sabato 29 novembre 2014

IL PRIMATO DEL SUCCESSORE DI PIETRO NEL MISTERO DELLA CHIESA

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE  

IL PRIMATO DEL SUCCESSORE DI PIETRO
NEL MISTERO DELLA CHIESA



1. Nell'attuale momento della vita della Chiesa, la questione del Primato di Pietro e dei Suoi Successori presenta una singolare rilevanza, anche ecumenica. In questo senso si è espresso con frequenza Giovanni Paolo II, in modo particolare nella Lettera enciclica Ut unum sint, nella quale ha voluto rivolgere specialmente ai pastori ed ai teologi l'invito a « trovare una forma di esercizio del Primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova ». 1
La Congregazione per la Dottrina della Fede, accogliendo l'invito del Santo Padre, ha deciso di proseguire l'approfondimento della tematica convocando un simposio di natura prettamente dottrinale su Il Primato del Successore di Pietro, che si è svolto in Vaticano dal 2 al 4 dicembre 1996, e di cui sono stati pubblicati gli Atti. 2

2. Nel Messaggio rivolto ai partecipanti al simposio, il Santo Padre ha scritto: « La Chiesa Cattolica è consapevole di aver conservato, in fedeltà alla Tradizione Apostolica e alla fede dei Padri, il ministero del Successore di Pietro ».3 Esiste infatti una continuità lungo la storia della Chiesa nello sviluppo dottrinale sul Primato. Nel redigere il presente testo, che compare in appendice al suddetto volume degli Atti, 4 la Congregazione per la Dottrina della Fede si è avvalsa dei contributi degli studiosi, che hanno preso parte al simposio, senza però intendere offrirne una sintesi né addentrarsi in questioni aperte a nuovi studi. Queste “Considerazioni” — a margine del Simposio — vogliono solo ricordare i punti essenziali della dottrina cattolica sul Primato, grande dono di Cristo alla sua Chiesa in quanto servizio necessario all'unità e che è stato anche spesso, come dimostra la storia, una difesa della libertà dei Vescovi e delle Chiese particolari di fronte alle ingerenze del potere politico.

I
ORIGINE, FINALITÀ E NATURA DEL PRIMATO

3. « Primo Simone, chiamato Pietro ». 5 Con questa significativa accentuazione della primazia di Simon Pietro, San Matteo introduce nel suo Vangelo la lista dei Dodici Apostoli, che anche negli altri due Vangeli sinottici e negli Atti inizia con il nome di Simone 6 Questo elenco, dotato di grande forza testimoniale, ed altri passi evangelici 7 mostrano con chiarezza e semplicità che il canone neotestamentario ha recepito le parole di Cristo relative a Pietro ed al suo ruolo nel gruppo dei Dodici. 8 Perciò, già nelle prime comunità cristiane, come più tardi in tutta la Chiesa, l'immagine di Pietro è rimasta fissata come quella dell'Apostolo che, malgrado la sua debolezza umana, fu costituito espressamente da Cristo al primo posto fra i Dodici e chiamato a svolgere nella Chiesa una propria e specifica funzione. Egli è la roccia sulla quale Cristo edificherà la sua Chiesa;è colui che, una volta convertito, non verrà meno nella fede e confermerà i fratelli; 10 è, infine, il Pastore che guiderà l'intera comunità dei discepoli del Signore. 11
Nella figura, nella missione e nel ministero di Pietro, nella sua presenza e nella sua morte a Roma — attestate dalla più antica tradizione letteraria e archeologica — la Chiesa contempla una profonda realtà, che è in rapporto essenziale con il suo stesso mistero di comunione e di salvezza:« Ubi Petrus, ibi ergo Ecclesia ». 12 La Chiesa, fin dagli inizi e con crescente chiarezza, ha capito che come esiste la successione degli Apostoli nel ministero dei Vescovi, così anche il ministero dell'unità, affidato a Pietro, appartiene alla perenne struttura della Chiesa di Cristo e che questa successione è fissata nella sede del suo martirio.

4. Basandosi sulla testimonianza del Nuovo Testamento, la Chiesa Cattolica insegna, come dottrina di fede, che il Vescovo di Roma è Successore di Pietro nel suo servizio primaziale nella Chiesa universale; 13 questa successione spiega la preminenza della Chiesa di Roma, 14 arricchita anche dalla predicazione e dal martirio di San Paolo.
Nel disegno divino sul Primato come « ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli Apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori », 15 si manifesta già la finalità del carisma petrino, ovvero « l'unità di fede e di comunione » 16 di tutti i credenti. Il Romano Pontefice infatti, quale Successore di Pietro, è « perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli », 17 e perciò egli ha una grazia ministeriale specifica per servire quell'unità di fede e di comunione che è necessaria per il compimento della missione salvifica della Chiesa. 18

5. La Costituzione Pastor aeternus del Concilio Vaticano I indicò nel prologo la finalità del Primato, dedicando poi il corpo del testo a esporre il contenuto o ambito della sua potestà propria. Il Concilio Vaticano II, da parte sua, riaffermando e completando gli insegnamenti del Vaticano I,19 ha trattato principalmente il tema della finalità, con particolare attenzione al mistero della Chiesa come Corpus Ecclesiarum. 20 Tale considerazione permise di mettere in rilievo con maggiore chiarezza che la funzione primaziale del Vescovo di Roma e la funzione degli altri Vescovi non si trovano in contrasto ma in un'originaria ed essenziale armonia. 21
Perciò, « quando la Chiesa Cattolica afferma che la funzione del Vescovo di Roma risponde alla volontà di Cristo, essa non separa questa funzione dalla missione affidata all'insieme dei Vescovi, anch'essi “vicari e legati di Cristo” » (Lumen gentium, n. 27). Il Vescovo di Roma appartiene al loro collegio ed essi sono i suoi fratelli nel ministero. 22 Si deve anche affermare, reciprocamente, che la collegialità episcopale non si contrappone all'esercizio personale del Primato né lo deve relativizzare.

6. Tutti i Vescovi sono soggetti della sollicitudo omnium Ecclesiarum 23 in quanto membri del Collegio episcopale che succede al Collegio degli Apostoli, di cui ha fatto parte anche la straordinaria figura di San Paolo. Questa dimensione universale della loro episkopè (sorveglianza) è inseparabile dalla dimensione particolare relativa agli uffici loro affidati. 24 Nel caso del Vescovo di Roma — Vicario di Cristo al modo proprio di Pietro come Capo del Collegio dei Vescovi —, 25 la sollicitudo omnium Ecclesiarum acquista una forza particolare perché è accompagnata dalla piena e suprema potestà nella Chiesa: una potestà veramente episcopale, non solo suprema, piena e universale, ma anche immediata, su tutti, sia pastori che altri fedeli. 26 Il ministero del Successore di Pietro, perciò, non è un servizio che raggiunge ogni Chiesa particolare dall'esterno, ma è iscritto nel cuore di ogni Chiesa particolare, nella quale « è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo »,27 e per questo porta in sé l'apertura al ministero dell'unità. Questa interiorità del ministero del Vescovo di Roma a ogni Chiesa particolare è anche espressione della mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiesa particolare. 28
L'Episcopato e il Primato, reciprocamente connessi e inseparabili, sono d'istituzione divina. Storicamente sono sorte, per istituzione della Chiesa, forme di organizzazione ecclesiastica nelle quali si esercita pure un principio di primazia. In particolare, la Chiesa Cattolica è ben consapevole della funzione delle sedi apostoliche nella Chiesa antica, specialmente di quelle considerate Petrine — Antiochia ed Alessandria — quali punti di riferimento
della Tradizione apostolica, intorno a cui si è sviluppato il sistema patriarcale; questo sistema appartiene alla guida della Provvidenza ordinaria di Dio sulla Chiesa, e reca in sé, dagli inizi, il nesso con la tradizione petrina.  29

II
L'ESERCIZIO DEL PRIMATO E LE SUE MODALITÀ

7. L'esercizio del ministero petrino deve essere inteso — perché « nulla perda della sua autenticità e trasparenza » 30 — a partire dal Vangelo, ovvero dal suo essenziale inserimento nel mistero salvifico di Cristo e nell'edificazione della Chiesa. Il Primato differisce nella propria essenza e nel proprio esercizio dagli uffici di governo vigenti nelle società umane: 31 non è un ufficio di coordinamento o di presidenza, né si riduce ad un Primato d'onore, né può essere concepito come una monarchia di tipo politico.
Il Romano Pontefice è — come tutti i fedeli — sottomesso alla Parola di Dio, alla fede cattolica ed è garante dell'obbedienza della Chiesa e, in questo senso, servus servorum. Egli non decide secondo il proprio arbitrio, ma dà voce alla volontà del Signore, che parla all'uomo nella Scrittura vissuta ed interpretata dalla Tradizione; in altri termini, la episkopè del Primato ha i limiti che procedono dalla legge divina e dall'inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione. 32 Il Successore di Pietro è la roccia che, contro l'arbitrarietà e il conformismo, garantisce una rigorosa fedeltà alla Parola di Dio: ne segue anche il carattere martirologico del suo Primato.

8. Le caratteristiche dell'esercizio del Primato devono essere comprese soprattutto a partire da due premesse fondamentali: l'unità dell'Episcopato e il carattere episcopale del Primato stesso. Essendo l'Episcopato una realtà « una e indivisa », 33 il Primato del Papa comporta la facoltà di servire effettivamente l'unità di tutti i Vescovi e di tutti i fedeli, e « si esercita a svariati livelli, che riguardano la vigilanza sulla trasmissione della Parola, sulla celebrazione sacramentale e liturgica, sulla missione, sulla disciplina e sulla vita cristiana »; 34 a questi livelli, per volontà di Cristo, tutti nella Chiesa — i Vescovi e gli altri fedeli — debbono obbedienza al Successore di Pietro, il quale è anche garante della legittima diversità di riti, discipline e strutture ecclesiastiche tra Oriente ed Occidente.


9. Il Primato del Vescovo di Roma, considerato il suo carattere episcopale, si esplica, in primo luogo, nella trasmissione della Parola di Dio; quindi esso include una specifica e particolare responsabilità nella missione evangelizzatrice, 35 dato che la comunione ecclesiale è una realtà essenzialmente destinata ad espandersi: « Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda ». 36
Il compito episcopale che il Romano Pontefice ha nei confronti della trasmissione della Parola di Dio si estende anche all'interno di tutta la Chiesa. Come tale, esso è un ufficio magisteriale supremo e universale; 37 è una funzione che implica un carisma: una speciale assistenza dello Spirito Santo al Successore di Pietro, che implica anche, in certi casi, la prerogativa dell'infallibilità.  38 Come « tutte le Chiese sono in comunione piena e visibile, perché tutti i pastori sono in comunione con Pietro, e così nell'unità di Cristo », 39 allo stesso modo i Vescovi sono testimoni della verità divina e cattolica quando insegnano in comunione con il Romano Pontefice.  40

10. Insieme alla funzione magisteriale del Primato, la missione del Successore di Pietro su tutta la Chiesa comporta la facoltà di porre gli atti di governo ecclesiastico necessari o convenienti per promuovere e difendere l'unità di fede e di comunione; tra questi si consideri, ad esempio: dare il mandato per l'ordinazione di nuovi Vescovi, esigere da loro la professione di fede cattolica; aiutare tutti a mantenersi nella fede professata. Come è ovvio, vi sono molti altri possibili modi, più o meno contingenti, di svolgere questo servizio all'unità: emanare leggi per tutta la Chiesa, stabilire strutture pastorali a servizio di diverse Chiese particolari, dotare di forza vincolante le decisioni dei Concili particolari, approvare istituti religiosi sopradiocesani, ecc. Per il carattere supremo della potestà del Primato, non v'è alcuna istanza cui il Romano Pontefice debba rispondere giuridicamente dell'esercizio del dono ricevuto: « prima sedes a nemine iudicatur ». 41 Tuttavia, ciò non significa che il Papa abbia un potere assoluto. Ascoltare la voce delle Chiese è, infatti, un contrassegno del ministero dell'unità, una conseguenza anche dell'unità del Corpo episcopale e delsensus fidei dell'intero Popolo di Dio; e questo vincolo appare sostanzialmente dotato di maggior forza e sicurezza delle istanze giuridiche — ipotesi peraltro improponibile, perché priva di fondamento — alle quali il Romano Pontefice dovrebbe rispondere. L'ultima ed inderogabile responsabilità del Papa trova la migliore garanzia, da una parte, nel suo inserimento nella Tradizione e nella comunione fraterna e, dall'altra, nella fiducia nell'assistenza dello Spirito Santo che governa la Chiesa.

11. L'unità della Chiesa, al servizio della quale si pone in modo singolare il ministero del Successore di Pietro, raggiunge la più alta espressione nel Sacrificio Eucaristico, il quale è centro e radice della comunione ecclesiale; comunione che si fonda anche necessariamente sull'unità dell'Episcopato. Perciò, « ogni celebrazione dell'Eucaristia è fatta in unione non solo con il proprio Vescovo ma anche con il Papa, con l'ordine episcopale, con tutto il clero e con l'intero popolo. Ogni valida celebrazione dell'Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l'intera Chiesa, oppure oggettivamente la richiama », 42 come nel caso delle Chiese che non sono in piena comunione con la Sede Apostolica.

12. « La Chiesa pellegrinante, nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all'età presente, porta la figura fugace di questo mondo ». 43 Anche per questo, l'immutabile natura del Primato del Successore di Pietro si è espressa storicamente attraverso modalità di esercizio adeguate alle circostanze di una Chiesa pellegrinante in questo mondo mutevole.

I contenuti concreti del suo esercizio caratterizzano il ministero petrino nella misura in cui esprimono fedelmente l'applicazione alle circostanze di luogo e di tempo delle esigenze della finalità ultima che gli è propria (l'unità della Chiesa). La maggiore o minore estensione di tali contenuti concreti dipenderà in ogni epoca storica dalla necessitas Ecclesiae. Lo Spirito Santo aiuta la Chiesa a conoscere questa necessitas ed il Romano Pontefice, ascoltando la voce dello Spirito nelle Chiese, cerca la risposta e la offre quando e come lo ritiene opportuno.

Di conseguenza, non è cercando il minimo di attribuzioni esercitate nella storia che si può determinare il nucleo della dottrina di fede sulle competenze del Primato. Perciò, il fatto che un determinato compito sia stato svolto dal Primato in una certa epoca non significa da solo che tale compito debba necessariamente essere sempre riservato al Romano Pontefice; e, viceversa, il solofatto che una determinata funzione non sia stata esercitata in precedenza dal Papa non autorizza a concludere che tale funzione non possa in alcun modo esercitarsi in futuro come competenza del Primato.

13. In ogni caso, è fondamentale affermare che il discernimento circa la congruenza tra la natura del ministero petrino e le eventuali modalità del suo esercizio è un discernimento da compiersi in Ecclesia, ossia sotto l'assistenza dello Spirito Santo e in dialogo fraterno del Romano Pontefice con gli altri Vescovi, secondo le esigenze concrete della Chiesa. Ma, allo stesso tempo, è chiaro che solo il Papa (o il Papa con il Concilio ecumenico) ha, come Successore di Pietro, l'autorità e la competenza per dire l'ultima parola sulle modalità di esercizio del proprio ministero pastorale nella Chiesa universale.

* * *
14. Nel ricordare i punti essenziali della dottrina cattolica sul Primato del Successore di Pietro, la Congregazione per la Dottrina della Fede è certa che la riaffermazione autorevole di tali acquisizioni dottrinali offre maggior chiarezza sulla via da proseguire. Tale richiamo è utile, infatti, anche per evitare le ricadute sempre nuovamente possibili nelle parzialità e nelle unilateralità già respinte dalla Chiesa nel passato (febronianesimo, gallicanesimo, ultramontanismo, conciliarismo, ecc). E, soprattutto, vedendo il ministero del Servo dei servi di Dio come un grande dono della misericordia divina alla Chiesa, troveremo tutti — con la grazia dello Spirito Santo — lo slancio per vivere e custodire fedelmente l'effettiva e piena unione con il Romano Pontefice nel quotidiano camminare della Chiesa, secondo il modo voluto da Cristo.  44

15. La piena comunione voluta dal Signore tra coloro che si confessano suoi discepoli richiede il riconoscimento comune di un ministero ecclesiale universale « nel quale tutti i Vescovi si riconoscano uniti in Cristo e tutti i fedeli trovino la conferma della propria fede ». 45 La Chiesa Cattolica professa che questo ministero è il ministero primaziale del Romano Pontefice, successore di Pietro, e sostiene con umiltà e con fermezza « che la comunione delle Chiese particolari con la Chiesa di Roma, e dei loro Vescovi con il Vescovo di Roma, è un requisito essenziale — nel disegno di Dio — della comunione piena e visibile ». 46 Non sono mancati nella storia del Papato errori umani e mancanze anche gravi: Pietro stesso, infatti, riconosceva di essere peccatore. 47 Pietro, uomo debole, fu eletto come roccia, proprio perché fosse palese che la vittoria è soltanto di Cristo e non risultato delle forze umane. Il Signore volle portare in vasi fragili48 il proprio tesoro attraverso i tempi: così la fragilità umana è diventata segno della verità delle promesse divine e della misericordia di Dio. 49
Quando e come si raggiungerà la tanto desiderata mèta dell'unità di tutti i cristiani? « Come ottenerlo? Con la speranza nello Spirito, che sa allontanare da noi gli spettri del passato e le memorie dolorose della separazione; Egli sa concederci lucidità, forza e coraggio per intraprendere i passi necessari, in modo che il nostro impegno sia sempre più autentico ». 50 Siamo tutti invitati ad affidarci allo Spirito Santo, ad affidarci a Cristo, affidandoci a Pietro.

+ Joseph Card. Ratzinger, 
Prefetto

+ Tarcisio Bertone, Arcivescovo emerito di Vercelli, 
Segretario

   
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Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, 25-V-1995, n. 95.
Il Primato del Successore di Pietro, Atti del Simposio teologico, Roma 2-4 dicembre 1996, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998.
Giovanni Paolo II, Lettera al Cardinale Joseph Ratzinger, in Ibid, p. 20.
Il Primato del Successore di Pietro nel mistero della Chiesa, Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede, in Ibid, Appendice, pp. 493-503. Il testo è pubblicato anche in un apposito fascicolo, edito dalla Libreria Editrice Vaticana.
Mt 10,2.
Cf. Mc 3,16; Lc 6,14; At 1,13.
Cf. Mt 14,28-31; 16,16-23 e par.; 19,27-29 e par.; 26,33-35 e par.; Lc 22,32; Gv 1,42; 6,67-70; 13,36-38; 21,15-19.
La testimonianza per il ministero petrino si trova in tutte le espressioni, pur differenti, della tradizione neotestamentaria, sia nei Sinottici — qui con tratti diversi in Matteo e in Luca, come anche in San Marco —, sia nel corpo Paolino e nella tradizione Giovannea, sempre con elementi originali, differenti quanto agli aspetti narrativi ma profondamente concordanti nel significato essenziale. Questo è un segno che la realtà petrina fu considerata come un dato costitutivo della Chiesa.
Cf. Mt 16,18.
10 Cf. Lc 22,32.
11 Cf. Gv 21,15-17. Sulla testimonianza neotestamentaria sul Primato cf. anche Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, nn. 90ss.
12 S. Ambrogio di Milano, Enarr. in Ps., 40, 30: PL 14, 1134.
13 Cf. ad esempio S. Siricio I, Lett. Directa ad decessorem, 10-11-385: Denz-Hün, n. 181; Conc. di Lione II, Professio fidei di Michele Paleologo, 6-VII-1274: Denz-Hün, n. 861; Clemente VI, Lett. Super quibusdam, 29-IX-1351: Denz-Hün, n. 1053; Conc. di Firenze, Bolla Laetentur caeli,6-VII-1439: Denz-Hün, n. 1307; Pio IX, Lett. Enc. Qui pluribus, 9-XI-1846: Denz-Hün, n. 2781; Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 2: Denz-Hün, nn. 3056-3058; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, cap. IlI, nn. 21-23; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 882; ecc.
14 Cf. S. Ignazio d'Antiochia, Epist. ad Romanos, Intr.: SChr 10, 106-107; S. Ireneo di Antiochia,Adversus haereses, III, 3, 2: SChr 211, 32-33.
15 Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 20.
16 Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, proemio: Denz-Hün, n. 3051. Cf.. S. Leone I Magno, Tract. in Natale eiusdem, IV, 2: CCL 138, p. 19.
17 Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23. Cf.. Conc. Vaticano I, Cost. dogm.Pastor aeternus, proemio: Denz-Hün, n. 3051; Giovanni Paolo II, Enc. Ut unum sint, n. 88. Pio IX, Lett. del S. Uffizio ai Vescovi d'Inghilterra, 16-IX-1864: Denz-Hün, n. 2888; Leone XIII, Lett. Enc. Satis cognitum, 29-VI-1896: Denz-Hün, nn. 3305-3310.
18 Cf.. Gv 17,21-23; Conc. Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 1; Paolo VI, Esort. ap.Evangelii nuntiandi, 8-XII-1975, n. 77: AAS 68 (1976) 69; Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 98.
19 Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 18.
20  Cf. ibidem, n. 23.
21 Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, n. 3061; cf.Dichiarazione collettiva dei Vescovi tedeschi, genn.-febbr. 1875: Denz-Hün, nn. 3112-3113; Leone XIII, Lett. Enc. Satis cognitum, 29-VI-1896: Denz-Hün, n. 3310; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 27. Come spiegò Pio IX nell’'Allocuzione dopo la promulgazione della Costituzione Pastor aeternus: « Summa ista Romani Pontificis auctoritas, Venerabiles Fratres, non opprimit sed adiuvat, non destruit sed aedificat, et saepissime confirmat in dignitate, unit in caritate, et Fratrum, scilicet Episcoporum, jura firmat atque tuetur » (Mansi 52, 1336 A/B).
22 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 95.
23 2 Cor 11,28.
24 La priorità ontologica che la Chiesa universale, nel suo essenziale mistero, ha rispetto ad ogni singola Chiesa particolare (cf. Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. Communìonis notio, 28-V-1992, n. 9) sottolinea anche l'importanza della dimensione universale del ministero di ogni Vescovo.
25 Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, 3059; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 22; cf. Conc. Di Firenze, Bolla Laetentur caeli, 6-VII-1439: Denz-Hün, n. 1307.
26 Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, nn. 3060.3064.
Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 22.
27 Conc. Vaticano II, Decr. Christus Dominus, n. 11.
28Cf. Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis Notio,n. 13.
29 Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23; Decr. Orientalium Ecclesiarum, nn. 7 e 9.
30 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 93.
31 Cf. ibidem, n. 94.
32 Cf. Dichiarazione collettiva dei Vescovi tedeschi, genn.-febbr. 1875: Denz-Hün, n. 3114.
33 Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, proemio: Denz-Hün, n. 3051.
34 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 94.
35 Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23; Leone XIII, Lett. Enc. Grande munus, 30-IX-1880: ASS 13 (1880) 145; CIC can. 782 § 1.
36 Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, n. 14. Cf. CIC can. 781.
37 Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aetemus, cap. 4: Denz-Hün, nn. 3065-3068.
38 Cf. ibidem: Denz-Hün, nn. 3073-3074; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 25; CIC can. 749 § 1; CCEO can. 597 § 1.
39 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 94.
40 Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 25.
41 CIC, can. 1404; CCEO, can. 1058. Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, n. 3063.
42 Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio, n. 14. Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1369.
43 Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 48.
44 Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 15.
45Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 97.
46 Ibidem.
47 Cf. Lc 5,8.
48 Cf. 2 Cor 4,7.
49 Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, nn. 91-94.
50 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 102.


«Francesco Saverio si curava dell'anima: della sua anima e di quella di tutte le persone, l'anima di ogni essere umano. Si curava dell'«anima», perché gli stava a cuore la vita: la vita nella sua pienezza, la vita nella sua felicità, la vita eterna.

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San Francesco Saverio, prega per noi!

Carissimo Amico/a

«Saverioche giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?» (Mt 16,26). Questo avvertimento di Nostro Signore è rivolto a François-Xavier (Francesco Saverio) da Ignazio di Loyola che lo commenta così: «Pensaci bene, il mondo è un padrone che promette e che non mantiene la parola. E anche se mantenesse le sue promesse nei tuoi confronti, non potrà mai appagare il tuo cuore. Ma supponiamo che lo appagasse, quanto tempo durerà la tua felicità? In ogni caso, potrà forse durare più della tua vita? E alla morte, che cosa porterai con te nell'eternità? Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?» 
Poco per volta, questa massima entra nel cuore di Francesco Saverio e vi si imprime profondamente. Così ha inizio un percorso che farà di lui uno dei più grandi santi della storia della Chiesa.

Più che una passione

Francesco nasce il 7 aprile 1506 nel castello di Javier nella Navarra, nel nord ovest della Spagna. Nel 1512, suo padre viene condannato alla perdita dei suoi beni per aver combattuto a fianco del re di Navarra in una guerra contro la corona di Castiglia; morirà di dispiacere nel 1515. L'anno seguente, la fortezza di Xavier viene smantellata e le terre della famiglia confiscate. Quando Francesco Saverio raggiunge la maggiore età, la sua famiglia è rovinata. In questa congiuntura, la carriera delle armi non lo attira. Lasciando sua madre e i suoi fratelli nel settembre 1525 per non rivederli più in questo mondo, egli si reca all'Università di Parigi, dove alloggia presso il collegio Santa Barbara insieme a compagni dediti, per la maggior parte, a una vita poco edificante. Tuttavia, fra di essi si trovano due uomini di una pietà eccezionale, Pietro Fabro e Ignazio di Loyola. Quest'ultimo, originario del Paese Basco confinante con la Navarra, medita da qualche tempo la fondazione di un'opera santa per il bene della Chiesa; avendo constatato le qualità d'anima di Pietro e di Saverio, cerca di far loro condividere la sua ambizione spirituale. 
Ignazio conduce quindi Pietro Fabro a fare gli Esercizi Spirituali per trenta giorni; alla conclusione di questo ritiro, quest'ultimo è interamente conquistato alla buona causa. Per Francesco Saverio, è più difficile. 
È vero che, grazie ai consigli di Ignazio e di Pietro, egli si è già allontanato da relazioni sospette e ha respinto le dottrine malsane messe in circolazione a Parigi dai seguaci di Calvino. Ma il suo cuore, fiero e aperto all'attrazione di un'ambizione mondana, non prova che disgusto per la vita oscura di rinuncia esaltata da Ignazio. Quest'ultimo, fine conoscitore di anime, s'immedesima dapprima nel modo di sentire di Francesco che, diventato professore di filosofia, ambisce a una bella carriera e a un vasto uditorio. Ignazio gli trova tanti discepoli che Francesco riconosce in lui un vero amico con il quale può confidarsi. Ignazio approfitta di questa amicizia per ricordargli la vanità della grandezza e dei vantaggi di questo mondo, e la loro inutilità per la vita eterna. Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima? 
Francesco, toccato dalla grazia di Dio, partecipa a sua volta agli Esercizi Spirituali, nel corso dei quali chiede «la conoscenza intima del Signore che per me si è fatto uomo, per amarlo con maggiore ardore e seguirlo con più fedeltà» (Es. Sp. 104). Ormai, non avrà che una passione: amare e far amare Gesù Cristo.

Ben presto, al piccolo gruppo si aggiungono altri quattro studenti. Ignazio propone allora ai suoi sei compagni di donarsi più completamente a Dio e di unirsi tra loro con il legame dei voti di religione. Il 15 agosto 1534, nella cappella di Santa Maria di Montmartre, Pietro Fabro, allora l'unico prete del gruppo, celebra la Santa Messa nel corso della quale tutti pronunciano i voti perpetui di povertà e di castità con la promessa di recarsi in Terra Santa o di rimettersi alla volontà del Sovrano Pontefice. In attesa di conoscere la santa volontà di Dio, si riuniscono spesso per pregare e incoraggiarsi vicendevolmente alla pratica delle virtù.

Diritto al cuore


Il 25 gennaio 1537, i primi membri della Compagnia di Gesù si ritrovano a Venezia, ma, poiché la situazione politica rende impossibile il pellegrinaggio in Terra Santa, decidono di andare a Roma per chiedere la benedizione del Papa Paolo III. Quest'ultimo li accoglie con benevolenza e concede loro l'autorizzazione a farsi ordinare preti; questa cerimonia ha luogo il 24 giugno 1537. Poi, il gruppetto si dissemina in diverse città d'Italia. Padre Francesco viene destinato a Bologna dove si dedica all'istruzione della gene del popolo, dei malati e dei prigionieri. Non conoscendo bene l'italiano, parla poco, ma con una tale convinzione che le sue parole vanno direttamente al cuore degli ascoltatori. 
Alla fine del 1538, il re del Portogallo, Giovanni III, chiede a Ignazio di concedergli dei religiosi per l'evangelizzazione delle Indie. Questi, d'accordo con il Papa, mette a sua disposizione due religiosi, tra cui Francesco Saverio. Quest'ultimo viene messo al corrente solo la vigilia della partenza, il 15 marzo 1540. Come unico bagaglio, porta con sé l'abito di cui è vestito, il suo crocifisso, un breviario e un altro libro.

Dopo un viaggio di tre mesi, Padre Francesco arriva a Lisbona in compagnia di Simone Rodriguez; entrambi vengono ricevuti da Giovanni III, uomo veramente pio e preoccupato della salvezza delle anime. Attendendo di partire per le Indie, essi si dedicano al ministero delle anime nella capitale del Portogallo. La loro dedizione apostolica suscita a Lisbona una tale ammirazione che viene chiesto al re di trattenerli nel paese. Ignazio decide che Rodriguez resterà a Lisbona; quanto a Padre Francesco, partirà per le Indie. La sua partenza, in compagnia di tre giovani confratelli, ha luogo il 7 aprile 1541.

A quell'epoca, il viaggio dal Portogallo alle Indie passando per il capo di Buona Speranza è un'avventura da cui nessuno alla partenza si può vantare di uscire vivo. Se la nave non fa naufragio, le epidemie, il freddo, la fame e la sete provvedono spesso a decimare i passeggeri. Il 1° gennaio 1542, Padre Francesco scrive ai suoi fratelli di Roma: «Ho avuto il mal di mare per due mesi; e tutti hanno molto sofferto per quaranta giorni sulle coste della Guinea. Tale è la natura delle pene e delle fatiche che, per il mondo intero, non avrei osato affrontarle un solo giorno. Noi troviamo un conforto e una speranza sempre crescenti nella misericordia di Dio, nella convinzione che manchiamo del talento necessario per predicare la fede di Gesù Cristo in terra pagana». Il 6 maggio 1542, essi raggiungono Goa, sulla costa occidentale dell'India.


Primo modo di pregare

Avendo ricevuto dal Papa i pieni poteri spirituali sui sudditi dell'impero coloniale del Portogallo, Francesco Saverio arriva in India munito del titolo di «Nunzio apostolico». Egli trova a Goa una cristianità confrontata agli esempi poco edificanti di certi europei. Grazie al suo zelo, già prima della fine dell'anno, Goa appare molto cambiata; un buon numero di anime vi camminano già nella via della perfezione: Padre Francesco le sostiene esercitandole a meditare, secondo il metodo che sant'Ignazio chiama il «primo modo di pregare» (Es. Sp. 238-248). 

Questo modo di meditare consiste nell'esaminarsi sui dieci comandamenti di Dio, i sette peccati capitali, le tre facoltà dell'anima (memoria, intelligenza, volontà), e i cinque sensi del corpo. Vi si chiede a Dio la grazia di sapere in che cosa si siano osservati o trasgrediti i suoi comandamenti, e l'aiuto necessario per correggersi in avvenire. 
Il vescovo di Goa desidera che Padre Francesco prosegua a operare il gran bene che ha fatto nella città, ma quest'ultimo, spinto dallo Spirito di Dio, aspira a conquiste più vaste. Come gli apostoli, brucia del desiderio di affrontare i pericoli, le sofferenze, le persecuzioni, per conquistare il maggior numero possibile di anime a Gesù Cristo. Il governatore di Goa, che conosce il suo zelo, si fa partecipe del suo modo di vedere e gli segnala i ventimila uomini della tribù dei Paravers, battezzati precipitosamente otto anni prima sulla costa della Pescheria, e che, da allora, sono ritornati alla loro ignoranza e alle loro superstizioni.

Padre Francesco scrive in una lettera a sant'Ignazio: «Parto contento: sopportare le fatiche di una lunga navigazione, prendere su di sé i peccati altrui, quando se ne ha già abbastanza dei propri, soggiornare in mezzo ai pagani, subire l'ardore di un sole bruciante, e tutto questo per Dio; ecco sicuramente delle grandi consolazioni e un motivo di gioie celesti. Perché alla fin fine la vita beata, per gli amici della croce di Gesù Cristo, è, mi sembra, una vita disseminata di simili croci« Quale felicità pari a quella di vivere morendo ogni giorno, spezzando le nostre volontà per cercare e trovare non quello che ci dà un vantaggio, ma quello che va a vantaggio di Gesù Cristo?» I cristiani che egli trova sulla costa della Pescheria ignorano tutto della loro religione. Padre Francesco inizia quindi dai rudimenti della fede: il segno della croce accompagnato dall'invocazione delle tre Persone in Dio; il Credo, i dieci comandamenti, il Pater, l'Ave, la Salve Regina, il Confiteor.

Questa preoccupazione di trasmettere i rudimenti della fede è quella della Chiesa. In effetti, nella nostra epoca segnata da una sovrabbondanza di informazione e dalla specializzazione degli studi superiori, si constata che non vengono trasmesse le verità più semplici, quelle che conducono alla salvezza eterna. Per questa ragione il Santo Padre Benedetto XVI ha promulgato il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica che, «per la sua brevità, chiarezza e integrità, si rivolge a ogni persona, che, vivendo in un mondo dispersivo e dai molteplici messaggi, desidera conoscere la Via della Vita, la Verità, affidata da Dio alla Chiesa del Suo Figlio» (Motu proprio che approva il Compendio, 28 giugno 2005).

«Se non mancassero gli operai»

Di fronte a questa ricca messe di anime, e al pensiero del bene immenso che si potrebbe fare con la collaborazione di numerosi operai, Francesco Saverio si volge verso l'Europa dove tanti uomini intelligenti consumano le loro forze in occupazioni prive di una grande utilità. «Molte volte, egli scrive, mi viene l'idea di andare alle università d'Europa e là, gridando a gran voce come un uomo che abbia perduto il senno, dire a uomini più ricchi di scienza che non del desiderio di farla fruttificare, quante anime, per la loro negligenza, sono defraudate della gloria celeste e vanno all'inferno! Se, pur studiando le lettere, essi si studiassero anche di meditare sul conto che Dio gliene chiederà, molti di loro, toccati da questi pensieri, ricorrerebbero a dei mezzi, a degli esercizi spirituali fatti per dar loro la vera conoscenza e l'intima percezione della volontà divina; si uniformerebbero ad essa più che non alle loro proprie inclinazioni, e direbbero: «Eccomi, Signore: che cosa vuoi che io faccia? Mandami dove vuoi, e se è necessario, anche alle Indie«» Sono stato sul punto di scrivere all'università di Parigi che milioni e milioni di pagani si farebbero cristiani, se non mancassero gli operai«»

Curarsi dell'anima


Il 7 aprile 2006, il Cardinale Antonio María Rouco Varela, arcivescovo di Madrid, in occasione di una Messa che celebrava il quinto centenario della nascita di san Francesco Saverio, ha spiegato così questa passione del santo: «Francesco Saverio si curava dell'anima: della sua anima e di quella di tutte le persone, l'anima di ogni essere umano. Si curava dell'«anima», perché gli stava a cuore la vita: la vita nella sua pienezza, la vita nella sua felicità, la vita eterna. Si curava della salvezza dell'uomo e per questo la sua vita consistette nel consumarsi affinché ogni creatura che egli incontrava potesse conoscere e far sua la verità secondo la quale Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Gv 3,16). Precisamente in virtù dell'amore che nutriva per l'uomo, egli desiderava che il maggior numero possibile di popoli e di persone giungessero alla fede cristiana; è così che si spiega la sua ricerca instancabile delle anime fin nei luoghi più remoti dove non era ancora giunta la Buona Novella di Gesù».

Tale è la moltitudine di coloro che Francesco Saverio conduce tutti i giorni alla fede, che spesso gli accade di avere le braccia stanche a forza di battezzare. Oberato di attività impegnative, non si trova da solo che durante le notti, che gli dedica in gran parte ai suoi esercizi religiosi e allo studio della lingua del paese. Ma Dio non abbandona mai i suoi servitori: Egli inonda l'anima del missionario di consolazioni celesti; gli concede largamente il dono dei miracoli. Alla fine dell'ottobre 1543, Padre Francesco decide di ritornare a Goa per cercarvi rinforzi.
Là apprende – con tre anni di ritardo – che Paolo III ha approvato la Compagnia di Gesù e che Ignazio è stato eletto Generale. Fa dunque la sua professione solenne, utilizzando la formula di cui si sono serviti i suoi Fratelli di Roma.
Tuttavia il Padre sa che altre contrade attendono la Buona Novella. È perplesso: deve spingersi verso queste terre lontane, in cui il nome di Cristo è sconosciuto a tanti uomini? Si reca presso la tomba dell'apostolo san Tommaso per chiedere a Dio di illuminarlo. Vi resta quattro mesi (aprile-agosto 1545), rendendo servizio al parroco del luogo, che dirà di lui: «Conduceva in tutto la vita degli apostoli». «Nella santa casa di san Tommaso, scrive il missionario ai Padri di Goa, mi sono dedicato a pregare senza interruzione perché Dio nostro Signore mi conceda di sentire nella mia anima la sua santissima volontà, con la ferma risoluzione di compierla« Ho sentito con grande consolazione interiore che era la volontà di Dio che io andassi in quei luoghi di Malacca, dove recentemente alcuni sono stati fatti cristiani».

Dopo qualche mese trascorso nella penisola malese di Malacca, dove non teme di andare a cercare i pescatori a domicilio, nelle case da gioco e di piacere, per ricondurli sulla retta via, egli inizia, il 1° gennaio 1546, una crociera di più di 2000 km, nel corso della quale evangelizza diverse isole, in particolare l'isola del Moro, dove rischia la sua vita in mezzo a popolazioni cannibale. In una lettera ai suoi confratelli d'Europa che si preoccupano di questa avventura, risponde: «È necessario che le anime dell'isola del Moro siano istruite e che qualcuno le battezzi per la loro salvezza. Io dal canto mio ho l'obbligo di perdere la vita del corpo per garantire al mio prossimo la vita dell'anima. Andrò quindi all'isola del Moro, per soccorrervi spiritualmente i cristiani, e affronterò qualsiasi pericolo, affidandomi a Dio nostro Signore e riponendo in Lui tutta la mia speranza. Voglio, nella misura delle mie piccole e misere forze, fare in me la prova di questa parola di Gesù Cristo, nostro Redentore e Signore: Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà (Mt 16,25).



La salvezza integrale

Lo zelo di san Francesco Saverio, che si è prodigato senza riserve per annunciare il Vangelo a migliaia di anime, costituisce una lezione e un esempio per la nostra generazione; esso ci ricorda l'urgenza e la necessità della missione, in conformità con l'insegnamento di Giovanni Paolo II: «La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una «graduale secolarizzazione della salvezza», per cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale. Noi invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina. Perché la missione? Perché a noi, come a san Paolo, è stata concessa la grazia di annunziare ai pagani le imperscrutabili ricchezze di Cristo. (Ef 3,8) La novità di vita in lui è la «buona novella» per l'uomo di tutti i tempi: a essa tutti gli uomini sono chiamati e destinati « La Chiesa e, in essa, ogni cristiano non può nascondere né conservare per sé questa novità e ricchezza, ricevuta dalla bontà divina per esser comunicata a tutti gli uomini» (Enciclica Redemptoris Missio, 7 dicembre 1990, n. 11).

Il Giappone« e la Cina


Nel dicembre 1547, Padre Francesco fa la conoscenza di un nobile Giapponese di nome Anjiro. Questi erra da cinque anni alla ricerca di un maestro spirituale che possa restituire la pace alla sua anima. «Scoprimmo Padre Francesco, racconterà Anjiro, nella chiesa della Madonna della Montagna, dove celebrava un matrimonio. Venni conquistato completamente dal suo carisma e gli feci un lungo racconto della mia vita. Egli mi abbracciò e apparve così felice di vedermi che era evidente che Dio stesso aveva combinato il nostro incontro». Nel corso delle sue conversazioni, il Padre s'informa sul Giappone. Apprendendo che «il re, la nobiltà e tutte le persone di alto rango si sarebbero fatti cristiani, perché i Giapponesi sono interamente guidati dalla legge della ragione», questo gli basta; partirà per il Giappone.
Tuttavia, consapevole dei suoi doveri di Nunzio apostolico, riprende contatto con le Indie e ritorna a Goa, che lascerà il 15 aprile 1549 per il Giappone. Il 15 agosto seguente, approda a Kagoshima dove trascorre più di un anno a iniziarsi alla lingua e ai costumi giapponesi. Verso la fine del 1550, parte per la residenza del più potente principe del Giappone, poi per la capitale. Là, lo attende una grande delusione: il re, che di fatto non è che un fantoccio, non lo riceve neppure. Padre Francesco ottiene tuttavia dal principe il permesso di predicare la fede cristiana, e ha la gioia di accogliere qualche centinaio di conversioni. Ma presto scoppia una rivoluzione, e il missionario deve partire. Non avendo notizie delle Indie da due anni, decide di ritornare a Malacca, dove arriva alla fine del 1551. È là che riceve una lettera da sant'Ignazio scritta più di due anni prima, che lo nominava «Provinciale dell'Est», cioè di tutte le missioni della Compagnia di Gesù dal capo Comorin, a sud dell'India, fino al Giappone.


Il 17 aprile 1552, il missionario s'imbarca nuovamente, questa volta a destinazione della Cina. Questo viaggio, l'ultimo della sua vita, servirà agli ultimi spogliamenti e lo assimilerà al Cristo sofferente. All'inizio del settembre 1552, raggiunge l'isola di Sancian, a dieci chilometri dalla costa della Cina. I pochi portoghesi che vi fanno allora scalo lo accolgono con gioia, gli costruiscono una capanna di legno e una cappellina di rami. Padre Francesco inizia subito a occuparsi dei bambini e dei malati, a predicare, catechizzare, confessare. Nel frattempo, egli cerca di prendere contatto con qualche «passatore» cinese che possa condurlo clandestinamente a Canton. In effetti, l'accesso alla costa della Cina è severamente vietato; chiunque si avventuri a sfidare questo divieto è destinato, se viene catturato, alla tortura e alla morte. Almeno a due riprese, il missionario trova un uomo che acconsente a condurvelo in cambio di una grossa somma di denaro: ogni volta, riscosso il denaro, il «passatore» si dilegua.
Il 21 novembre, Padre Francesco celebra la sua ultima Messa. Scendendo dall'altare, si sente venir meno. Cerca di riprendere il mare, ma il rollio della nave gli risulta insopportabile. Ricondotto a Sancian, trascorre gli ultimi giorni della sua vita in uno stato di mezza incoscienza. Privo di rimedi, e certo della sua prossima morte, alza gli occhi al Cielo e conversa con Nostro Signore o la Madonna: «Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me – O Vergine, Madre di Dio, ricordati di me». È pronunciando il nome di Gesù che esala il suo ultimo respiro, all'alba del 2 dicembre 1552. Ha solo quarantasei anni. 


Il suo corpo viene riportato a Goa dove è tuttora venerato dai fedeli. Francesco Saverio, canonizzato contemporaneamente a sant'Ignazio di Loyola il 12 marzo 1622, è il patrono celeste delle missioni cattoliche.

Quando si considera la vita di questo gigante della santità, si è colpiti dalla quantità di fatiche e di sofferenze che ha potuto sopportare. Il suo segreto si trova in un amore senza limiti per Gesù. NegliEsercizi Spirituali, sant'Ignazio gli ha insegnato ad ascoltare la chiamata di Cristo: «È mia volontà conquistare tutto il mondo, sottomettere tutti i miei nemici, e così entrare nella gloria del Padre mio. Chi vuole venire con me lavori con me; mi segua nelle fatiche, per seguirmi anche nella gloria». (Es. Sp. 95). 


Docile, Francesco Saverio si è mostrato «pronto e diligente nel compiere la santissima volontà di Gesù» (ibid. 91); a sua volta, si è dedicato senza riserve a tutte le opere per estendere il regno di Dio sulla terra. Che egli ci ottenga la grazia di essere come lui pieni di zelo per la salvezza eterna del prossimo.
Dom Antoine Marie osb

AMDG et BVM

Domenica 30 Novembre 2014, I Domenica di Avvento - Anno B: << State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. ..>>



"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 30 Novembre 2014, I Domenica di Avvento - Anno B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 13,33-37.
« State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. E' come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!».

Traduzione liturgica della Bibbia

Corrispondenza nel "l'Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 9 Capitolo 596 pagina 421.

[questo testo è lo stesso che quello di domenica scorsa]

(...) 46State nel Signore e nella sua verità. Io sono la Verità e insegno la verità. Perciò ancora vi ripeto: qualunque cosa vi dicano di Me, non credete. Io solo ho detto la verità. Io solo vi dico che il Cristo verrà, ma quando sarà la fine. Perciò, se vi dicono: “È nel deserto”, non andate. Se vi dicono: “È in quella casa”, non date retta. Perché il Figlio dell’uomo nella sua seconda venuta sarà simile al lampo che esce da levante e guizza fino a ponente, in un tempo più breve di quel che non sia il batter di una palpebra. E scorrerà sul grande Corpo, di subito fatto Cadavere, seguito dai suoi fulgenti angeli, e giudicherà. Là dovunque sarà corpo là si raduneranno le aquile. 

E subito dopo la tribolazione di quei giorni ultimi, che vi fu detta - parlo già della fine del tempo e del mondo e della risurrezione delle ossa, delle quali cose parlano i profeti - si oscurerà il sole, e la luna non darà più luce, e le stelle del cielo cadranno come acini da un grappolo troppo maturo che un vento di bufera scuote, e le potenze dei Cieli tremeranno. E allora nel firmamento oscurato apparirà folgorante il segno del Figlio dell’uomo, e piangeranno tutte le nazioni della Terra, e gli uomini vedranno il Figlio dell’uomo venir sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria. Ed Egli comanderà ai suoi angeli di mietere e vendemmiare, e di separare i logli dal grano, e di gettare le uve nel tino, perché sarà venuto il tempo del grande raccolto del seme di Adamo, e non ci sarà più bisogno di serbare racimolo o semente, perché non ci sarà mai più perpetuazione della specie umana sulla Terra morta. E comanderà ai suoi angeli che a gran voce di trombe adunino gli eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli, perché siano al fianco del Giudice divino per giudicare con Lui gli ultimi viventi ed i risorti. 

47Dal fico imparate la similitudine: quando vedete che il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che vicina è l’estate. Così anche, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che il Cristo sta per venire. In verità vi dico: non passerà questa generazione che non mi volle, prima che tutto ciò avvenga. La mia parola non cade. Ciò che dico sarà. Il cuore e il pensiero degli uomini possono mutare, ma non muta la mia parola. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi al giorno e all’ora precisa, nessuno li conosce, neppure gli angeli del Signore, ma soltanto il Padre li conosce. 

48Come ai tempi di Noè, così avverrà alla venuta del Figlio dell’uomo. Nei giorni precedenti al diluvio, gli uomini mangiavano, bevevano, si sposavano, si accasavano, senza darsi pensiero del segno sino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e si aprirono le cataratte dei cieli e il diluvio sommerse ogni vivente e ogni cosa. Anche così sarà per la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno accosto nel campo, e uno sarà preso e uno sarà lasciato, e due donne saranno intente a far andare la mola, e una sarà presa e una lasciata, dai nemici nella Patria e più ancora dagli angeli separanti il buon seme dal loglio, e non avranno tempo di prepararsi al giudizio del Cristo. Vegliate dunque perché non sapete a che ora verrà il vostro Signore. 

Ripensate a questo: se il capo di famiglia sapesse a che ora viene il ladro, veglierebbe e non lascerebbe spogliare la sua casa. Quindi vegliate e pregate, stando sempre preparati alla venuta, senza che i vostri cuori cadano in torpore, per abuso e intemperanza di ogni specie, e i vostri spiriti siano fatti distratti e ottusi alle cose del Cielo dalle eccessive cure per le cose della Terra, e il laccio della morte non vi colga improvviso quando siete impreparati. Perché, ricordate, tutti avete a morire. Tutti gli uomini, nati che siano, devono morire, ed è una singola venuta del Cristo questa morte e questo susseguente giudizio, che avrà il suo ripetersi universale alla venuta solenne del Figlio dell’uomo. 49Che sarà mai di quel servo fedele e prudente, preposto dal padrone ad amministrare il cibo ai domestici in sua assenza? Beata sorte egli avrà se il suo padrone, tornando all’improvviso, lo trova a fare ciò che deve con solerzia, giustizia e amore. In verità vi dico che gli dirà: “Vieni, servo buono e fedele. Tu hai meritato il mio premio. Tieni, amministra tutti i miei beni”. 

Ma se egli pareva, e non era, buono e fedele, e nell’interno suo era cattivo come all’esterno era ipocrita, e partito il padrone dirà in cuor suo: “Il padrone tarderà a tornare! Diamoci al bel tempo”, e comincerà a battere e malmenare i conservi, facendo usura su loro nel cibo e in ogni altra cosa per avere maggior denaro da consumare coi gozzovigliatori e ubbriaconi, che avverrà? Che il padrone tornerà all’improvviso, quando il servo non se lo pensa vicino, e verrà scoperto il suo malfare, gli verrà levato posto e denaro, e sarà cacciato dove giustizia vuole. E ivi starà. 

E così del peccatore impenitente, che non pensa come la morte può essere vicina e vicino il suo giudizio, e gode e abusa dicendo: “Poi mi pentirò”. In verità vi dico che egli non avrà tempo di farlo e sarà condannato a stare in eterno nel luogo del tremendo orrore, dove è solo bestemmia e pianto e tortura, e ne uscirà soltanto per il Giudizio finale, quando rivestirà la carne risorta per presentarsi completo al Giudizio ultimo come completo peccò nel tempo della vita terrena, e con corpo ed anima si presenterà al Giudice Gesù che egli non volle per Salvatore. 50Tutti là accolti davanti al Figlio dell’uomo. Una moltitudine infinita di corpi, restituiti dalla terra e dal mare e ricomposti dopo essere stati cenere per tantotempo. E gli spiriti nei corpi. Ad ogni carne tornata sugli scheletri corrisponderà il proprio spirito, quello che l’animava un tempo. E staranno ritti davanti al Figlio dell’uomo, splendido nella sua Maestà divina, seduto sul trono della sua gloria sorretto dai suoi angeli. 

Ed Egli separerà uomini da uomini, mettendo da un lato i buoni e dall’altro i cattivi, come un pastore separa le pecorelle dai capretti, e metterà le sue pecore a destra e i capri a sinistra. 

E dirà con dolce voce e benigno aspetto a quelli che, pacifici e belli di una bellezza gloriosa nello splendore del corpo santo, lo guarderanno con tutto l’amore del loro cuore: “Venite, o benedetti dal Padre mio, prendete possesso del Regno preparato per voi sino dall’origine del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, fui pellegrino e mi ospitaste, fui nudo e mi rivestiste, malato e mi visitaste, prigioniero e veniste a portarmi conforto”. E i giusti gli chiederanno: “Quando mai, Signore, ti vedemmo affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti vedemmo pellegrino e ti abbiamo accolto, nudo e ti abbiamo rivestito? Quando ti vedemmo infermo e carcerato e siamo venuti a visitarti?”. E il Re dei re dirà loro: “In verità vi dico: quando avete fatto una di queste cose ad uno di questi minimi fra i miei fratelli, allora lo avete fatto a Me”. 

E poi si volgerà a quelli che saranno alla sua sinistra e dirà loro, severo nel volto, e i suoi sguardi saranno come saette fulminanti i reprobi, e nella sua voce tuonerà l’ira di Dio: “Via di qua! Via da Me, o maledetti! Nel fuoco eterno preparato dal furore di Dio per il demonio e gli angeli tenebrosi e per coloro che li hanno ascoltati nelle loro voci di libidine triplice e oscena. Io ebbi fame e non mi sfamaste, sete e non mi dissetaste, fui nudo e non mi rivestiste, pellegrino e mi respingeste, infermo e carcerato e non mi visitaste. Perché non avevate che una legge: il piacere del vostro io”. 
Ed essi gli diranno: “Quando ti abbiamo visto affamato, assetato, nudo, pellegrino, infermo, carcerato? In verità noi non ti abbiamo conosciuto. Non eravamo, quando Tu eri sulla Terra”. 

Ed Egli risponderà loro: “È vero. Non mi avete conosciuto. Perché non eravate quando Io ero sulla Terra. Ma avete però conosciuto la mia Parola e avete avuto i poveri fra voi, gli affamati, i sitibondi, i nudi, i malati, i carcerati. Perché non avete fatto ad essi ciò che forse avreste fatto a Me? Perché non è già detto che coloro che mi ebbero fra loro fossero misericordiosi col Figlio dell’uomo. Non sapete che nei miei fratelli Io sono, e dove è uno di essi che soffra là sono Io, e che ciò che non avete fatto ad uno di questi miei minori fratelli lo avete negato a Me, Primogenito degli uomini? Andate e ardete nel vostro egoismo. Andate, e vi fascino le tenebre e il gelo perché tenebra e gelo foste, pur conoscendo dove era la Luce e il Fuoco d’Amore”. 

E costoro andranno all’eterno supplizio, mentre i giusti entreranno nella vita eterna. 

Queste le cose future... 

51Ora andate. E non dividetevi fra voi. Io vado con Giovanni e sarò a voi a metà della prima vigilia, per la cena e per andare poi alle nostre istruzioni». 
«Anche questa sera? Tutte le sere faremo questo? Io sono tutto indolenzito dalle guazze. Non sarebbe meglio entrare ormai in qualche casa ospitale? Sempre sotto le tende! Sempre veglianti e nelle notti, che sono fresche e umide...», si lamenta Giuda. 
«È l’ultima notte. Domani... sarà diverso». 
«Ah! Credevo che volessi andare al Getsemani tutte le notti. Ma se è l’ultima...». 
«Non ho detto questo, Giuda. Ho detto che sarà l’ultima notte da passare al campo dei Galilei tutti uniti. Domani prepareremo la Pasqua e consumeremo l’agnello, e poi andrò Io solo a pregare nel Getsemani. E voi potrete fare ciò che volete». 
«Ma noi verremo con Te, Signore! Quando mai abbiamo voglia di lasciarti?», dice Pietro. 
«Tu taci, che sei in colpa. Tu e lo Zelote non fate che svolazzare qua e là appena il Maestro non vi vede. Vi tengo d’occhio. Al Tempio... nel giorno... nelle tende lassù...», dice l’Iscariota, lieto di denunciare. 
«Basta! Se essi lo fanno, bene fanno. Ma però non mi lasciate solo... Io ve ne prego...». 
«Signore, non facciamo nulla di male. Credilo. Le nostre azioni sono note a Dio ed il suo occhio non si torce da esse con disgusto», dice lo Zelote. 
«Lo so. Ma è inutile. E ciò che è inutile può sempre essere dannoso. State il più possibile uniti». Poi si volge a Matteo: «Tu, mio buon cronista, ripeterai a costoro la parabola delle dieci vergini savie e delle dieci stolte, e quella del padrone che dà dei talenti ai suoi tre servi perché li facciano fruttare, e due ne guadagnano il doppio e l’infingardo lo sotterra. Ricordi?». 
«Sì, Signor mio, esattamente». 
«Allora ripetile a questi. Non tutti le conoscono. E anche quelli che le sanno avranno piacere a riascoltarle. Passate così in sapienti discorsi il tempo sino al mio ritorno. Vegliate! Vegliate! Tenete desto il vostro spirito. Quelle parabole sono appropriate anche a ciò che dissi. Addio. La pace sia con voi». Prende Giovanni per mano e si allontana con lui verso la città... Gli altri si avviano verso il campo galileo.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

venerdì 28 novembre 2014

CLEONICE MORCALDI E PADRE PIO



CLEONICE MORCALDI E PADRE PIO

   Non si può pensare di conoscere la Persona ed i sentimenti di Padre Pio senza un approccio con i suoi scritti a Cleonice Morcaldi. E questo alcuni biografi lo hanno capito evidenziando l'affetto straordinario che Cleonice nutre per il suo "Babbo" e la tenerezza paterna e, diremmo materna, che Padre Pio nutre per questa sua figlia spirituale prediletta. Tante testimonianze scritte rivelano, casomai ce ne fosse bisogno, l'intenso rapporto spirituale tra queste due anime consacrate a Dio.
Il sorriso radioso di Cleonice dietro a Padre Pio   Cleonice si comporta spesso, nella sua semplicità, come una bambina nei confronti di Padre Pio. E poiché non le è sempre possibile incontrarlo e parlargli, escogita lo stratagemma del "dialogo scritto", a distanza. Su un foglio scrive le domande, lasciando uno spazio libero dopo ciascuna, in modo che il Padre possa mettere le sue risposte.   
   Decine e decine di fogli riempiti in questo modo, con la scrittura di Cleonice Morcaldi intrecciata a quella di Padre Pio. Vogliamo qui rappresentare, tra i più significativi, alcuni biglietti scritti tra Cleonice ed il suo "Babbo" spirituale:

- Un sacerdote mi ha detto che bisogna distaccarsi da te, per piacere a Dio.
- Tu gli dirai: bisogna distaccarsi da chi ci allontana o ci distrae da Dio, non da chi ci porta a Dio.
- Quanti dubbi mi vengono!.... Ma... Non avrò più fede? Dimmi una parola.
- (sorridente) Sta tranquilla, il Signore risplende nell'animo tuo!
- Meno male che il Signore mi ha dato te per guida!
- Il Signore ha provvisto. Il Signore è provvidenza!
- Sei proprio un sole che riscalda tutti e tutto!
- E tu sei la stella matutina che splende e riscalda il mio cuore!
- Se troverai una creatura più volenterosa e buona, che sia la tua diletta, mi amerai lo stesso?
- Rifiuto tutti. Tu sarai per sempre.
- Chi mi darà da amare Gesù nell'aridità di spirito?
- Io te la darò questa grazia; te l'otterrò da Gesù.
- La gente mormora perché sto vicina al confessionale tuo. Ce ne sono tante altre! E poi, che faccio di male? Prego  e ogni tanto ti guardo, penso a quello che soffri e ne dò gloria a Dio.
- Canta e lascia cantare! Se ti fa bene all'anima continua a fare quello che hai sempre fatto. -
- Chi compenserà tanto sacrificio e amore?
- Tu sei la mia ricompensa" (Renzo Allegri, A tu per tu con Padre Pio. Ed. Mondadori pag. 241 ss). "

   "La santa messa e la confessione", scrive il cardinale Corrado Ursi, "furono il centro di tutta la testimonianza di Padre PioGesù Eucaristico, centro della spiritualità di Padre Pio ed il pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo aveva come meta, più che l'umile figura del frate, l'altare e il confessionale per un'ansia di rinnovamento spirituale in Cristo".
   Padre Domenico Mondrone, su Civiltà Cattolica annota "Chi vi ha assistito anche una sola volta, non ha più dimenticato la messa di Padre Pio, tanto viva era l'impressione di vedere annullare ogni distanza di tempo e di spazio tra l'altare e il Calvario" 

(Renzo Allegri, A tu per tu con Padre Pio, Ed. Mondadori, pag. 269). 

Che cosa avvenisse realmente nell'animo, nel cuore di Padre Pio, durante quel rito che lo mette in diretto contatto con Cristo crocifisso, di cui Egli porta sul suo corpo i segni della passione, resta un mistero. Ma un mistero rischiarato ancora una volta da questi famosi "biglietti scritti a mano" da Cleonice Morcaldi, con la risposta scritta di Padre Pio. 

Alcuni di questi brevi dialoghi scritti ci aiutano a intravedere i sentimenti più intimi del Padre stigmatizzato durante la celebrazione della Santa Messa:
   - Padre, che cos'è la vostra messa? Un completamento sacro della passione di Gesù.
   - Che cosa debbo leggere nella vostra Santa Messa? Tutto il Calvario. - Padre, ditemi quanto soffrite nella Santa Messa. Tutto quello che ha sofferto Gesù nella sua Passione, inadeguatamente, lo soffro anch'io, per quanto a umana creatura è possibile. E ciò contro ogni mio demerito e per sola sua bontà.
   - Padre, è vero che durante la Messa soffrite il supplizio della coronazione di spine?
   -E lo metti in dubbio? - Vi ho visto tremare mentre salivate i gradini dell'altare. Perché? Per quello che dovevate soffrire?
   -Non per quello che dovevo soffrire, ma per quello che dovevo offrire.
   - Perché piangete quasi sempre, Padre, quando leggete il Vangelo?
   -E ti par poco che un Dio conversi con le sue creature? E che sia da loro contraddetto? e che sia continuamente ferito dalla loro ingratitudine e incredulità?
   - Perché piangete all'offertorio?
   -Vorresti strapparmi il segreto? E sia pure. Allora è il momento che l'anima viene separata dal profano.
   - Ditemelo perché soffrite tanto nella consacrazione.
   -Perché è proprio lì che avviene una nuova e ammirabile distruzione e creazione. I segreti del Sommo Re non si svelano senza profanarli. Mi domandi perché soffro? Non lacrimucce, ma torrenti di lacrime vorrei versare! Non rifletti al tremendo mistero? Un Dio vittima dei nostri peccati!... Noi, poi, siamo i suoi macellai.
   - Padre, perché non cedete anche a noi un po' di questa vostra passione?

   -I monili dello Sposo non si regalano a nessuno"

(Renzo Allegri, A tu per tu con Padre Pio, Ed. Mondadori, pag. 270 ss.).