giovedì 25 settembre 2014

3. - UN REGALO ECCEZIONALE di EMMANUEL ANDRÈ


LIBRO TERZO

Il campo del ministero

 

CAPITOLO I
DONDE LA NECESSITÀ DEL MINISTERO ECCLESIASTICO

L'autorità ecclesiastica come l'autorità civile, e, conseguentemente tutta l'economia del santo ministero, hanno la loro ragione di essere dopo la caduta originale. 
Se Adamo non fosse caduto, l'umanità fedele a Dio avrebbe goduto di una felicità così grande che avrebbe avuto al di sopra di se stessa soltanto la felicità della vita eterna. 
L'uomo sottomesso a Dio avrebbe attinto direttamente la vita dalla grazia; non avrebbe avuto bisogno di una guida per trovare Dio, e con la santa e divina grazia sarebbe andato a Lui senza inciampare e senza venir meno. 
Ma l'umanità non è più così; il peccato è entrato nel mondo e ha mutato in un modo sorprendente tutte le condizioni di questa terra. Per difenderci contro gli iniqui, Dio volle che nella società vi fosse l'autorità dei re e per ricondurci al bene e alla vita eterna volle che ci fosse un'autorità ecclesiastica e un ministero ecclesiastico e infine volle che le sue grazie giungessero agli uomini attraverso mezzi proporzionati ai bisogni degli uomini decaduti. 
Adamo, dimentico di ciò che doveva a Dio, considero cosa buona piacere ad Eva, come Eva aveva considerato cosa buona ubbidire a Satana; e Dio volendo che il rimedio rispondesse alla natura della colpa, da parte sua considero cosa buona che l'uomo fosse assoggettato all'uomo, sottomesso ai sacramenti, sottomesso a un minuzzolo di pane, a una goccia d'acqua. 
Cioè Dio umilio la sua creatura orgogliosa e qui il nostro ministero ha la sua ragione di essere; per essere i ministri della salvezza degli uomini, noi siamo i ministri dell'umiliazione degli uomini.


Quanto queste prospettive devono umiliarci se abbiamo gli occhi per vedere la profondità dell'umana caduta, la vera natura dei rimedi dei quali siamo ministri e, per conseguenza, la vera natura del nostro ministero!
Oh! Non abbiamo certamente nulla per gloriaci dell'autorità che Dio ci ha dato, dal momento che questa autorità è essa stessa una prova sempre parlante, una testimonianza sempre irrevocabile della caduta dell'umanità, della nostra caduta in essa e con essa. Ora che siamo caduti abbiamo il duplice obbligo di rialzarci e di lavorare a rialzare gli altri.
Il primo sta al di sopra delle forze dell'uomo; che diremo dunque, che faremo noi che con questo primo obbligo dobbiamo rispondere anche al secondo?
Siamo dei caduti: è qui, nell'attuale condizione dell'umanità, la ragione del ministero ecclesiastico.

CAPITOLO II
LA NATURA DEL MALE PRESENTE

Il male presente è semplicemente il peccato originale e le sue conseguenze. Qualunque sia il nome col quale si chiama, il male presente non è, non può essere un'altra cosa. Il peccato è entrato nel mondo per mezzo di Adamo; il peccato di Adamo è diventato il peccato dell'intero genere umano: è da quest'unica sorgente, ma fecondissima, troppo feconda, da dove sono venute tutte le sventure delle anime.
Il peccato originale, anche là dov'è stato cassato dal battesimo, ha lasciato la triplice concupiscenza: l'orgoglio, l'avarizia, la voluttà.
La nostra maggior disgrazia sta nel fatto che queste infelici concupiscenze hanno ripreso il sopravvento nei battezzati; e in questo modo vi regnano così potentemente che il battesimo, la cresima e la comunione sembrano aver perduto la loro efficacia sulle anime d'oggi.
Molti cristiani aihmè! sembrano battezzati soltanto per diventare degli apostati; molti sembrano stati cresimati per rinunciare allo Spirito Santo piuttosto che per riceverlo; non ci sono quelli che partecipano all'Eucarestia solo per calpestare più autenticamente il Figlio d'Iddio?
Perciò i rimedî che dovevano salvare si mutano in veleno mortifero: i sacramenti, che sono i canali della grazia, troppo spesso diventano i sigilli del peccato.
In troppi luoghi l'apostasia è lo stato generale delle anime, un'apostasia sovente più stupida che voluta: si vive fuori di Dio, di nostro Signore, dello Spirito Santo, fuori da tutto ciò che è soprannaturale.
E nonostante ciò si è dei battezzati! Quale oltraggio alla grazia divina! Quale oltraggio allo Spirito Santo! Quale ingratitudine verso Dio, verso l'adorabile persona del Salvatore, verso lo Spirito Santo!

CAPITOLO III

COME SI PROPAGA IL MALE PRESENTE

La sorgente del male, l'abbiamo detto, è il peccato originale. Questa sorgente, pero, è segretissima, e proprio dal segreto che l'avvolge trae maggior facilità per propagare i suoi veleni.
Il peccato originale è poco conosciuto, e spesso mal conosciuto. Poiché ha gettato le anime nell'ignoranza, sembra impegnarsi a nascondere soprattutto la sua malizia che essenzialmente consiste in due cose: la perdita della giustizia originale e il deterioramento della natura: ma oggi, pur ammettendo la perdita della giustizia originale, si vorrebbe tuttavia non riconoscere che la natura è stata deteriorata.
Questa conoscenza così monca del peccato originale lascia campo libero ad una folla di errori, ed è assolutamente impotente nella salvezza di alcunché, seguendo la massima assai conosciuta: "Bonum ex integra causa: malum ex quocunque defectu".
Da questo non saper e non voler riconoscere il deterioramento della natura causato dal peccato originale derivano conseguenze funestissime.
La natura diventa orgogliosa di sé stessa nonostante la solenne espressione dell'Apostolo: "Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto" (1 Cor. 4,7).
La natura, essendosi fetta cieca sul suo male, è portata ad abusare del suo proprio bene. Ne abusa col farsene una arma contro Dio e nello stesso tempo per ferire sé stessa con nuove ferite. Possiede la ragione, la libertà e i sensi e ne abusa. La sua insolente rivolta contro Dio l'imprigiona nel naturalismo; e con uno strascico di inevitabili conseguenze la sua ragione sprofonda nel razionalismo, la sua libertà nel liberalismo e i suoi sensi nella sensualità.
Eppure dopo tutte queste spaventose conquiste nel male, la natura, essendo rimasta insoddisfatta, si volta contro il Salvatore; nega la sua divinità, l'umanità, la grazia, la sua Chiesa, per finire col negare tutto. Poi dice a se stessa come l'antica Babilonia: "Io e nessuno fuori di me" (Is. 48,8).
È vero che il male non è grande in tutte le anime; ma negli stessi credenti le verità sono singolarmente diminuite. Esiste per essi un naturalismo addolcito che non si preoccupa di esser elevato a dogma, ma che si contenta perfettamente di esser accettato come dottrina pratica. C'è un razionalismo mitigato che non condanna la fede, ma che spesso si riserva il diritto di giudicarla; c'è anche un liberalismo cattolico; e benché non si sia ancora osato di pronunciare il nome di un sensualismo cattolico, si deve tuttavia ammettere che il sensualismo ha già invaso molte anime cattoliche nelle quali la vita sensuale è giunta a soffocare la conoscenza della stessa mortificazione cristiana, senza la quale, pero, secondo la testimonianza dell'Apostolo non esiste la vita davanti a Dio: "Poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del vostro corpo, vivrete" (Rm. 8,13).
Qui bisogna sottolineare un fatto capitale sul quale il razionalismo ha singolarmente falsificata le idee delle stesse anime buone. Se si studiassero gli autori che hanno trattato della grezia fino al secolo XV o XVI e si confrontassero con essi gli autori dei tempi moderni, si potrebbe osservare che esiste tra loro una differenza considerevole. In quella si riconosce in tutta la sua potenza la grazia medicinale del Redentore, la gratuità e l'efficacia. Nei moderni, invece, l'efficacia della grazia per lo più è attribuita alla volontà della creatura mentre anticamente la si considerava come un dono della stessa grazia. Riteniamo perciò che gli uomini, anche quelli cristiani, del nostro tempo non sono in grado di leggere il trattato di San Bernardo: "De gratia et libero arbitrio" senza smarrirsi, e, forse, senza scandalizzarsi. L'Abate Rohrbacher non ha forse scritto che San Bernardo non seppe fare distinzione della natura e della grazia? Voi pigmei del secolo XIX, voi avete scritto ciò riguardo San Bernardo; voi avete scritto lo stesso di Sant'Agostino.
I piccoli uomini del tempo presente non hanno ricevuto dalla grazia le percezioni che ricevettero gli antichi, perciò non ritengono di aver tanta necessità di pregare per chiedere, ottenere e conservare la grazia. Che cos'è la preghiera oggi? Dove le anime che pregano? Non è forse vero che la maggior parte dei cristiani che ancora pregano fanno consistere la preghiera nella recita di formule? Oh quanto sono lontani dal cristianesimo di nostro Signore e dei suoi Apostoli che è spirito e vita!

CAPITOLO IV

COME PUÒ ESSERE GUARITO IL MALE PRESENTE

Nostro Signore è l'unico Salvatore degli uomini, perciò fuori di Lui non si trova assolutamente alcun rimedio ai mali che ci affliggono: "In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At. 4,12).
Se la natura è ammalata del male chiamato naturalismo, per essere guarita deve sottomettersi a Gesù, altrimenti conserverà il proprio male che la perderà senza posa e per sempre.
Bisogna pero osservare che la sottomissione necessaria per la guarigione dev'essere totale e affettuosa: è necessario abbandonarsi al medico celeste per ricevere l'intera efficacia dei suoi divini rimedî: ogni riserva nella sottomissione non solo compromette la guarigione, ma spesso la fa diventare impossibile: "Io voglio essere battezzato, disse l'eunuco della regina d'Etiopia". Si, gli rispose Filippo, se tu credi con tutto il tuo cuore; "si credis ex toto corde tuo" (Atti ,8,37). La salvezza si compie a questa condizione.
La ragione ha il suo male che è il razionalismo. Anch'essa per guarire ha bisogno di sottomettersi, di sottomettersi alla fede. Che cosa di più giusto! La ragione creata si deve tutta intera alla ragione increata, la ragione umana alla ragione divina.
Erra la ragione umana quando crede di farsi grande studiandosi di mostrare la sua indipendenza da Dio. Proprio come il figlio prodigo nell'abbandonare la casa paterna. Che cosa trovo egli lontano da suo padre? L'indigenza e la vergogna. La ragione che si scosta dalla fede non può sognare altro. La sua salvezza sta nella parola del figlio prodigo: "Mi alzerò e andrò da mio padre" (Lc. 15,18).
Qui bisogna sottolineare un'altra illusione grandemente funesta nella quale sono cadute molte persone sebbene di rispetto. Poiché è necessario che la ragione umana cammini con la fede, queste persone reputarono di far bene diminuendo la fede; cioè attenuarono le divine esigenze della fede e diminuirono i suoi diritti imprescrittibili, con lo scopo, dicevano a se stessi. di farla più facilmente accettabile. Ma perché fare per le anime ciò che non farebbero per i corpi i medici degni di questo nome? Essi conoscono la dose necessaria perché un farmaco faccia guarire e non si lasciano indurre a prescrivere una dose minore col pretesto che sarà più facile a prendersi; sanno bene che a questa condizione noi vi sarebbe guarigione, e non faranno mai questo. Medici delle anime, perché saremo noi sacerdoti meno abili dei medici dei corpi? "I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce" (Lc. 16,8).
La libertà ha il suo male che è il liberalismo. La libertà è una bellissima e degnissima facoltà dell'anima; il liberalismo è un modo di essere della libertà, ma un modo di essere falso e forzato. Perché la libertà si è data per il bene e per il merito, mentre il liberalismo è una libertà che si compisce fuori del bene e del merito. Come il razionalismo è un abuso della ragione, il liberalismo è un abuso della libertà: abuso che consiste nel fare della libertà stessa la regola della libertà. Ma Dio solo è regola a sé stesso e ogni creatura che vuole imitare Dio in questo non fa che imitare Satana, il primo fra i ribelli. La ragione ha la sua regola nella ragione di Dio che è la fede, e la libertà ha la sua regola nella volontà di Dio che è la carità.
La carità illumina, dirige, sostiene, fortifica la libertà e le fa compiere meravigliosi progressi: perché più l'uomo progredisce nel bene e nel merito, più è libero. Ascoltiamo la grande voce della Chiesa: "Populum tuum, quaesumus Domine, coelesti dono prosequere ut et perfectam libertatem consequi mereatur et ad vitam proficiat sempiternam" (Orazione del lunedì di Pasqua prima della riforma liturgica).
Ciò ci porta a citare nuovamente, per meglio comprenderla e ammirarla, la sublime frase di Sant'Agostino: "Libertas est charitas" (De natura et gratia, lib. I, cap. LXV).
Se poi ci inoltriamo nello studio del male presente, troviamo il sensualismo, l'amore del benessere materiale, l'amore della soddisfazione dei sensi; l'impulso di Eva verso il frutto che le sembrava bello a vedersi e buono a mangiarsi.
Il rimedio a questo male tanto comune e così profondamente radicato nella natura è la penitenza. Fate penitenza, diceva nostro Signore ed era la prima parola della sua predicazione. La penitenza è così necessaria che un giorno egli disse: "Se non farete penitenza, perirete tutti allo stesso modo" (Lc. 13,3).
La parola penitenza è diventata poco gradita a intendersi e vi è una specie di pudore, di nuovo genere, a pronunciarla.
Ci si è allontanati dalla strada della penitenza che una specie di sant'uomo spacciò gravemente questa massima: "Il digiuno non appartiene più allo spirito della Chiesa; oggi è l'orazione, è l'orazione". Ecco: col pretesto della spiritualità si è giunti a cancellare una buona parte del Vangelo: se poi qualcosa ne ha tratto un guadagno, ci si dica che non è sensualismo?

CAPITOLO V
IL VERO STATO DELLE ANIME

L'umanità è passata per tre stati successivi
il primo dopo la caduta fino a Mosè e si chiama stato della legge di natura; 
il secondo da Mosè a nostro Signore ed è lo stato della legge scritta; 
il terzo da nostro Signore fino a noi, lo stato di grazia che durerà fino alla fine dei tempi.

Sant'Agostino li riassume in tre parole: "Ante legem, sub lege, sub gratia" e, andando più lontano, osserva che questi diversi stati della umanità s'incontrano facilmente nelle anime le quali possono stare "Ante legem", o "sub lege" o "sub gratia". 

*Un'anima sta "Ante legem" quando sta nell'ignoranza, sia perché non le fu data l'istruzione, sia perché l'ha trascurata, non conoscendone il valore.

*Un'anima è "sub lege" quando conosce il bene che deve fare e il male che deve evitare; ma o perché non ha ancora ricevuto la fede, o perché ha trascurato il vivere secondo la fede, sta in peccato pur sapendo che cos'è il peccato.

*Un anima è "sub gratia", quando, con conoscenza, ha ricevuto il dono della fede e la grazia di vivere secondo la fede che opera per mezzo della carità: "La fede che opera per mezzo della carità" (Gal. 5,6).
In questo felice stato d'anima cammina in pace nella via dei santi comandamenti: ama le leggi di Dio e soprattutto Dio; è libera nel bene che ama e avanza con fiducia verso la ricompensa che Dio le promette. Bisogna fare questa distinzione nelle anime per proporzionare le istruzioni alla loro necessità e per non esigere da esse ciò che sorpasserebbe le loro forze. 
Cosi un'anima che sta ancora "ante legem" ha maggior bisogno di ricevere di quanto non è capace di dare; in essa la buona volontà consiste nel ricevere la luce nella misura che le è data, e non le si deve chiedere di più.

L'anima, poi, che è "sub lege" ha bisogno di essere illuminata intorno alla natura della fede, ai misteri dell'Incarnazione, della redenzione, della grazia medicinale del Salvatore, e della natura della carità. Ha bisogno di essere portata alla preghiera e soprattutto al desiderio di una grazia maggiore e più abbondante.

L'anima che sta "sub gratia" chiede di essere ben istruita sulla natura della grazia, della sua gratuità, della sua necessità e sulle sue meravigliose operazioni, e così rimettendosi ad essa con amore, possa camminare nelle strade di tutte le buone opere. Tale anima ha pur bisogno di essere istruita e affermata nell'umiltà onde non esporsi alle cadute: "Chi crede di stare in piedi guardi di non cadere" (I Cor. 10,12). "Tu resti li in ragione della fede. Non montare in superbia, ma temi" (Rm. 11,20). Da qui la necessità che l'istruzione sia proporzionata allo stato delle anime, e che da parte loro l'azione risponda all'istruzione: sarebbe grande sventura chiedere loro più di quanto possono davanti a Dio: per esempio se si volesse condurre alla comunione chi non è neppure "sub lege" o chi stesse "ante legem" in una deplorevole ignoranza Il male fatto alle anime, agendo in questo modo, è incalcolabile e tanto più deplorevole in quanto si sono usati i sacramenti che sono stati ricevuti senza conoscenza, senza preparazione, senza frutto e senza gusto: per cui i sacramenti ricevuti in tal maniera spesso sono gli ultimi sacramenti.

CAPITOLO VI
ANCORA SUL VERO STATO DELLE ANIME

Siccome nei paesi detti cristiani generalmente si esercita il ministero verso persone battezzate, i sacerdoti potrebbero essere indotti a considerare quei battezzati "sub gratia" o almeno "sub lege", ma si sbaglierebbero pesantemente. Perché? Perché c'è un'infinità di anime che hanno smarrito la grazia e, spesso, anche la fede, e alle quali certamente si farebbe un torto considerevole trattandole come si trattano i fedeli, e cercando di ricondurle alle pratiche religiose prima di essersi adoperati di far nascere o rinascere in esse la fede. Si potrebbe far loro credere che la religione è questione di forme e di cerimonie e in questo modo sarebbero gettate in uno stato peggiore del precedente.
Il padre Faber diceva che gli inglesi dovevano essere trattati con la stessa circospezione che in antico i padri usavano verso i pagani. Eppure gl'inglesi sono dei battezzati; e benché protestanti, sono spesso più religiosi di molti cattolici francesi per i quali ultimi noi chiederemmo volentieri ciò che il padre Faber chiedeva per i suoi compatrioti. Oh si, certamente si farebbe a loro un grande beneficio insegnando ad essi la fede e insegnandola in modo che non fossero mai esposti a credere che accontenteranno Dio con delle sole formalità e che la religione consiste nelle cerimonie.
Ciò è detto per le anime sviate, ma ce ne sono altre, quelle cioè che pur servendo Iddio non hanno sempre gli aiuti spirituali necessarî: bisogno di lui e di discernimento delle loro vie e dell'operato di Dio in esse. Anime che raramente trovano ciò di cui hanno bisogno: per esempio quante anime sprofondano negli scrupoli, quante perdono il coraggio nelle difficoltà, quante languiscono per la mancanza d'un'istruzione basata sulla fede, e che potrebbero dire come il paralitico del Vangelo: "Signore non ho nessuno che mi immerga" (Gv. 5,7).
I sacerdoti troppo facilmente pensano di saperne sempre abbastanza per confessare i contadini. Si sbagliano perché le anime dei contadini hanno lo stesso valore delle anime dei cittadini, e non vi è meno necessità di luce e di discernimento per aiutare un'anima in un villaggio come un'anima in una grande città.
Un'anima è dovunque un'anima; le necessità delle anime sono grandi ovunque e lo Spirito Santo non opera meno nei luoghi più umili che nei grandi centri.
Parecchie volte abbiamo constatato l'angoscia di cui soffrono le anime mancanti d'aiuto, di luci e di sicura direzione.
Vi sono di quelli che ritengono di rimediare a tutto, prendendo il tono dell'autorità sulle anime: "Fate questo, ve lo comando: obbedite..." Tali modi di comportarsi non sono e non portano luce. L'autocrazia del sacerdote non è accettabile, là dove lo Spirito Santo vuole avere la sua parola.
A parte il caso, d'altronde assai raro, d'uno scrupolo che proviene dalla timidezza, l'autorità non è un mezzo efficace di direzione: "Non dominamur fidei vestrae" (1 Cor. 2, 23).
Il vero modo consiste soprattutto nella premura d'illuminare il cammino, d'istruire solidamente nella fede, sulle operazioni dello Spirito di Dio, dello spirito proprio, e qualche volta anche dello spirito maligno.

CAPITOLO VII

L'ADORAZIONE IN SPIRITO E VERITÀ

L'abbiamo detto: vi è un grandissimo pericolo nel far consistere la religione nella osservanza e negli atti esterni. Se fosse concentrata lì, la religione dei cristiani sarebbe poco dissimile dall'antico paganesimo, perché diventerebbe un esercizio fisico, piuttosto che un fatto dell'anima.
Nostro Signore ha insegnato agli uomini che Dio è spirito, vuole che Dio sia adorato dallo spirito, o in spirito; ed egli chiama ciò adorare Dio nella verità.
Perciò se il culto che diamo a Dio, non fosse dato in spirito o dallo spirito, non gli sarebbe dato nella verità.
Considerato sotto questo aspetto, il male attuale è grandissimo, e presso i nostri cristiani è il frutto disgraziato d'una disgraziata ignoranza.

I nostri cristiani non conoscono, o almeno non abbastanza, le tre cose che costituiscono il culto di Dio in spirito: la fede, la grazia di Dio e il grande comandamento.

Nono conoscono la fede, non diciamo l'oggetto della fede, dono gratuito d'Iddio per mezzo del quale il nostro spirito, aderendo alla verità d'Iddio, è posto sulla strada della vita soprannaturale. C'è un immenso lavoro da fare per ristabilire la fede, la fede completa, luminosa nei cristiani dei nostri tempi.

Essi allo stesso modo non conoscono la grazia d'Iddio; parola molto vaga per essi e che non dice loro alcunché di preciso e di determinato. Hanno bisogno d'imparare che cos'è la grazia, la sua gratuità (pensano spesso che se Dio non la donasse indifferentemente a tutti, non sarebbe giusto). Abbiamo dovuto persino renderci conto che certi grandi dottori in Israele avevano essi stessi bisogno d'imparare ciò che è la grazia: e se i maestri stanno a questo punto, a che punto staranno i discepoli?

I nostri cristiani hanno anche urgente bisogno d'imparare il grande comandamento di Dio.

Siccome oggi si pretende di sostituire la fede al sentimento religioso (spesso là dove i nostri dottori dovrebbero usare la parola "fede" usano o scrivono "sentimento religioso") benché fra i due termini vi sia una distanza incommensurabile, essendo il sentimento religioso una disposizione naturale e la fede un dono soprannaturale; si crede pure di aver trovato un mezzo da sostituire all'amor di Dio; si crede di poterlo sostituire con una certa sensibilità, o pia sensibilità, che ci lascerebbe credere che veramente abbiamo ancora qualche cosa "per il buon Dio".
C'è una grande lontananza da questa disposizione all'amore di Dio come Egli lo intende; amore che raccoglie tutti i nostri affetti alle cose di quaggiù e li orienta integralmente a Dio, amore che libera l'anima dalle tre concupiscenze, che regola la vita intiera e tutta intiera la ordina al solo scopo di piacere a Dio.
Oh! Quanto c'è da fare per insegnare ai cristiani la fede, la grazia e l'amore di Dio!




2. - UN REGALO ECCEZIONALE di EMMANUEL ANDRÈ


LIBRO SECONDO

Come il ministero può essere snaturato


CAPITOLO I
IL MINISTERO PUÒ ESSERE SNATURATO

Il ministero ecclesiastico è una creazione di Nostro Signore; ma perché è affidato agli uomini può avvenire che a causa della loro natura soggetta a tante debolezze, non sia conservato nella completa integrità della sua natura.
Nostro Signore è Dio e insieme uomo ed ecco che ci sono stati degli uomini che hanno disgiunto in lui la divinità e l'umanità per poi negare l'una o l'altra e, conseguentemente distruggere questo grande mistero per quanto era in loro potere, e inaridire il fiume di grazie di cui è la sorgente. San Giovanni dice che questa è un'opera dell'Anticristo: "Ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio" (1 Gv. 4,3). Poiché gli uomini cercano di scindere il mistero dell'Incarnazione e annientarne le conseguenze, non c'è da stupire che la stessa cosa avvenga per il ministero che è una conseguenza e un'imitazione del mistero della divina Incarnazione.

CAPITOLO II
COME IL MINISTERO PUÒ ESSERE SNATURATO

Dal momento che il ministero consiste essenzialmente in tre cose: la preghiera, la predicazione e i sacramenti, evidentemente la sua natura sarebbe mutata, alterata, annientata se accadesse che una di queste tre cose fosse soppressa o alterata. Chi non vede, infatti, che l'opera della salvezza degli uomini sarebbe necessariamente arrestata se cessasse la preghiera, se la predicazione divenisse muta e se i sacramenti non fossero più amministrati? Lo stesso accadrebbe se non solamente le tre cose sparissero insieme, ma anche se solo una di esse venisse a mancare. Andiamo più lontano e affermiamo che, pur sussistendo le tre parti essenziali del ministero, il ministero sarebbe infruttuoso se queste non avessero il posto voluto da Dio, cioè se l'ordine stabilito dal Signore non fosse esattamente conservato e osservato. A chi si daranno i sacramenti e a quale scopo si daranno se non precede la predicazione onde far nascere la fede nelle anime che è il principio delle opere necessarie alla salvezza? E la predicazione avrebbe la potenza che Dio le vuol dare a questo scopo se non fosse preceduta dalla preghiera che attira la grazia dall'alto e sopra il predicatore e sopra l'uditorio?

CAPITOLO III
SEGUITO DEL PRECEDENTE

Nel ministero c'è il corpo e l'anima, per cui mancando d'una delle due cose è snaturato in se stesso.
Il corpo del ministero è cosa abbastanza conosciuta; ma l'anima, lo spirito interiore che deve dargli vita è cosa troppo poco conosciuta. Vi sono molti che credono d'aver compiuto il ministero quando ne hanno compiuto tutte le opere esterne: ma la parte del ministero che si chiama "la preghiera" spesso è considerata l'opera della persona del sacerdote, mentre non è l'opera della persona, ma dello stesso ministero, come abbiamo già osservato (Libro I, Capo IV).
Ciò è importantissimo. Il sacerdote che si persuade che potrà adempiere il suo ministero, compiendo riguardo ai fedeli tutto ciò che possono cristianamente desiderare da lui e chiedergli; e dice a se stesso: Se non sono uomo interiore, uomo di preghiera, ciò riguarda me soltanto, e le conseguenze che ne derivano sono soltanto mie; grandemente si sbaglia e questo errore ci sembra essere oggi assai comune.
Il ministero, in questo caso, è un ministero senz'anima, un ministero senza vita e, troppo sovente un ministero di morte: "Ministratio mortis" (II Cor. 3,7).

CAPITOLO IV
COME IL MINISTERO È SNATURATO IN QUANTO ALLA SUA PRIMA PARTE: LA PREGHIERA

Abbiamo detto come il sacerdote mancherebbe al suo ministero se considerasse la preghiera un obbligo non del ministero della Chiesa, ma del cristiano che è in lui.
Il sacerdote non può né deve separare in sé stesso il cristiano dal sacerdote, né il sacerdote dal cristiano. Benché sia vero dire ch'egli è cristiano per sé e sacerdote per gli altri, nella realtà non è meno vero che in lui è il cristiano che è sacerdote.
I doveri del cristiano e i doveri del sacerdote sono una cosa sola, come il cristiano e il sacerdote sono in lui una sola persona.
Sarebbe perciò un grande errore il non pensare la preghiera come il massimo, più importante e più indispensabile obbligo del sacerdote. Egli deve la preghiera a Dio, alla Chiesa, alle anime, a sé stesso: a Dio del quale è una creatura; alla Chiesa della quale è ministro; alle anime delle quali è servo; alla sua anima della quale dev'essere, dopo Dio, il salvatore.
Egli la deve perpetua: "Bisogna pregare sempre" (Lc. 18,1).
La deve nelle ore canoniche e nella forma canonica.
Nella forma canonica. Questa generalmente si accetta perché c'è un obbligo formidabile e si sa che si commetterebbe peccato mortale, lasciando una sola ora canonica. Ma che bisogna recitare le ore canoniche nelle ore canoniche generalmente non si sa. Tuttavia che cosa significano le parole del breviario: Ad Matutinum, ad Primam, ad Tertiam, ad Sextam, ad Nonam, ad Vesperas, ad Completorium?
Si dirà che in altri tempi era così. Certamente, ma perché e come mai oggi non è più così?
Attualmente si recita Mattutino alla vigilia, cioè si fa della preghiera della notte e del mattino una preghiera della sera, o meglio, una preghiera del "fra poco".
Perché forse non s'è trovato più facile alzarsi più tardi che di buon mattino?
Si dice: è per avere tempo per la meditazione. Ma forse che i nostri padri non conoscevano la meditazione?
Forse non vi dedicavano del tempo? Siamo perciò più dediti alla meditazione di quanto lo erano i nostri antichi?.
Oh! Un fatto è certo: noi meditiamo meno dei nostri padri e abbiamo addosso una dose di pigrizia e d'immortificazione che certamente i nostri padri non conoscevano.
Le preghiere del giorno che i nostri padri avevano così saggiamente distanziato da tre a tre ore per richiamarci senza posa all'adorazione della SS. Trinità, oggi si recitano in una sola volta; e ciò, si afferma, per essere più liberi.
Più libero! Ma che cos'è questa libertà che si affranca dalla puntualità nella preghiera? E per che cosa si impiegherà questa libertà? A correre e a discorrere? A giocare e a ridere? Ah! La libertà! I nostri padri ne avevano un altro concetto. Essi venivano meno, ammirando la definizione che ne aveva dato Sant'Agostino: "Libertas est Charitas" (De Natura et gratia, Lib. I, Cap. LXV).
La carità! Amare Dio e il prossimo, amare Dio e pregarlo: amare il prossimo e lavorare alla sua salvezza, questa era la carità secondo i nostri padri.
È dunque vero che oggi s'intende in altro modo la libertà e così il dovere della preghiera. Quasi dappertutto non si fa più la preghiera canonica nelle ore canoniche e ciò non è una delle cause per le quali il ministero produce pochi frutti press'a poco dappertutto?
E se il ministero è così importante a salvare chi per la cui salvezza è stato istituito, non bisogna forse concludere che dal momento in cui non attinge il suo scopo dev'essere considerato come un'istituzione malauguratamente viziata, diciamo la parola, snaturata?

CAPITOLO V
COME IL MINISTERO È SNATURATO NELLA SUA SECONDA PARTE: LA PREDICAZIONE

Ci sono più modi per snaturare il ministero in ciò che concerne la parola di Dio. Innanzitutto non predicando affatto e meritando in questo modo il nome che lo Spirito Santo in passato diede a certi pastori negligenti quando li chiamo "cani muti, incapaci di abbaiare" (Is. 56,10).
Il Signore chiamava con questo nome le sentinelle d'Israele, uomini ciechi e ignoranti, cani che non sapevano abbaiare.
Uomini dagli occhi aperti soltanto alla vanità, uomini sempre addormentati, amanti dei loro sogni: "I suoi guardiani sono tutti ciechi, non si accorgono di nulla. Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare; sonnecchiano accovacciati, amano appisolarsi" (Is. 56,10).
Nulla da aggiungere a queste parole dello Spirito Santo.
Si snatura il ministero, predicando come parola di Dio ciò che non è parola di Dio. Dice il Signore a Geremia: "I profeti hanno predetto menzogne in mio nome; io non li ho inviati, non ho dato ordini, né ho parlato loro. Vi annunziano visioni false, oracoli vani e suggestioni della loro mente" (14,14).
Infine, anche predicando la parola di Dio, le si potrebbe far subire certe alterazioni che l'Apostolo San Paolo aveva dinanzi agli occhi quando chiamava corruttori, falsificatori e alteratori della parola di Dio certi predicatori: "che mercanteggiano la parola di Dio" (2 Cor. 2,17 e 4,2). Spiegando queste parole dell'Apostolo, G. Estio dice: "Mercanteggiano, ossia trattano con inganno la parola di Dio coloro che non la dispensano illibata e pura, come è stata trasmessa, ma la guastano e la falsificano mescolandovi la sapienza del mondo o la dottrina giudaica; sicuramente servendo ad essa cercano non la gloria di Dio, ma il compiacimento dei propri comodi; mentre ingannano gli uomini cercano di piacere loro e, per piacergli, adattano la parola di Dio ai loro sentimenti" (in Cor. IV, 2).
Per concludere questo capitolo, diciamo che la parola di Dio dev'essere predicata con lo Spirito di Dio, e lo Spirito di Dio non sarà con noi se noi non siamo uomini di preghiera. ciò ancora una volta dimostra come il ministero dipende tutto intero dalla preghiera che San Pietro pose prima di tutto: "Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola" (At. 6,4).

CAPITOLO VI
COME IL MINISTERO PUÒ ESSERE SNATURATO NELL'AMMINISTRAZIONE DEI SACRAMENTI

Abbiamo detto (Libro I, cap. VII) qual è il compito dei sacramenti nell'economia della religione e, conseguentemente nel ministero ecclesiastico. I sacramenti non danno le disposizioni necessarie per riceverli, è evidente perciò che il ministero sarebbe snaturato se chi dà i sacramenti non avesse tutta la sollecitudine necessaria per far nascere queste disposizioni, tutta l'attenzione indispensabile per riconoscerle là dove sono e tutta la fermezza voluta per non dare i sacramenti dove non vi sono le disposizioni richieste da Dio stesso.
Con quanta facilità ci si immagina ai nostri giorni di avere le disposizioni a un sacramento poiché si ha la volontà di riceverlo e la bontà di accettarlo! Non so se questo modo di pensare sia proprio di un gran numero di anime, ma è cosa certa che dove esiste è completamente fuori delle condizioni perché il sacramento possa portare qualche frutto.

CAPITOLO VII
CIÒ CHE PUÒ ESSERE IL MINISTERO QUANDO È SNATURATO

Il ministero può fallire al suo scopo per una moltitudine di cause diverse, come l'abbiamo dimostrato con quanto precede; che può essere allora il ministero se non abitudine, empirismo, o una specie di industria?
Ci spieghiamo. L'abitudine è una specie di ministero ecclesiastico che consiste nel rispondere a ciò che è domandato e a fare di volta in volta ciò che si presenta. Ossia, si fa quanto si deve fare, in virtù di un certo ordine materiale, di un'usanza e di un'abitudine che non merita biasimo in se stessa. Ad un ministero così fatto manca poco meno di quanto manca ad un cadavere: l'anima, lo spirito.
L'empirismo... Ahimè quale parola in una materia tanto grave! La parola infelicemente richiama alla memoria quegli uomini che con un solo rimedio s'impuntano a guarire tutti i mali e son detti ciarlatani. Quando nel ministero si segue un metodo analogo a quello dei ciarlatani, vi si mette del buon volere (non diciamo della buona volontà nel senso teologico della parola): si vuole il bene, ci si dà da fare per il bene, ma è un da fare mosso da una volontà poco e male illuminata. Si possono fare dei grandi passi con la speranza che finalmente si imboccherà la buona strada; ma non si sa chiaramente che cos'è la buona strada e quali sono le condizioni per camminarvi con sicurezza.
Noi chiamiamo una specie d'industria un certo ministero ecclesiastico nel quale si fa un grande spreco dello spirito: s'inventano mille modi, si mettono in movimento mille espedienti, s'impiegano mille e mille arti, ma vi è un male in tutto lo spirito che si esplica: la mancanza dello spirito di Dio.
Abbiamo tra le mani un libro scritto recentemente, assai lodato ed anche coronato di un certo successo. Un libro che è un vero metodo dell'industrialismo in fatto di ministero. Contiene espedienti di cento maniere, per il sindaco e per il suo vice, per il castellano e la castellana, per il notaio e per il medico, per il maestro e per la guardia campestre, ecc. ecc.
Dopo aver letto questo libro ci siamo detti: ecco delle cose che San Pietro e San Paolo non sapevano. Poi ci venne alla mente questa riflessione: è meglio sapere soltanto ciò che sapevano San Pietro e San Paolo!

CAPITOLO VIII
LE CONSEGUENZE DEL MINISTERO SNATURATO

Quando il ministero è snaturato, il sacerdote che non riesce a convertire le anime è portato ad affermarsi piuttosto al ministero che a sé stesso. Lontano dal dirsi: non sono un uomo di preghiera; non tratto la parola di Dio come di Dio; non vigilo perché i sacramenti che sono santi siano santamente ricevuti. Ma dirà molto facilmente a sé stesso che i mezzi che gli sono stati affidati sono impotenti, e che, logicamente non può nulla e che non c'è nulla da fare. Dopo ciò egli potrà cadere in una specie di pigrizia spirituale, che gli impedirà di vedere e il male che sta di fronte ai suoi occhi, e il bene da farsi, né i mezzi da prendere per far sì che il suo ministero sia utile al prossimo e a sé stesso.
Se il male aumenterà potranno sorgere nell'anima del sacerdote dei dubbi intorno all'opera di nostro Signore nel creare il ministero; e il ministero divenuto impotente tra le sue mani, potrà essere considerato da lui impotente a causa di nostro Signore.
Ancora un passo: il sacerdote dapprima avvilito, poi esitante nella fede, cadrà nello scoraggiamento, potrà perdere la fede e precipitare in colpe che non hanno più nome, quando sono le colpe di un sacerdote: "Non peccata, sed monstra", dice Tertulliano.
Certamente in tutti questi scalini di discesa c'è una logica, beninteso senza fatalità: che Dio voglia allontanare una si fatta caduta dal sacerdote!

1. Omni die dic Mariae 
Mea laudes anima: 
Ejus festa, ejus gesta 
Cole devotissima.


B. GIOVANNI XXIII "SACERDOTII NOSTRI PRIMORDIA"

B. GIOVANNI XXIII
"SACERDOTII NOSTRI PRIMORDIA"

NEL XI CENTENARIO DEL PIISSIMO TRANSITO
DEL SANTO CURATO D'ARS
LETTERA ENCICLICA
(1 Agosto 1959)

Giovanni XXIII Curato d'Ars

Ai Venerabili Fratelli
Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi
e agli altri Ordinari
aventi pace e comunione con la Sede Apostolica
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Introduzione
Significative coincidenze
Le purissime gioie che accompagnarono copiosamente le primizie del Nostro sacerdozio sono per sempre legate, nella Nostra memoria, alla emozione profonda che Noi provammo l'8 gennaio 1905 nella Basilica Vaticana, in occasione della gloriosa beatificazione di quell'umile prete di Francia che fu Giovanni Maria Battista Vianney. Noi pure elevati al sacerdozio da alcuni mesi appena, fummo colpiti dall'ammirabile figura sacerdotale che il Nostro predecessore san Pio X, l'antico parroco di Salzano, era tanto felice di proporre come modello a tutti i pastori di anime. E, a tanti anni di distanza, non possiamo richiamare questo ricordo senza ringraziare ancora come di un'insigne grazia il Nostro Divino Redentore, per lo slancio spirituale impresso in tal modo, fin dall'inizio, alla Nostra vita sacerdotale.

Ricordiamo ancora che, il giorno stesso di quella beatificazione, venimmo a conoscenza dell'elevazione all'episcopato di Mons. Giacomo Maria Radini-Tedeschi, il grande Vescovo che doveva, dopo alcuni giorni, chiamarCi al suo servizio e che fu per Noi maestro e padre carissimo. E fu in sua compagnia che, sugli inizi di quello stesso anno 1905, Ci recavamo per la prima volta in pellegrinaggio ad Ars, il modesto villaggio che il suo Santo Curato rese per sempre così celebre.

Per una nuova disposizione della Provvidenza, nell'anno in cui ricevevamo la pienezza del sacerdozio, il Papa Pio XI di gloriosa memoria, il 31 maggio 1925, procedeva alla solenne canonizzazione del " povero Curato d'Ars ". Nella sua omelia il Pontefice si compiaceva di descrivere " l'esile figura corporea di Giovanni Battista Vianney, la testa risplendente di una specie di bianca corona di lunghi capelli, il volto gracile e disfatto pei digiuni, dal quale talmente traspariva l'innocenza e la santità di un animo umilissimo e soavissimo che, al primo aspetto, le moltitudini venivano richiamate a pensieri salutari ". Poco dopo, lo stesso Pontefice, nell'anno del suo giubileo sacerdotale, completava il gesto già compiuto da San Pio X verso i parroci di Francia ed estendeva al mondo intero il celeste patrocinio di San Giovanni Maria Vianney " per promuovere il bene spirituale dei parroci in tutto il mondo ".

Questi atti dei Nostri Predecessori, legati a tanti cari ricordi personali, amiamo richiamare, Venerabili Fratelli, in questo Centenario della morte del Santo Curato d'Ars.
Il 4 agosto 1859, infatti, egli rese l'anima a Dio, consumato dalle fatiche di un eccezionale ministero pastorale di oltre quarant'anni e oggetto di unanime venerazione. E benediciamo la divina Provvidenza, che per due volte già volle rallegrare e illuminare le ore solenni della Nostra vita sacerdotale con lo splendore della santità del Curato d'Ars, perché ci offre nuovamente, fin dai primi tempi di questo supremo Pontificato, l'occasione di celebrare la memoria tanto gloriosa di questo pastore di anime. Non vi meraviglierete, d'altra parte, se, nell'indirizzarvi questa Lettera, il Nostro spirito e il Nostro cuore si rivolgono in modo speciale ai sacerdoti, Nostri figli carissimi, per esortarli tutti insistentemente - e soprattutto quelli che sono impegnati nel ministero pastorale - a meditare gli ammirabili esempi di un loro confratello nel sacerdozio, divenuto loro celeste patrono.
Insegnamenti di questo Centenario.
Sono certo numerosi i documenti pontifici che già richiamano ai sacerdoti le esigenze del loro stato e li guidano nell'esercizio del loro ministero. Per non ricordare se non i più importanti, raccomandiamo nuovamente l'Esortazione Haerent animo di San Pio X, che stimolò il fervore dei Nostri primi anni di sacerdozio, la magistrale enciclica Ad Catholici Sacerdotii fastigium di Pio XI e, tra tanti documenti e allocuzioni del Nostro immediato predecessore sul sacerdote, la sua esortazione Menti Nostrae, nonché l'ammirabile trilogia in onore del sacerdozio, che gli fu suggerita dalla canonizzazione di san Pio X. Tali testi, Venerabili Fratelli, vi sono noti. Ma ci permetterete di ricordare qui con l'animo commosso l'ultimo discorso che la morte impedì a Pio XII di pronunciare e che rimane come l'estremo e solenne appello di questo grande Pontefice alla santità sacerdotale: " Il carattere sacramentale dell'Ordine - vi è scritto - sigilla da parte di Dio un patto eterno del suo amore di predilezione, che esige dalla creatura prescelta il contraccambio della santificazione... il chierico sarà un prescelto tra il popolo, un privilegiato dei carismi divini, un depositario del potere divino, in una parola un alter Christus... Egli non si appartiene, come non appartiene a parenti, amici, neppure ad una determinata patria: la carità universale sarà il suo respiro. Gli stessi pensieri, volontà, sentimenti non sono suoi; ma di Cristo, sua vita ".

Verso queste vette della santità sacerdotale San Giovanni Maria Vianney tutti ci spinge, e noi siamo lieti di invitarvi i sacerdoti di oggi; perché se sappiamo le difficoltà che essi incontrano nella loro vita personale e negli oneri del ministero, se non ignoriamo le tentazioni e le stanchezze di alcuni, la nostra esperienza ci dice altresì la fedeltà coraggiosa della grande maggioranza e le ascensioni spirituali dei migliori. Agli uni come agli altri il Signore rivolse, nel giorno dell'Ordinazione, questa frase piena di tenerezza: " Iam non dicam vos servos, sed amicos! " (cf Gv 15,15). Possa questa Nostra Lettera Enciclica aiutarli tutti a perseverare e crescere in quest'amicizia divina, che costituisce la gioia e la forza di ogni vita sacerdotale.
Scopo dell'Enciclica
Non è nostra intenzione, Venerabili Fratelli, affrontare qui tutti gli aspetti della vita sacerdotale contemporanea; anzi, sull'esempio di San Pio X, " non diremo cose da voi mai udite o nuove per qualcuno, ma semplicemente cose che conviene a tutti ricordare ". Nel delineare, infatti, i tratti della santità del Curato d'Ars, saremo condotti a porre in rilievo alcuni aspetti della vita sacerdotale, che in tutti i tempi sono essenziali, ma acquistano tanta importanza ai nostri giorni che stimiamo un dovere del Nostro mandato apostolico insistervi in modo speciale in occasione di questo Centenario.

La Chiesa, che ha glorificato questo sacerdote " mirabile per lo zelo pastorale e per un desiderio ininterrotto di preghiera e penitenza ", oggi, a un secolo dopo la sua morte, ha la gioia di presentarlo ai sacerdoti di tutto il mondo come modello di ascesi sacerdotale, modello di pietà e soprattutto di pietà eucaristica, e modello di zelo pastorale.
                                                     



Prima Parte
ASCESI SACERDOTALE

Parlare di San Giovanni Maria Vianney è richiamare la figura di un sacerdote straordinariamente mortificato, che, per amore di Dio e per la conversione dei peccatori, si privava di nutrimento e di sonno, s'imponeva rudi discipline e praticava soprattutto la rinunzia di se stesso in grado eroico. Se è vero che non è generalmente richiesto ai fedeli di seguire questa via eccezionale, tuttavia la Divina Provvidenza ha disposto che nella Chiesa non mancassero mai pastori di anime che, mossi dallo Spirito Santo, non esitano ad incamminarsi per questo sentiero, poiché sono tali uomini specialmente che operano miracoli di conversioni. A tutti l'ammirabile esempio di rinunzia del Curato d'Ars, " severo con sé e dolce con gli altri ", richiama in modo eloquente e pressante il posto primordiale dell'ascesi della vita sacerdotale.


Consigli evangelici e santità sacerdotale
Il Nostro Predecessore Pio XII, volendo chiarire maggiormente questa dottrina e dissipare alcuni equivoci, tenne a precisare essere falso affermare " che lo stato clericale - in quanto tale e in quanto procede dal diritto divino - per sua natura o almeno per un postulato della stessa natura, esiga che siano osservati dai suoi membri i consigli evangelici ". E il Papa conclude giustamente: " Il chierico dunque non è obbligato per diritto divino ai consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza ". Ma sarebbe sbagliare enormemente sul pensiero di questo Pontefice, tanto sollecito della santità dei sacerdoti, e sull'insegnamento costante della Chiesa, credere pertanto che il sacerdote secolare sia chiamato alla perfezione meno del religioso. Anzi è vero il contrario, perché per il compimento delle funzioni sacerdotali " si richiede una santità interiore maggiore di quella richiesta anche dallo stato religioso ". E se, per raggiungere questa santità di vita, la pratica dei consigli evangelici non è imposta al sacerdote in virtù dello stato clericale, essa si presenta nondimeno a lui, come a tutti i discepoli del Signore, come la via regolare della santificazione cristiana. Del resto, con grande Nostra consolazione, quanti sacerdoti generosi l'hanno oggi compreso giacché, pur rimanendo tra le file del clero secolare, domandano a pie associazioni approvate dalla Chiesa di essere guidati e sostenuti nelle vie della perfezione!

Persuasi che " la grandezza del sacerdote consiste nell'imitazione di Gesù Cristo ", i sacerdoti saranno dunque più che mai attenti agli appelli del divino Maestro: " Se qualcuno vuol seguirmi, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua " (Mt 16,24). Il Santo Curato d'Ars, vien riferito, " aveva meditato spesso questa frase di Nostro Signore e cercava di metterla in pratica ". Dio gli fece la grazia di restarvi eroicamente fedele; e il suo esempio ci guida ancora nelle vie dell'ascesi, in cui brilla di grande splendore per la sua povertà, castità e ubbidienza.
San Giovanni M. Vianney, esempio mirabile di povertà evangelica
Anzitutto osservate la povertà dell'umile Curato d'Ars, degno emulo di San Francesco d'Assisi, di cui fu nel Terz'Ordine un fedele discepolo. Ricco per dare agli altri, ma povero per sé, visse in un totale distacco dai beni di questo mondo e il suo cuore veramente libero si apriva largamente a tutte le miserie materiali e spirituali che affluivano a lui. " Il mio segreto - egli diceva - è semplicissimo: Dare tutto e non conservare niente ". Il suo disinteresse lo rendeva premuroso verso i poveri, soprattutto quelli della parrocchia, ai quali dimostrava un'estrema delicatezza, trattandoli " con vera tenerezza, con molti riguardi, si deve dire con rispetto ". Raccomandava che non bisogna mai mancare di riguardo ai poveri, perché tale mancanza ricade su Dio; e quando i miseri bussavano alla porta, egli era felice di poter loro dire, accogliendoli con bontà: " Io sono povero come voi; sono oggi uno dei vostri! ". Alla fine della vita amava ripetere: " Sono contentissimo: non ho più niente e il buon Dio può chiamarmi quando vorrà ".
Applicazioni per i sacerdoti di oggi
Potrete da ciò comprendere, Venerabili Fratelli, che con affetto esortiamo i nostri cari figli del sacerdozio cattolico a meditare un tale esempio di povertà e di carità. " L'esperienza quotidiana attesta - scriveva Pio XI pensando appunto al Santo Curato d'Ars - che i sacerdoti di vita modesta i quali, secondo la dottrina evangelica, non cercano in nessuna maniera i propri interessi, apportano mirabili benefici al popolo cristiano ". E lo stesso Pontefice, considerando la società contemporanea, rivolgeva anche ai sacerdoti questo grave monito: " Mentre si vedono gli uomini vendere e negoziare tutto per il denaro, procedano essi disinteressatamente attraverso le attrattive dei vizi; e respingendo santamente l'indegna cupidigia del guadagno, non cerchino l'utile pecuniario, ma quello delle anime, bramino e chiedano la gloria di Dio e non la loro ".

Queste parole devono essere scolpite nel cuore di tutti i sacerdoti. Se ve ne sono che possiedono legittimamente beni personali, non vi si attacchino. Si ricordino piuttosto dell'obbligo enunciato dal Codice di Diritto Canonico, a proposito dei benefici ecclesiastici, " di destinare il superfluo ai poveri e alle cause pie ". E voglia Dio che nessuno meriti il rimprovero fatto dal Santo Curato alle sue pecorelle: " Quanti hanno denaro che tengono serrato, mentre tanti poveri muoiono di fame! ". Ma Noi sappiamo che molti sacerdoti oggi vivono effettivamente in condizioni di reale povertà. La glorificazione di uno di loro, che volontariamente visse tanto spogliato e si rallegrava al pensiero di essere il più povero della parrocchia, sarà per essi un provvidenziale incoraggiamento a rinnegare se stessi nella pratica di una povertà evangelica. E se la Nostra paterna sollecitudine può essere loro di qualche conforto, sappiano che noi vivamente godiamo del loro disinteresse nel servizio di Cristo e della Chiesa.

Certamente, nel raccomandare questa santa povertà, non intendiamo affatto, Venerabili Fratelli, approvare la miseria, nella quale sono talora ridotti i ministri del Signore nelle città o nelle campagne. Nel commento su l'esortazione del Signore al distacco dai beni di questo mondo, San Beda Venerabile ci mette precisamente in guardia da ogni interpretazione abusiva: " Non bisogna credere - scrive egli - che sia comandato ai santi di non conservare denaro ad uso proprio o dei poveri; perché si legge che il Signore stesso per formare la sua chiesa aveva una cassa...; ma piuttosto che non si serva Dio per questo né rinunzi alla giustizia per timore della povertà ". D'altronde l'operaio ha diritto alla sua mercede: e Noi, facendo nostre le sollecitudini del nostro immediato precedessore, domandiamo instantemente a tutti i fedeli di rispondere con generosità all'appello dei Vescovi, giustamente premurosi di assicurare ai loro collaboratori convenienti risorse.
La sua castità angelica
San Giovanni Maria Vianney, povero di beni, fu ugualmente mortificato nella carne. " Non vi è che una maniera di darsi a Dio nell'esercizio della rinunzia e del sacrificio - egli diceva - darsi cioè interamente ". E in tutta la sua vita praticò in grado eroico l'ascesi della castità.
Il suo esempio su questo punto sembra particolarmente opportuno, perché in molte regioni, purtroppo, i sacerdoti sono costretti a vivere, a motivo del loro ufficio, in un mondo in cui regna un'atmosfera di eccessiva libertà e sensualità. Ed è troppo vera per essi la espressione di San Tommaso: " E' alquanto difficile vivere bene nella cura delle anime a causa dei pericoli esteriori ". Spesso, inoltre, essi sono moralmente soli, poco compresi, poco sostenuti dai fedeli, cui si dedicano. A tutti, specialmente ai più isolati e ai più esposti, Noi rivolgiamo qui un caldissimo appello perché la loro vita intera sia una chiara testimonianza resa a questa virtù che San Pio X chiamava " ornamento insigne dell'Ordine nostro ". E vi raccomandiamo con viva insistenza, Venerabili Fratelli, di procurare ai vostri sacerdoti, nel miglior modo possibile, condizioni di vita e di lavoro tale da sostenere la loro generosità. Bisogna cioè ad ogni costo combattere i pericoli dell'isolamento, denunciare le imprudenze, allontanare le tentazioni dell'ozio o i rischi dell'esagerata attività. Ci si ricordi ugualmente a questo riguardo dei magnifici insegnamenti del Nostro Predecessore nell'enciclica Sacra virginitas.

" La castità brillava nel suo sguardo ", è stato detto del Curato d'Ars. Realmente chi si pone alla sua scuola è colpito non solo dall'eroismo con cui questo sacerdote ridusse in servitù il suo corpo (cf 1 Cor 9,27), ma anche dall'accento di convinzione con cui egli riusciva a trascinare dietro di sé la moltitudine dei suoi penitenti. Egli conosceva, attraverso una lunga pratica del confessionale, le tristi rovine dei peccati della carne: " Se non ci fossero alcune anime pure per ricompensare Dio, sospirava..., vedreste come saremmo puniti! ". E parlando per esperienza, aggiungeva al suo appello un incoraggiamento fraterno: " La mortificazione ha un balsamo e dei sapori di cui non si può fare a meno quando li si abbia una volta conosciuti... In questa via quello che costa è solo il primo passo! ".

Questa ascesi necessaria della castità, lungi dal chiudere il sacerdote in uno sterile egoismo, rende il suo cuore più aperto e più pronto a tutte le necessità dei suoi fratelli: " Quando il cuore è puro - diceva ottimamente il Curato d'Ars - non può fare a meno di amare, poiché ha ritrovato la sorgente dell'amore che è Dio ". Quale beneficio per la società ave-e nel suo seno uomini che, liberi dalle preoccupazioni temporali, si consacrano completamente al servizio divino e dedicano ai propri fratelli la loro vita, i loro pensieri e le loro energie! Quale grazia sono per la Chiesa i sacerdoti fedeli a questa eccelsa virtù! Con Pio XI Noi la consideriamo come la gloria più pura del sacerdozio cattolico, e " per quanto riguarda le anime sacerdotali, Ci sembra rispondere nella maniera più degna e conveniente ai disegni e desideri del Sacratissimo Cuore di Gesù ". Pensava a questo disegno dell'amore divino il Santo Curato d'Ars, quando esclamava: " Il sacerdozio, ecco l'amore del Cuore di Gesù! ".
Il suo spirito di obbedienza
Sullo spirito di obbedienza del Santo le testimonianze sono innumerevoli, giacché si può veramente affermare che per lui l'esatta fedeltà al promitto dell'Ordinazione fu l'occasione di una rinuncia continua durata quarant'anni. Per tutta la sua vita, infatti, egli aspirò alla solitudine di un santo ritiro e le responsabilità pastorali furono per lui un fardello troppo pesante, di cui tentò anche più volte di liberarsi. Ma la sua obbedienza totale al Vescovo fu ancora più ammirabile. Ascoltiamo, Venerabili Fratelli, alcuni testimoni della sua vita: " Dall'età di quindici anni - dice uno di essi - questo desiderio (della solitudine) era nel suo cuore per tormentarlo e sottrargli le gioie che avrebbe potuto gustare nella sua posizione "; ma " Dio non permise - attesta un altro - che egli potesse realizzare il suo disegno. La divina Provvidenza voleva senza dubbio che, sacrificando il proprio gusto all'obbedienza, il piacere al dovere, già M. Vianney avesse continua occasione di vincersi "; " M. Vianney - conclude un terzo - restò Curato d'Ars con un'obbedienza cieca, e vi è rimasto fino alla morte ".

Questa totale adesione alla volontà dei suoi Superiori era, conviene precisarlo, interamente soprannaturale nel motivo; era un atto di fede nella parola di Cristo che dice ai suoi Apostoli: " Chi ascolta voi, ascolta me " (Lc 10,16) e, per restarvi fedele, si esercitava a rinunziare abitualmente alla sua volontà nell'accettare il pesante ministero del confessionale e in tutti gli altri compiti quotidiani, in cui la collaborazione tra confratelli rende l'apostolato più fruttuoso.
Ci piace proporre come esempio ai sacerdoti questa rigida obbedienza, nella fiducia che essi ne comprenderanno tutta la grandezza e ne acquisteranno il gusto spirituale. E, se mai fos- sero tentati di dubitare dell'importanza di questa virtù capitale, tanto facilmente misconosciuta oggi, sappiano di aver contro le chiare e decise affermazioni di Pio XII, il quale attestava che " la santità della vita di ciascuno e l'efficacia dell'apostolato si basano e poggiano, come su solido fondamento, sul rispetto costante e fedele per la sacra gerarchia". Del resto voi ricordate, Venerabili Fratelli, con che forza i nostri ultimi predecessori hanno denunziato i gravi pericoli dello spirito di indipendenza in seno al clero, tanto per l'insegnamento dottrinale, quanto per i metodi di apostolato e per la disciplina ecclesiastica.

Noi non vogliamo insistere oltre su questo punto, ma preferiamo esortare i Nostri figli sacerdoti a sviluppare in sé il senso filiale della loro appartenenza alla Chiesa, nostra Madre. Si diceva del Curato d'Ars che non viveva che nella Chiesa e per la Chiesa, come un fuscello di paglia posto in un braciere ardente. Sacerdoti di Gesù Cristo, siamo immersi nel braciere che il fuoco dello Spirito Santo vivifica; abbiamo ricevuto tutto dalla Chiesa; operiamo in suo nome e in virtù dei poteri da essa conferitici: amiamo servirla nei vincoli dell'unità e nella maniera in cui vuole essere servita. 

                       


Seconda Parte    
 





PREGHIERA E CULTO EUCARISTICO

Uomo di penitenza, San Giovanni Maria Vianney aveva ugualmente compreso che " il sacerdote prima di tutto dev'essere uomo di preghiera ". Ognuno conosce le lunghe notti di adorazione che, giovane curato di un villaggio allora poco cristiano, egli trascorreva davanti al Santissimo Sacramento. Il tabernacolo della sua chiesa divenne presto il focolare della sua vita personale e del suo apostolato, al punto che non si saprebbe richiamare meglio la parrocchia di Ars al tempo del Santo, che con queste espressioni di Pio XII sulla parrocchia cristiana: " Il centro è la chiesa, e nella chiesa il tabernacolo con a lato il confessionale; dove ritrovano la vita le anime morte e le malate riacquistano la sanità ".
La preghiera negli esempi e negli insegnamenti del Santo Curato d'Ars
Ai sacerdoti di questo secolo, facilmente sensibili all'efficacia dell'azione e facilmente tentati pure da un attivismo pericoloso, quanto è salutare questo modello di preghiera assidua in una vita interamente consacrata alle necessità delle anime! Quel che impedisce a noi sacerdoti di essere santi - egli diceva - è la mancanza di riflessione; non si rientra in se stessi; non si sa quel che si fa; ci è necessaria la riflessione, la preghiera, l'unione con Dio. Egli stesso restava, secondo la testimonianza dei contemporanei, in uno stato di continua preghiera, da cui non lo distraeva né la fatica spossante delle confessioni né gli altri compiti di pastore. " Conservava una unione costante con Dio in mezzo alla sua vita eccessivamente occupata ".
Ascoltiamo ancora lui stesso. Egli è inesauribile quando parla delle gioie e dei benefici della preghiera. " L'uomo è un povero che ha bisogno di domandare tutto a Dio ". " Quante anime possiamo noi convertire con le nostre preghiere! ". E ripeteva: " La preghiera, ecco la felicità dell'uomo sulla terra ". Questa felicità veniva copiosamente gustata da lui stesso, mentre il suo sguardo illuminato dalla fede contemplava i misteri divini e, con l'adorazione del Verbo incarnato, elevava la sua anima semplice e pura verso la Santissima Trinità, oggetto supremo del suo amore. E i pellegrini che si affollavano nella chiesa di Ars comprendevano che l'umile sacerdote manifestava loro qualche cosa del segreto della sua vita interiore con quell'esclamazione frequente che gli era cara: " Essere amati da Dio, essere uniti a Dio, vivere alla presenza di Dio, vivere per Dio: oh! che bella vita e che bella morte! ".
Il sacerdote è in primo luogo uomo di preghiera
Noi vorremmo, Venerabili Fratelli, che tutti i sacerdoti delle vostre diocesi si lasciassero convincere dalla testimonianza del Santo Curato d'Ars, della necessità di essere uomini di preghiera e della possibilità di esserlo, qualunque sia l'aggravio talora estremo delle occupazioni del loro ministero. Ma è necessaria una fede viva, come quella che animava Giovanni Maria Vianney e gli faceva compiere meraviglie. " Che fede! - esclamava uno dei suoi confratelli -. Vi sarebbe di che arricchire tutta una diocesi! ".

Questa fedeltà alla preghiera è del resto per il sacerdote un dovere di pietà personale, di cui la saggezza della Chiesa ha precisato parecchi punti importanti, come l'orazione mentale quotidiana, la visita al Santissimo Sacramento, il Rosario e l'esame di coscienza. Ed è anche uno stretto obbligo contratto di fronte alla Chiesa, quando si tratta della recita giornaliera dell'Ufficio Divino. Forse per aver trascurato talune di queste prescrizioni alcuni membri del clero si sono visti a poco a poco vittime della instabililtà esteriore, dell'impoverimento interiore ed esposti un giorno senza difesa alle tentazioni della vita. Al contrario, " lavorando incessantemente per il bene delle anime, Maria Vianney non trascurava la sua. Santificava se stesso per essere capace di santificare gli altri ".
Con San Pio X " riteniamo dunque per certo che il sacerdote, per essere degnamente all'altezza del suo grado e ufficio, deve essere dedito in modo esimio all'esercizio della preghiera... Più intensamente degli altri deve il sacerdote obbedire al precetto di Cristo: Bisogna pregare sempre; sul cui esempio San Paolo tanto raccomandava: " Insistete nella preghiera, vegliando in essa in rendimento di grazie; pregate senza interruzione " ". E volentieri, a conclusione di questo punto, riprendiamo Noi stessi la parola d'ordine che il Nostro immediato Predecessore Pio XII dava ai sacerdoti, fin dall'inizio del suo Pontificato: " Pregate, pregate sempre di più e con maggiore insistenza ". 

La pietà eucaristica del Santo Curato
La preghiera del Curato d'Ars, che trascorse per così dire gli ultimi trent'anni della sua vita in chiesa, dove lo trattenevano i suoi innumerevoli penitenti, era soprattutto una preghiera eucaristica. La sua devozione a Nostro Signore presente nel Santissimo Sacramento dell'altare era veramente straordinaria: " E' là - diceva - Colui che ci ama tanto; perché non lo dovremmo amare noi? ". E certamente egli l'amava e si sentiva irresistibilmente attratto verso il tabernacolo: " Non c'è bisogno di parlar molto per ben pregare - spiegava egli ai suoi parrocchiani -. Si sa che il buon Dio è là, nel santo tabernacolo; gli si apre il cuore, ci si rallegra della sua presenza. E' questa la migliore preghiera ". In ogni circostanza egli inculcava ai fedeli il rispetto e l'amore della divina presenza eucaristica, invitandoli ad accostarsi frequentemente alla mensa eucaristica e lui stesso dava l'esempio di questa profonda pietà: " Per convincersene - riferirono i testimoni - bastava vederlo celebrare la Santa Messa e fare la genuflessione quando passava davanti al tabernacolo ".
L'importanza dell'Eucaristia nella vita del sacerdote
" L'esempio ammirabile del Santo Curato d'Ars conserva anche oggi tutto il suo valore ", attesta Pio XII. Niente potrebbe sostituire nella vita di un sacerdote la preghiera silenziosa e prolungata davanti all'altare. L'adorazione di Gesù, nostro Dio, il ringraziamento, la riparazione per le nostre colpe e per quelle degli uomini, la supplica per tante intenzioni che gli sono raccomandate, si avvicendano nell'elevare questo sacerdote a un maggiore amore per il divino Maestro, al quale ha promesso fedeltà, e per gli uomini che attendono il suo ministero sacerdotale. Con la pratica di un tale culto, illuminato e fervente, verso l'Eucaristia, si accresce la vita spirituale del sacerdote e si preparano le energie missionarie degli apostoli più valorosi.
E bisogna aggiungere il beneficio che ne deriva per i fedeli, testimoni di questa pietà dei loro sacerdoti e attirati dal loro esempio. " Se volete che i fedeli preghino volentieri e con pietà - diceva Pio XII al clero di Roma - precedeteli in chiesa con l'esempio, facendo orazione al loro cospetto. Un sacerdote genuflesso davanti al tabernacolo, in atteggiamento degno, in profondo raccoglimento, è un modello di edificazione, un ammonimento e un invito all'emulazione orante per il popolo ". Questa fu l'arma apostolica per eccellenza del giovane Curato d'Ars, non dubitiamo del suo valore in qualsiasi circostanza.
Il Sacerdozio e il Sacrificio della Santa Messa
Non possiamo dimenticare tuttavia che la preghiera eucaristica nel significato pieno della parola è il Santo Sacrificio della Messa. Conviene insistere, Venerabili Fratelli, specialmente su questo punto, poiché tocca uno degli aspetti essenziali della vita sacerdotale.
Non abbiamo certo intenzione di rifare qui l'esposto della dottrina tradizionale della Chiesa circa il sacerdozio e il sacrificio eucaristico; i Nostri Predecessori di fel. mem. Pio XI e Pio XII, in documenti magistrali, hanno richiamato con tanta chiarezza questo insegnamento che non Ci resta se non esortarvi a farlo largamente conoscere dai sacerdoti e fedeli che vi sono affidati. Così verranno dissipate delle incertezze o audacie di pensiero che qua e là si sono manifestate a questo riguardo.

Giova però in questa Enciclica mostrare in quale senso profondo il Santo Curato d'Ars, fedele eroicamente ai doveri del suo ministero, meritò veramente di essere proposto come esemplare ai pastori di anime e proclamato celeste loro Patrono. Se, infatti, è vero che il sacerdote ha ricevuto il carattere dell'Ordine per il servizio dell'altare, e ha cominciato l'esercizio del suo sacerdozio col sacrificio eucaristico, questo non cesserà, per tutto il corso della sua vita, di essere alla base della sua attività apostolica e della sua santificazione personale. E tale fu appunto il caso di San Giovanni Maria Vianney.

Qual è infatti l'apostolato del sacerdote, considerato nella sua azione essenziale, se non di attuare, ovunque vive la Chiesa, la raccolta intorno all'altare di un popolo unito nella fede, rigenerato e purificato? Proprio allora il sacerdote, per quei poteri che egli solo ha ricevuto, offre il divino sacrificio nel quale Gesù stesso rinnova l'immolazione unica compiuta sul Calvario per la redenzione del mondo e la glorificazione del suo Padre. E' allora che i cristiani riuniti offrono al Padre Celeste la Vittima divina per mezzo del sacerdote e imparano ad immolare se stessi come " ostie vive, sante, gradite a Dio " (Rm 12,1). E' là che il popolo di Dio, illuminato dalla predicazione della fede, nutrito del corpo di Cristo, trova la sua vita, la sua crescita e, se ve ne è bisogno, rinsalda la sua unità. E' là in una parola che per generazioni e generazioni, su tutte le plaghe del mondo, si costruisce nella carità il Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa.

A questo proposito, poiché il Santo Curato d'Ars fu di giorno in giorno sempre più esclusivamente impegnato nell'insegnamento della fede e nella purificazione delle coscienze, mentre tutti i suoi atti di ministero convergevano verso l'altare, tale sua vita deve giustamente dirsi eminentemente sacerdotale e pastorale. E' vero che ad Ars i peccatori affluivano spontaneamente alla Chiesa, attirati dalla fama di santità del pastore, mentre tanti altri sacerdoti devono impiegare sforzi lunghi e laboriosi per raccogliere il loro gregge; è certo pure che altri hanno un compito più missionario, e si trovano appena al primo annunzio della buona Novella del Salvatore; questi lavori apostolici, tuttavia, tanto necessari e talora così difficili non possono far dimenticare agli apostoli il fine a cui devono mirare e a cui giungeva il Curato d'Ars, quando nella sua umile chiesa di campagna, si consacrava ai compiti essenziali dell'azione pastorale.
La Santa Messa,  sorgente prima di santificazione personale del sacerdote

C'è di più. Tutta la santificazione personale del sacerdote deve modellarsi sul sacrificio che celebra, conforme all'invito del Pontificale Romano: " Conoscete quel che fate; imitate quel che maneggiate ". Ma lasciamo qui la parola al nostro immediato Predecessore nella sua Esortazione Menti nostrae: " Come tutta la vita del nostro Salvatore fu in funzione del suo sacrificio, così pure la vita del sacerdote, che deve riprodurre in sé l'immagine di Cristo, bisogna che diventi con lui, in lui, per lui un grato sacrificio... Perciò bisogna che non solo celebri il sacrificio eucaristico, ma, in una certa profonda maniera, lo viva; in questo modo può attingere quella forza soprannaturale, da cui sarà intimamente trasformato e parteciperà alla vita espiatoria dello stesso Divin Redentore ". E il medesimo Pontefice concludeva: " E' quindi necessario che l'anima sacerdotale si sforzi di riprodurre in sé quello che si compie sull'altare del sacrificio: come infatti Gesù Cristo immola se stesso, così il suo ministro deve insieme con lui immolare se stesso; come Gesù espia i peccati degli uomini, così il sacerdote deve pervenire alla propria ed altrui purificazione attraverso l'arduo cammino dell'ascesi cristiana ".
La Chiesa ha presente quest'alta dottrina quando invita i suoi ministri a una vita d'ascesi e loro raccomanda di celebrare con profonda pietà il sacrificio eucaristico. Non è forse per non aver compreso abbastanza bene lo stretto legame, e quasi reciprocità, che unisce il dono quotidiano di se stesso all'offerta della Messa, che certi sacerdoti sono giunti poco alla volta a perdere la " prima caritas " della loro Ordinazione? Tale era l'esperienza fatta dal Curato d'Ars: " La causa - egli diceva - del rilassamento del sacerdote è che non fa attenzione alla Messa ". E il santo che aveva appunto l'eroica " abitudine di offrirsi in sacrificio per i peccatori ", versava lacrime abbondanti " pensando alla disgrazia dei sacerdoti che non corrispondono alla santità della loro vocazione ".

Con affetto paterno, Noi chiediamo ai Nostri diletti sacerdoti di esaminarsi periodicamente sulla maniera con cui celebrano i santi misteri, e sulle disposizioni spirituali con cui salgono all'altare e sui frutti che si sforzano di ricavarne. Il Centenario di questo ammirabile sacerdote che attingeva dalla " consolazione e fortuna di celebrare la Santa Messa " il coraggio del suo proprio sacrificio, ve l'invita; Noi nutriamo ferma fiducia che la sua intercessione otterrà loro abbondanti grazie di luce e di forza.



Anno Sacerdotale

Terza Parte


ZELO PASTORALE
Il Santo Curato d'Ars modello di zelo apostolico
La vita di ascesi e di preghiera di cui, Venerabili Fratelli, vi abbiamo detto il fervore, manifesta inoltre il segreto dello zelo pastorale di San Giovanni Maria Vianney e la sorprendente efficacia soprannaturale del suo ministero. " Si ricordi il sacerdote - scriveva il Nostro Predecessore di fel. mem. Pio XII - che tanto più fruttuoso sarà il gravissimo compito a lui affidato quanto più egli opererà congiunto con Cristo e guidato dal suo spirito ". La vita del Curato d'Ars conferma una volta ancora questa grande legge di ogni apostolato, basato sulla parola stessa di Gesù: " Senza di me non potete fare nulla " (Gv 25,15).
Non si tratta evidentemente qui di ricordare tutta l'ammirabile storia di questo umile curato di campagna, il cui confessionale fu per trent'anni assediato da folle così innumerevoli che certi spiriti forti dell'epoca osarono rimproverargli di " turbare il diciannovesimo secolo "; né crediamo qui opportuno trattare dei suoi metodi di apostolato che non sempre sono applicabili all'apostolato contemporaneo. A Noi basta richiamare alla mente su questo punto che il santo Curato fu al suo tempo un modello di zelo pastorale in quel villaggio di Francia, dove la fede e i costumi risentivano ancora il turbamento della Rivoluzione. " Non c'è molto amor di Dio in quella parrocchia; voi ce ne metterete ", gli si era detto nel mandarvelo. Apostolo infaticabile, pieno di iniziative per guadagnare la gioventù e santificare i focolari, attento alle necessità umane delle sue pecorelle, vicino alla loro vita, sollecito a prodigarsi senza misura per l'istituzione delle scuole cristiane e in favore delle missioni popolari, egli fu davvero per il suo piccolo gregge il buon pastore che conosce le sue pecorelle, le salvaguarda dai pericoli e le guida con autorità e saggezza. Non faceva forse, senza pensarvi, un elogio di se stesso con questa esclamazione in uno dei suoi discorsi: " Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio: ecco il più grande tesoro che il buon Dio possa concedere ad una parrocchia "?
L'esempio del Curato d'Ars conserva un valore permanente ed universale su tre punti essenziali, che qui Ci piace, Venerabili Fratelli, proporre alla vostra attenzione.

Alto senso delle proprie responsabilità pastorali
Ciò che colpisce, anzitutto, è il senso profondo che egli aveva delle sue responsabilità pastorali. La sua umiltà e la conoscenza soprannaturale che aveva del prezzo delle anime, gli fecero portare con paura l'ufficio di parroco. " Amico mio - confidava un giorno ad un confratello - voi non sapete ciò che voglia dire per un parroco presentarsi al tribunale di Dio! ". Ed è ben conosciuto il desiderio che lo tormentò a lungo di fuggire in qualche luogo solitario per " piangervi la sua povera vita ", e come l'obbedienza e lo zelo delle anime lo ricondussero ogni volta al suo posto.

Ma se in certi momenti fu così abbattuto dal suo ufficio divenuto eccezionalmente opprimente, fu precisamente perché aveva un'idea eroica del suo dovere e delle responsabilità di pastore. " Mio Dio - pregava nei suoi primi anni - accordatemi la conversione della mia parrocchia; accetto di soffrire tutto quello che vorrete per tutto il tempo della mia vita! ". Ottenne dal cielo quella conversione. Ma più tardi confessava: " Se avessi previsto, quando venni ad Ars, le sofferenze che mi aspettavano, sul colpo sarei morto di apprensione ". Sull'esempio degli apostoli di tutti i tempi, egli vedeva nella croce il grande mezzo soprannaturale per cooperare alla salvezza, delle anime che gli erano affidate. Senza lamentarsi soffriva per esse le calunnie, le incomprensioni, le contraddizioni; per esse accettò il vero martirio fisico e morale d'una presenza quasi ininterrotta al confessionale, ogni giorno, per trent'anni; per esse lottò come atleta del Signore contro le potenze infernali; per esse mortificò il suo corpo. Ed è ben nota la risposta data a un confratello che si lamentava per la poca efficacia del suo ministero: " Voi avete pregato, avete pianto, gemuto e sospirato. Ma avete voi digiunato, avete vegliato, vi siete coricato per terra, vi siete data la disciplina? Finché non sarete giunto a questo, non crediate d'aver fatto tutto ".

Noi Ci rivolgiamo a tutti i sacerdoti in cura d'anime e li scongiuriamo di ascoltare queste veementi parole! Ognuno, secondo la prudenza soprannaturale che deve sempre regolare le nostre azioni, valuti la propria condotta nei riguardi del popolo affidato alle sue sollecitudini pastorali. Senza mai dubitare della divina misericordia che viene in aiuto della nostra debolezza, consideri alla luce degli esempi di San Giovanni Maria Vianney le proprie responsabilità. " La grande sventura per noi parroci - deplorava il Santo - è che l'anima si intorpidisce "; ed intendeva con questo un pericoloso assuefarsi del pastore allo stato di peccato in cui vivono tante delle sue pecorelle. O ancora, per meglio mettersi alla scuola del Curato d'Ars, che era convinto che per fare del bene agli uomini bisogna amarli, interroghi ciascuno se stesso intorno alla carità da cui è animato nei riguardi di coloro per cui deve rispondere davanti a Dio e per cui Cristo è morto!

E' pur vero che la libertà degli uomini o certi avvenimenti indipendenti dalla loro volontà possono talora opporsi agli sforzi dei più grandi santi. Il sacerdote però ha il dovere di ricordare che, secondo i disegni insondabili della divina Provvidenza, la sorte di molte anime è legata al suo zelo pastorale e all'esempio della sua vita. E tal pensiero non è forse di tal natura da provocare una salutare inquietudine nei tiepidi e stimolare i più ferventi?

Predicatore e catechista infaticabile
" Sempre pronto a rispondere ai bisogni delle anime ", San Giovanni Maria Vianney eccelse come vero pastore nel procurare loro abbondantemente l'alimento primordiale della verità religiosa. Per tutta la vita fu predicatore e catechista.
E' ben nota la fatica improba e perseverante che si impose per soddisfare pienamente a questo dovere d'ufficio, " primum et maximum officium " secondo il Concilio di Trento. Gli studi suoi, compiuti in ritardo, furono laboriosi; e le sue prediche gli costarono da principio molte veglie. Ma quale esempio per i ministri della parola di Dio! Alcuni si appoggerebbero volentieri sulla scarsa istruzione di lui, per scusare il proprio difetto di zelo negli studi. Sarebbe meglio imitare il suo coraggio per rendersi degno d'un sì grande ministero, secondo la misura dei doni che gli erano stati conferiti: d'altronde questi stessi non erano così modesti come qualche volta si ama ripetere, poiché " egli aveva una intelligenza molto limpida e chiara ". Ad ogni modo, ciascun sacerdote ha il dovere di acquistare e coltivare le cognizioni generali e la scienza teologica proporzionata alle sue capacità e alle sue funzioni. E piacesse al Signore che i pastori di anime facciano sempre quanto fece il Curato d'Ars per sviluppare le capacità della sua intelligenza e memoria, e soprattutto per attingere ai lumi del libro più ricco di scienza che si possa leggere, la croce del Cristo! Il suo Vescovo diceva di lui a certi suoi detrattori: " Non so se sia dotto, ma egli è illuminato ".

Ben a ragione quindi il Nostro Predecessore di fel. mem. Pio XII non esitava affatto ad assegnare come modello ai predicatori della Città Eterna l'umile prete di campagna. " Il Santo Curato d'Ars non aveva certo il genio naturale d'un Segneri o di un Bossuet, ma la convinzione viva, chiara, profonda, da cui era animato, vibrava nella sua parola, brillava nei suoi occhi, suggeriva alla sua fantasia e alla sua sensibilità idee, immagini, paragoni giusti, appropriati, deliziosi, che avrebbero rapito un San Francesco di Sales. Tali predicatori conquistano veramente il loro uditorio. Chi è pieno di Cristo, non troverà difficile di guadagnare altri a Cristo ". Queste parole descrivono a meraviglia il Curato d'Ars, catechista e predicatore. E quando alla fine della sua vita, la sua voce affievolita non arrivava più a farsi intendere da tutto l'uditorio, era ancora col suo sguardo di fuoco, con le sue lacrime, coi suoi gridi di amor di Dio o le sue espressioni di dolore al solo pensiero del peccato, che convertiva i fedeli accorsi ai piedi del suo pulpito. Come non essere colpiti dalla testimonianza d'una vita così totalmente consacrata all'amore di Cristo?

Fino alla sua santa morte San Giovanni Maria Vianney fu in tal modo fedele nell'istruire il suo popolo e i pellegrini che riempivano la sua chiesa, denunziando " opportune, importune " (2 Tm 4,2) il male sotto tutte le sue forme, ed innalzando soprattutto le anime verso Dio, perché " preferiva mostrare l'aspetto attraente della virtù piuttosto che la bruttezza del vizio ". Questo umile sacerdote aveva in realtà compreso in grado non comune la dignità e la grandezza del ministero della parola di Dio: " Nostro Signore che è la Verità stessa - diceva egli - non ha minor cura della sua parola che del suo Corpo ".

Si comprende perciò la gioia dei Nostri Predecessori nell'offrire questo pastore di anime a modello dei sacerdoti, perché è di somma importanza che il clero ovunque ed in ogni tempo sia fedele al suo dovere di insegnare. " Qui giova - diceva a tal proposito San Pio X - a questo solo tendere e su questo solo insistere, che cioè ogni sacerdote non è tenuto da nessun altro ufficio più grave, né è obbligato da nessun altro vincolo più stretto ". Questo vibrante appello, costantemente rinnovato dai Nostri Predecessori, e di cui si fa eco il Diritto Canonico, ve lo rivolgiamo anche Noi a Nostra volta, Venerabili Fratelli, in questo anno Centenario del santo catechista e predicatore di Ars. Noi incoraggiamo i tentativi fatti con prudenza e sotto il vostro controllo in diversi paesi per migliorare le condizioni dell'insegnamento religioso per i giovani e per gli adulti, nelle differenti sue forme e tenendo conto dei vari ambienti. Ma per quanto utili siano tali lavori, Dio ci richiama alla mente in questo Centenario del Curato d'Ars l'irresistibile potenza apostolica d'un sacerdote, che, sia nella propria vita come nelle sue parole, rende testimonianza a Cristo crocifisso " non in persuasibilibus humanae sapientiae verbis, sed in ostensione spiritus et virtutis " (1 Cor 2,4)

Strenuo apostolo del confessionale
Ci rimane infine da rievocare nella vita di San Giovanni Maria Vianney quella forma di ministero pastorale, che fu per lui come un lungo martirio e dal cui svolgimento l'amministrazione del Sacramento della Penitenza rifulse di particolare splendore e produsse frutti in sommo grado copiosi e salutari. " Egli trascorreva in media quindici ore al giorno al confessionale. Questo lavoro quotidiano cominciava all'una o alle due del mattino e non finiva che di notte ". E quando cadde, di sfinimento, cinque giorni prima della morte, gli ultimi penitenti si strinsero al capezzale del moribondo. Si calcola che verso la fine della vita il numero annuo di pellegrini avesse raggiunta la cifra di 80.000.

Si stenta ad immaginare i disagi, gli incomodi, le sofferenze fisiche di queste interminabili sedute al confessionale, per un uomo già esausto dai digiuni, macerazioni, infermità, mancanza di riposo e di sonno. Ma soprattutto egli fu moralmente come oppresso dal dolore. Ascoltate questo suo lamento: " Si offende tanto il buon Dio, che si sarebbe tentati di invocare la fine del mondo!... Bisogna venire ad Ars per sapere che cos'è il peccato... Non si sa cosa fare; non si può far altro che piangere e pregare ". Il Santo si dimenticava di aggiungere che egli prendeva anche su di sé una parte dell'espiazione: " Quanto a me - confidava a chi gli chiedeva consiglio - assegno loro una piccola penitenza ed il resto lo faccio io al loro posto ".

E veramente il Curato d'Ars non viveva che per i " poveri peccatori ", come egli diceva, nella speranza di vederli convertirsi e piangere. La loro conversione era lo scopo a cui convergevano tutti i suoi pensieri e l'opera per cui spendeva tutto il suo tempo e tutte le sue forze. E ciò per il fatto che egli conosceva per l'esperienza del confessionale tutta la malizia del peccato e le sue rovine spaventose nel mondo delle anime. Egli ne parlò in termini terribili: " Se avessimo la fede e se vedessimo un'anima in stato di peccato mortale, noi moriremmo di spavento! ".
Ma l'acerbità della sua pena e la veemenza della sua parola provengono meno dal timore delle pene eterne che minacciano il peccatore indurito, che dall'emozione provata al pensiero dell'amore divino misconosciuto ed offeso. Davanti alla ostinazione del peccatore e alla sua ingratitudine verso un Dio così buono, le lacrime sgorgavano dai suoi occhi: " Oh, amico mio - diceva - io piango proprio perché non piangete voi! ".

Al contrario però con quale delicatezza e con quale fervore non fa rinascere la speranza nei cuori pentiti! Per essi egli instancabilmente si fa ministro della misericordia divina, la quale è, diceva egli, potente " come un torrente in piena che trascina i cuori al suo passaggio ", e più tenera che la sollecitudine d'una madre, perché Dio è " pronto a perdonare più di quello che sarebbe una madre a tirar fuori dal fuoco un suo figlio ".

I pastori d'anime quindi, sull'esempio del Santo Curato d'Ars, avranno a cuore di consacrarsi, con competenza e dedizione, a questo ministero tanto importante, poiché in fondo è qui che la misericordia di Dio trionfa sulla malizia degli uomini ed il peccatore viene riconciliato al suo Dio. Si tenga pure a mente che il Nostro Predecessore Pio XII ha condannato gravissimis verbis l'opinione errata secondo cui non sarebbe da farsi gran conto della confessione frequente dei peccati veniali: " Per un progresso sempre più alacre sul cammino della virtù, intendiamo raccomandare vivamente il pio uso della confessione frequente, introdotto dalla Chiesa non senza una ispirazione dello Spirito Santo ". Infine Noi vogliamo confidare che i ministri del Signore saranno essi stessi i primi, secondo le prescrizioni del Diritto Canonico, alla pratica regolare e fervente del sacramento della Penitenza, così necessario alla loro santificazione, e terranno il più gran conto delle pressanti insistenze che più volte e dolenti animo Pio XII si sentì in dovere di loro rivolgere a questo riguardo.



CONCLUSIONE
Al termine di questa Lettera, Venerabili Fratelli, desideriamo dirvi tutta la Nostra soavissima speranza che, con la grazia di Dio, questo Centenario della morte del Santo Curato d'Ars possa risvegliare presso ogni sacerdote il desiderio di compiere più generosamente il suo ministero e soprattutto il suo " primo dovere di sacerdote, cioè il dovere di raggiungere la propria santificazione ".

Quando da questo vertice del Supremo Pontificato dove la Provvidenza Ci ha voluto collocare, consideriamo l'immensa aspettativa delle anime, i gravi problemi dell'evangelizzazione in tanti paesi e le necessità religiose delle popolazioni cristiane, sempre e ovunque si presenta al Nostro sguardo la figura del sacerdote. Senza di lui, senza la sua azione quotidiana, che sarebbe delle iniziative, anche le più adatte alle necessità dell'ora presente? Che farebbero anche i più generosi apostoli del laicato? Proprio a questi sacerdoti tanto amati e su cui si fondano tante speranze per il progresso della Chiesa, Noi osiamo richiedere, in nome di Cristo Gesù, l'intera fedeltà alle esigenze spirituali della loro vocazione sacerdotale. Avvalorino il Nostro appello queste parole, piene di sapienza, di San Pio X: " Per far regnare Gesù Cristo nel mondo nessuna cosa è così necessaria come la santità del clero, perché con l'esempio, con la parola e con la scienza esso sia guida dei fedeli ".

Quasi lo stesso diceva San Giovanni Maria Vianney al suo Vescovo: " Se volete convertire la vostra diocesi, dovete fare santi tutti i vostri parroci ".
A voi, Venerabili Fratelli, che portate la responsabilità della santificazione dei vostri sacerdoti, Noi raccomandiamo di aiutarli nelle difficoltà, talora ben gravi, della loro vita personale o del loro ministero. Cosa non può fare un Vescovo che ama i suoi sacerdoti, se ha conquistato la loro confidenza, se li conosce, li segue da vicino e li guida con autorità ferma e sempre paterna? Pastori di tutta la diocesi, siatelo anzitutto e in maniera particolare per coloro che così strettamente collaborano con voi e ai quali vi stringono vincoli tanto sacri.

A tutti i fedeli pure Noi domandiamo, in questo anno centenario, di pregare per i sacerdoti e di contribuire, per quanto possono, alla loro santificazione. Oggi i cristiani ferventi attendono molto dal sacerdote. Essi vogliono vedere in lui - in un mondo dove trionfano il potere del denaro, la seduzione dei sensi, il prestigio della tecnica - un testimonio del Dio invisibile, un uomo di fede, dimentico di se stesso e pieno di carità. Sappiano tali cristiani che essi possono molto influire sulla fedeltà dei loro sacerdoti ad un tale ideale, col religioso rispetto al loro carattere sacerdotale, una più esatta comprensione del loro compito pastorale e delle loro difficoltà, e una più attiva collaborazione al loro apostolato.

In fine verso la gioventù cristiana rivolgiamo uno sguardo colmo d'affetto e pieno di speranza. La messe è vasta ma gli operai sono pochi (cf Mt 9,37). In molte regioni gli apostoli, sfiniti dalle fatiche, con vivissimo desiderio aspettano chi li sostituirà.

Popoli interi soffrono una fame spirituale, più grave ancora che quella materiale; chi porterà loro il celeste nutrimento della verità e della vita? Abbiamo ferma fiducia che la gioventù del nostro secolo non sarà meno generosa nel rispondere all'appello del Maestro, di quella dei tempi passati. Senza dubbio, la condizione del sacerdote è spesso difficile. Non c'è da meravigliarsi che egli sia il primo esposto alla persecuzione dei nemici della Chiesa, perché, diceva il Curato d'Ars, quando si vuole distruggere la religione si comincia coll'attaccare il sacerdote. Ma, nonostante queste gravissime difficoltà, nessuno dubiti della sorte altamente fortunata che è retaggio del sacerdote fervente chiamato dal Salvatore Gesù a collaborare alla più santa delle imprese, la redenzione delle anime e la crescita del Corpo Mistico. Le famiglie cristiane perciò valutino bene le loro responsabilità, e diano loro figli con gioia e gratitudine per il servizio della Chiesa. Noi non intendiamo qui sviluppare questo appello, che è anche il vostro, Venerabili Fratelli. Ma siamo certi che voi comprenderete e parteciperete l'ansietà del No- stro cuore e tutta la forza di convinzione che vorremmo mettere nelle Nostre parole. A San Giovanni Maria Vianney Noi affidiamo questa causa tanto grave e da cui dipende l'avvenire di tante migliaia di anime!

E ora volgiamo i Nostri sguardi verso la Vergine Immacolata. Poco prima che il Curato d'Ars compisse la sua lunga carriera piena di meriti, Ella era apparsa in un'altra regione di Francia ad una fanciulla umile e pura per trasmetterle un messaggio di preghiera e di penitenza, di cui è ben nota, da un secolo, l'immensa risonanza spirituale. In realtà la vita del santo sacerdote di cui celebriamo il ricordo, era in anticipo una illustrazione vivente delle grandi verità soprannaturali insegnate alla veggente di Massabielle. Egli stesso aveva per l'Immacolata Concezione della Santissima Vergine una vivissima devozione, lui che nel 1836 aveva consacrata la sua parrocchia a Maria concepita senza peccato, e doveva accogliere con tanta fede e gioia la definizione dogmatica del 1854.

Anche Noi Ci compiaciamo di unire nel Nostro pensiero e nella Nostra gratitudine verso Dio questi due Centenari di Lourdes e di Ars, che si succedono provvidenzialmente ed onorano grandemente la Nazione sì cara al Nostro cuore, cui appartengono quei luoghi santissimi. Memori di tanti benefici ricevuti e nella speranza di nuovi favori, facciamo Nostra l'invocazione Mariana che era familiare al Santo Curato d'Ars: " Sia benedetta la santissima ed Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria Madre di Dio! Che tutte le nazioni glorifichino, tutta la terra invochi e benedica il Vostro Cuore Immacolato! ".

Con la viva speranza che questo Centenario della morte di San Giovanni Maria Vianney possa suscitare nel mondo intero un rinnovamento di fervore presso i sacerdoti e presso i giovani chiamati al sacerdozio, e possa altresì richiamare più viva ed operosa l'attenzione di ogni fedele sui problemi che riguardano la vita e il ministero dei sacerdoti, a tutti, e in primo luogo a voi, Venerabili Fratelli, di cuore impartiamo, come pegno delle grazie celesti e testimonianza della Nostra benevolenza, l'Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 1° Agosto 1959, anno primo del Nostro Pontificato.
IOANNES PP. XXIII