenza la divisione tripartita
dell’uomo: corpo – carne, materia, senso, ecc. – anima – mente, pensiero, morale, cuore, ecc. – spirito –
anima spirituale, essenza spirituale, ecc. -. Sempre mantenendo la sostanziale gradualità delle tre parti, spesso chiama “anima” l’anima spirituale o spirito, fino a darne, in Vol 10 Cap 651, la singolare definizione
di “parte eletta dello spirito”.
La divisione tripartita dell’uomo si ripresenta in questo capitolo e nei capitoli
35-36-37-46-47-69, al Vol 2 Cap 80-122-125-137, al Vol 3 Cap 174-196-204-209-212-225, al Vol 4 Cap
237-243-272-275-286, al Vol 5 Cap 346, al Vol 6 Cap 406, al Vol 7 Cap 465-473, al Vol 8 Cap 524-527-
548, al Vol 9 Cap 555-567, al Vol 10 Cap 601-608-610-613-651)
Lo strato inferiore, animale. Lo strato in
mezzo, morale. Lo strato superiore, spirituale. E tutti e tre li volga ad un unico fine: possedere Dio".
Possederlo meritandolo con questo ferreo dominio, che tiene soggette tutte le forze dell'io e le fa ancelle di
questo unico scopo: meritare di possedere Dio. Vi direbbe che Dio aveva proibito la conoscenza del Bene e
del Male, perché il Bene lo aveva elargito alle sue creature gratuitamente, e il Male non voleva che lo
conosceste, perché è frutto dolce al palato ma che, sceso col suo succo nel sangue, ne desta una febbre che
uccide e produce arsione, per cui più si beve di quel suo succo mendace e più se ne ha sete.
Voi obbietterete: " E perché ce l'ha messo? ".
E perché! Perché il Male è una forza che è nata da sola, come
certi mali mostruosi nel corpo più sano.
Lucifero era angelo, il più bello degli angeli. Spirito perfetto, inferiore a Dio soltanto. Eppure nel suo essere
luminoso nacque un vapore di superbia che esso non disperse. Ma anzi condensò covandolo. E da questa
incubazione è nato il Male. Esso era prima che l'uomo fosse. Dio l'aveva precipitato fuor dal Paradiso,
l'Incubatore maledetto del Male, questo insozzatore del Paradiso. Ma esso è rimasto l'eterno Incubatore del
Male e, non potendo più insozzare il Paradiso, ha insozzato la Terra.
Quella metaforica pianta sta a dimostrare questa verità. Dio aveva detto all'uomo e alla donna: "Conoscete
tutte le leggi ed i misteri del creato. Ma non vogliate usurparmi il diritto di essere il Creatore dell'uomo. A
propagare la stirpe umana basterà il mio amore che circolerà in voi, e senza libidine di senso ma per solo
palpito di carità susciterà i nuovi Adami della stirpe. Tutto vi dono. Solo mi serbo questo mistero della
formazione dell'uomo.
Satana ha voluto levare questa verginità intellettuale all'uomo, e con la sua lingua serpentina ha blandito e
accarezzato membra e occhi di Eva, suscitandone riflessi e acutezze che prima non avevano, perché la
Malizia non li aveva intossicati.
Essa "vide". E vedendo volle provare. La carne era destata. Oh! se avesse chiamato Dio! Se fosse corsa a
dirgli: "Padre! Io son malata. Il Serpente mi ha accarezzata e il turbamento è in me". Il Padre l'avrebbe
purificata e guarita col suo alito, che, come le aveva infuso la vita, poteva infonderle nuovamente innocenza,
smemorandola del tossico serpentino ed anzi mettendo in lei la ripugnanza per il Serpente, come è in quelli
che un male ha assalito e che, guariti di quel male, ne portano una istintiva ripugnanza.
Ma Eva non va al
Padre. Eva torna dal Serpente. Quella sensazione è dolce per lei. "Vedendo che il frutto dell'albero era buono
a mangiarsi e bello all'occhio e gradevole all'aspetto, lo colse e ne mangiò".
E " comprese ". Ormai la malizia era scesa a morderle le viscere. Vide con occhi nuovi e udì con orecchi
nuovi gli usi e le voci dei bruti. E li bramò con folle bramosia.
Iniziò sola il peccato. Lo portò a termine col compagno. Ecco perché sulla donna pesa condanna maggiore. È
per lei che l'uomo è divenuto ribelle a Dio e che ha conosciuto lussuria e morte.
È per lei che non ha più
saputo dominare i suoi tre regni: dello spirito, perché ha permesso che lo spirito disubbidisse a Dio; del
morale, perché ha permesso che le passioni lo signoreggiassero; della carne, perché l'avvilì alle leggi istintive
dei bruti. "Il Serpente mi ha sedotta" dice Eva. "La donna m'ha offerto il frutto ed io ne ho mangiato" dice
Adamo. E la cupidigia triplice abbranca da allora i tre regni dell'uomo.
Non c'è che la Grazia che riesca ad allentare la stretta di questo mostro spietato.
E, se è viva, vivissima,
mantenuta sempre più viva dalla volontà del figlio fedele, giunge a strozzare il mostro ed a non aver più a
temere di nulla. Non dei tiranni interni, ossia della carne e delle passioni; non dei tiranni esterni, ossia del
mondo e dei potenti del mondo. Non delle persecuzioni. Non della morte. È come dice l'apostolo Paolo: (Atti
20, 24) "Nessuna di queste cose io temo, né tengo alla mia vita più di me, purché io compia la mia missione
ed il ministero ricevuto dal Signore Gesù per rendere testimonianza al Vangelo della Grazia di Dio"».
Dice Maria:
«Nella gioia, poiché quando ho compreso la missione a cui Dio mi chiamava fui ripiena di gioia, il mio cuore
si aprì come un giglio serrato e se ne effuse quel sangue che fu zolla al Germe del Signore.
Gioia di esser madre.
M'ero consacrata a Dio dalla prima età, perché la luce dell'Altissimo m'aveva illuminato la causa del male del
mondo ed avevo voluto, per quanto era in mio potere, cancellare da me la traccia di Satana.
Io non sapevo di esser senza macchia. Non potevo pensare d'esserlo. Il solo pensarlo sarebbe stata
presunzione e superbia, perché, nata da umani genitori, non m'era lecito pensare che proprio io ero l'Eletta ad
esser la Senza Macchia.
Lo Spirito di Dio mi aveva istruita sul dolore del Padre davanti alla corruzione di Eva, che aveva voluto
avvilire sé, creatura di grazia, ad un livello di creatura inferiore. Era in me l'intenzione di addolcire quel
dolore riportando la mia carne alla purezza angelica col serbarmi inviolata da pensieri, desideri e contatti
umani. Solo per Lui il mio palpito d'amore, solo a Lui il mio essere. Ma, se non era in me arsione di carne,
era però ancora il sacrificio di non esser madre.
La maternità, priva di quanto ora la avvilisce, era stata concessa dal Padre creatore anche ad Eva. Dolce e
pura maternità senza pesantezza di senso! Io l'ho provata! Di quanto s'è spogliata Eva rinunciando a questa
ricchezza! Più che dell'immortalità. E non vi paia esagerazione. Il mio Gesù, e con Lui io, sua Madre,
abbiamo conosciuto il languore della morte.
Io il dolce languore di chi stanco si addormenta, Egli l'atroce
languore di chi muore per la sua condanna. Dunque anche a noi è venuta la morte. Ma la maternità, senza
violazioni di sorta, è venuta a me sola, Eva nuova, perché io potessi dire al mondo di qual dolcezza fosse la
sorte della donna chiamata ad esser madre senza dolore di carne. E il desiderio di questa pura maternità
poteva essere ed era anche nella vergine tutta di Dio, poiché essa è la gloria della donna.
Se voi pensate, poi,
in quale onore era tenuta la donna madre presso gli israeliti, ancor più potete pensare quale sacrificio avevo
compiuto consacrandomi a questa privazione.
Ora alla sua serva l'eterno Buono dava questo dono senza levarmi il candore di cui m'ero vestita per esser
fiore sul suo trono. Ed io ne giubilavo con la duplice gioia d'esser madre di un uomo e d'esser Madre di Dio.
Gioia d'esser Quella per cui la pace si rinsaldava fra Cielo e Terra.
Oh! aver desiderato questa pace per amore di Dio e di prossimo, e sapere che per mezzo di me, povera
ancella del Potente, essa veniva al mondo!
Dire: "Oh! uomini, non piangete più. Io porto in me il segreto che
vi farà felici. Non ve lo posso dire, perché è sigillato in me, nel mio cuore, come è chiuso il Figlio nel seno
inviolato. Ma già ve lo porto fra voi, ma ogni ora che passa è più prossimo il momento in cui lo vedrete e ne
conoscerete il Nome santo.
Gioia d'aver fatto felice Iddio: gioia di credente per il suo Dio fatto felice.
Oh! l'aver levato dal cuore di Dio l'amarezza della disubbidienza d'Eva! Della superbia d'Eva! Della sua
incredulità!
Il mio Gesù ha spiegato di qual colpa si macchiò la Coppia prima. Io ho annullato quella colpa rifacendo a
ritroso, per ascendere, le tappe della sua discesa.
Il principio della colpa fu nella disubbidienza. "Non mangiate e non toccate di quell'albero" aveva detto
Iddio. E l'uomo e la donna, i re del creato, che potevano di tutto toccare e mangiare fuor che di quello, perché
Dio voleva non renderli che inferiori agli angeli, non tennero conto di quel divieto.
La pianta: il mezzo per provare l'ubbidienza dei figli.
Che è l'ubbidienza al comando di Dio? È bene, perché Dio non comanda che il bene. Che è la disubbidienza?
È male, perché mette l'animo nelle disposizioni di ribellione su cui Satana può operare.
Eva va alla pianta da cui sarebbe venuto il suo bene con lo sfuggirla o il suo male coll'avvicinarla. Vi va
trascinata dalla curiosità bambina di vedere che avesse in sé di speciale, dall'imprudenza che le fa parere
inutile il comando di Dio, dato che lei è forte e pura, regina dell'Eden, in cui tutto le ubbidisce e in cui nulla
potrà farle del male. La sua presunzione la rovina. La presunzione è già lievito di superbia.
Alla pianta trova il Seduttore il quale, alla sua inesperienza, alla sua vergine tanto bella inesperienza, alla sua
maltutelata da lei inesperienza, canta la canzone della menzogna. “ Tu credi che qui sia del male? No. Dio te
l'ha detto, perché vi vuol tenere schiavi del suo potere. Credete d'esser re? Non siete neppur liberi come lo è
la fiera. Ad essa è concesso di amarsi di amor vero. Non a voi. Ad essa è concesso d'esser creatrice come
Dio. Essa genererà figli e vedrà crescere a suo piacere la famiglia. Non voi. A voi negata è questa gioia. A
che pro dunque farvi uomo e donna se dovete vivere in tal maniera? Siate dèi. Non sapete quale gioia è
l'esser due in una carne sola, che ne crea una terza e molte più terze? Non credete alle promesse di Dio di
avere gioia di posterità vedendo i figli crearsi nuove famiglie, lasciando per esse e padre e madre. Vi ha dato
una larva di vita: la vita vera è di conoscere le leggi della vita. Allora sarete simili a dèi e potrete dire a Dio:
'Siamo tuoi uguali' ”.
E la seduzione è continuata, perché non vi fu volontà di spezzarla, ma anzi volontà di continuarla e di
conoscere ciò che non era dell'uomo. Ecco che l'albero proibito diviene, alla razza, realmente mortale, perché
dalle sue rame pende il frutto dell'amaro sapere che viene da Satana.
E la donna diviene femmina e, col
lievito della conoscenza satanica in cuore, va a corrompere Adamo. Avvilita così la carne, corrotto il morale,
degradato lo spirito, conobbero il dolore e la morte dello spirito privato della Grazia, e della carne privata
dell'immortalità. E la ferita di Eva generò la sofferenza, che non si placherà finché non sarà estinta l'ultima
coppia sulla terra.
Io ho percorso a ritroso la via dei due peccatori.
Ho ubbidito. In tutti i modi ho ubbidito. Dio m'aveva chiesto
d'esser vergine. Ho ubbidito. Amata la verginità, che mi faceva pura come la prima delle donne prima di conoscere Satana, Dio mi chiese d'esser sposa. Ho ubbidito, riportando il matrimonio a quel grado di purezza
che era nel pensiero di Dio quando aveva creato i due Primi. Convinta d'esser destinata alla solitudine nel
matrimonio e allo sprezzo del prossimo per la mia sterilità santa, ora Dio mi chiedeva d'esser Madre. Ho
ubbidito.
Ho creduto che ciò fosse possibile e che quella parola venisse da Dio, perché la pace si diffondeva
in me nell'udirla. Non ho pensato: "Me lo sono meritato ". Non mi son detta: "Ora il mondo mi ammirerà,
perché sono simile a Dio creando la carne di Dio". No. Mi sono annichilita nella umiltà.
La gioia m'è sgorgata dal cuore come uno stelo di rosa fiorita. Ma si ornò subito di acute spine e fu stretta nel
viluppo del dolore, come quei rami che sono avvolti dai vilucchi dei convolvoli. Il dolore del dolore dello
sposo: ecco la strettoia nel mio gioire. Il dolore del dolore del mio Figlio: ecco le spine del mio gioire.
Eva volle il godimento, il trionfo, la libertà. Io accettai il dolore, l'annichilimento, la schiavitù.
Rinunciai alla
mia vita tranquilla, alla stima dello sposo, alla libertà mia propria. Non mi serbai nulla. Divenni l'Ancella di
Dio nella carne, nel morale, nello spirito, affidandomi a Lui non solo per il verginale concepimento, ma per
la difesa del mio onore, per la consolazione dello sposo, per il mezzo con cui portare egli pure alla
sublimazione del coniugio, di modo da fare di noi coloro che rendono all'uomo e alla donna la dignità
perduta.
Abbracciai la volontà del Signore per me, per lo sposo, per la mia Creatura. Dissi: "Si" per tutti e tre, certa
che Dio non avrebbe mentito alla sua promessa di soccorrermi nel mio dolore di sposa che si vede giudicata
colpevole, di madre che si vede generare per dare il Figlio al dolore.
"Sì" ho detto. Si. E basta. Quel "sì" ha annullato il "no" di Eva al comando di Dio. "Si, Signore, come Tu
vuoi. Conoscerò quel che Tu vuoi. Vivrò come Tu vuoi. Gioirò se Tu vuoi. Soffrirò per quel che Tu vuoi. Sì,
sempre sì, mio Signore, dal momento in cui il tuo raggio mi fe' Madre al momento in cui mi chiamasti a Te.
Si, sempre sì. Tutte le voci della carne, tutte le passioni del morale sotto il peso di questo mio perpetuo si. E
sopra, come su un piedestallo di diamante, il mio spirito a cui mancan l'ali per volare a Te, ma che è signore
di tutto l'io domato e servo tuo. Servo nella gioia, servo nel dolore.
Ma sorridi, o Dio. E sii felice. La colpa è
vinta. È levata, è distrutta. Essa giace sotto al mio tallone, essa è lavata nel mio pianto, distrutta dalla mia
ubbidienza. Dal mio seno nascerà l'Albero nuovo che porterà il Frutto che conoscerà tutto il Male, per averlo
patito in Sé, e darà tutto il Bene. A questo potranno venire gli uomini, ed io sarò felice se ne coglieranno,
anche senza pensare che esso nasce da me. Purché l'uomo si salvi e Dio sia amato, si faccia della sua ancella
quel che si fa della zolla su cui un albero sorge: gradino per salire".
Maria, bisogna sempre saper essere gradino perché gli altri salgano a Dio. Se ci calpestano, non fa niente.
Purché riescano ad andare alla Croce. È il nuovo albero che ha il frutto della conoscenza del Bene e del
Male, perché dice all'uomo ciò che è male e ciò che è bene perché sappia scegliere e vivere, e sa nel
contempo fare di sé liquore per guarire gli intossicati dal male voluto gustare.
Il nostro cuore sotto ai piedi
degli uomini, purché il numero dei redenti cresca e il Sangue del mio Gesù non sia effuso senza frutto. Ecco
la sorte delle ancelle di Dio. Ma poi meritiamo di ricevere nel grembo l'Ostia santa e ai piedi della Croce,
intrisa del suo Sangue e del nostro pianto, dire: "Ecco, o Padre, l'Ostia immacolata che ti offriamo per la
salute del mondo. Guardaci, o Padre, fuse con Essa, e per i suoi meriti infiniti dacci la tua benedizione".
Ed io ti do la mia carezza. Riposa, figlia. Il Signore è con te».
Dice Gesù:
«La parola della Madre mia dovrebbe sperdere ogni titubanza di pensiero anche nei più inceppati nelle
formule.
Ho detto: "metaforica pianta". Dirò ora: "simbolica pianta". Forse capirete meglio. Il suo simbolo è chiaro:
dal come i due figli di Dio avrebbero agito rispetto ad essa, si sarebbe compreso come era in loro tendenza al
Bene o al Male. Come acqua regia che prova l'oro e bilancia d'orafo che ne pesa i carati, quella pianta,
divenuta una "missione" per il comando di Dio rispetto ad essa, ha dato la misura della purezza del metallo
d'Adamo e di Eva.
Sento già la vostra obbiezione: "Non è stata soverchia la condanna e puerile il mezzo usato per giungere a
condannarli?".
Non è stato.
Una disubbidienza attualmente in voi, che siete gli eredi loro, è meno grave che non fosse in
essi. Voi siete redenti da Me. Ma il veleno di Satana rimane sempre pronto a risorgere, come certi morbi che
non si annullano mai totalmente nel sangue. Essi, i due progenitori, erano possessori della Grazia senza aver
mai avuto sfioramento con la Disgrazia. Perciò più forti, più sorretti dalla Grazia, che generava innocenza e
amore. Infinito era il dono che Dio aveva loro dato. Ben più grave perciò la loro caduta nonostante quel
dono.
Simbolico anche il frutto offerto e mangiato. Era il frutto di una esperienza voluta compiere per istigazione
satanica contro il comando di Dio. Io non avevo interdetto agli uomini l'amore. Volevo unicamente che si amassero senza malizia; come Io li amavo con la mia santità, essi dovevano amarsi in santità d'affetti, che
nessuna libidine insozza.
Non si deve dimenticare che la Grazia è lume, e chi la possiede conosce ciò che è utile e buono conoscere.
La Piena di Grazia conobbe tutto, perché la Sapienza la istruiva, la Sapienza che è Grazia, e si seppe guidare
santamente.
Eva conosceva perciò ciò che le era buono conoscere. Non oltre, perché è inutile conoscere ciò
che non è buono. Non ebbe fede nelle parole di Dio e non fu fedele nella sua promessa di ubbidienza.
Credette a Satana, infranse la promessa, volle sapere il non buono, lo amò senza rimorso, rese l'amore, che Io
avevo dato così santo, una corrotta cosa, una avvilita cosa. Angelo decaduto, si rotolò nel fango e sullo
strame, mentre poteva correre felice fra i fiori del Paradiso terrestre e vedersi fiorire intorno la prole, così
come una pianta si copre di fiori senza curvare la chioma nel pantano.
Non siate come i fanciulli stolti che Io indico nel Vangelo (Matteo 11, 16-17; Luca 7, 31-32; Cap 45; Vol 4
Cap 266), i quali hanno udito cantare e si sono turati gli orecchi, hanno udito suonare e non hanno ballato,
hanno udito piangere e hanno voluto ridere. Non siate gretti e non siate negatori. Accettate, accettate senza
malizia e cocciutaggine, senza ironia e incredulità, la Luce. E basta su ciò.
Per farvi capire di quanto dovete esser grati a Colui che è morto per rialzarvi al Cielo e per vincere la
concupiscenza di Satana, ho voluto parlarvi, in questo tempo di preparazione alla Pasqua, di questo che è
stato il primo anello della catena con cui il Verbo del Padre fu tratto alla morte, l'Agnello divino al macello.
Ve ne ho voluto parlare perché ora il novanta per cento fra voi è simile ad Eva intossicata dal fiato e dalla
parola di Lucifero, e non vivete per amarvi ma per saziarvi di senso, non vivete per il Cielo ma per il fango,
non siete più creature dotate d'anima e ragione ma cani senz’anima e senza ragione. L'anima l'avete uccisa e
la ragione depravata. In verità vi dico che i bruti vi superano nella onestà dei loro amori».
AMDG et BVM
mercoledì 25 marzo 2015
25. Pena del senso, pena del fuoco, pena del danno
L'inferno
“Andranno questi in un Eterno supplizio” (Matt. 25, 46). |
DELLE PENE DELL'INFERNO
Pena del senso.
Due mali fa il peccatore, allorchè pecca, lascia Dio sommo bene, e si rivolge alle creature:
"Due mali commise il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si scavò delle cisterne, cisterne screpolate che non possono contenere acqua" (Ger. 2,13).
Perchè dunque il peccatore si volta alle creature con disgusto di Dio, giustamente nell'inferno sarà tormentato dalle stesse creature, dal fuoco e dai demoni; e questa è la pena del senso. Ma perchè la sua colpa maggiore, dove consiste il peccato, è il voltare le spalle a Dio; perciò la pena principale che sarà nell'inferno, sarà la pena del danno. Che è la pena d'aver perduto Dio.
Perchè dunque il peccatore si volta alle creature con disgusto di Dio, giustamente nell'inferno sarà tormentato dalle stesse creature, dal fuoco e dai demoni; e questa è la pena del senso. Ma perchè la sua colpa maggiore, dove consiste il peccato, è il voltare le spalle a Dio; perciò la pena principale che sarà nell'inferno, sarà la pena del danno. Che è la pena d'aver perduto Dio.
È di fede che vi è l'inferno. Che cosa è questo inferno? È il luogo dei tormenti, così chiamò l'inferno l'Epulone dannato (Luca 16, 28). Luogo di tormenti, dove tutti i sensi e le potenze del dannato hanno da avere il loro proprio tormento; e quanto più alcuno in un senso avrà offeso Dio, tanto più in quel senso avrà da esser tormentato (Sap. 11, 17). "Per quanto di sfarzo s'è data, altrettanto a lei date di tormento" (Apoc. 18. 7). Sarà tormentata la vista colle tenebre. Luogo tenebroso e coperto dalla caligine di morte (Giob. 10, 11).
Che compassione fa il sentire che un povero uomo sta chiuso in una fossa oscura per mentre vive, per 40-50 anni di vita! L'inferno è una fossa chiusa da tutte le parti dove non entrerà mai raggio di sole o d'altra luce. Il fuoco che sulla terra illumina, nell'inferno sarà tutto oscuro. "La voce del Signore che forgia lingue di fuoco". Spiega S. Basilio: II Signore dividerà dal fuoco la luce, onde tal fuoco farà solamente l'officio di bruciare, ma non d'illuminare; e lo spiega più in breve Alberto Magno: Lo stesso fumo che uscirà da questo fuoco, componerà quella procella di tenebre, di cui parla S. Giacomo, che accecherà gli occhi dei dannati.
Che compassione fa il sentire che un povero uomo sta chiuso in una fossa oscura per mentre vive, per 40-50 anni di vita! L'inferno è una fossa chiusa da tutte le parti dove non entrerà mai raggio di sole o d'altra luce. Il fuoco che sulla terra illumina, nell'inferno sarà tutto oscuro. "La voce del Signore che forgia lingue di fuoco". Spiega S. Basilio: II Signore dividerà dal fuoco la luce, onde tal fuoco farà solamente l'officio di bruciare, ma non d'illuminare; e lo spiega più in breve Alberto Magno: Lo stesso fumo che uscirà da questo fuoco, componerà quella procella di tenebre, di cui parla S. Giacomo, che accecherà gli occhi dei dannati.
Dice S. Tommaso che ai dannati è riservato tanto di luce solamente, quanto basta a più tormentarli. Vedranno in quel barlume di luce la bruttezza degli altri reprobi e dei demoni, che prenderanno forme orrende per spaventarli. Sarà tormentato l'odorato.
Che pena sarebbe trovarsi chiuso in una stanza con un cadavere fracido? "dai cadaveri salirà il fetore» (Is 34. 3).
Il dannato ha da stare in mezzo a tanti milioni d'altri dannati, vivi alla pena, ma cadaveri per la puzza che mandano.
Dice S. Bonaventura che se un corpo di un dannato fosse cacciato dall'inferno, basterebbe a far morire per il fetore tutti gli uomini.
E poi dicono alcuni pazzi: Se vado all'inferno, non sono solo. Miseri! quanti più sono nell'inferno, tanto più penano. Più penano per la puzza, per le grida e per la strettezza; poiché staranno nell'inferno come pecore ammucchiate in tempo d'inverno. Anzi più, staranno come uve spremute sotto il torchio dell'ira di Dio.
E poi dicono alcuni pazzi: Se vado all'inferno, non sono solo. Miseri! quanti più sono nell'inferno, tanto più penano. Più penano per la puzza, per le grida e per la strettezza; poiché staranno nell'inferno come pecore ammucchiate in tempo d'inverno. Anzi più, staranno come uve spremute sotto il torchio dell'ira di Dio.
Dal che ne avverrà poi la pena dell'immobilità. Sarà tormentato l'udito cogli urli continui e pianti di quei
poveri disperati. I demoni! faranno continui strepiti. Che pena è quando si vuole dormire e si sente un infermo che continuamente si lamenta, un cane che abbaia, o un fanciullo che piange? Miseri dannati, che hanno da sentire di continuo per tutta l'eternità quei rumori e le grida di quei tormentati! Sarà tormentata la gola colla fame;
avrà il dannato una fame canina. Ma non avrà mai una briciola di pane. Avrà poi una tale sete, che non gli basterebbe tutta l'acqua del mare; ma non ne avrà neppure una stilla: una stilla ne domandava l'Epulone, ma questa non l'ha avuta ancora, e non l'avrà mai, mai.
Pena del fuoco.
La pena poi che più tormenta il senso del dannato, è il fuoco dell'inferno. "Castigo della carne dell'empio
saranno fuoco e vermi" (Sir 7,17). Che perciò il Signore nel giudizio ne fa speciale menzione: "Andate lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno" (Mt. 41).
Anche in questa terra la pena del fuoco è la maggior di tutte; ma vi è tanta differenza dal fuoco nostro a quello dell'inferno, che dice S. Agostino che il nostro sembra dipinto.
Anche in questa terra la pena del fuoco è la maggior di tutte; ma vi è tanta differenza dal fuoco nostro a quello dell'inferno, che dice S. Agostino che il nostro sembra dipinto.
E S. Vincenzo Ferreri dice che a confronto il nostro è freddo. La ragione è, perchè il fuoco nostro è creato per nostro utile, ma il fuoco dell'inferno è creato da Dio a posta per tormentare. Lo sdegno di Dio accende questo fuoco vendicatore. Quindi da Isaia il fuoco dell'inferno è chiamato spirito di ardore.
Il dannato sarà mandato non al fuoco, ma nel fuoco. Sicchè il misero sarà circondato dal fuoco, come un legno dentro una fornace.
Si troverà il dannato con un abisso di fuoco da sotto, un abisso di sopra, e un abisso d'intorno. Se tocca, se vede, se respira; non tocca, non vede, ne respira altro che fuoco. Starà nel fuoco come il pesce nell'acqua.
Ma questo fuoco non solamente starà intorno al dannato, ma entrerà anche dentro le sue viscere a tormentarlo. Il suo corpo diventerà tutto di fuoco,
Il dannato sarà mandato non al fuoco, ma nel fuoco. Sicchè il misero sarà circondato dal fuoco, come un legno dentro una fornace.
Si troverà il dannato con un abisso di fuoco da sotto, un abisso di sopra, e un abisso d'intorno. Se tocca, se vede, se respira; non tocca, non vede, ne respira altro che fuoco. Starà nel fuoco come il pesce nell'acqua.
Ma questo fuoco non solamente starà intorno al dannato, ma entrerà anche dentro le sue viscere a tormentarlo. Il suo corpo diventerà tutto di fuoco,
sicchè bruceranno le viscere dentro del ventre, il cuore dentro del petto, le cervella dentro il capo, il sangue dentro le vene, anche le midolla dentro l'ossa: ogni dannato diventerà in se stesso una fornace di fuoco.
Taluni non possono soffrire di camminare per una via battuta dal sole, di stare in una stanza chiusa con una braciera, non soffrire una scintilla, che ondeggia da una candela; e poi non temono quel fuoco, che divora, come dice Isaia: "Chi di noi può rimanere presso un fuoco divorante?" (Is. 33,14).
Siccome una fiera divora un capretto, così il fuoco
dell'inferno divora il dannato; lo divora, ma senza farlo mai morire.
Sei pazzo, dice S. Pier Damiani (parlando al disonesto), vuoi contentare la tua carne, che verrà un giorno in cui le tue disonestà diventeranno tutte pece nelle tue viscere, che farà più grande e più tormentosa la fiamma che ti brucerà nell'inferno.
Sei pazzo, dice S. Pier Damiani (parlando al disonesto), vuoi contentare la tua carne, che verrà un giorno in cui le tue disonestà diventeranno tutte pece nelle tue viscere, che farà più grande e più tormentosa la fiamma che ti brucerà nell'inferno.
Aggiunge S. Girolamo che questo fuoco porterà con se tutti i tormenti e dolori che si patiscono in questa terra, dolori di fianco e di testa, di viscere, di nervi.
In questo fuoco vi sarà anche la pena del freddo. Ma sempre bisogna intendere che tutte le pene di questa terra sono un'ombra, come dice il Crisostomo, a paragone delle pene dell'inferno: "Pone ignem, pone ferrum, quid, nisi umbra ad illa tormenta?".
Le facoltà anche avranno il loro proprio tormento.
Il dannato sarà tormentato nella memoria, col ricordarsi del tempo che ha avuto in questa vita per salvarsi, e l'ha speso per dannarsi; e delle grazie che ha ricevute da Dio, e non se ne ha voluto servire.
Nell'intelletto, col pensare al gran bene che ha perduto, paradiso e Dio; e che a questa perdita non vi è più rimedio.
Il dannato sarà tormentato nella memoria, col ricordarsi del tempo che ha avuto in questa vita per salvarsi, e l'ha speso per dannarsi; e delle grazie che ha ricevute da Dio, e non se ne ha voluto servire.
Nell'intelletto, col pensare al gran bene che ha perduto, paradiso e Dio; e che a questa perdita non vi è più rimedio.
Nella volontà, in vedere che gli sarà negata sempre ogni cosa che domanda. Il misero non avrà mai niente di quel che desidera, ed avrà sempre tutto quello che detesta, che saranno le sue pene eterne. Vorrebbe uscir dai tormenti, e trovar pace, ma sarà sempre tormentato, e non avrà mai pace.
Pena del danno.
Ma tutte queste pene son niente a rispetto della pena del danno.
Non fanno l'inferno le tenebre, la puzza, le grida e il fuoco; la pena che fa l'inferno è la pena di aver perduto Dio.
Dice S. Giovanni Grisostomo: "Se anche dici mille inferni, non dici nulla d'uguale a quel dolore".
Ed aggiunge S. Agostino che se i dannati godessero la vista di Dio, "Non sentirebbero alcuna pena, e lo stesso inferno sarebbe cambiato in paradiso".
Per intendere qualche cosa di questa pena, si consideri che se taluno perde (per esempio) una gemma, che valeva 100 scudi, sente gran pena, ma se valeva 200 sente doppia pena: se 400 più pena. Insomma quanto cresce il valore della cosa perduta, tanto cresce la pena.
Non fanno l'inferno le tenebre, la puzza, le grida e il fuoco; la pena che fa l'inferno è la pena di aver perduto Dio.
Dice S. Giovanni Grisostomo: "Se anche dici mille inferni, non dici nulla d'uguale a quel dolore".
Ed aggiunge S. Agostino che se i dannati godessero la vista di Dio, "Non sentirebbero alcuna pena, e lo stesso inferno sarebbe cambiato in paradiso".
Per intendere qualche cosa di questa pena, si consideri che se taluno perde (per esempio) una gemma, che valeva 100 scudi, sente gran pena, ma se valeva 200 sente doppia pena: se 400 più pena. Insomma quanto cresce il valore della cosa perduta, tanto cresce la pena.
Il dannato qual bene ha perduto? Un bene infinito, che è Dio; onde dice S. Tommaso che sente una pena in certo modo infinita.
S. Ignazio di Lojola diceva: Signore, ogni pena sopporto, ma questa no, di star privo di Voi. Ma questa pena niente si apprende dai peccatori, che si contentano di vivere i mesi e gli anni senza Dio, perchè i miseri vivono fra le tenebre. In morte non
però hanno da conoscere il gran bene che perdono.
L'anima in uscire da questa vita, come dice S. Antonino, subito intende ch'ella è creata per Dio, onde subito si slancia per andare ad abbracciarsi col suo sommo bene; ma stando in peccato, sarà da Dio rifiutata.
Se un cane vede la lepre, ed uno lo tiene con una catena, che forza fa il cane per romper la catena ed
L'anima in uscire da questa vita, come dice S. Antonino, subito intende ch'ella è creata per Dio, onde subito si slancia per andare ad abbracciarsi col suo sommo bene; ma stando in peccato, sarà da Dio rifiutata.
Se un cane vede la lepre, ed uno lo tiene con una catena, che forza fa il cane per romper la catena ed
andare a pigliar la preda? L'anima in separarsi dal corpo, naturalmente è tirata a Dio, ma il peccato la divide da Dio, e la manda lontana all'inferno, "che hanno scavato un abisso tra voi e il vostro Dio" (Is. 59. 2).
Tutto l'inferno dunque consiste in quella prima parola della condanna. Allorchè Davide condannò Assalonne a non comparirgli più davanti, fu tale questa pena ad Assalonne che rispose: "Dite a mio padre, che o mi permetta di vedere la sua faccia o mi dia la morte" (2. Sam. 14. 24).
Tutto l'inferno dunque consiste in quella prima parola della condanna. Allorchè Davide condannò Assalonne a non comparirgli più davanti, fu tale questa pena ad Assalonne che rispose: "Dite a mio padre, che o mi permetta di vedere la sua faccia o mi dia la morte" (2. Sam. 14. 24).
Filippo II ad un grande che vide stare irriverente in chiesa, gli disse: "Non mi comparite più davanti". Fu tanta la pena di quel grande, che giunto alla casa se ne morì di dolore. Che sarà, quando Dio in morte intimerà al reprobo: Va via che io non voglio vederti più. Voi (dirà Gesù ai dannati nel giorno finale) non siete più miei, io non sono più vostro.
Che pena è ad un figlio, a cui gli muore il padre, o ad una moglie quando le muore lo sposo, il dire: Padre mio, sposo mio, non ti ho da vedere più.
Ah se ora udissimo un'anima dannata che piange, e le chiedessimo: anima, perché piangi tanto? Questo solo ella risponderebbe: Piango, perché ho perduto Dio, e non l'ho da vedere più.
Almeno potesse la misera nell'inferno amare il suo Dio, e rassegnarsi alla sua volontà. Ma no, se potesse ciò fare, l'inferno non sarebbe inferno; l'infelice non può rassegnarsi alla volontà di Dio, perché è fatta nemica della divina volontà. Né può amare più il suo Dio, ma l'odia e l'odierà per sempre; e questo sarà il suo inferno, il conoscere che Dio è un bene sommo e il vedersi poi costretto ad odiarlo, nello stesso tempo che lo conosce degno d'infinito amore.
Almeno potesse la misera nell'inferno amare il suo Dio, e rassegnarsi alla sua volontà. Ma no, se potesse ciò fare, l'inferno non sarebbe inferno; l'infelice non può rassegnarsi alla volontà di Dio, perché è fatta nemica della divina volontà. Né può amare più il suo Dio, ma l'odia e l'odierà per sempre; e questo sarà il suo inferno, il conoscere che Dio è un bene sommo e il vedersi poi costretto ad odiarlo, nello stesso tempo che lo conosce degno d'infinito amore.
Il dannato odierà e maledirà Dio, e maledicendo Dio, maledirà anche i benefici che gli ha fatti, la creazione, la redenzione, i sacramenti, specialmente del battesimo e della penitenza, e sopra tutto il SS. Sacramento dell'altare.
Odierà tutti gli angeli e santi ma specialmente l'angelo custode e i santi suoi avvocati, e più di tutti la divina Madre; ma principalmente maledirà le tre divine Persone, e fra queste singolarmente il Figlio di Dio, che un giorno è morto per la sua salvezza, maledicendo le sue piaghe, il suo sangue, le sue pene e la sua morte.
Sant'Alfonso Maria De Liguori (da: Apparecchio alla morte)
martedì 24 marzo 2015
24. L'Annunciazione. Lc 1,26-38
16. L'Annunciazione. Lc 1,26-38
Ciò che vedo. Maria, fanciulla giovanissima, quindici anni al massimo all'aspetto, è in una piccola stanza
rettangolare. Una vera stanza di fanciulla. Contro una delle due pareti più lunghe è il giaciglio: un basso
lettuccio senza sponde, coperto di alte stuoie o tappeti. Si direbbe che sono stesi o su una tavola o su un traliccio di canne, perché stanno molto rigidi e senza curve come avviene nei nostri letti. Contro l'altra
parete, una scansìa con una lucerna ad olio, dei rotoli di pergamena, un lavoro di cucito piegato con cura,
pare un ricamo.
Di fianco a questa, verso la porta che è aperta sull'orto ma velata da una tenda che palpita ad un leggero
vento, è seduta su uno sgabello basso la Vergine. Fila del lino candidissimo e morbido come una seta.
Le sue
piccole mani, solo di poco più scure del lino, prillano sveltamente il fuso. Il visetto giovanile, e tanto tanto
bello, è lievemente curvo e lievemente sorridente, come se accarezzasse o seguisse qualche dolce pensiero.
Vi è molto silenzio nella casetta e nell'orto. Vi è molta pace tanto sul viso di Maria quanto nell'ambiente che
la circonda. Pace e ordine. Tutto è lindo e ordinato, e l'ambiente, umilissimo nel suo aspetto e nelle
suppellettili, quasi nudo come una cella, ha un che di austero e regale per il grande nitore e la cura con cui
sono disposte le stoffe sul lettuccio, i rotoli, il lume, la piccola brocca di rame presso al lume, con entro un
fascio di rami fioriti, rami di pesco o di pero. Non so. Sono certo di alberi da frutto di un bianco lievemente
rosato.
Maria si mette a cantare sottovoce e poi alza lievemente la voce. Non va al gran canto. Ma è già una voce
che vibra nella stanzetta e nella quale si sente una vibrazione d'anima. Non capisco le parole, dette certo in
ebraico. Ma, dato che ripete ogni tanto: «Jehovà», intuisco che sia qualche canto sacro, forse un salmo. Forse
Maria ricorda i canti del Tempio. E deve essere un dolce ricordo, perché posa sul grembo le mani sorreggenti
il filo e il fuso e alza il capo appoggiandolo indietro alla parete, accesa da un bel rossore nel viso, con gli
occhi persi dietro a chissà quale soave pensiero, fatti lucidi da un'onda di pianto che non trabocca ma che li
fa più grandi.
Eppure quegli occhi ridono, sorridono al pensiero che vedono e che l'astrae dal sensibile. Il
viso di Maria, emergente dalla veste bianca e semplicissima, così rosato e cinto dalle trecce che porta avvolte
come corona intorno al capo, pare un bel fiore.
Il canto si muta in preghiera: «Signore Iddio Altissimo, non tardare oltre a mandare il tuo Servo per portare
la pace sulla terra. Suscita il tempo propizio e la vergine pura e feconda per l'avvento del tuo Cristo. Padre,
Padre santo, concedi alla tua serva di offrire la sua vita a questo scopo. Concedimi di morire dopo aver visto
la tua Luce e la tua Giustizia sulla terra e di aver conosciuto che la Redenzione è compiuta.
O Padre santo,
manda alla terra il Sospiro dei Profeti. Manda alla tua serva il Redentore. Che nell'ora in cui cessi il mio
giorno, si apra per me la tua Dimora, perché le sue porte sono state già aperte dal tuo Cristo per tutti coloro
che hanno sperato in Te. Vieni, vieni, o Spirito del Signore. Vieni ai tuoi fedeli che ti attendono. Vieni,
Principe della Pace!.. ». Maria resta assorta così...
La tenda palpita più forte, come se qualcuno dietro ad essa ventilasse con qualcosa o la scuotesse per
scostarla. E una luce bianca di perla fusa ad argento puro fa più chiare le pareti lievemente gialline, più vivi i
colori delle stoffe, più spirituale il volto sollevato di Maria. Nella luce, e senza che la tenda sia scostata sul
mistero che si compie - anzi non palpita più, pende ben rigida contro gli stipiti, come fosse parete che isola
l'interno dall'esterno - si prosterna l'Arcangelo.
Deve necessariamente assumere aspetto umano. Ma è un aspetto trasumanato.
Di quale carne è composta
questa figura bellissima e folgorante? Di quale sostanza l'ha materializzata Iddio per renderla sensibile ai
sensi della Vergine? Solo Dio può possedere queste sostanze e usarle in tal maniera perfetta. È un volto, è un
corpo, sono occhi, bocca, capelli e mani come le nostre. Ma non sono la nostra opaca materia. È una luce che
ha preso colore di carne, di occhi, di chioma, di labbra, una luce che si muove e sorride e guarda e parla.
«Ave, Maria, piena di Grazia, ave!». La voce è un dolce arpeggio come di perle gettate su un metallo
prezioso.
Maria trasale e abbassa lo sguardo. E più trasale quando vede la fulgida creatura inginocchiata ad un metro
circa di distanza da Lei e che, con le mani incrociate sul petto, la guarda con una venerazione infinita.
Maria balza in piedi e si stringe alla parete.
Diviene pallida e rossa alternativamente. Il suo viso esprime
stupore e sgomento. Si stringe inconsciamente le mani sul seno nascondendole sotto le larghe maniche, si
curva quasi per nascondere il più possibile il suo corpo. Un atto di pudore soave.
«No. Non temere. Il Signore è teco! Tu sei benedetta fra tutte le donne»
Ma Maria continua a temere. Da dove è venuto quell'essere straordinario? È un messo di Dio o
dell'Ingannatore?
«Non temere, Maria!» ripete l'Arcangelo. «Io sono Gabriele, l'Angelo di Dio. Il mio Signore mi ha mandato
a te. Non temere, perché tu hai trovato grazia presso Dio. Ed ora tu concepirai nel seno e partorirai un Figlio
e gli porrai nome" Gesù". Questi sarà grande, sarà chiamato Figlio dell'Altissimo (e tale sarà in vero) e il
Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe, e il suo Regno
non avrà mai fine. Comprendi, o santa Vergine amata dal Signore, Figlia benedetta di Lui, chiamata ad esser
Madre del suo Figlio, quale Figlio tu genererai».
«Come può avvenire questo se io non conosco uomo? Forse che il Signore Iddio più non accoglie l'offerta
della sua serva e non mi vuole vergine per amor di Lui?».
«Non per opera di uomo sarai Madre, o Maria. Tu sei l'eterna Vergine, la Santa di Dio. Lo Spirito Santo
scenderà in te e la potenza dell'Altissimo ti adombrerà. Perciò Santo si chiamerà Colui che nascerà da te, e
Figlio di Dio. Tutto può il Signore Iddio nostro. Elisabetta, la sterile, nella sua vecchiaia ha concepito un
figlio che sarà il Profeta del tuo Figlio, colui che ne prepara le vie. Il Signore ha levato a questa il suo
obbrobrio, e la sua memoria resterà nelle genti congiunta al nome tuo, come il nome della sua creatura a
quello del tuo Santo, e fino alla fine dei secoli le genti vi chiameranno beate per la Grazia del Signore venuta
a voi ed a te specialmente; venuta alle genti per mezzo tuo. Elisabetta è nel suo sesto mese ed il suo peso la
solleva al gaudio, e più la solleverà quando conoscerà la tua gioia. Nulla è impossibile a Dio, Maria, piena di
Grazia. Che devo dire al mio Signore? Non ti turbi pensiero di sorta. Egli tutelerà gli interessi tuoi se a Lui ti
affidi. Il mondo, il Cielo, l'Eterno attendono la tua parola!».
Maria, incrociando a sua volta le mani sul petto e curvandosi in un profondo inchino, dice: «Ecco l'ancella di
Dio. Si faccia di me secondo la sua parola».
L'Angelo sfavilla nella gioia. Adora, poiché certo egli vede lo Spirito di Dio abbassarsi sulla Vergine curva
nell'adesione, e poi scompare senza smuover tenda, ma lasciandola ben tirata sul Mistero santo.
AVE MARIA GRATIA PLENA!
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