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mercoledì 25 marzo 2015

25. Pena del senso, pena del fuoco, pena del danno

L'inferno

Andranno questi in un Eterno supplizio” (Matt. 25, 46).
DELLE PENE DELL'INFERNO



Pena del senso.


Due mali fa il peccatore, allorchè pecca, lascia Dio sommo bene, e si rivolge alle creature:

"Due mali commise il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si scavò delle cisterne, cisterne screpolate che non possono contenere acqua" (Ger. 2,13).

Perchè dunque il peccatore si volta alle creature con disgusto di Dio, giustamente nell'inferno sarà tormentato dalle stesse creature, dal fuoco e dai demoni; e questa è la pena del senso. Ma perchè la sua colpa maggiore, dove consiste il peccato, è il voltare le spalle a Dio; perciò la pena principale che sarà nell'inferno, sarà la pena del danno. Che è la pena d'aver perduto Dio. 

Consideriamo prima la pena del senso.

È di fede che vi è l'inferno. Che cosa è questo inferno? È il luogo dei tormenti, così chiamò l'inferno l'Epulone dannato (Luca 16, 28). Luogo di tormenti, dove tutti i sensi e le potenze del dannato hanno da avere il loro proprio tormento; e quanto più alcuno in un senso avrà offeso Dio, tanto più in quel senso avrà da esser tormentato (Sap. 11, 17). "Per quanto di sfarzo s'è data, altrettanto a lei date di tormento" (Apoc. 18. 7). Sarà tormentata la vista colle tenebre. Luogo tenebroso e coperto dalla caligine di morte (Giob. 10, 11). 

Che compassione fa il sentire che un povero uomo sta chiuso in una fossa oscura per mentre vive, per 40-50 anni di vita! L'inferno è una fossa chiusa da tutte le parti dove non entrerà mai raggio di sole o d'altra luce. Il fuoco che sulla terra illumina, nell'inferno sarà tutto oscuro. "La voce del Signore che forgia lingue di fuoco". Spiega S. Basilio: II Signore dividerà dal fuoco la luce, onde tal fuoco farà solamente l'officio di bruciare, ma non d'illuminare; e lo spiega più in breve Alberto Magno: Lo stesso fumo che uscirà da questo fuoco, componerà quella procella di tenebre, di cui parla S. Giacomo, che accecherà gli occhi dei dannati.

Dice S. Tommaso che ai dannati è riservato tanto di luce solamente, quanto basta a più tormentarli. Vedranno in quel barlume di luce la bruttezza degli altri reprobi e dei demoni, che prenderanno forme orrende per spaventarli. Sarà tormentato l'odorato.

Che pena sarebbe trovarsi chiuso in una stanza con un cadavere fracido? "dai cadaveri salirà il fetore» (Is 34. 3).

Il dannato ha da stare in mezzo a tanti milioni d'altri dannati, vivi alla pena, ma cadaveri per la puzza che mandano.


Dice S. Bonaventura che se un corpo di un dannato fosse cacciato dall'inferno, basterebbe a far morire per il fetore tutti gli uomini.

E poi dicono alcuni pazzi: Se vado all'inferno, non sono solo. Miseri! quanti più sono nell'inferno, tanto più penano. Più penano per la puzza, per le grida e per la strettezza; poiché staranno nell'inferno come pecore ammucchiate in tempo d'inverno. Anzi più, staranno come uve spremute sotto il torchio dell'ira di Dio.

Dal che ne avverrà poi la pena dell'immobilità. Sarà tormentato l'udito cogli urli continui e pianti di quei
poveri disperati. I demoni! faranno continui strepiti. Che pena è quando si vuole dormire e si sente un infermo che continuamente si lamenta, un cane che abbaia, o un fanciullo che piange? Miseri dannati, che hanno da sentire di continuo per tutta l'eternità quei rumori e le grida di quei tormentati! Sarà tormentata la gola colla fame;

avrà il dannato una fame canina. Ma non avrà mai una briciola di pane. Avrà poi una tale sete, che non gli basterebbe tutta l'acqua del mare; ma non ne avrà neppure una stilla: una stilla ne domandava l'Epulone, ma questa non l'ha avuta ancora, e non l'avrà mai, mai.



Pena del fuoco.



La pena poi che più tormenta il senso del dannato, è il fuoco dell'inferno. "Castigo della carne dell'empio

saranno fuoco e vermi" (Sir 7,17). Che perciò il Signore nel giudizio ne fa speciale menzione: "Andate lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno" (Mt. 41).
Anche in questa terra la pena del fuoco è la maggior di tutte; ma vi è tanta differenza dal fuoco nostro a quello dell'inferno, che dice S. Agostino che il nostro sembra dipinto.

E S. Vincenzo Ferreri dice che a confronto il nostro è freddo. La ragione è, perchè il fuoco nostro è creato per nostro utile, ma il fuoco dell'inferno è creato da Dio a posta per tormentare. Lo sdegno di Dio accende questo fuoco vendicatore. Quindi da Isaia il fuoco dell'inferno è chiamato spirito di ardore.

Il dannato sarà mandato non al fuoco, ma nel fuoco. Sicchè il misero sarà circondato dal fuoco, come un legno dentro una fornace.
Si troverà il dannato con un abisso di fuoco da sotto, un abisso di sopra, e un abisso d'intorno. Se tocca, se vede, se respira; non tocca, non vede, ne respira altro che fuoco. Starà nel fuoco come il pesce nell'acqua.

Ma questo fuoco non solamente starà intorno al dannato, ma entrerà anche dentro le sue viscere a tormentarlo. Il suo corpo diventerà tutto di fuoco,
sicchè bruceranno le viscere dentro del ventre, il cuore dentro del petto, le cervella dentro il capo, il sangue dentro le vene, anche le midolla dentro l'ossa: ogni dannato diventerà in se stesso una fornace di fuoco.

Taluni non possono soffrire di camminare per una via battuta dal sole, di stare in una stanza chiusa con una braciera, non soffrire una scintilla, che ondeggia da una candela; e poi non temono quel fuoco, che divora, come dice Isaia: "Chi di noi può rimanere presso un fuoco divorante?" (Is. 33,14). 

Siccome una fiera divora un capretto, così il fuoco
dell'inferno divora il dannato; lo divora, ma senza farlo mai morire.
Sei pazzo, dice S. Pier Damiani (parlando al disonesto), vuoi contentare la tua carne, che verrà un giorno in cui le tue disonestà diventeranno tutte pece nelle tue viscere, che farà più grande e più tormentosa la fiamma che ti brucerà nell'inferno. 

Aggiunge S. Girolamo che questo fuoco porterà con se tutti i tormenti e dolori che si patiscono in questa terra, dolori di fianco e di testa, di viscere, di nervi.

In questo fuoco vi sarà anche la pena del freddo. Ma sempre bisogna intendere che tutte le pene di questa terra sono un'ombra,  come dice il Crisostomo, a paragone delle pene dell'inferno: "Pone ignem, pone ferrum, quid, nisi umbra ad illa tormenta?".

Le facoltà anche avranno il loro proprio tormento. 

Il dannato sarà tormentato nella memoria, col ricordarsi del tempo che ha avuto in questa vita per salvarsi, e l'ha speso per dannarsi; e delle grazie che ha ricevute da Dio, e non se ne ha voluto servire. 

Nell'intelletto, col pensare al gran bene che ha perduto, paradiso e Dio; e che a questa perdita non vi è più rimedio.


Nella volontà, in vedere che gli sarà negata sempre ogni cosa che domanda. Il misero non avrà mai niente di quel che desidera, ed avrà sempre tutto quello che detesta, che saranno le sue pene eterne. Vorrebbe uscir dai tormenti, e trovar pace, ma sarà sempre tormentato, e non avrà mai pace.



Pena del danno.



Ma tutte queste pene son niente a rispetto della pena del danno. 
Non fanno l'inferno le tenebre, la puzza, le grida e il fuoco; la pena che fa l'inferno è la pena di aver perduto Dio. 

Dice S. Giovanni Grisostomo: "Se anche dici mille inferni, non dici nulla d'uguale a quel dolore". 

Ed aggiunge S. Agostino che se i dannati godessero la vista di Dio, "Non sentirebbero alcuna pena, e lo stesso inferno sarebbe cambiato in paradiso". 

Per intendere qualche cosa di questa pena, si consideri che se taluno perde (per esempio) una gemma, che valeva 100 scudi, sente gran pena, ma se valeva 200 sente doppia pena: se 400 più pena. Insomma quanto cresce il valore della cosa perduta, tanto cresce la pena. 


Il dannato qual bene ha perduto? Un bene infinito, che è Dio; onde dice S. Tommaso che sente una pena in certo modo infinita.

S. Ignazio di Lojola diceva: Signore, ogni pena sopporto, ma questa no, di star privo di Voi. Ma questa pena niente si apprende dai peccatori, che si contentano di vivere i mesi e gli anni senza Dio, perchè i miseri vivono fra le tenebre. In morte non
però hanno da conoscere il gran bene che perdono.

L'anima in uscire da questa vita, come dice S. Antonino, subito intende ch'ella è creata per Dio, onde subito si slancia per andare ad abbracciarsi col suo sommo bene; ma stando in peccato, sarà da Dio rifiutata.

Se un cane vede la lepre, ed uno lo tiene con una catena, che forza fa il cane per romper la catena ed
andare a pigliar la preda? L'anima in separarsi dal corpo, naturalmente è tirata a Dio, ma il peccato la divide da Dio, e la manda lontana all'inferno, "che hanno scavato un abisso tra voi e il vostro Dio" (Is. 59. 2).

Tutto l'inferno dunque consiste in quella prima parola della condanna. Allorchè Davide condannò Assalonne a non comparirgli più davanti, fu tale questa pena ad Assalonne che rispose: "Dite a mio padre, che o mi permetta di vedere la sua faccia o mi dia la morte" (2. Sam. 14. 24).

Filippo II ad un grande che vide stare irriverente in chiesa, gli disse: "Non mi comparite più davanti". Fu tanta la pena di quel grande, che giunto alla casa se ne morì di dolore. Che sarà, quando Dio in morte intimerà al reprobo: Va via che io non voglio vederti più. Voi (dirà Gesù ai dannati nel giorno finale) non siete più miei, io non sono più vostro.

Che pena è ad un figlio, a cui gli muore il padre, o ad una moglie quando le muore lo sposo, il dire: Padre mio, sposo mio, non ti ho da vedere più.


Ah se ora udissimo un'anima dannata che piange, e le chiedessimo: anima, perché piangi tanto? Questo solo ella risponderebbe: Piango, perché ho perduto Dio, e non l'ho da vedere più. 
Almeno potesse la misera nell'inferno amare il suo Dio, e rassegnarsi alla sua volontà. Ma no, se potesse ciò fare, l'inferno non sarebbe inferno; l'infelice non può rassegnarsi alla volontà di Dio, perché è fatta nemica della divina volontà. Né può amare più il suo Dio, ma l'odia e l'odierà per sempre; e questo sarà il suo inferno, il conoscere che Dio è un bene sommo e il vedersi poi costretto ad odiarlo, nello stesso tempo che lo conosce degno d'infinito amore. 


Il dannato odierà e maledirà Dio, e maledicendo Dio, maledirà anche i benefici che gli ha fatti, la creazione, la redenzione, i sacramenti, specialmente del battesimo e della penitenza, e sopra tutto il SS. Sacramento dell'altare.

Odierà tutti gli angeli e santi ma specialmente l'angelo custode e i santi suoi avvocati, e più di tutti la divina Madre; ma principalmente maledirà le tre divine Persone, e fra queste singolarmente il Figlio di Dio, che un giorno è morto per la sua salvezza, maledicendo le sue piaghe, il suo sangue, le sue pene e la sua morte.

Sant'Alfonso Maria De Liguori (da: Apparecchio alla morte)