domenica 26 ottobre 2014

Ecco la luce del pastore (SULLA DIFESA DELLA VERITÀ RIVELATA DA GESÙ) quando l'ecumenismo muoveva cautamente i primi passi.


LETTERA ENCICLICA
MORTALIUM ANIMOS
DI SUA SANTITÀ
PIO XI
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
ED AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA
SULLA DIFESA DELLA VERITÀ
RIVELATA DA GESÙ


Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Forse in passato non è mai accaduto che il cuore delle creature umane fosse preso come oggi da un così vivo desiderio di fraternità — nel nome della stessa origine e della stessa natura — al fine di rafforzare ed allargare i rapporti nell’interesse della società umana. Infatti, quantunque le nazioni non godano ancora pienamente i doni della pace, ed anzi in talune località vecchi e nuovi rancori esplodano in sedizioni e lotte civili, né d’altra parte è possibile dirimere le numerosissime controversie che riguardano la tranquillità e la prosperità dei popoli, ove non intervengano l’azione e l’opera concorde di coloro che governano gli Stati e ne reggono e promuovono gli interessi, facilmente si comprende — tanto più che convengono ormai tutti intorno all’unità del genere umano — come siano molti coloro che bramano vedere sempre più unite tra di loro le varie nazioni, a ciò portate da questa fratellanza universale.

Un obiettivo non dissimile cercano di ottenere alcuni per quanto riguarda l’ordinamento della Nuova Legge, promulgata da Cristo Signore. Persuasi che rarissimamente si trovano uomini privi di qualsiasi sentimento religioso, sembrano trarne motivo a sperare che i popoli, per quanto dissenzienti gli uni dagli altri in materia di religione, pure siano per convenire senza difficoltà nella professione di alcune dottrine, come su un comune fondamento di vita spirituale. Perciò sono soliti indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere: infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che miseramente apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione. Non possono certo ottenere l’approvazione dei cattolici tali tentativi fondati sulla falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio. Orbene, i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell’errore, ma ripudiano la vera religione depravandone il concetto e svoltano passo passo verso il naturalismo e l’ateismo; donde chiaramente consegue che quanti aderiscono ai fautori di tali teorie e tentativi si allontanano del tutto dalla religione rivelata da Dio.

Ma dove, sotto l’apparenza di bene, si cela più facilmente l’inganno, è quando si tratta di promuovere l’unità fra tutti i cristiani. Non è forse giusto — si va ripetendo — anzi non è forse conforme al dovere che quanti invocano il nome di Cristo si astengano dalle reciproche recriminazioni e si stringano una buona volta con i vincoli della vicendevole carità? E chi oserebbe dire che ama Cristo se non si adopera con tutte le forze ad eseguire il desiderio di Lui, che pregò il Padre perché i suoi discepoli « fossero una cosa sola »? [1]. E lo stesso Gesù Cristo non volle forse che i suoi discepoli si contrassegnassero e si distinguessero dagli altri per questa nota dell’amore vicendevole: « In ciò conosceranno tutti che siete miei discepoli se vi amerete l’un l’altro»? [2]. E volesse il Cielo, soggiungono, che tutti quanti i cristiani fossero « una cosa sola »; sarebbero assai più forti nell’allontanare la peste dell’empietà, la quale, serpeggiando e diffondendosi ogni giorno più, minaccia di travolgere il Vangelo.

Questi ed altri simili argomenti esaltano ed eccitano coloro che si chiamano pancristiani, i quali, anziché restringersi in piccoli e rari gruppi, sono invece cresciuti, per così dire, a schiere compatte, riunendosi in società largamente diffuse, per lo più sotto la direzione di uomini acattolici, pur fra di loro dissenzienti in materia di fede. E intanto si promuove l’impresa con tale operosità, da conciliarsi qua e là numerose adesioni e da cattivarsi perfino l’animo di molti cattolici con l’allettante speranza di riuscire ad un’unione che sembra rispondere ai desideri di Santa Madre Chiesa, alla quale certo nulla sta maggiormente a cuore che il richiamo e il ritorno dei figli erranti al suo grembo. Ma sotto queste insinuanti blandizie di parole si nasconde un errore assai grave che varrebbe a scalzare totalmente i fondamenti della fede cattolica.

Pertanto, poiché la coscienza del Nostro Apostolico ufficio ci impone di non permettere che il gregge del Signore venga sedotto da dannose illusioni, richiamiamo, Venerabili Fratelli, il vostro zelo contro così grave pericolo, sicuri come siamo che per mezzo dei vostri scritti e della vostra parola giungeranno più facilmente al popolo (e dal popolo saranno meglio intesi) i princìpi e gli argomenti che siamo per esporre. Così i cattolici sapranno come giudicare e regolarsi di fronte ad iniziative intese a procurare in qualsivoglia maniera l’unione in un corpo solo di quanti si dicono cristiani.
Dio, Fattore dell’Universo, Ci creò perché lo conoscessimo e lo servissimo; ne segue che Egli ha pieno diritto di essere da noi servito. Egli avrebbe bensì potuto, per il governo dell’uomo, prescrivere soltanto la pura legge naturale, da lui scolpitagli nel cuore nella stessa creazione, e con ordinaria sua provvidenza regolare i progressi di questa medesima legge. Invece preferì imporre dei precetti ai quali ubbidissimo e nel corso dei secoli, ossia dalle origini del genere umano alla venuta e alla predicazione di Gesù Cristo, Egli stesso volle insegnare all'uomo i doveri che legano gli esseri ragionevoli al loro Creatore: « Iddio, che molte volte e in diversi modi aveva parlato un tempo ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del figlio » [3].

 Dal che consegue non potersi dare vera religione fuori di quella che si fonda sulla parola rivelata da Dio, la quale rivelazione, cominciata da principio e continuata nell’Antico Testamento, fu compiuta poi nel Nuovo dallo stesso Gesù Cristo. Orbene, se Dio ha parlato, e che abbia veramente parlato è storicamente certo, tutti comprendono che è dovere dell’uomo credere assolutamente alla rivelazione di Dio e ubbidire in tutto ai suoi comandi: e appunto perché rettamente l’una cosa e l’altra noi adempissimo, per la gloria divina e la salvezza nostra, l’Unigenito Figlio di Dio fondò sulla terra la sua Chiesa. Quanti perciò si professano cristiani non possono non credere alla istituzione di una Chiesa, e di una Chiesa sola, per opera di Cristo; ma se s’indaga quale essa debba essere secondo la volontà del suo Fondatore, allora non tutti sono consenzienti. Fra essi, infatti, un buon numero nega, per esempio, che la Chiesa di Cristo debba essere visibile, almeno nel senso che debba apparire come un solo corpo di fedeli, concordi in una sola e identica dottrina, sotto un unico magistero e governo, intendendo per Chiesa visibile nient’altro che una Confederazione formata dalle varie comunità cristiane, benché aderiscano chi ad una chi ad altra dottrina, anche se dottrine fra loro opposte. Invece Cristo nostro Signore fondò la sua Chiesa come società perfetta, per sua natura esterna e sensibile, 
affinché proseguisse nel tempo avvenire l’opera della salvezza del genere umano, sotto la guida di un solo capo [4], con l’insegnamento a viva voce [5], con l'amministrazione dei sacramenti, fonti della grazia celeste [6]; perciò Egli la dichiarò simile ad un regno [7], a una casa [8], ad un ovile [9], ad un gregge [10]. Tale Chiesa così meravigliosamente costituita, morti il suo Fondatore e gli Apostoli, che primi la propagarono, non poteva assolutamente cessare ed estinguersi, poiché ad essa era stato affidato il compito di condurre alla salvezza eterna tutti gli uomini, senza distinzione di tempo e di luogo: « Andate adunque e insegnate a tutte le genti » [11]. Ora, nel continuo adempimento di questo ufficio, potranno forse venir meno alla Chiesa il valore e l’efficacia, se è continuamente assistita dallo stesso Cristo, secondo la solenne promessa: « Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo »? [12].

Necessariamente, quindi, non solo la Chiesa di Cristo deve sussistere oggi e in ogni tempo, ma anzi deve sussistere quale fu al tempo apostolico, se non vogliamo dire — il che è assurdo — che Cristo Signore o sia venuto meno al suo intento, o abbia errato quando affermò che le porte dell’inferno non sarebbero mai prevalse contro la Chiesa [13].

E qui si presenta l’opportunità di chiarire e confutare una falsa opinione, da cui sembra dipenda tutta la presente questione e tragga origine la molteplice azione degli acattolici, operante, come abbiamo detto, alla riunione delle Chiese cristiane.

I fautori di questa iniziativa quasi non finiscono di citare le parole di Cristo: « Che tutti siano una cosa sola … Si farà un solo ovile e un solo pastore » [14], nel senso però che quelle parole esprimano un desiderio e una preghiera di Gesù Cristo ancora inappagati. Essi sostengono infatti che l’unità della fede e del governo — nota distintiva della vera e unica Chiesa di Cristo — non sia quasi mai esistita prima d’ora, e neppure oggi esista; essa può essere sì desiderata e forse in futuro potrebbe anche essere raggiunta mediante la buona volontà dei fedeli, ma rimarrebbe, intanto, un puro ideale. 

Dicono inoltre che la Chiesa, per sé o di natura sua, è divisa in parti, ossia consta di moltissime chiese o comunità particolari, le quali, separate sinora, pur avendo comuni alcuni punti di dottrina, differiscono tuttavia in altri; a ciascuna competono gli stessi diritti; la Chiesa al più fu unica ed una dall’età apostolica sino ai primi Concili Ecumenici. Quindi soggiungono che, messe totalmente da parte le controversie e le vecchie differenze di opinioni che sino ai giorni nostri tennero divisa la famiglia cristiana, con le rimanenti dottrine si dovrebbe formare e proporre una norma comune di fede, nella cui professione tutti si possano non solo riconoscere, ma sentire fratelli; e che soltanto se unite da un patto universale, le molte chiese o comunità saranno in grado di resistere validamente con frutto ai progressi dell’incredulità.

Così, Venerabili Fratelli, si va dicendo comunemente. Vi sono però taluni che affermano e ammettono che troppo sconsigliatamente il Protestantesimo rigettò alcuni punti di fede e qualche rito del culto esterno, certamente accettabili ed utili, che la Chiesa Romana invece conserva. Ma tosto soggiungono che questa stessa Chiesa corruppe l’antico cristianesimo aggiungendo e proponendo a credere parecchie dottrine non solo estranee, ma contrarie al Vangelo, tra le quali annoverano, come principale, quella del Primato di giurisdizione, concesso a Pietro e ai suoi successori nella Sede Romana. Tra costoro ci sono anche alcuni, benché pochi in verità, i quali concedono al Romano Pontefice un primato di onore o una certa giurisdizione e potestà, facendola però derivare non dal diritto divino, ma in certo qual modo dal consenso dei fedeli; altri giungono perfino a volere lo stesso Pontefice a capo di quelle loro, diciamo così, variopinte riunioni. Che se è facile trovare molti acattolici che predicano con belle parole la fraterna comunione in Gesù Cristo, non se ne rinviene uno solo a cui cada in mente di sottomettersi al governo del Vicario di Gesù Cristo o di ubbidire al suo magistero. E intanto affermano di voler ben volentieri trattare con la Chiesa Romana, ma con eguaglianza di diritti, cioè da pari a pari; e certamente se potessero così trattare, lo farebbero con l’intento di giungere a una convenzione la quale permettesse loro di conservare quelle opinioni che li tengono finora vaganti ed erranti fuori dell’unico ovile di Cristo.
A tali condizioni è chiaro che la Sede Apostolica non può in nessun modo partecipare alle loro riunioni e che in nessun modo i cattolici possono aderire o prestare aiuto a siffatti tentativi; se ciò facessero, darebbero autorità ad una falsa religione cristiana, assai lontana dall’unica Chiesa di Cristo. Ma potremo Noi tollerare l’iniquissimo tentativo di vedere trascinata a patteggiamenti la verità, la verità divinamente rivelata? Ché qui appunto si tratta di difendere la verità rivelata. Gesù Cristo inviò per l’intero mondo gli Apostoli a predicare il Vangelo a tutte le nazioni; e perché in nulla avessero ad errare volle che anzitutto essi fossero ammaestrati in ogni verità, dallo Spirito Santo [15]; forse che questa dottrina degli Apostoli venne del tutto a meno o si offuscò talvolta nella Chiesa, diretta e custodita da Dio stesso? E se il nostro Redentore apertamente disse che il suo Vangelo riguardava non solo il periodo apostolico, ma anche le future età, poté forse l’oggetto della fede, col trascorrere del tempo, divenire tanto oscuro e incerto da doversi tollerare oggi opinioni fra loro contrarie? Se ciò fosse vero, si dovrebbe parimenti dire che la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e la perpetua permanenza nella Chiesa dello stesso Spirito e persino la predicazione di Gesù Cristo da molti secoli hanno perduto ogni efficacia e utilità: affermare ciò sarebbe bestemmia. Inoltre, l’Unigenito Figlio di Dio non solo comandò ai suoi inviati di ammaestrare tutti i popoli, ma anche obbligò tutti gli uomini a prestar fede alle verità che loro fossero annunziate « dai testimoni preordinati da Dio » [16], e al suo precetto aggiunse la sanzione « Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; ma chi non crederà, sarà condannato » [17].

Ma questo doppio comando di Cristo, da osservarsi necessariamente, d’insegnare cioè e di credere per avere l’eterna salvezza, neppure si potrebbe comprendere se la Chiesa non proponesse intera e chiara la dottrina evangelica e non fosse immune da ogni pericolo di errore nell’insegnarla. Perciò è lontano dal vero chi ammette sì l’esistenza in terra di un deposito di verità, ma pensa poi che sia da cercarsi con tanto faticoso lavoro, con tanto diuturno studio e dispute, che a mala pena possa bastare la vita di un uomo per trovarlo e goderne; quasi che il benignissimo Iddio avesse parlato per mezzo dei Profeti e del suo Unigenito perché pochi soltanto, e già molto avanzati negli anni, imparassero le verità rivelate, e non per imporre una dottrina morale che dovesse reggere l’uomo in tutto il corso della sua vita.

Potrà sembrare che questi pancristiani, tutti occupati nell’unire le chiese, tendano al fine nobilissimo di fomentare la carità fra tutti i cristiani; ma come mai potrebbe la carità riuscire in danno della fede? Nessuno certamente ignora che lo stesso apostolo della carità, San Giovanni (il quale nel suo Vangelo pare abbia svelato i segreti del Cuore sacratissimo di Gesù che sempre soleva inculcare ai discepoli il nuovo comandamento: « Amatevi l’un l’altro »), ha vietato assolutamente di avere rapporti con coloro i quali non professano intera ed incorrotta la dottrina di Cristo: « Se qualcuno viene da voi e non porta questa dottrina, non ricevetelo in casa e non salutatelo nemmeno » [18]. Quindi, appoggiandosi la carità, come su fondamento, sulla fede integra e sincera, è necessario che i discepoli di Cristo siano principalmente uniti dal vincolo dell’unità della fede.

Come dunque si potrebbe concepire una Confederazione cristiana, i cui membri, anche quando si trattasse dell’oggetto della fede, potessero mantenere ciascuno il proprio modo di pensare e giudicare, benché contrario alle opinioni degli altri? E in che modo, di grazia, uomini che seguono opinioni contrarie potrebbero far parte di una sola ed eguale Confederazione di fedeli? Come, per esempio, chi afferma che la sacra Tradizione è fonte genuina della divina Rivelazione e chi lo nega? Chi tiene per divinamente costituita la gerarchia ecclesiastica, formata di vescovi, sacerdoti e ministri, e chi asserisce che è stata a poco a poco introdotta dalla condizione dei tempi e delle cose? Chi adora Cristo realmente presente nella santissima Eucaristia per quella mirabile conversione del pane e del vino, che viene detta transustanziazione, e chi afferma che il Corpo di Cristo è ivi presente solo per la fede o per il segno e la virtù del Sacramento? Chi riconosce nella stessa Eucaristia la natura di sacrificio e di Sacramento, e chi sostiene che è soltanto una memoria o commemorazione della Cena del Signore? Chi Stima buona e utile la supplice invocazione dei Santi che regnano con Cristo, soprattutto della Vergine Madre di Dio, e la venerazione delle loro immagini, e chi pretende che tale culto sia illecito, perché contrario all’onore « dell’unico mediatore di Dio e degli uomini » [19], Gesù Cristo? Da così grande diversità d’opinioni non sappiamo come si prepari la via per formare l’unità della Chiesa, mentre questa non può sorgere che da un solo magistero, da una sola legge del credere e da una sola fede nei cristiani; sappiamo invece benissimo che da quella diversità è facile il passo alla noncuranza della religione, cioè all’indifferentismo e al cosiddetto modernismo, il quale fa ritenere, da chi ne è miseramente infetto, che la verità dogmatica non è assoluta, ma relativa, cioè proporzionata alle diverse necessità dei tempi e dei luoghi e alle varie tendenze degli spiriti, non essendo essa basata sulla rivelazione immutabile, ma sull’adattabilità della vita. Inoltre in materia di fede, non è lecito ricorrere a quella differenza che si volle introdurre tra articoli fondamentali e non fondamentali, quasi che i primi si debbano da tutti ammettere e i secondi invece siano lasciati liberi all’accettazione dei fedeli. 
La virtù soprannaturale della fede, avendo per causa formale l’autorità di Dio rivelante, non permette tale distinzione. Sicché tutti i cristiani prestano, per esempio, al dogma della Immacolata Concezione la stessa fede che al mistero dell’Augusta Trinità, e credono all’Incarnazione del Verbo non altrimenti che al magistero infallibile del Romano Pontefice, nel senso, naturalmente, determinato dal Concilio Ecumenico Vaticano. Né per essere state queste verità con solenne decreto della Chiesa definitivamente determinate, quali in un tempo quali in un altro, anche se a noi vicino, sono perciò meno certe e meno credibili? Non le ha tutte rivelate Iddio? Il magistero della Chiesa — che per divina Provvidenza fu stabilito nel mondo affinché le verità rivelate si conservassero sempre incolumi, e facilmente e con sicurezza giungessero a conoscenza degli uomini, — benché quotidianamente si eserciti dal Romano Pontefice e dai Vescovi in comunione con lui, ha però l’ufficio di procedere opportunamente alla definizione di qualche punto con riti e decreti solenni, se accada di doversi opporre più efficacemente agli errori e agli assalti degli eretici, oppure d’imprimere nelle menti dei fedeli punti di sacra dottrina più chiaramente e profondamente spiegati. Però con questo uso straordinario del magistero non si introducono invenzioni né si aggiunge alcunché di nuovo al complesso delle dottrine che, almeno implicitamente, sono contenute nel deposito della Rivelazione divinamente affidato alla Chiesa, ma si dichiarano i punti che a parecchi forse ancora potrebbero sembrare oscuri, o si stabiliscono come materia di fede verità che prima da taluno si reputavano controverse.

Pertanto, Venerabili Fratelli, facilmente si comprende come questa Sede Apostolica non abbia mai permesso ai suoi fedeli d’intervenire ai congressi degli acattolici; infatti non si può altrimenti favorire l’unità dei cristiani che procurando il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale essi un giorno infelicemente s’allontanarono: a quella sola vera Chiesa di Cristo che a tutti certamente è manifesta e che, per volontà del suo Fondatore, deve restare sempre quale Egli stesso la istituì per la salvezza di tutti. Poiché la mistica Sposa di Cristo nel corso dei secoli non fu mai contaminata né giammai potrà contaminarsi, secondo le parole di Cipriano: «Non può adulterarsi la Sposa di Cristo: è incorrotta e pudica. Conosce una casa sola, custodisce con casto pudore la santità di un solo talamo » [20]. Pertanto lo stesso santo Martire a buon diritto grandemente si meravigliava come qualcuno potesse credere « che questa unità la quale procede dalla divina stabilità ed è saldata per mezzo di sacramenti celesti, possa scindersi nella Chiesa e separarsi per dissenso di volontà discordanti » [21]. Essendo il corpo mistico di Cristo, cioè la Chiesa [22] uno, ben connesso [23]; e solidamente collegato, come il suo corpo fisico, sarebbe grande stoltezza dire che il corpo mistico possa essere il risultato di componenti disgiunti e separati. Chiunque perciò non è con esso unito, non è suo membro né comunica con il capo che è Cristo [24].

Orbene, in quest’unica Chiesa di Cristo nessuno si trova, nessuno vi resta senza riconoscere e accettare, con l’ubbidienza, la suprema autorità di Pietro e dei suoi legittimi successori. E al Vescovo Romano, come a Sommo Pastore delle anime, non ubbidirono forse gli antenati di coloro che sono annebbiati dagli errori di Fozio e dei riformatori? Purtroppo i figli abbandonarono la casa paterna, ma non per questo essa andò in rovina, sostenuta come era dal continuo aiuto di Dio. Ritornino dunque al Padre comune; e questi, dimenticando le ingiurie già scagliate contro la Sede Apostolica, li riceverà con tutto l’affetto del cuore. Che se, come dicono, desiderano unirsi con Noi e con i Nostri, perché non si affrettano ad entrare nella Chiesa, « madre e maestra di tutti i seguaci di Cristo » [25]?

Ascoltino le affermazioni di Lattanzio: a « Soltanto … la Chiesa cattolica conserva il culto vero. Essa è la fonte della verità; questo è il domicilio della fede, questo il tempio di Dio; se qualcuno non vi entrerà, o da esso uscirà, resterà lontano dalla speranza della vita e della salvezza. E non conviene cercare d’ingannare se stesso con dispute pertinaci. Qui si tratta della vita e della salvezza: se a ciò non si provvede con diligente cautela, esse saranno perdute e si estingueranno » [26].
Dunque alla Sede Apostolica, collocata in questa città che i Prìncipi degli Apostoli Pietro e Paolo consacrarono con il loro sangue; alla Sede « radice e matrice della Chiesa cattolica » [27], ritornino i figli dissidenti, non già con l’idea e la speranza che la « Chiesa del Dio vivo, colonna e sostegno della verità » [28] faccia getto dell’integrità della fede e tolleri i loro errori, ma per sottomettersi al magistero e al governo di lei.

Volesse il cielo che toccasse a Noi quanto sinora non toccò ai nostri predecessori, di poter abbracciare con animo di padre i figli che piangiamo separati da Noi per funesta divisione; oh! se il nostro divin Salvatore « il quale vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità » [29], ascoltando le Nostre ardenti preghiere si degnasse richiamare all’unità della Chiesa tutti gli erranti! Per tale obiettivo, senza dubbio importantissimo, disponiamo e vogliamo che si invochi l’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della divina grazia, debellatrice di tutte le eresie, aiuto dei Cristiani, affinché quanto prima ottenga il sorgere di quel desideratissimo giorno, quando gli uomini udiranno la voce del Suo divin Figlio « conservando l’unità dello Spirito nel vincolo della pace » [30].

Voi ben comprendete, Venerabili Fratelli, quanto desideriamo questo ritorno; e bramiamo che ciò sappiano tutti i figli Nostri, non soltanto i cattolici, ma anche i dissidenti da Noi: i quali, se imploreranno con umile preghiera i lumi celesti, senza dubbio riconosceranno la vera Chiesa di Cristo e in essa finalmente entreranno, uniti con Noi in perfetta carità. Nell’attesa di tale avvenimento, auspice dei divini favori e testimone della paterna nostra benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, al clero e al popolo vostro impartiamo di tutto cuore l’Apostolica Benedizione.
 Dato a Roma, presso San Pietro, il 6 gennaio, festa della Epifania di N.S. Gesù Cristo, l’anno 1928, sesto del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI 

[1Ioann., XVII, 21.
[2Ioann., XIII, 35.
[3Hebr., I, 1 seq.
[4] Matth., XVI, 18 seq.: Luc., XXII, 32; Ioann., XXI, 15-17.
[5Marc., XVI, 15.
[6Ioann., III, 5; VI,48-59; XX, 22 seq.; cf. Matth., XVIII, 18; etc.
[7Matth., XIII
[8] Cf. Matth., XVI, 18.
[9Ioann., X, 16.
[10Ioann., XXI, 15-17.
[11Matth., XXVIII, 19.
[12Matth., XXVIII, 20.
[13Matth., XVI, 18.
[14Ioann., XVII, 21; X, 16.
[15] Ioann., XVI, 13. 1
[16Act., X, 41.
[17Marc., XVI, 16.
[18II Ioann., 10.
[19] Cf. I Tim., II, 5.
[20De cath. Ecclesiae unitate, 6.
[21Ibidem.
[22I Cor., XII, 12.
[23Eph., IV, 15.
[24] Cf. Eph., V, 30; I, 22.
[25] Conc. Lateran. IV, c. 5.
[26Divin instit., IV, 30, 11-12.
[27] S. Cypr., Ep. 48 ad Cornelium, 3.
[28I Tim., 111, 15.
[29I Tim., II, 4.
[30] Eph., IV, 3.


Araldo del Divino Amore. Scritti di santa Geltrude



CAPITOLO II. - L'ANIMA DI E. PARAGONATA DAL SIGNORE A UN BEL GIGLIO


Dodici giorni dopo il decesso della beata Priora Geltrude, di santa memoria, morì pure una delle sue care figlie. Questa seconda separazione aggiunse dolore a dolore, perchè era una monaca amabile, cara a Dio e agli uomini, sia per l'incantevole purezza, che per la soavità del carattere e per la grazia dei suoi rapporti con tutti.

Dopo la sua morte, Geltrude, ricordando le delizie che si provavano vivendo con essa, disse melanconicamente a Gesù: « Ohimè, amantissimo Signore! perchè ce l'hai portata via così repentinamente? ». Egli rispose: « Mentre si celebravano i funerali della mia diletta Geltrude, vostra Abbadessa, provai gaudio immenso per la divozione della Comunità nella quale discesi per pascermi fra i gigli. Questo fiore piacque a me più degli altri: tesi la mano per coglierlo, la strinsi per undici giorni fra le mie dita prima di svellerlo. Le sofferenze della malattia ne accrebbero vaghezza e profumo allora lo colsi e adesso forma la mia gioia in cielo ». E il Salvatore aggiunse: « Quando al ricordo del fascino che questa consorella esercitava intorno a sè, ne provate rimpianto, pur tuttavia l'abbandonate serenamente al beneplacito della mia Volontà, allora aspiro anche meglio il profumo di questo giglio, e la mia bontà ve ne ricompenserà al centuplo ».

All'Elevazione dell'Ostia, mentre Geltrude, con affezione di sorella, offriva per la defunta tutta la fedeltà del Cuore di Gesù, ella la vide inalzata a una dignità più grande, come se fosse stata trasferita in uno stato più sublime, rivestita di abiti più luminosi, e circondata di, Angeli più elevati. Geltrude ebbe la stessa visione ogni volta che fece la medesima offerta per l'anima di E. La Santa volle poi sapere dal Signore come mai quella vergine saggia, avesse dimostrato durante l'agonia, con gesti e con parole, un grande terrore della morte. 


Gesù rispose: « L'ho permesso, per una grazia della mia infinita tenerezza. Infatti, qualche giorno prima, già malata, essa mi aveva pregato, per tuo tramite, di riceverla, subito dopo la sua morte in cielo, e sulla tua parola confidava di ottenere tale privilegio. Volli premiare la sua fiducia. Ma in tempo di giovinezza è facile commettere qualche leggera negligenza, come per esempio, compiacersi in cose inutili ecc. Le sofferenze della malattia dovevano purificarla da queste macchie: così, prima di chiamarla alla gloria del cielo, volli che i suoi dolori la rendessero meritevole dell'immediato ingresso in Paradiso, e permisi che fosse spaventata alla vista dei demonio. Tale angoscia le servì di purgatorio, mentre le sofferenze patite erano un prezioso titolo per meritare la ricompensa dei cieli ». Geltrude Insistette: « E Tu, mio Gesù, speranza dei disperati, dov'eri mai, mentre essa sopportava quegli spaventevoli terrori?». Rispose il Signore: « Io mi ero nascosto alla sua sinistra: ma appena l'ebbi purificata, mi presentai a lei e la condussi meco nel gaudio eterno dei cieli ».

sabato 25 ottobre 2014

"... Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». / Domenica 26 Ottobre 2014, XXX Domenica del Tempo Ordinario - Anno A


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 26 Ottobre 2014, XXX Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 22,34-40.

Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Traduzione liturgica della Bibbia

Corrispondenza nel "l'Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 9 Capitolo 596 pagina 387.

1Gesù entra nel Tempio ancor più affollato che nei giorni precedenti. È tutto bianco oggi, nella sua veste di lino. È una giornata afosa. Va ad adorare nell’atrio degli Israeliti e poi va ai portici, seguito da un codazzo di gente, mentre altra ha già preso le migliori posizioni sotto i porticati, e la maggioranza sono gentili che, non potendo andare oltre il primo cortile, oltre il portico dei Pagani, hanno approfittato del fatto che gli ebrei hanno seguito il Cristo per prendere posizioni di favore. 

Ma un gruppo ben numeroso di farisei li scompagina: sono sempre arroganti ad un modo, e si fanno largo con prepotenza per accostarsi a Gesù curvo su di un malato. Attendono che lo abbia guarito, poi gli mandano vicino uno scriba perché lo interroghi. Veramente fra loro c’era stata prima una breve disputa, perché Gioele detto Alamot voleva andare lui ad interrogare il Maestro. Ma un fariseo si oppone e gli altri lo sostengono dicendo: «No. Ci è noto che tu parteggi per il Rabbi, benché tu lo faccia segretamente. Lascia andare Uria...». «Uria no», dice un altro giovane scriba che non conosco affatto. «Uria è troppo aspro nel suo parlare. Ecciterebbe la folla. Vado io». E, senza ascoltare più le proteste degli altri, va vicino al Maestro proprio nel momento che Gesù congeda il malato dicendogli: «Abbi fede. Sei guarito. La febbre e il dolore non torneranno mai più».

2«Maestro, quale è il maggiore dei comandamenti della Legge?». Gesù, che lo aveva alle spalle, si volta e lo guarda. Una luce tenue di sorriso gli illumina il volto, e poi alza il capo, essendo a capo chino perché lo scriba è di bassa statura e per di più sta curvo in atto di ossequio, e gira lo sguardo sulla folla, lo appunta sul gruppo dei farisei e dottori e scorge il viso pallido di Gioele seminascosto dietro un grosso e impaludato fariseo. Il suo sorriso si accentua. È come una luce che vada a carezzare lo scriba onesto. Poi riabbassa il capo guardando il suo interlocutore e gli risponde: «Il primo di tutti i comandamenti è: “Ascolta, o Israele: il Signore Dio nostro è l’unico Signore. Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze”. Questo è il primo e supremo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non vi sono comandamenti maggiori di questi. Essi rinchiudono tutta la Legge e i Profeti».

 «Maestro, Tu hai risposto con sapienza e con verità. Così è. Dio è Unico e non vi è altro dio fuori che Lui. Amarlo con tutto il proprio cuore, con tutta la propria intelligenza, con tutta l’anima e tutte le forze, e amare il prossimo come se stesso, vale molto più di ogni olocausto e sacrificio. Molto lo penso quando medito le parole davidiche: “A Te non piacciono gli olocausti; il sacrificio a Dio è lo spirito compunto”». «Tu non sei lontano dal Regno di Dio, perché hai compreso quale sia l’olocausto che è gradito a Dio». «Ma quale è l’olocausto maggiormente perfetto?», chiede svelto, a bassa voce, lo scriba, come se dicesse un segreto.

 Gesù raggia d’amore lasciando cadere questa perla nel cuore di costui che si apre alla sua dottrina, alla dottrina del Regno di Dio, e dice, curvo su lui: «L’olocausto perfetto è amare come noi stessi coloro che ci perseguitano e non avere rancori. Chi fa questo possederà la pace. È detto: i mansueti possederanno la terra e godranno dell’abbondanza della pace. In verità ti dico che colui che sa amare i suoi nemici raggiunge la perfezione e possiede Dio».

3Lo scriba lo saluta con deferenza e se ne torna al suo gruppo, che lo rimprovera sottovoce di aver lodato il Maestro, e con ira gli dicono: «Che gli hai chiesto in segreto? Sei anche tu, forse, sedotto da Lui?». «Ho sentito lo Spirito di Dio parlare sulle sue labbra». «Sei uno stolto. Lo credi forse tu il Cristo?». «Lo credo». «In verità fra poco vedremo vuote le nostre scuole dei nostri scribi ed essi andar raminghi dietro quell’Uomo! Ma dove vedi, in Lui, il Cristo?». «Dove non so. So che sento che è Lui». «Pazzo!», gli voltano inquieti le spalle. Gesù ha osservato il dialogo e, quando i farisei gli passano davanti in gruppo serrato per andarsene inquieti, li chiama dicendo: «Ascoltatemi. Voglio chiedervi una cosa. Secondo voi, che ve ne pare del Cristo? Di chi è figlio?». «Sarà figlio di Davide», gli rispondono marcando il “sarà”, perché vogliono fargli capire che, per loro, Egli non è il Cristo. «E come dunque Davide, ispirato da Dio, lo chiama “Signore” dicendo: “Il Signore ha detto al mio Signore: ‘Siedi alla mia destra fino a che non avrò messo i tuoi nemici a sgabello ai tuoi piedi’ ”? Se dunque Davide chiama il Cristo “Signore”, come il Cristo può essergli figlio?». Non sapendo cosa rispondergli, si allontanano ruminando il loro veleno. 

4Gesù si sposta dal luogo dove era, tutto invaso dal sole, per andare più oltre, dove sono le bocche del tesoro, presso la sala del gazofilacio. Questo lato, ancora in ombra, è occupato da rabbi che concionano con grandi gesti rivolti ai loro ascoltatori ebrei, che aumentano sempre più come, col passar delle ore, aumenta di continuo la gente che affluisce al Tempio. I rabbi si sforzano di demolire coi loro discorsi gli insegnamenti che il Cristo ha dato nei giorni precedenti o quella stessa mattina. E sempre più alzano la voce più vedono aumentare la folla dei fedeli. Il luogo, infatti, benché vasto tanto, formicola di persone che vanno e vengono in ogni senso...
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

venerdì 24 ottobre 2014

"Stimoli che mi spingevano a predicare" San Antonio Maria CLARET


CAPITOLO XII
Stimoli che mi spingevano a predicare, e cioè:
l'esempio dei Profeti, di  Gesù Cristo, degli Apostoli, dei S.S. Padri, dei Santi.


214 - Oltre a questo amore, che ho sempre sentito per i poveri peccatori, mi  muove a lavorare per la loro salvezza l'esempio dei Profeti, di Gesù Cristo,  degli Apostoli, dei santi, delle sante. Ho letto spesso le loro vite; e i passi  più interessanti li annotavo a mia utilità e profitto e per vieppiù spronarmi.  Riporterò qui alcuni frammenti.

215 - Il profeta Isaia, figlio di Amos, della regale famiglia di David,  profetizzava e predicava. Suo principale scopo era di palesare agli abitanti di Gerusalemme e agli altri Ebrei, le loro infedeltà, e annunziare il castigo di  Dio che sarebbe venuto dagli Assiri e dai Caldei, come difatti avvenne.  L'empio Re Manasse, suo cognato, gli tolse la vita, facendo che fosse segato a  metà.

216 - Il profeta Geremia, profetizzò per quaranticinque anni. Suo  principale scopo fu quello di esortare alla penitenza il suo popolo,  annunciandogli i castighi che gli avrebbe inviato il Signore. Fu condotto in  Egitto, e a Taphnis, città principale, morì lapidato dagli stessi Giudei. La nota caratteristica di questo grande profeta é una tenerissima carità verso  il prossimo, piena di compassione per i suoi malanni, non solo spirituali, ma  anche corporali; carità che non gli dava requie. Fu così che in mezzo al  tumulto della guerra, in mezzo al disordine del regno, il quale andava alla  rovina, e durante l'assedio di Gerusalemme e nella grande mortalità del popolo,  lavorò sempre con molto ardore per la salvezza dei suoi concittadini. Per  questo fu chiamato bellamente amante dei suoi fratelli e del popolo d'Israele.

217 - Il profeta Ezechiele profetizzò e predicò per vent'anni, ed ebbe  la gloria di morire martire della giustizia. Fu ucciso presso Babilonia dal  capo del suo popolo, perché gli rimproverava il culto reso agli idoli.

218 - Il profeta Daniele ricco di incredibili doni, come i più grandi  profeti. Egli non solo predisse cose future, come gli altri profeti, ma  precisò il tempo in cui sarebbero accadute. Per invidia fu gettato nella fossa  dei leoni; ma Dio lo liberò.

219 - Il profeta Elia fu uomo di fervente ed efficacissima preghiera, di  grande e straordinario zelo, e fu perseguitato a morte, anche se non morì, ma  fu rapito da un carro di fuoco.

220 - L'Ecclesiastico, parlando dei dodici Profeti, detti Minori solo perché gli scritti che lasciarono sono brevi, dice che  restaurarono la casa di Giacobbe e salvarono se stessi con la virtù della fede.

221 - Ma quello che più mi ha mosso é stato l'esempio di Gesù Cristo. Egli andava da un paese all'altro, predicando sempre; e non solamente nei paesi  grandi, ma anche nei villaggi e nei casolari, persino a una donna sola, come  fece con la Samaritana, quantunque stanco per il lungo cammino, assetato e in  un'ora scomoda per Lui e per la donna.

222 - Fin dal principio rimasi incantato dello stile usato da Gesù nella  predicazione. Che similitudini! Che parabole! Io mi proposi di imitarlo con  paragoni, esempi e semplicità di stile. Che persecuzioni! Fu posto come segno  di contraddizione, perseguitato nella dottrina, nelle opere, nella persona, fino  a togliergli la vita tra villanie, tormenti e insulti, e con la morte più  ignominiosa che c'é sulla terra.

223 - Molto pure mi muoveva la lettura di quello che fecero gli Apostoli.  L'Apostolo S. Pietro, nella prima predica convertì tremila uomini, e nella  seconda cinquemila. Con che zelo e fervore doveva predicare! Che dire poi di  S. Giacomo, di S. Giovanni e di tutti gli altri? Con che sollecitudine, con  che zelo correvano da un regno all'altro! Con che zelo predicavano, senza paure  né umani rispetti, consapevoli che si deve obbedire prima a Dio poi agli  uomini. Così risposero agli scribi e ai farisei quando comandarono di non  predicare più. Se venivano flagellati, non per questo si impaurivano e  desistevano dal predicare; che anzi, si ritenevano felici e beati d'aver potuto  soffrire qualche cosa per Gesù Cristo.

224 - Ma é lo zelo dell'apostolo San Paolo che più m'entusiasma. Come corre da  una all'altra parte, portando come vaso d'elezione la dottrina di Gesù Cristo!  Predica, scrive, insegna nelle sinagoghe, nelle carceri e in tutte le parti.  Lavora e fa lavorare opportunamente e importunamente; soffre flagelli,  lapidazioni, persecuzioni di ogni sorta, le calunnie più atroci; ma non si  spaventa, al contrario, si compiace nelle tribolazioni, e giunge ad affermare di  non gloriarsi che nella croce di Gesù Cristo.

225 - Molto mi incoraggia anche la lettura delle vite e delle opere dei Santi Padri: S. Ignazio martire; S. Ireneo; S. Clemente presbitero di  Alessandria; S. Ilario; S. Cirillo; S. Efrem; S. Basilio; S. Gregorio  Nazianzeno; S. Gregorio Vescovo di Nissa; S. Ambrogio; S. Epifanio; S.  Girolamo; S. Paolino; S. Giovanni Crisostomo; S. Agostino; S. Cirillo  d'Alessandria; S. Prospero; Teodoreto; S. Leone Magno; S. Cesareo; S. Gregorio  Magno; S. Giovanni Damasceno; S. Anselmo; S. Bernardo.

226 - Leggevo assai di frequente le vite dei santi che si sono distinti nello  zelo per la salvezza delle anime, e ho constatato che mi fanno bene, perché mi  ripeto quelle parole di S. Agostino: Tu non eris sicut isti et istae?  E tu non sarai, non lavorerai per la salvezza delle anime, come lavorarono  questi e queste? [Confes. l. 18, c. 11] Le vite dei santi che mi commovevano di più, sono le  seguenti: S. Domenico, S. Francesco d'Assisi, S. Antonio di Padova, S. Giovanni  Nepomuceno, S. Vincenzo Ferreri, S. Bernardino di Siena, S. Tommaso da  Villanova, S. Ignazio di Loyola, S. Filippo Neri, S. Francesco Saverio, S.  Francesco Borgia, S. Camillo de Lellis, S. Carlo Borromeo, S. Francesco Regis,  S. Vincenzo de' Paoli, S. Francesco di Sales.

227 - Nelle vite e sulle opere di questi santi meditavo, e questa meditazione  accendeva in me un fuoco tanto grande che non mi dava riposo. Avevo bisogno di andare, correre da una parte all'altra, predicando  continuamente. Non posso ridire quel che provavo in me. Non sentivo la fatica,  né mi intimorivano le calunnie più atroci che mi muovevano, né temevo le  persecuzioni più grandi. Tutto mi era dolce, pur di guadagnare anime, a Gesù  Cristo, al cielo, e preservarle dall'inferno.

228 - Prima di chiudere questo capitolo, voglio parlare di due modelli di zelo  veramente apostolico, che mi hanno sempre commosso. Uno é il Ven. P. Diego di  Cadice, e l'altro é il P. Maestro d'Avila. Del primo si legge nella sua vita: Il  Servo di Dio, mosso dallo zelo di guadagnare anime a Cristo, si consacrò per  tutta la vita al ministero apostolico, senza mai riposare. Intraprendeva  continuamente lunghi viaggi, che faceva sempre a piedi, senza paura dei disagi  delle stagioni, passando da un luogo a un altro per annunziare la divina parola  e cogliere il prezioso frutto. Si caricava di cilici, si disciplinava due volte  al giorno e osservava un rigorosissimo digiuno. Suo riposo, la notte, dopo le  fatiche del giorno, era il porsi a pregare davanti al Santissimo Sacramento,  del quale era tanto devoto, da nutrire per Esso l'amore più tenero e vivo.

229 - Dalla vita del P. Avila. Il suo equipaggio consisteva in  un  asinello, di cui, lui e i suoi compagni si servivano a tratti, sul quale  caricavano mantelli, bisacce con una scatola di ostie per celebrare la S.  Messa, cilici, rosari, medaglie, stampe, filo e pinzette per confezionare  corone con le proprie mani. Nulla portava da mangiare, confidando solo nella  divina Provvidenza. Raramente mangiava carne; di solito, pane e frutta.

230 - I suoi sermoni duravano di solito due ore; ed era tanta la copia delle  similitudini, che gli era molto difficile impiegare meno tempo. Predicava con  tanta chiarezza che tutti lo capivano e non si stancavano di ascoltarlo. Giorno  e notte, non pensava che a propagare il regno di Dio, la riforma dei costumi e  la conversione dei peccatori. Per comporre i suoi sermoni non rimestava molti  libri, né li caricava di troppe idee, o esempi della Scrittura, o altre gale.  Gli bastava un argomento e lanciare un grido per accendere il cuore di chi  ascoltava.

231- Al tempo che il P. Avila predicava a Granada, c'era un altro predicatore,  il più famoso di quel tempo. Quando i fedeli uscivano da qualche sua predica,  facevano grandi meraviglie per le tante e così belle cose, tanto egregiamente  esposte e tanto proficue; ma dopo aver ascoltato il P. Avila, andavano tutti a  testa bassa, muti, senza parole, raccolti e compunti dalla forza della verità,  della virtù e della eccellenza dell'oratore.

232 - Il principale fine che si proponeva la sua predicazione era di liberare  le anime dall'infelice stato della colpa, manifestando la bruttezza del  peccato, l'indignazione di Dio e i castighi orrendi che attendono i peccatori  impenitenti, e il premio offerto a quelli che si pentono veramente; concedendo  il Signore tanta efficacia alle sue parole, che dice il Venerabile Fr. Luigi da Granada: «Un giorno lo udii deprecare la malvagità di coloro che per un  godimento bestiale, non si peritano di offendere Dio, prendendo da Geremia  questa citazione: Obstupescite coeli super hoc, e posso assicurare che  lo disse tanto compreso di spavento che mi sembrò tremassero le pareti della  chiesa».


233 - Oh, Dio mio e Padre mio, fate che io vi conosca e vi faccia conoscere; che  vi ami e vi faccia amare; che vi serva e vi faccia servire; che vi lodi e vi  faccia lodare da tutte le creature. Datemi, Padre mio, che tutti i peccatori si  convertano, che tutti i giusti perseverino nella grazia, e tutti possiamo  raggiungere la gloria eterna. Amen.

giovedì 23 ottobre 2014

Autobiografia di s. Antonio Maria Claret y Clarà


CAPITOLO III
Missioni a Puerto Principe, Manzanillo, S. Fruttuoso e Bayamo


525 - Arrivato a Porto Principe, la prima cosa che feci, fu dare gli Esercizi al Clero. Per non lasciare le parrocchie sprovviste di sacerdoti, feci due turni; presi in affitto un edificio capace, e in esso radunai, prima un gruppo di venti e poi un altro di diciannove sacerdoti. Io ero con loro giorno e notte; e avevano distribuito il loro tempo in letture, meditazioni, recita dell'Ufficio divino, e conferenze che io tenevo. Tutti fecero la confessione generale, tracciando il loro piano di vita, e regolando tutto.

526 - Dopo il clero, mi rivolsi al popolo con una Missione che, per maggior comodità dei fedeli, si teneva, in una città che si estendeva per oltre una lega, in tre punti distinti. Disposi che don Lorenzo San Martì e don Antonio Barjau facessero la Missione a Nostra Signora della Carità, situata a un estremo; in quella di Sant'Anna, che é all'estremità opposta, avrebbe predicato don Manuel Vilarò, e io presi su di me la Missione del centro nella chiesa di Nostra Signora della Mercede, che é la chiesa più capace della città. Questa Missione durò due mesi, agosto e settembre, e fu inspiegabile il frutto che, per grazia di Dio, si raccolse. Io feci anche la Visita alle parrocchie e alle altre chiese della città.

527 - Da Puerto Principe passai a Nuevitas per farvi la Missione, come anche a Bagà, San Miguel, San Jerònimo; tornando poi a Porto Principe per le feste di Natale; cantammo il Mattutino e la Messa di Mezzanotte con tutta la solennità nella chiesa della Soledad. Qui si ammalò don Antonio Barjau.[1]  Stette in grande pericolo, ma grazie a Dio guarì perfettamente. Facendo missioni, cresimando e facendo visite fino alla settimana di Passione, e andando di parrocchia in parrocchia, giungemmo a Cuba. Facemmo tutte le funzioni della Settimana Santa con grande solennità, premettendo prima delle cerimonie le prove da parte dei sacerdoti che dovevano funzionare per gli Oli Santi e altro, perché tutto riuscisse bene.

528 - Alla fine di aprile lasciai Santiago e mi diressi con due sacerdoti alla  città di Manzanillo, mentre tutti gli altri erano in missione in diverse parti.  A Manzanillo cominciai con il mese di maggio. Predicavo ogni giorno, e con  molta frequenza. Senza saper come, mi scappava detto che presto verrebbero  grandi terremoti.[2] Da Manzanillo passammo alla parrocchia di San Fruttuoso e in  tutte le parti era lo stesso lavoro: si confessava, predicava, cresimava, e  benedicevamo matrimoni. Da qui passammo alla città di Bayamo: incominciai la  Missione, e anche qui si faceva come negli altri luoghi: detti gli esercizi al clero, predicavo tutti i giorni, confessavo e cresimavo fino al 20 agosto del  1852, quando alle dieci del mattino, stando nella cappella del Sacramento, o“  Dolores,” sentii il terremoto, che poi andò ripetendosi tutti i giorni.






[1] Caduto malato Don Antonio Barjau, il Santo gli fece da infermiere, vegliandolo notte e giorno. A un certo momento, perdette la speranza di salvarlo. Intanto il 21 settembre gli era morto il giovane Telesforo Hernàndez, e il 6 ottobre Don Giovanni Pladebella.
[2] In una lettera diretta al P. Stefano Sala diceva: «A metà maggio, Dio mi ha fatto conoscere le grandi disgrazie che si avvicinano, di terremoti, la prima; la seconda, malattie e pesti; e la terza la perdita dell'isola» (EC, I, 706).